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    Liffrey Street era come una signora dell'alta società, ci teneva ad essere sempre impeccabile e a catturare l'attenzione di tutti, pronta a sfoggiare un cappellino particolarmente grazioso prodotto da qualche famosa stilista di fama internazionale, un paio di guanti nuovi con bottoncini elaborati, un vestito fatto di tessuti pregiati provenienti da chissà quale paese esotico, tutto pur di avere su di sé gli sguardi dei presenti ed essere oggetto di chiacchiericci e invidie per giorni, se non per intere settimane. Allo stesso modo i negozi che si affacciavano su ambo i lati della strada mettevano in mostra i loro prodotti migliori nelle ampie vetrine, sporcate soltanto dagli aloni lasciati dalle mani dei bambini che osservavano rapiti i giocattoli, i dolci e i vestiti, nella speranza che i loro genitori, prima o poi, potessero permettersi di comprarglieli. Nel giorno di mercato, poi, il viale si riempiva di una caotica vivacità, di colori nuovi: l'ampia carreggiata veniva ripulita da cima a fondo e poi riempita da decine e decine di bancarelle variopinte che impedivano il passaggio a carrozze e calesse, costretti per un giorno a settimana ad aggirare il centro cittadino e fare tragitti ben più lunghi. I negozianti che lavoravano lì in pianta stabile, nel rispetto di un tacito accordo tra di loro, acconsentivano ad abbassare i prezzi, un po' per non soccombere alla concorrenza delle bancarelle, un po' – ed era la versione della storia che preferiva – per permettere anche a chi guadagnava poco di concedersi uno sfizio di tanto in tanto. Un vociare allegro fatto di contrattazioni, risate, ringraziamenti e semplici discussioni tra amici o parenti, clienti e venditori si insinuava in ogni angolo, in ogni vicolo, in ogni edificio, rimbalzando da una superficie all'altra. La via commerciale le si presentava davanti agli occhi in tutto il suo splendore, ma Ailis, invece di esserne impressionata, sentì ogni muscolo del proprio corpo irrigidirsi al punto da farle male.
    Non ricordava di essere uscita di casa, non ricordava di aver camminato una buona mezz'ora per coprire la distanza che separava casa sua dal resto della città, non ricordava di essere arrivata fin lì. C'era un enorme vuoto nella sua memoria, antecedente a qualunque cosa avesse fatto fino a un istante prima. Solo di una cosa Ailis era certa: non doveva trovarsi lì. Non voleva essere lì. Anche se non sapeva spiegarsi il perché.
    Si mosse sulla sinistra, cercando di passare tra le bancarelle e arrivare al marciapiede, meno affollato rispetto alla strada ostruita da persone e banchetti. Si ritrovò a stringere tra le dita la tracolla della borsa che le ricadeva sul fianco e sulla coscia, mossa da un'inquietudine che non riusciva a spiegarsi. Il suo cervello le gridava che c'era qualcosa di sbagliato, ma ogni volta che gli chiedeva di cosa si trattasse, quello si rifiutava di risponderle. A ogni passo in avanti sentiva delle dita ruvide e appuntite lambirla, stringerle lo stomaco in una presa che si faceva sempre più dolorosa. Si sentiva le gambe molli, ma si impose di proseguire. Doveva provare a se stessa che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Era una giornata idilliaca e non c'era un solo dettaglio che potesse farle pensare il contrario. Eppure i suoi movimenti si fecero sempre più rapidi, finché non si ritrovò a correre. Evitava con cura i passanti e i clienti che uscivano dai negozi e, anche se finiva con l'urtarli, era troppo concentrata sulla sua meta e su quella vocina nella sua testa che le gridava di correre dalla parte opposta per prestarvi attenzione. I suoni si fecero più lontani e ovattati, tranne il rumore dei suoi tacchi bassi che cozzavano contro i lastroni di pietra del marciapiede. I contorni delle cose divennero improvvisamente incerti e l'unica cosa che i suoi occhi riuscivano a mettere a fuoco era la strada che le restava da percorrere.
    Rallentò gradualmente fino a fermarsi di tutto quando arrivò davanti alla vetrina della sartoria. I sensi parvero tornare a funzionare correttamente mentre riprendeva fiato, con i polmoni che bruciavano in segno di protesta per quello sforzo improvviso e apparentemente insensato. Le voci della folla le si riversarono di colpo nelle orecchie e il profumo del pane caldo del forno vicino fece fare le capriole al suo stomaco affamato. Un enorme sospiro di sollievo abbandonò labbra socchiuse quando vide esattamente ciò che aveva sperato di trovare: al di là del vetro dalla forma semicircolare, oltre i manichini vestiti di tutto punto, Constance stava prendendo le misure di una nuova cliente armata di metro da sarta e di un taccuino in cui annotare tutte le cifre, mentre Valerie stava facendo provare una delle loro ultime creazioni alla donna che l'aveva commissionato, la quale non riusciva a distogliere lo sguardo vanesio dal proprio impeccabile riflesso nell'ampio specchio che copriva tutta la parete. Niente di strano, a parte il suo evidente e inspiegabile ritardo.
    Che sciocca. Non c'è nulla che non vada”, si disse con un sorriso. Afferrò il pomello con le dita e spinse la porta in avanti, pronta a fronteggiare il broncio contrariato di Constance e le stravaganti e improbabili teorie di Valerie su cosa avesse potuto trattenerla così a lungo. Un incontro amoroso col figlio del calzolaio – che aveva un'evidente cotta per Constance, non per lei – o una nobildonna che era rimasta folgorata dal suo vestito, ovviamente opera della stessa Valerie, e aveva cercato di appropriarsene in tutti i modi, o ancora una perfida strega che aveva bussato alla sua porta per vendicarsi della famiglia di cacciatori. Per assurdo, l'ultima delle tre era la più plausibile e faceva rabbrividire chiunque fosse a portata d'orecchio.
    «Buongiorno! Mi scuso per il ritar...do?»
    La sua voce si fece più lieve ed incerta man mano che il cervello registrava ciò che gli occhi stavano vedendo. Aveva messo i piedi su un parquet carbonizzato e costellato di frammenti di vetro sporchi di cenere e fuliggine. Le pareti erano completamente annerite, degli abiti non era rimasto altro che qualche brandello bruciacchiato. Le travi del soffitto avevano ceduto e con esse anche parte del piano superiore, adibito ad abitazione delle due sarte.
    La caccia. L'avviso. Il rifiuto. E poi il fuoco, i corpi, la morte, il sangue. Tutto fluiva nella sua mente con una rapidità insostenibile. Ogni istante di quei terribili momenti le si conficcava nella mente come decine di spilli roventi. L'inquietante scenario che aveva davanti sembrò tremolare per un momento e appena qualche istante dopo grosse lacrime le scivolarono lungo le guance e poi giù fino alla gola. Quella che lei stessa aveva squarciato a Valerie pur di metterla a tacere, pur di impedirle di distruggere qualcosa che non era mai stato integro. Si portò una mano proprio in quel punto e poi la mosse in alto, fino a coprirsi la bocca. Il disgusto per ciò che aveva visto, per ciò che aveva fatto, la investì con un'ondata di nausea che la tramortì. Mosse qualche passo all'indietro nel tentativo di allontanarsi da lì, ma incapace di distogliere lo sguardo da ciò che restava di quella che aveva considerato la sua casa molto più del luogo in cui aveva vissuto per tutta la vita. Il piccolo scalino che sollevava il marciapiede dal livello della strada la colse impreparata e cadde a terra.
    Le bancarelle e le persone che affollavano la strada erano sparite nel nulla e il sole aveva lasciato posto ad un cielo notturno ricoperto di nubi, la notte illuminata solo dalle luci dei lampioni ad olio. Gli edifici che aveva di fronte adesso mostravano tutti i segni dell'incendio, con le mura annerite, le vetrate rotte, le facciate in legno carbonizzate.
    Non voglio essere qui. Voglio andare via”. Ci aveva provato, lo ricordava. Aveva trovato un incantesimo nel grimorio che le avrebbe permesso di lasciare quel mondo. Non sapeva se avrebbe funzionato, né se sarebbe stata abbastanza capace da riuscirci, ma aveva deciso almeno di provare, aggrappandosi con tutte le forze a quella flebile speranza, a quella assurda e minuscola possibilità di fuga. Ma aveva fallito, perché era ancora lì. Non poteva scappare da quel posto, dalle colpe e dal rimorso. Era stata una sciocca a pensare di riuscirci.
    Ailis si portò le mani alla testa, con i palmi che coprivano in buona parte le orecchie. Sentiva il sangue pulsare nei timpani al ritmo accelerato del suo cuore. Faticava a trattenere i singhiozzi e le lacrime le scivolavano libere sulla pelle del viso. Piegò le ginocchia fino quasi a portarsele al petto, la schiena curva in avanti, come se volesse chiudersi a riccio e isolare tutto quello che c'era lì attorno.
    «Mi dispiace», disse in un sussurro quasi impercettibile. «Mi dispiace...».



    Pace all'anima di chi dovrà affrontare quest'orrore, spero sia meno terribile di quanto mi sembri. Vorrei dire che cercherò di migliorare ma, insomma, non ho mai ruolato un combattimento e dubito di scoprirmi un genio dell'azione al primo tentativo. Bé, speriamo bene, dai.
     
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    Il palco che ospitava il nuovo eroe della Voce era una strada in rovina, un incubo composto da macerie fumanti prive di vita. Fin troppe volte era accaduto che i sogni dei candidati si svolgessero in ambienti simili, che le loro memorie più terrificanti fossero la chiave per accedere a quel luogo e alla guerra che imperversava tra i mondi.
    Non era raro che la crudeltà degli esseri umani riuscisse a competere con quella delle creature del buio, che il seme della follia germogliasse e crescesse così tanto da creare tragedie simili. Bastava poco, bastava davvero troppo poco.
    Ailis uscì dalla bottega, inciampò e pianse, circondata da quell'illusione grottesca e carica di disperazione.
    «Mi dispiace.» Il sussurro uscì circondato dai singhiozzi, accompagnato dalle lacrime che scivolavano lungo il volto della ragazza. «Mi dispiace...»
    Ancora prima che si palesasse, ancora prima di iniziare a parlare, la Voce aveva già deciso chi mandare dalla giovane, aveva già deciso il Giudice che l'avrebbe accompagnata ed esaminata. A capo chino, in segno di rispetto verso il cimitero che la circondava e la scelta dell'entità di cui era parte, Zaher prese forma nel centro della strada.
    Il vento tacque, il silenziò regnò per un istante, unico sovrano di quel mondo in rovina.

    Così tanto da fare, così poco tempo…


    Il sussurro giunse da ogni luogo, da ogni parte. Sembrava non avere origine, eppure sembrava essere ovunque, sembrava stare in piedi di fianco ad Ailis e in ginocchio di fronte a lei, sembrava sussurrarle nell'orecchio o parlarle da lontano.
    Era sempre lo stesso, ogni volta venivano ripetute sempre le stesse parole. Le aveva sentite quando era nata per la prima volta e mai erano cambiate da allora.

    Ma fai con calma, la porta è ancora chiusa.

    A labbra strette, Zaher ripeté la frase senza farsi udire, mentre, passo dopo passo, i suoni dei suoi movimenti attutiti dalla cenere, si avvicinava alla sua esaminanda, il sorriso amaro di chi sapeva com'era stare in quella situazione, gli occhi ricolmi di una tristezza infinita.

    Parlami di te.
    La porta è ancora chiusa.


    Così come era apparsa, al presenza invisibile della Voce scomparve. L'aria tornò immobile, la cenere riprese a cadere in grandi, sporchi fiocchi grigi dal cielo plumbeo. Un sospiro tremulo uscì dalla gola di Zaher, mentre si fermava ad alcuni metri di distanza da Ailis, cercando di rispettare gli spazi dell'altra e non spaventarla con la sua presenza.
    In silenzio, le dita nascoste dietro alla schiena, intrecciate al suo scettro, avrebbe atteso di venire notata, avrebbe atteso che lo sguardo della sua esaminanda si posasse su di lei prima di parlare.
    «Io...» La voce tentennò, la sua insicurezza, la nostalgia ricomparvero per un istante sul volto, nascoste subito dopo da un sorriso mesto. «Mi dispiace davvero per tutto questo.» Proseguì, voltando lo sguardo attorno a sé, indicando con gli occhi la distruzione e il dolore che impregnavano ogni singolo centimetro di quel luogo.
    «So quanto è difficile perdere ciò che più si ama al mondo.»
    Di nuovo la voce si incrinò, esile e delicata come vetro. Lo conosceva bene quel dolore, lo conosceva fin troppo bene. Di nuovo un sorriso amaro le percorse il volto, mentre le mani si separavano da dietro la schiena. Con un gesto lento e aggraziato, la sinistra stretta ancora attorno allo scettro e la destra appoggiata all'altezza del petto, Zaher si inchinò.
    «Il mio nome è Zaher, giudice del Deep Dive.» Con un fruscio, una ciocca di capelli scivolò oltre l'orecchio e cadde lungo la guancia. Approfittando della momentanea copertura per cercare di simulare un sorriso migliore, la ragazza sollevò di nuovo il busto. «È un onore conoscerti, Ailis.»

    Boff, ricominciamo. Inizialmente avevo intenzione di seguire la traccia lasciata dal vecchio moderatore, in modo da darti la possibilità di non dover rifare tutto da capo, ma poi mi sono ricordato che sono un sadico e quindi ho cambiato idea e ho virato nella direazione che mi piaceva di più :v:
    Non ti preoccupare, thou, il lavoro che hai già fatto non andrà sprecato, ho tutta l'intenzione di considerarlo nella tua valutazione.


    CITAZIONE (Frenz; @ 13/4/2017, 11:04)

    R E G R E T
    _ __ __________ __ _

    Tornò a esistere senza preavviso, nel bel mezzo di una strada affollata. Non si fece domande. Sospirò e si ravvivò la chioma rossa con la dritta mentre la mancina verificava che i pugnali fossero al loro posto. Le illusioni create dal subconscio del suo esaminando la oltrepassavano come fantasmi, sfumando appena nei punti in cui si toccavano.
    Schiamazzi. Vociare. Positività, festosità, relitti di un tempo migliore. Cominciava sempre così – sempre. E lo odiava.
    “È crudele” pensò osservando il cielo plumbeo e i colori accesi della ridente cittadina. “Perché dar loro speranza? Perché mortificarli?” Storse la bocca e scosse la testa. Non dipendeva solo dal Deep Dive, lo sapeva. Era l’esaminando a dar forma a gran parte della realtà onirica, era lui stesso a deliberare quel gioco sadico di illusione e realizzazione. Non si chiese il perché. Si accorse di star stringendo i pugni.
    Il buio giunse all’improvviso. Nuvole gonfie di pioggia avevano preso d’assalto la volta celeste, la notte era calata come una ghigliottina sul collo di quel sogno.
    “Comincia” sospirò tra sé Archaya. “Va sempre così. Sempre”.
    Silenzio. Freddo. Ogni traccia di vita, scomparsa. Nero. Cenere. L’impressione quasi palpabile di un incendio vorace – subito scomparsa. Una piccola sartoria, una tra tante botteghe, carbonizzata. Archaya ne osservò l’ingresso: vide una ragazzina, la vide inciampare, finire seduta sul marciapiede. La vide prendersi la testa tra le mani e piangere.
    Deglutì. Va sempre così.
    Lentamente si avviò. I suoi passi non producevano il minimo rumore.
    Anche il vento sembrò tacere, come in segno di rispetto; come volesse calare la testa, fare spazio alle sontuose, distanti parole che seguirono.

    <p align="justify">Così tanto da fare...

    La Voce proveniva da ogni e nessun luogo. Dai vicoli, dalle piazze, dalla cenere e dai tizzoni. Ogni cosa si distorse, tremolò come uno stagno scosso da un ciottolo. In quel battito di ciglia, l’illusione si rivelò per ciò che era.
    Archaya, sguardo seccato al cielo, attendeva a braccia incrociate.

    Così poco tempo. Fai con calma. La Porta è ancora chiusa.

    L’eco della Voce riverberò. Toni maschili e femminili si rincorrevano nelle note solenni e senza vita.

    Parlami di te.
    La Porta è ancora chiusa.

    Solo allora Archaya si palesò. Si affiancò alla giovane, attese un istante e le tese una mano, tentando di imbastire un sorriso che – sospettava – non avrebbe convinto nessuno.
    «Non devi rispondere, se non vuoi» disse. «Ma se senti davvero il bisogno di farlo, rivolgiti a me. Credo sia meno degradante che conversare col vento».
    Le sentiva sempre più forti: le sensazioni, le emozioni che da quella ragazza – Ailis, realizzò all’improvviso – sciamavano in tutto il reame cognitivo che le circondava. Disparati, sparsi, alcuni ricordi cominciarono a bombardarle le percezioni: su tutti, una donna dalla gola trafitta da un pugnale; Ailis piangeva sopra di lei. "Cos'ho fatto?" si chiedeva piangendo.
    Archaya si rabbuiò. Non avrebbe giocato, non con lei.
    Non le andava.


    [SPOILER]Nulla di particolare da dire, per ora. Se hai domande, scrivimi senza problemi!

    CITAZIONE (walpurrrgisnacht. @ 13/4/2017, 23:01)


    Così tanto da fare...


    Si costrinse ad alzare il viso quando udì quella Voce, pur capendo quasi subito che non ne avrebbe trovato l'origine. Sembrava venire da ogni luogo e da nessuno. Era un sussurro all'orecchio e un'eco lontana. Era maschile e femminile. Le faceva paura e allo stesso tempo la rilassava. Mentre le parole si diffondevano nell'aria, come trasportate da un vento impercettibile, gli edifici, la strada e i lampioni oscillarono per un istante, si distorsero a accartocciarono su loro stessi, per poi tornare ciò che erano come se nulla avesse turbato quello scenario.
    Ailis mosse la mano destra, afferrando il polsino e tirandolo fino a quando la stoffa non ricoprì il dorso fino alle nocche. Strofinò la mano sulle palpebre abbassate mentre il tessuto assorbiva le sue lacrime. Probabilmente sarebbe scoppiata a piangere di nuovo di lì a poco, sentiva ancora un fastidioso pizzicore che risaliva dalle narici fino all'angolo interno degli occhi. Si sforzò di inspirare ed espirare piano per fermare del tutto i singhiozzi che ancora, di tanto in tanto, le scuotevano il petto. Una Voce che non conosceva le stava parlando, in un posto che sembrava la sua Hibernia ma che mutava troppo velocemente perché potesse esserlo davvero. Si trovava sola in un luogo sconosciuto e le parole pronunciate da quell'entità nascosta erano l'unica cosa che potesse, forse, aiutarla. Si aggrappò a quelle poche sillabe pregando che ne seguissero altre, che le dicessero cosa fare, dove andare, come perdonarsi. Qualunque cosa le sarebbe andata bene, purché la tirasse fuori da quel limbo eterno in cui non avrebbe fatto altro che rivangare tutte le scelte sbagliate, gli errori commessi, le bugie raccontate, le colpe che si portava sulla schiena come segni invisibili di una frusta, ferite ancora fresche che la straziavano a ogni movimento, ogni pensiero, ogni respiro. A farsi del male ci riusciva già benissimo da sola.

    Così poco tempo. Fai con calma. La Porta è ancora chiusa.

    Abbassò lo sguardo, con gli occhi fissi in un punto imprecisato tra la punta delle sue scarpe e lo scalino del marciapiede su cui erano appoggiate, sforzandosi di ripetere mentalmente quelle parole. Cercava di dar loro un senso, si aspettava che fosse una sorta di enigma da risolvere per poter proseguire. La Porta. Quale Porta? Ne aveva attraversata una, per andarsene dal suo mondo: l'incantesimo che aveva utilizzato era per certi aspetti simile a quello utilizzato da Valerie nella sartoria, che le aveva permesso di incantare la porta del retrobottega rendendola un varco che la collegava ad uno spazio differente, isolato da quello in cui si trovavano. Nella pratica si trattava di un procedimento completamente diverso e molto più complicato, ma non era importante al momento. Era a quella porta che la Voce si riferiva? Anche senza ricevere un'esplicita risposta negativa, ne dubito e scartò subito l'ipotesi.
    Parlami di te.
    La Porta è ancora chiusa.


    Il labbro inferiore cominciò a tremare. Lo morse, lo tirò indietro coi denti, colta ancora una volta da un'inquietudine che non l'aveva mai abbandonata veramente, che se n'era rimasta lì, in un angolo della sua mente, in agguato, aspettando il momento giusto per uscire allo scoperto e stringerla tra le sue spire fino a soffocarla. Parlare di sé era l'ultima cosa che volesse fare. Non sopportava l'idea di dover rivangare di nuovo l'accaduto, né rivivere le immagini, i suoni e gli odori di quella notte. Non quando non l'abbandonavano mai, non quando le impedivano di dormire la notte, non quando una vocina nella sua testa non faceva che accusarla di essere un'assassina, di essere una strega, e che le streghe devono bruciare.
    Persa nei suoi pensieri, a stento si accorse della mano tesa verso di lei. Notandola, mosse rapidamente la testa verso la sua proprietaria, senza nemmeno tentare di nascondere un leggero stupore nel vedere che c'era qualcun altro lì e che quel qualcuno, contrariamente alle illusioni che avevano affollato la strada fino ad una manciata di istanti prima, ne era certa, non l'aveva mai visto prima.
    «Non devi rispondere, se non vuoi», la sentì dire, con una voce che sembrava sfiorarle l'udito con una carezza leggera. «Ma se senti davvero il bisogno di farlo, rivolgiti a me. Credo sia meno degradante che conversare col vento».
    Era sempre stata convinta che esistessero solo due canoni di bellezza e che avesse avuto la fortuna di vedere il meglio di entrambi: Constance da un lato, con una sua grazia innata anche nel gesto più brusco e scortese, lineamenti dolci e delicati, un bocciolo meraviglioso nella sua semplicità, e Valerie dall'altro, con la sua cura maniacale per i più piccoli dettagli, un'eleganza ricercata assiduamente, giorno per giorno, sempre più vicina alla perfezione. Si sbagliava. La donna che aveva davanti era splendida, ma in un modo completamente diverso rispetto alle altre due. La sua era una bellezza aggressiva, da non intendersi in senso negativo: era una bellezza che si imponeva su tutto e su tutti, che obbligava chiunque a voltarsi a guardarla, ad ammirarla. Fu quella necessità ad impedirle di parlare per qualche istante, le labbra leggermente dischiuse e gli occhi rapiti. Quando si rese conto di quella gaffe, distolse immediatamente lo sguardo mentre l'imbarazzo risaliva sotto forma di rossore dal collo fino alle guance, ancora rigate dalle scie umide tracciate dalle lacrime durante la loro corsa. Deglutì e afferrò la mano quasi a tentoni mormorando un ringraziamento impacciato, udibile a malapena. Si mise in piedi cercando di pesare il meno possibile su di lei, appoggiando la mancina sulle pietre della strada. La sfregò appena contro i pantaloni per ripulirla dalla polvere, distrattamente. Non aveva il coraggio di guardare ancora quella donna. Quando doveva esserle sembrata patetica?
    «Mi chiamo Ailis, miss», disse con una vocina acuta che però sembrava calare di quando in quando, a causa della gola arrochita dal pianto. Aveva sempre quel tono stridulo quando si sentiva a disagio, ed era una delle tante cose di sé che la rendevano ridicola e che detestava. «Io sono...» si interruppe. Sentì le lacrime dibattersi per fuoriuscire e, chiudendo le palpebre, tentò di ricacciarle indietro. «Sono una strega». Era la prima volta che lo diceva in modo così diretto ed esplicito. Non aveva mai sentito la propria voce pronunciare quelle tre parole, e adesso che tutto era finito si chiedeva perché non avesse mai avuto il coraggio di farlo. Le sembrava così stupido. «Ho commesso i seguenti reati: stregoneria, false informazioni a pubblico ufficiale, tradimento, omicidio». Li elencò tutti, utilizzando la formula che era prevista essere pronunciata dall'ufficiale più alto in grado dell'Inquisizione presente al momento dell'esecuzione della condanna a morte, con alcune variazioni. “Non mi pento di nulla, se non di aver ucciso Val”, aggiunse tra sé e sé. Lei amava la magia, e non si sentiva in colpa per averla praticata, né di aver mentito per proteggersi. Ma aver scelto se stessa, quello non se lo sarebbe mai perdonata. Solo a quel punto ebbe il coraggio di guardare la sua interlocutrice, più per buona educazione che per altro. Si vergognava al punto di se stessa, di ciò che aveva fatto pur di aver salva la vita, che era un autentico sforzo non tenere gli occhi puntati a terra. «Posso conoscere il vostro nome?» chiese con un filo di voce. Non sopportava di parlare con qualcuno di cui non conosceva l'identità, anche per una questione di semplice educazione.
    A quel punto, non sapeva cosa fare, né cosa pensare o cos'altro dover dire. Forse la sua risposta non era stata sufficiente, forse non era quello che la Voce voleva sentirsi dire. Non lo sapeva e non capiva. Era solo stanca, terribilmente stanca.



    Post scritto di fretta? Post scritto di fretta. Spero non sia atroce. Sigh.

    CITAZIONE (Frenz; @ 18/4/2017, 12:58)

    R E G R E T
    _ __ __________ __ _

    Quando Ailis risalì con lo sguardo fino al suo viso sembrò quasi impietrire. Distese i lineamenti, sgranò gli occhi, farfugliò qualcosa che Archaya non capì; e arrossì, rapidamente e violentemente.
    Solo quando l’esaminanda distolse il capo la giudice si concesse il lusso di sorridere. A reazioni simili, in vita, aveva assistito decine e decine di volte. Donne, uomini, giovani e meno giovani. Eppure lì, nel Deep Dive, a chissà quanti anni di distanza da ciò che era stata la sua realtà, anche qualcosa di per lei così ordinario riusciva a instillarle una strana – forse amara nostalgia.
    Qualcosa di semplice. Di genuino. Qualcosa di ormai irrecuperabile.
    Si accorse di essersi estraniata per un istante troppo a lungo. Fece schioccare le labbra tra di loro, come rimprovero a sé stessa. Quasi senza fatica aiutò l’altra a rialzarsi.
    «Mi chiamo Ailis, miss» pigolò quindi la giovane maga, la voce rotta dal pianto ancora troppo recente. «Io sono...» Esitò. Chiuse gli occhi. Ad Archaya parve di scorgere un riflesso umido tra le ciglia sottili. «Sono una strega».
    La rossa annuì. Non disse niente. Ailis sembrava intenzionata a tirar fuori tutto, forse nella convinzione di trovarsi in un luogo in cui ogni sfogo non prevedesse conseguenze; l’avrebbe lasciata finire. Incrociò le braccia al petto e spostò il peso da una gamba all’altra.
    «Ho commesso i seguenti reati: stregoneria, false informazioni a pubblico ufficiale, tradimento, omicidio». Solo quando terminò di elencare torno a rivolgerle lo sguardo. All’imbarazzo, già palpabile, si erano aggiunti la vergogna e il rimorso. Archaya spostò le mani sui fianchi. «Posso conoscere il vostro nome?» chiese poi Ailis, quasi sussurrando.
    “Molto educato, da parte tua” si ritrovò a pensare Archaya. “Sei ufficialmente entrata nel…” alzò gli occhi al cielo, “dieci, massimo venti percento di persone che si degnano di chiedermelo”.
    Si umettò le labbra rapidamente. «Archaya» rispose quindi. «Perdonami se non ricambio la cortesia di elencare i miei reati, ma né tu ne io abbiamo tutto il giorno». Inclinò il busto in avanti, le mani ancora sui fianchi. Quando il viso arrivò all’altezza di quello di Ailis, i nasi a pochi centimetri di distanza, le sorrise sorniona. «E poi pensa: che mondo noioso sarebbe quello in cui sono i tuoi “reati”», nel dirlo storse labbra e virgolettò con le dita della sinistra, «a definire chi sei». Attese. Espirò piano dal naso e smorzò appena il sorriso. La voce si fece più seria, più piena e profonda. «Questo posto non vuole sapere cosa sei agli occhi della legge di un pianeta bigotto». Inclinò il capo di lato; una cascata di capelli rossi scivolò oltre la sua spalla destra.

    «Raccontami di te».





    Chiedo scusa per il leggero ritardo e per la qualità piuttosto infima, ma ieri ho tragicamente perso TUTTA la prima stesura e ho dovuto riscrivere da capo. Esperienza che non auguro a nessuno e_e

    CITAZIONE (walpurrrgisnacht. @ 19/4/2017, 15:31)


    «Archaya» si presentò la donna, senza nemmeno l'ombra del timore e della timidezza che invece caratterizzavo Ailis. La ragazza si ritrovò a ripetere mentalmente quel nome, senza fare a meno di pensare quanto fosse adatto alla persona che lo portava. Era insolito rispetto a quelli cui era abituata, ma aveva un bel suono. Si chiese se non stesse pensando una cosa del genere perché influenzata dal suo aspetto. Aveva spesso sentito raccontare di donne bellissime capaci di portare gli uomini alla follia, e si chiese se la sua interlocutrice fosse una di loro. Probabilmente sì. «Perdonami se non ricambio la cortesia di elencare i miei reati, ma né tu ne io abbiamo tutto il giorno».
    Non abbiamo tutto il giorno per fare cosa?” si chiese, senza avere la possibilità di dare voce a quella domanda. L'improvvisa vicinanza di Archaya la fece sussultare e mosse istintivamente un passo indietro. Il rossore che già le colorava le guance altrimenti esangui sembrò farsi un po' più intenso, l'imbarazzo le dava l'impressione di avere la febbre a causa dell'ondata di calore che le aveva investito il viso.
    «E poi pensa: che mondo noioso sarebbe quello in cui sono i tuoi “reati” a definire chi sei». Noioso non era esattamente il termine con cui avrebbe definito la sua Hibernia. Era bella, con le sue immense pianure che d'estate si tingevano di sfumature di verde talmente intense e brillanti da rendere difficile credere che non fossero opera di un pittore, mentre d'inverno si ricoprivano di soffice neve e il gelo fermava il moto dell'acqua, formando spessi strati di ghiaccio sulla sua superficie limpida. Ma era anche crudele e opprimente. A volte – prima di entrare in quella sartoria, prima di trovare un briciolo di serenità – aveva avuto l'impressione di soffocare, di morire sotto il peso delle aspettative deluse, delle bugie e delle mezze verità. Ed era spaventoso, perché una parola di troppo, un singolo sospetto, potevano distruggere intere vite, vite innocenti di chi non aveva mai fatto nulla di male. Era un mondo ingiusto, quello sì. Noioso? Chissà.
    «Questo posto non vuole sapere cosa sei agli occhi della legge di un pianeta bigotto». Quelle parole la incuriosirono. Non tanto per l'esplicito insulto al suo mondo natale, quanto per tutto il resto. Che posto era quello? E a chi apparteneva quella Voce? Perché volevano sapere qualcosa di lei? E, all'interno del quadro, chi era Archaya? Qual era il suo ruolo? Tutte quelle domande le rimasero in gola, non ebbe il coraggio di porle. Qualcosa nella voce e nell'espressione della donna le suggeriva che non fosse il momento adatto. Sentì un brivido correrle lungo la schiena, scendendo in mezzo alle scapole e poi giù, vertebra dopo vertebra. «Raccontami di te».
    Non riuscì più a sostenere lo sguardo di Archaya e si sentì costretta a spostarlo altrove. Cominciò a torturarsi le dita, sintomo del disagio che stava provando. Non voleva parlare di sé. Non voleva dover raccontare ogni cosa. Faceva troppo male. Aveva però l'impressione non avere scelta, anche la donna aveva detto il contrario. O forse voleva credere di non poterlo evitare, forse parlarne un'ultima volta era quello di cui aveva bisogno. Parlarne veramente, senza dover omettere nulla. Inspirò a fondo, cercando di farsi coraggio con un gesto così semplice. Non funzionò, ma sapeva di dover comunque parlare. «Non... non c'è molto da dire» mormorò. Abbassò le palpebre. «Sono nata in un clan di cacciatori di streghe. Sono riuscita a nascondere di saper usare la magia, ma indipendentemente da questo, io e i miei parenti non abbiamo mai avuto un buon rapporto. Volevano che diventassi come loro, ma non ne sono stata capace» disse. Era uno sforzo tenere la voce ferma. Si vergognava di essere così piccola e patetica. E ipocrita. Ipocrita ipocrita ipocrita. Cercò di mettere a tacere quella voce che le sussurrava improperi e maledizioni, cercando di concentrarsi solo su quello che doveva raccontare. «Qualche anno fa ho deciso di mettermi a fare un altro lavoro. Speravo che avrebbero rinunciato ad addestrarmi. In questo modo ho conosciuto due persone meravigliose. Erano streghe come me e mi hanno aiutata. Hanno fatto così tanto, non sarei mai riuscita a ripagarle, in nessun modo. È stato un periodo meraviglioso, sono state una famiglia per me. Ma poi... ancora non riesco a spiegarmi come possa essere successo, siamo state attente...». Si morse il labbro inferiore fin quasi a farlo sanguinare. «Sono state scoperte, e il clan si è mosso. Ho cercato di avvisarle, di dir loro di andarsene. Valerie non voleva e forse per colpa mia, perché non volevo seguirle anche se avrei dovuto prendere al volo quella possibilità. Sono stata così stupida». Si interruppe, sentendo un nodo alla gola che si faceva sempre più stretto ad ogni parola, ad ogni sillaba, man mano che arrivava alla parte più dolorosa della sua storia. Le dita smisero di muoversi le une sulle altre e si spostarono sulla tracolla della borsa, stringendola e torcendola. Non voleva rivivere quei momenti. «Val ha attaccato il clan. Ha ucciso alcuni di loro, anche mio padre. Ho cercato di farla ragionare, ma non c'è stato verso. Alla fine n-non sembrava più essere in sé. Era diventata crudele e spietata e voleva... voleva dire alla mia famiglia la verità, che ero una strega. Mi sono lasciata prendere dal panico e l'ho...». La voce si spezzò proprio su quell'ultima parola. Alcune lacrime ribelli le scivolarono lungo le guance e venne investita da un forte senso di nausea. Non aveva il diritto di piangere né di stare male, eppure sembrava incapace di fare altro. «L'ho uccisa». Per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi bassi, incapace di raccontare e guardare in faccia qualcuno – Archaya o chiunque altro le avesse chiesto di raccontare – allo stesso tempo. Era troppo doloroso e troppo umiliante. Se solo avesse potuto tornare indietro, sarebbe scappata con loro. Quello che era successo era tutta colpa sua. Era tutta colpa sua e non riusciva a perdonarselo.
    Si portò la mano destra al volto, asciugandosi le lacrime con un gesto quasi rabbioso. «Mi dispiace, miss Archaya» si scusò mentre abbassava nuovamente il braccio e, stavolta, sforzandosi di guardarla. «Avrei preferito non farmi vedere così» mormorò. Si sentiva stanca, terribilmente stanca.


    [/SPOILER]/p>

    Edited by pagos - 21/6/2017, 15:35
     
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    Così tanto da fare, così poco tempo...


    Si costrinse ad alzare il viso quando udì quella Voce, pur capendo quasi subito che non ne avrebbe trovato l'origine. Sembrava venire da ogni luogo e da nessuno. Era un sussurro all'orecchio e un'eco lontana. Era maschile e femminile. Le faceva paura e allo stesso tempo la rilassava. Mentre le parole si diffondevano nell'aria, come trasportate da un vento impercettibile, gli edifici, la strada e i lampioni oscillarono per un istante, si distorsero a accartocciarono su loro stessi, per poi tornare ciò che erano come se nulla avesse turbato quello scenario.
    Ailis mosse la mano destra, afferrando il polsino e tirandolo fino a quando la stoffa non ricoprì il dorso fino alle nocche. Strofinò la mano sulle palpebre abbassate mentre il tessuto assorbiva le sue lacrime. Probabilmente sarebbe scoppiata a piangere di nuovo di lì a poco, sentiva ancora un fastidioso pizzicore che risaliva dalle narici fino all'angolo interno degli occhi. Si sforzò di inspirare ed espirare piano per fermare del tutto i singhiozzi che ancora, di tanto in tanto, le scuotevano il petto. Una Voce che non conosceva le stava parlando, in un posto che sembrava la sua Hibernia ma che mutava troppo velocemente perché potesse esserlo davvero. Si trovava sola in un luogo sconosciuto e le parole pronunciate da quell'entità nascosta erano l'unica cosa che potesse, forse, aiutarla. Si aggrappò a quelle poche sillabe pregando che ne seguissero altre, che le dicessero cosa fare, dove andare, come perdonarsi. Qualunque cosa le sarebbe andata bene, purché la tirasse fuori da quel limbo eterno in cui non avrebbe fatto altro che rivangare tutte le scelte sbagliate, gli errori commessi, le bugie raccontate, le colpe che si portava sulla schiena come segni invisibili di una frusta, ferite ancora fresche che la straziavano a ogni movimento, ogni pensiero, ogni respiro. A farsi del male ci riusciva già benissimo da sola.

    Ma fai con calma, la Porta è ancora chiusa.

    Abbassò lo sguardo, con gli occhi fissi in un punto imprecisato tra la punta delle sue scarpe e lo scalino del marciapiede su cui erano appoggiate, sforzandosi di ripetere mentalmente quelle parole. Cercava di dar loro un senso, si aspettava che fosse una sorta di enigma da risolvere per poter proseguire. La Porta. Quale Porta? Ne aveva attraversata una, per andarsene dal suo mondo: l'incantesimo che aveva utilizzato era per certi aspetti simile a quello utilizzato da Valerie nella sartoria, che le aveva permesso di incantare la porta del retrobottega rendendola un varco che la collegava ad uno spazio differente, isolato da quello in cui si trovavano. Nella pratica si trattava di un procedimento completamente diverso e molto più complicato, ma non era importante al momento. Era a quella porta che la Voce si riferiva? Anche senza ricevere un'esplicita risposta negativa, ne dubito e scartò subito l'ipotesi.
    Parlami di te.
    La Porta è ancora chiusa.


    Il labbro inferiore cominciò a tremare. Lo morse, lo tirò indietro coi denti, colta ancora una volta da un'inquietudine che non l'aveva mai abbandonata veramente, che se n'era rimasta lì, in un angolo della sua mente, in agguato, aspettando il momento giusto per uscire allo scoperto e stringerla tra le sue spire fino a soffocarla. Parlare di sé era l'ultima cosa che volesse fare. Non sopportava l'idea di dover rivangare di nuovo l'accaduto, né rivivere le immagini, i suoni e gli odori di quella notte. Non quando non l'abbandonavano mai, non quando le impedivano di dormire la notte, non quando una vocina nella sua testa non faceva che accusarla di essere un'assassina, una strega, e ricordarle che le streghe meritano solo di bruciare.
    Fu per puro caso, mentre scuoteva la testa per scacciare un ciuffo di capelli che le si era incollato alla guancia, che notò la presenza di un persona. Al contrario delle altre, scomparse insieme all'illusione precedente, non aveva nulla di familiare. Conosceva almeno di vista tutti gli abitanti di quella piccola cittadina in cui aveva vissuto fin dalla nascita, ma lei le era del tutto estranea. Appoggiò le mani al suolo, facendo forza su quelle per potersi rialzare, e quando fu in piedi le sfregò appena l'una contro l'altra per rimuovere la polvere e i minuscoli sassolini che le si erano attaccati alla pelle. La osservò per qualche istante, nel più assoluto silenzio. Cos'avrebbe dovuto dire? Qualunque cosa le venisse in mente, per qualche ragione, le sembrava sbagliata.
    «Io...». Fu la sconosciuta a rompere il ghiaccio, cominciando a parlare per prima, ma subito dopo esitò. Cercò di nascondere l'insicurezza dietro un sorriso, un gesto in cui Ailis non ebbe fatica a riconoscersi. Si ritrovò a combattere contro il desiderio di avvicinarsi e abbracciarla, darle un po' di conforto. Nessuno l'aveva fatto con lei, nonostante ne avesse un bisogno enorme. Si chiedeva se per quella ragazza fosse lo stesso. «Mi dispiace davvero per tutto questo» continuò e nel farlo portò lo sguardo sullo scheletro carbonizzato di quella che aveva considerato, a tutti gli effetti, casa sua. Ailis non riuscì a trovare il coraggio di voltarsi di nuovo in quella direzione, di portare gli occhi su quel cumulo di dolore e rimorsi. Dei bei ricordi, di tutti i momenti felici trascorsi, non era rimasta altro che cenere sparsa al vento. «So quanto è difficile perdere ciò che più si ama al mondo». Sentì una stretta al cuore nell'udire quelle parole. L'impulso di abbracciare quella ragazza si fece risentire ancora una volta, stavolta però mitigato da una certa diffidenza che si stava pian piano facendo strada in lei. Sembrava sapere ogni cosa di lei e si chiedeva come facesse. Si morse l'interno della guancia, le braccia strette strette lungo il corpo in un fallimentare tentativo di mascherare il suo malessere. Ancora quella fastidiosa sensazione di non sapere cosa dire, cosa fare, di essere inadatta sempre e comunque. Era snervante. «Dispiace anche a me». Disse la cosa più banale che potesse pensare, ma anche la più sincera. Le dispiaceva per quanto era accaduto, per quello che aveva fatto – e per quella ragazza, che doveva aver subito una perdita grande quanto la sua. L'espressione sul suo viso aveva qualcosa di troppo simile alla propria per non riuscire a riconoscerla. Le faceva male solo a guardarla.
    La vide inchinarsi in un modo diverso da quello che conosceva, ma non per questo meno educato o rispettoso. Il gesto la colse di sorpresa, non si riteneva una persona così importante da meritarsi una simile formalità. Più probabilmente si trattava solo di una diversa educazione delle due. «Il mio nome è Zaher, giudice del Deep Dive» si presentò. Ailis tentò di ricambiare come poteva: chinò la testa in avanti e portò il piede destro dietro al sinistro. Piegò le ginocchia mentre stringeva i lembi della maglia – in assenza di una gonna - tra pollice e indice, allargandola. Non ebbe il tempo di parlare, perché Zaher la precedette. «È un onore conoscerti, Ailis».
    Non la sorprese che l'altra conoscesse il suo nome, immaginava di non avere segreti per lei, non nel luogo in cui si trovavano. Il Deep Dive, di qualunque cosa si trattasse, aveva qualcosa di irreale, qualcosa che non comprendeva e che un po' la spaventava. La costringeva a pensare, a riflettere. Non voleva farlo. Temeva di spezzarsi senza essere più capace di raccogliere i frammenti del suo essere, ricomporli e andare avanti.
    Portò le mani sulla tracolla della borsa, stringendola, graffiandola, tutto nel tentativo di non lasciarsi prendere dall'agitazione. Non riuscì a sostenere lo sguardo dell'altra e lo abbassò. «È il mio processo?» si azzardò a chiedere, con un fil di voce. Forse era morta, forse quella ragazza minuta quanto lei doveva decidere cosa sarebbe stato di lei nell'aldilà, se meritasse la salvezza oppure la dannazione eterna. Dubitava fortemente nella prima opzione. «Le risparmio la perdita di tempo. Sono una strega e una vigliacca. Ho ucciso una delle persone che più amavo solo per salvarmi la vita.» la voce l'aveva abbandonata, tremando ad ogni parola pronunciata e calando di tanto in tanto. Ogni suono pronunciato tradiva quanto fosse vicina al mettersi a piangere. Prese un respiro profondo, un ennesimo tentativo di non rendersi patetica. «Cosa...» esitò. Il tono usato era più acuto di quanto avesse voluto. Ingoiò l'imbarazzo e proseguì. «Cosa mi aspetta, adesso?» si azzardò a chiedere.



    Io sono scorretta e un pezzo del vecchio post l'ho ripreso papale papale, al massimo ho cambiato una parola o due. Speriamo vada bene
     
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    L'imbarazzo fu la prima cosa che notò quando risollevò lo sguardo su Ailis. Aveva forse sbagliato a dire qualcosa, l'aveva spaventata o i suoi modi l'avevano infastidita? Cercando di non dar a vedere la sua preoccupazione, osservò la giovane stringere nervosamente la tracolla della borsa.
    Per un secondo attese. In silenzio, si morse leggermente l'interno del labbro inferiore.
    «È il mio processo?»
    Subito comprese. ”Giudice”. Si era presentata come uno dei giudici del Deep Dive e questo aveva messo la sua esaminanda a disagio. Dopotutto, Zaher conosceva la storia di Ailis, sapeva cosa fosse successo nel passato di ella, cosa avesse fatto. Forse la sua scelta di parole non era stata la più intelligente delle mosse, ammise. Con un sforzo sia fisico che mentale, tentò di mantenere intatta l'espressione cordiale, di non dar a vedere il fastidio che in quel momento stava provando per se stessa e la sua stupidità. Avesse potuto si sarebbe presa a martellate in testa. Odiava quando si creava quel clima di tensione tra lei e i suoi esaminandi: già il fatto che fosse necessaria una prova fisica, una battaglia, creava abbastanza attrito tra i due partecipanti del Deep Dive, se poi rendeva anche il dialogo e l'analisi del carattere un processo sgradevole tanto sarebbe valso tempestare l'ospite della Voce di domande e scontrarsi brutalmente subito dopo e concluderla lì.
    «Le risparmio la perdita di tempo. Sono una strega e una vigliacca. Ho ucciso una delle persone che più amavo solo per salvarmi la vita.»
    Presa contropiede, Zaher non poté nascondere lo stupore. Non tanto perché non conoscesse gli eventi di cui la ragazza stava parlando, ma era per come quella li stesse narrando, era per come ne stesse parlando che la lasciava sconcertata. Trovare qualcuno che ammettesse sin da subito -e in quel modo, in quei termini- ciò che aveva fatto era un qualcosa di raro, quasi unico. In tutta onestà non era sicura fosse qualcosa di positivo.
    «Cosa...» Con una sorta di squittio acuto, Ailis proseguì. «Cosa mi aspetta, adesso?»
    Per un secondo Zaher rimase ferma, immobile, gli occhi sbarrati e colmi di confusione. Rapida si riprese.
    «No, no!» Con velocità sorprendente, leggermente nel panico, la giudice mosse la mano libera davanti al volto, limitandosi a scuotere quella che impugnava lo scettro con vigore, facendo dondolare pericolosamente l'arma in più direzioni. «Non saltare subito alle conclusioni, ti prego.»
    Prima di ricomporsi, Zaher si concesse un sospiro stanco. Delicatamente, lo spirito si passò una mano tra i capelli, facendo scivolare le dita tra le ciocche.
    «Non…» Per un singolo istante esitò, mentre le parole si inceppavano sulla punta della lingua e faticava a scegliere quelle giuste da dire. «Non si tratta di un processo per quanto hai fatto. Quello che è successo non è di mia competenza. Al riguardo posso solo dirti che non sei da biasimare: non hai avuto scelta.» Era stata costretta in un angolo da una persona che amava, da una persona di cui si fidava, che le aveva donato solo felicità fino a quel momento, ma che, proprio allora, stava per distruggere tutto il suo mondo, la sua vita. E forse, forse Valerie aveva ragione a spingere perché Ailis se ne andasse, che fuggisse da quella casa in cui era costanetemente in pericolo, in cui ogni singola ora rischiava di essere scoperta. Ma le azioni della donna non erano state giuste, non erano state corrette. Era stata una violenza, un tentativo di imporle con la forza qualcosa che non era sicura di volere.
    «Il motivo per cui sono qui, Ailis, è per essere la tua guida, più che un giudice.» Sarebbe stata comunque lei a emettere il verdetto a decidere se la ragazza fosse pronta per i mondi esterni, fosse capace di spingere sempre in avanti e non cadere in un abisso da cui non sarebbe mai più uscita. «Il Deep Dive è la culla dei guerrieri, di coloro che possiedono una volontà salda e forte, capaci di affrontare i pericoli e gli orrori che gli vengono posti davanti e di superarli, cuore e corpo ancora intatti.» Per un attimo si fermò, lasciando che le sue parole si imprimessero nella mente e nella memoria dell'altra, aspettando che le assimilasse. Decisa, la osservò negli occhi, scrutò quella figura sottile e delicata, il corpo più da bambina che adulta, il cuore similmente pervaso da una gentilezza e un timore infantili, ma non sciocchi. Un sorriso sincero incurvò le labbra di Zaher, mentre già si immaginava cosa stesse passando per la testa della sua interlocutrice. «E non dire subito che non sei una guerriera, che la tua volontà e tutt'altro che salda e forte.» Lentamente, passo dopo passo, parola dopo parola, si avvicinò ad Ailis. La mano si alzò, raggiungendo l'altezza della fronte della ragazza. Con un sorriso più malizioso che gentile, adesso, caricò l'indice, facendo resistenza contro il pollice. Un suono leggero e ovattato rimbombò contro gli edifici e sulla cenere quando il suo dito si scontrò, forse con un po' più di forza di quanta ce ne volesse realmente mettere, contro la fronte di Ailis. «Perché non è vero: già il fatto che tu sia qui lo dimostra.»
    Lentamente arretrò, allontanandosi e offrendo all'altra un po' più di spazio. Il sorriso mutò, una smorfia amara prese il suo posto sul volto, mentre il giudice si voltava e osservava di nuovo l'ambiente che si era creato. Con sguardo critico passò a osservare la stoffa delle proprie scarpe e la cenere che le stava velocemente tingendo di grigio.
    «Hmm...» Se voleva mettere la sua esaminanda un po' più a suo agio, forse un cambio di scena non era una cattiva idea. «In ogni caso, ti andrebbe bene un… leggero cambio di ambientazione?» Liffrey Street non le piaceva, non così, non in quello stato, e pensava che anche Ailis fosse della stessa opinione. Senza attendere una risposta, Zaher batté le mani. Rapido, giunse un vento tiepido, le ceneri vennero spazzate e allontanate. L'erba, germogli di un verde intenso e splendente, iniziò a crescere tra le spaccature del lastricato, mentre cespugli, edera e alberi si facevano strada negli scheletri della case distrutte dal fuoco. In pochi istanti dei resti della strada non era rimasto niente: la vegetazione era esplosa in tripudio di colori, aveva coperto ogni superficie visibile, rendendo quasi del tutto impossibile riconoscere le macerie che si nascondevano sotto e dietro di essa. Piccoli fiori bianchi costellavano l'erba e i rampicanti, mentre le chiome di quegli alberi così giovani ma apparentemente robusti e forti come querce secolari erano impreziosite da petali turchesi e lilla. Un sole tiepido spuntò da dietro le nuvole, pochi raggi luminosi, sottili lamine d'oro, si fecero strada attraverso il manto grigio che copriva il cielo, contribuendo alla bellezza di quel nuovo paesaggio.
    Soddisfatta del suo operato, Zaher annuì più volte a se stessa prima di voltarsi, un sorriso gentile a incurvare le sue labbra, di nuovo verso Ailis.
    «Spero sia di tuo gradimento, Ailis.»

     
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    Si prese qualche istante, mentre la Giudice elaborava le sue parole, per convincersi che avrebbe dovuto accettare il verdetto, indipendentemente da cosa avrebbe comportato. Qualunque condanna le avessero dato, non era nulla che non si meritasse. Ad occhi chiusi prese un bel respiro, tentando come possibile di ignorare l'odore di fumo e di bruciato che aleggiava per la via. Aveva paura. Si sentiva le gambe molli al punto di non essere certa che riuscissero a sostenerla e le allargò di qualche centimetro per assumere una posizione un po' più stabile.
    Quando sollevò le palpebre, si stupì nel vedere che la sua interlocutrice sembrava essere piuttosto confusa, con gli occhi sgranati come se avesse sentito chissà quali eresie uscire dalle sue labbra, e non riuscì a comprenderne il motivo. «No, no!» si affrettò a smentirla Zaher, accompagnando alle parole i gesti rapidi delle mani. «Non saltare subito alle conclusioni, ti prego». Vide il suo scettro oscillare pericolosamente a destra e a sinistra e le venne istintivo muovere una mano nella sua direzione, anche se la ritrasse subito dopo. «Faccia attenzione...» disse in un tono più basso del voluto, probabilmente l'altra non l'aveva nemmeno sentita. Adesso, però, era lei a non capire. La ragazza aveva detto di essere un giudice, ma, a quanto sembrava, quello non era il suo processo, né per stregoneria, né per decidere come sarebbe stata punita per ciò che aveva fatto. Non osò sentirsi sollevata dalla notizia, non ancora. Supponeva che qualcosa dovesse comunque accadere, anche se non riusciva a immaginare di cosa potesse trattarsi.
    «Non...». Dopo qualche istante Zaher aveva ripreso a parlare, solo per interrompersi subito dopo. Stava cercando di formulare il discorso in modo che le sue parole non potessero essere nuovamente travisate, persino Ailis riuscì ad intuirlo. «Non si tratta di un processo per quanto hai fatto. Quello che è successo non è di mia competenza. Al riguardo posso solo dirti che non sei da biasimare: non hai avuto scelta».
    Non era vero. Forse Zaher poteva pensarla in quel modo, ma Ailis aveva avuto una scelta. Avrebbe potuto andarsene e dire addio a quella vita di pericoli, e aveva avuto tante occasioni per farlo: quando Val gliel'aveva proposto la prima volta, alla sartoria, e quando aveva minacciato di dire la verità ai cacciatori. Se gliel'avesse lasciato fare, sarebbero scappate, avrebbero recuperato Constance e poi cominciato una nuova vita da qualche altra parte, in un altro luogo o in un altro mondo, tutte e tre insieme. Invece si era comportata da stupida e ingenua. Perché non aveva detto di sì? Non c'era nulla a legarla a quel posto, a quella famiglia, nulla. Se n'era andata, alla fine, ma solo dopo aver commesso errori su errori, dopo aver perso tutto quello a cui più teneva. Ailis sapeva di aver avuto una scelta, ma di aver preso quella sbagliata.
    «Il motivo per cui sono qui, Ailis, è per essere la tua guida, più che un giudice» proseguì la ragazza. La strega, però, continuava a non capire cosa intendesse dire. «Il Deep Dive è la culla dei guerrieri, di coloro che possiedono una volontà salda e forte, capaci di affrontare i pericoli e gli orrori che gli vengono posti davanti e di superarli, cuore e corpo ancora intatti».
    Dopo la spiegazione, Ailis si chiese cosa ci facesse lei in quel posto. Di certo non era una guerriera. Sarebbe stata la gioia del clan se lo fosse stata, invece i suoi movimenti erano impacciati e approssimativi, e le armi erano spesso troppo pesanti perché lei riuscisse ad utilizzarle correttamente senza rischiare di farsi male. E anche qualora avesse voluto intendere guerriero in senso non letterale, bé, non si riteneva affatto capace di affrontare alcunché, specie in quel momento. Le sue ultime decisioni non avevano fatto altro che confermare ciò che già sapeva: non era in grado di affrontare i problemi e le situazioni difficili. Tutto quello che riusciva a fare era scappare, voltare le spalle agli ostacoli piuttosto che prenderli di petto e agire di conseguenza.
    «E non dire subito che non sei una guerriera, che la tua volontà e tutt'altro che salda e forte». Mentre osservava il sorriso dolce di Zaher, si chiese se fosse capace di leggerle nel pensiero, o se piuttosto fosse lei ad essere un libro aperto. Si astenne quindi dal parlare e smentire le parole dell'altra. Se già sapeva cosa pensava al riguardo, era inutile sprecare fiato. Abbassò lo sguardo e si accorse che la Giudice si stava avvicinando solo nel momento in cui le scarpette di stoffa dell'altra entrarono nel suo campo visivo, quand'ormai le era talmente vicina che avrebbe potuto toccarla solo allungando un po' il braccio. Vedendo la mano alzata capì subito le sue intenzioni e istintivamente si strinse nelle spalle e serrò le palpebre. L'indice la colpì impietoso, ma senza farle male. «Perché non è vero: già il fatto che tu sia qui lo dimostra». Il fatto che si trovasse lì doveva essere un errore, ma non trovò il coraggio di dirlo.
    Quando riaprì gli occhi Zaher aveva ripristinato le distanze tra di loro e la sua espressione, prima dolce e poi maliziosa, era diventata triste mentre guardava il paesaggio desolato che le circondava. C'era poco di cui stare allegri in un luogo simile e probabilmente era la stessa cosa a cui stava pensando la Giudice. Di qualunque cosa potessero discutere, bastava un solo sguardo per cadere nello sconforto. «Hmm...» rifletté la ragazza. «In ogni caso, ti andrebbe bene un… leggero cambio di ambientazione?». Batté le mani senza aspettare una sua risposta. Dallo spazio lasciato tra i cubetti di pietra che ricoprivano la strada cominciarono a spuntare dei ciuffetti verdi, ad una velocità tale che nel giro di qualche istante l'intero lastricato era stato ricoperto da uno spesso manto d'erba. Lo stesso destino toccò agli edifici, fino a quando non rimase più nulla di quella che, fino a qualche momento prima, era stata la principale strada commerciale della città. Dopo il cambiamento che Liffrey Street aveva avuto sotto i suoi occhi qualche istante prima, non avrebbe dovuto meravigliarsi anche di quello, ma lo fece comunque. Guardò da una parte all'altra, ammirando fiori dai petali carnosi e dai colori intensi, le chiome folte degli alberi, le foglie dei rampicanti che avevano avvolto ogni costruzione, nascondendo alla vista le macerie della sua vita passata.
    «Spero sia di tuo gradimento, Ailis». La voce di Zaher la riportò coi piedi per terra e la spinse a posare lo sguardo su di lei. «È...» cominciò a parlare, ma nuovamente la sua attenzione fu colta da qualche dettaglio che prima non aveva notato, una pianta che non conosceva o qualche fiore particolarmente bello. Era difficile immergersi in quel paesaggio senza restarne ammaliati, specie se si considerava cos'era andato a sostituire. «È meraviglioso» disse, mentre muoveva qualche passo verso l'albero più vicino e ne sfiorava le foglie, curiosa e un po' spaventata all'idea di sentirle inconsistenti sotto il tocco delle dita. «Grazie» aggiunse, sincera. Era scappata dal suo mondo per non dover più essere ancorata a ricordi dolorosi. Quel cambio di scenario non poteva che renderla, se non felice, almeno un po' più serena.
    Tirò indietro la mano, per poi lasciarla ricadere lentamente lungo il fianco. Spostò gli occhi sulla Giudice, non sapendo cos'altro aspettarsi. Si era ritrovata in una dimensione in cui l'ambiente circostante variava drasticamente in un battito di ciglia, che si piegava ai pensieri e alla volontà di chi vi si trovava all'interno, insieme ad una ragazza che dichiarava di essere la sua guida. Non capiva perché si trovasse lì, in quel luogo che Zaher aveva definito la culla dei guerrieri. Era tutto così confuso. Era difficile per lei riordinare i pensieri, dar loro un senso logico.
    Fece per aprire bocca, ma la richiuse subito dopo. Come doveva rivolgersi a lei? Era un Giudice. Vostra eccellenza? Vostro onore? O era troppo formale? «Signorina Zaher» la chiamò, titubante. «Cos'accadrà, adesso?».

     
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    Gli occhi carichi di emozione, Ailis posò lo sguardo su di lei. Il sorriso si allargò sul volto di Zaher, mentre una punta di rosso andava a colorare le sue guance.
    «È...»
    Il contatto visivo si spezzò, mentre la ragazza tornava a osservare il nuovo mondo che era sbocciato attorno a lei, ammaliata dai colori e dal paesaggio. Per un istante la giudice la imitò, mentre i ricordi della sua ultima vita si facevano strada teneramente nella sua mente, guidati dagli odori e dai suoni che l’avevano circondata. Per un secondo abbassò le palpebre, per un secondo tutto tornò come quando Setta era con lei.
    «È meraviglioso. Grazie.»
    Soddisfatta, Zaher annuì. Non dubitava delle parole della sua esaminanda, le si leggeva negli occhi che quello che stava dicendo era la verità. In silenzio attese ancora, più tranquilla e a suo agio in quel mondo che le era così familiare. Poco a poco, senza essersene nemmeno resa conto, aveva iniziato a giocherellare con lo scettro e a spostarsi, pochi passi alla volta, da dove si trovava. Dentro di sé sentì un leggero rimprovero, sia suo che della Voce. Si stava distraendo, si stava concedendo lussi che non poteva permettersi, non dopo che aveva accettato quel ruolo. Una smorfia amara e si concentrò di nuovo su Ailis.
    «Signorina Zaher.» La punta di rosso già presente sulle sue guance si allargò e ricoprì l’intero volto, colorando la pelle della stessa sfumatura dei capelli. Anche se era un giudice non era né degna né abituata a simili formalità. Di solito i guerrieri la guardavano sprezzanti dall’alto in basso, domandandosi ad alta voce cosa potesse fare una ragazzina così minuta, quale diritto avesse di nominarsi loro giudice e guida. Di solito si zittivano quando i primi lampi e lingue di fuoco li ustionavano e li facevano piangere come bambini. «Cos'accadrà, adesso?»
    Riprendendosi dai propri pensieri, tornò alla realtà. Per un istante si fermò a pensare. Forse non era il caso di dirle sin da subito tutta la verità: non voleva spaventarla con l’idea del combattimento imminente e in tutta onestà voleva sentirla parlare ancora un po’, sentirla discutere della propria vita, esprimere le proprie idee. Voleva conoscerla, prima di esprimere il proprio giudizio.
    «Per ora niente, parliamo e basta, anche se prima che tu esca dovrai aiutarmi anche con un’altra cosa. Niente di preoccupante, per carità, solo una piccola formalità.» Subito mise, sia metaforicamente che letteralmente, le mani avanti, in modo da tranquillizzare, almeno per il momento, l’altra e non incappare in altri fraintendimenti. Lentamente la giudice piegò le ginocchia e si abbassò verso terreno, sedendosi a gambe incrociate sul manto d’erba.
    «Quindi,» Veloce colpì col palmo della mano due volte la terra alla sua destra, invitando Ailis ad imitarla e a sistemarsi di fronte a lei. «Parlami di te, Ailis. Cosa ti piace? Studiare, cucinare, scrivere, leggere?» Un indice posato sull’angolo delle labbra, iniziò a elencare quello che le veniva in mente, cercando di offrire spunti per iniziare la conversazione, per conoscerla un po’ meglio. «Io ad esempio adoravo cucinare! Era la mia attività preferita; anche se, sarò onesta, mio marito era decisamente migliore.» La risata eruppe cristallina dalla sua gola, mentre riportava alla mente la volta in cui si era addormentata e aveva lasciato la carne da sola sul fuoco. «Ho fatto certi disastri in cucina che credo tu non possa nemmeno iniziare a immaginare!» Ammise, trattenendole risa e asciugando con la punta delle dita le lacrime che minacciavano di cadere dall’angolo degli occhi.
    «Il che mi fa pensare…» Rapida si riprese, mentre il sorriso malizioso che aveva già sfoggiato in precedenza tornava a fare la propria comparsa sul suo volto. «Non è che per caso c’è qualcuno che TI piace?» Poco alla volta, parola dopo parola, centimetro dopo centimetro, si era sporta in avanti, entrambe le mani poggiate sul terreno di fronte a le in modo da sostenere il busto. «Nessun bisogno di essere timida al riguardo, Ailis, prometto che non dirò a nessuno!» Rapida fece scattare le dita verso il volto e incrociò gli indici di fronte alle labbra, facendo il segno di una X.
    «Tornando seri.» Con un finto colpo di tosse, la ragazza si ricompose e assunse una posizione più dignitosa, allontanando il busto da Ailis. «Davvero, qualunque cosa, parlami di te.»
    Nonostante fosse vero che voleva una chiacchierata normale dopo tutti quegli anni, c’era da dire che non aveva dimenticato qual era il suo ruolo e quale fosse il suo compito: anche adesso stava valutando Ailis. Voleva capire se era in grado di riprendersi, se era in grado, una volta che veniva interrogata sul suo passato e su quello che si era lasciata alle spalle, di reagire normalmente, di non lasciarsi trascinare giù, di non permettere a dolore e rimpianto di avere la meglio su di lei. Poteva sembrare sciocco agire così, ma non voleva mantenerla costantemente sotto stress, non voleva creare ulteriore pressione. Era un mondo crudele quello che l’attendeva, ma proprio per questo voleva partire dal basso, dalle situazioni quotidiane: anche i più forti e temerari se sempre messi alla prova prima o poi cedevano. Un giudizio basato su quello a suo parere era inutile. In silenzio, con un sorriso cordiale sulle labbra, attese una risposta.

     
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    «Per ora niente, parliamo e basta, anche se prima che tu esca dovrai aiutarmi anche con un’altra cosa. Niente di preoccupante, per carità, solo una piccola formalità». Ailis non poté celare il sollievo nel sentire la Giudice pronunciare quelle parole. Sentì i propri muscoli contratti sciogliersi un po', le spalle e le braccia si rilassavano man mano che si convinceva che, almeno per un po', avrebbe potuto stare tranquilla. Zaher si stava dimostrando una persona incredibilmente gentile e non sembrava avere cattive intenzioni. Avrebbe avuto qualche minuto per rilassarsi, per riprendersi da quella giostra di emozioni che era stata la sua vita negli ultimi tempi. Si sentiva stanca prima ancora di cominciare.
    «Quindi» Zaher, dopo essersi seduta sull'erba, la invitò a raggiungerla con un gesto della mano. Piegò le ginocchia fino a quando non toccarono terra e si sistemò di fronte a lei. I sottili fili d'erba le solleticavano le porzioni di pelle scoperta, ma erano morbidi. Avrebbe potuto addormentarsi su quell'immensa coperta verde, cullata dalla leggera brezza che faceva ondeggiare ciocche di capelli e vestiti. Si stava bene, lì. Era decisamente meglio di Liffrey Street. «Parlami di te, Ailis. Cosa ti piace? Studiare, cucinare, scrivere, leggere?», La ragazza si ritrovò a guardarla con le sopracciglia sollevate in un'espressione che lasciava trasparire un leggero stupore. Non si aspettava una conversazione di quel tenore, così informale e leggera, ma la cosa non le dispiaceva, tutt'altro. Era un po' che non si ritrovava a parlare del più e del meno senza ritrovarsi a pensare ad altro. «Io ad esempio adoravo cucinare! Era la mia attività preferita; anche se, sarò onesta, mio marito era decisamente migliore». Benché nel suo mondo fosse normale sposarsi giovani, si ritrovò sorpresa nello scoprire che Zaher era sposata – o meglio, da come ne parlava, era stata sposata. Forse suo marito era morto, forse se n'era andato. In ogni caso, non doveva essere più lì, eppure ne parlava serenamente, lasciandosi andare ad una risata spontanea mentre parlava di lui. Il suo stomaco, invece, fece le capriole. Doveva avere all'incirca la sua età, eppure era già rimasta sola. «Ho fatto certi disastri in cucina che credo tu non possa nemmeno iniziare a immaginare!». Ailis si ritrovò a sorridere mentre le parlava delle sue disavventure ai fornelli, ripensando a quando aveva dovuto imparare a cucinare. Aveva preparato cose immangiabili nei primi tempi, e il solo ricordo di quei piatti nauseanti la fece rabbrividire. In quello, almeno, era migliorata. Nessuno, in casa, faceva uno stufato migliore del suo.
    «Il che mi fa pensare» fece Zaher, cambiando argomento in modo inaspettato e repentino. Sul suo viso si dipinse un'espressione che la mise a disagio ancor prima che l'altra potesse finire di formulare la frase. Valerie l'assumeva fin troppo spesso per non riconoscerla. «Non è che per caso c’è qualcuno che TI piace?» domandò, dando concretezza ai timori della strega. L'imbarazzo sbocciò sul suo viso come un fiore rosso, donando alle guance un colore ben più intenso e salubre di quello che il suo incarnato pallido le dava. Aveva spostato il busto all'indietro mentre l'altra si avvicinava, quasi avesse paura che potesse scorgere nel proprio sguardo qualcosa che nemmeno lei era riuscita a comprendere. «Nessun bisogno di essere timida al riguardo, Ailis, prometto che non dirò a nessuno!». Di quello non dubitava: anche qualora gliel'avesse detto, non credeva che a qualcuno all'infuori di lei interessasse la sua vita sentimentale. Non che ne avesse una.
    Zaher si allontanò da lei e, con un colpo di tosse, cercò di riacquistare dignità e compostezza. «Tornando seri» riprese. «Davvero, qualunque cosa, parlami di te».
    La ragazza tacque per un po'. Non le piaceva molto parlare di sé, era una cosa che trovava quasi fastidiosa. Cos'avrebbe dovuto dire? Non aveva nulla di interessante da raccontare. Quelle che per lei erano cose belle spesso risultavano noiose a chiunque altro, e per quanto riguardava quelle brutte, bé, ne aveva già parlato. E non era nemmeno certa di riuscire a raccontarle senza rendersi ridicola.
    «Ecco...» cominciò, più per prendersi un altro po' di tempo per pensare che per iniziare davvero ad articolare un discorso. Rassegnata, optò per rispondere alle domande che Zaher le aveva posto. «Mi piace molto studiare, anche se è stata una scoperta tutto sommato recente. I cacciatori non perdono molto tempo sui libri. Molti di loro hanno conoscenze basilari su tantissimi campi, perché fin da piccoli ci si concentra sull'addestramento». Parlava lentamente, scandendo bene le parole come se questo potesse contribuire ad alleggerirle. Faceva fatica a guardare la sua interlocutrice negli occhi, lo sguardo si spostava sempre verso il basso, sulla zolla d'erba tra di loro, e non riusciva a tenere ferme le mani. Appoggiate sulle gambe, si tormentavano a vicenda, le dita che si intrecciavano, le unghie che strisciavano sulla pelle, quasi incapaci di starsene ferme al loro posto. «E anche cucire. Sono abbastanza brava in quello. Valerie diceva che non ero capace di disegnare modelli e che ho un pessimo gusto nel vestire. Ha preteso di rifarmi il guardaroba non appena mi ha assunta nel suo negozio. Però diceva anche che ero una brava sarta». Il tono della sua voce era andato man mano calando, fino ad affievolirsi del tutto. Come poteva parlare con serenità se qualunque cosa si ricollegava a lei? «In realtà credo che...» tentennò per un istante, giusto il tempo necessario per assicurarsi che la sua voce non si incrinasse. «Credo che mi piacesse qualunque cosa facessi alla maison. Studiare la magia, cucire, persino fare l'inventario, fare i conti a fine giornata, parlare con le clienti, farmi prendere in giro da quelle due» ammise con un sorriso triste sulle labbra. «E questo si ricollega all'altra domanda, credo». Si sentiva la bocca terribilmente secca e deglutì a vuoto. «Io non... non lo so. So che tra quelle mura mi sentivo più a casa che in qualunque altro posto. Valerie e Constance non mi hanno mai fatta sentire inadeguata o inutile. Loro non erano come la mia famiglia, ci tenevano a me. E io tenevo a loro». Si interruppe, restando in silenzio nel tentativo di trovare le parole adatte, parole che non riuscì a trovare. Se davvero quello che provava era reale, se davvero teneva a loro più di chiunque altro, perché non se n'era andata con loro? Perché? Perché?
    Gli occhi le si riempirono di lacrime, che scivolarono rapide lungo le guance e, raggiunto il mento, caddero sulle mani e sulle dita. Se solo avesse detto di sì, nulla di tutto quello sarebbe accaduto. Se solo avesse detto di sì, non avrebbe provato il desiderio di strapparsi il cuore dal petto e lanciarlo lontano, solo per smettere di provare quel dolore insopportabile. Avrebbe voluto riuscire a liberarsene e, allo stesso tempo, la sola idea la terrorizzava. Non poteva non provare nulla dopo quello che aveva fatto. Forse non meritava nemmeno di passare momenti felici, sereni, tranquilli. Non meritava nulla.
    Si asciugò gli occhi con le maniche della maglia, tenendo lo sguardo ostinatamente basso. Si riempì d'aria i polmoni, la trattenne per qualche istante prima di espirarla lentamente. «Mi dispiace» disse, poche parole sussurrate al vento, appena udibili. «Io... io volevo bene ad entrambe, lo giuro. È colpa mia se Val è morta e Constance...» esitò, e al ricordo del loro ultimo incontro fu istintivo portarsi una mano alla gola mentre un brivido le percorreva la schiena. «Constance mi odia». Come biasimarla? Avrebbero potuto avere tutto quello che desideravano, una vita nuova in qualche posto sconosciuto, felici, tutte e tre. Ma erano rimaste loro due, da sole, senza nessuno ad aiutarle e niente che le sostenesse.

     
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    Per qualche istante nessuna delle due parlò: Zaher attendeva, paziente, che Ailis racimolasse pensieri e ricordi e formasse una risposta.
    «Ecco...» Incoraggiante la giudice annuì, trattenendo appena il fiato, temendo che il pensare indietro al passato potesse scatenare immediatamente le lacrime. «Mi piace molto studiare, anche se è stata una scoperta tutto sommato recente. I cacciatori non perdono molto tempo sui libri. Molti di loro hanno conoscenze basilari su tantissimi campi, perché fin da piccoli ci si concentra sull'addestramento.» La voce della ragazza scorreva lentamente, ma senza arenarsi, sciolta. Attena, speranzosa, Zaher ascoltava e osservava la sua interlocutrice. Subito notò come evitasse di incontrare il suo sguardo, subito notò l'imbarazzo. Con un sorriso osservò il gioco delle dita di Ailis, come si rincorressero e si intrecciassero tra di loro, sfogo fisico del suo nervosismo.
    «E anche cucire. Sono abbastanza brava in quello. Valerie»istintivamente Zaher si irrigidì, cercando una reazione, un movimento del corpo che tradisse i sentimenti che Ailis provava. «diceva che non ero capace di disegnare modelli e che ho un pessimo gusto nel vestire. Ha preteso di rifarmi il guardaroba non appena mi ha assunta nel suo negozio. Però diceva anche che ero una brava sarta.»
    Il tono si affievolì, la voce si fece sempre più spenta e priva di emozione. Sconsolata, ma comunque soddisfatta del risultato, la giudice sospirò. Quello che aveva visto, quello che aveva ascoltato era abbastanza: Ailis era ancora palesemente ancorata ai ricordi degli eventi che l'avevano portata in quel luogo, ma non era priva di speranza. Poteva vedere una scintilla in lei, qualcosa di affine al coraggio e alla determinazione, qualcosa che di sicuro l'avrebbe continuata a spingere in avanti, a farla rialzare caduta dopo caduta. Ci sarebbe voluto tempo, ma ciò che importava era il fatto che avrebbe imparato, di questo era sicura. «In realtà credo che...» La voce tentennò e una pausa si aprì tra le parole. «Credo che mi piacesse qualunque cosa facessi alla maison. Studiare la magia, cucire, persino fare l'inventario, fare i conti a fine giornata, parlare con le clienti, farmi prendere in giro da quelle due»
    Un sorriso fece capolino sulle labbra di Ailis, una piega triste e malinconica che subito Zaher ricambiò, conscia dell'origine di quell'espressione. «E questo si ricollega all'altra domanda, credo. Io non... non lo so. So che tra quelle mura mi sentivo più a casa che in qualunque altro posto. Valerie e Constance non mi hanno mai fatta sentire inadeguata o inutile. Loro non erano come la mia famiglia, ci tenevano a me. E io tenevo a loro.»
    Nel silenzio generale che seguì quell'ultima affermazione, Zaher strinse la terra sotto le dita, incapace di parlare, di offrire una parola di conforto, inutile. Conosceva quell'emozione, conosceva quel dolore, quelle fitte al cuore scaturite dal tradimento. In fondo l'aveva vissuto così tante volte. In fondo ognuna di quelle volte si era chiesta se fosse sua la colpa, se era la sua esistenza il motivo per cui tutto era andato a rotoli. In silenzio chinò la testa in avanti. I capelli caddero di fronte agli occhi, oscurando il volto e nascondendo una lacrima solitaria.
    Quando risollevò lo sguardo, non fu sorpresa di vedere che anche Ailis stava piangendo. Rapida, si risistemò i capelli, approfittando del gesto per nascondere e asciugare la lacrima che aveva lasciato libera. Subito riprese fiato, lasciò che il senso del dovere a calmasse, che la sua mente si concentrasse unicamente su Ailis.
    «Mi dispiace» sussurrò. «Io... io volevo bene ad entrambe, lo giuro. È colpa mia se Val è morta e Constance...» Un'esitazione, il dolore e i ricordi che si facevano troppo forti per poter essere controllati e nascosti. «Constance mi odia.»
    Per un secondo esitò, chiedendosi se fosse la cosa giusta da fare in vista di ciò che spettava a entrambe, ma subito scacciò i dubbi dalla sua testa. Le gambe strofinarono contro l'erba e la terra, la stoffa si macchiò di verde e marrone, mentre Zaher si spingeva in avanti verso Ailis. Delicatamente, strinse la ragazza in un abbraccio, cercando di donarle un minimo conforto. Così, rimase ferma per lunghi secondi, abbandonandosi al calore del corpo dell'altra, alla vita che la maga emanava.
    Non poteva dirle di non preoccuparsi, che non era stata colpa sua. Anche se era la verità non poteva: non avrebbe fatto altro che aumentare il senso di colpa, che farla cadere di più nel diniego e nell'autocommiserazione. Cauta, fece il massimo che si sentiva di poter fare in quel momento e alzò la mano, accarezzò gentilmente il capo della ragazza. Ancora per diversi secondi continuò così, senza aggiungere o dire nient'altro. Fu solo quando il polso le iniziò a dare fastidio che sciolse la presa e lasciò Ailis libera.
    «Spero vada meglio...» Con un sorriso gentile, si rialzò in piedi, spazzolando via dal vestito fili d'erba rimasti attaccati alla stoffa.
    «Ailis.» Con un tono morbido, richiamò l'attenzione della ragazza. «È quasi ora che tu vada, c'è solo un'ultima cosa da fare.» Un'ombra calò sui suoi occhi, mentre dentro di sé si rendeva conto che non aveva nessuna voglia di ferire o far male alla ragazza, anche se quello non era altro che un sogno.
    «Ricordi quello che ti ho detto prima? Quando ti ho accennato della formalità?» Senza attendere una risposta proseguì, la malinconia e il dolore palesi nel tono della voce. «Ecco, vedi… Il Deep Dive è la culla dei guerrieri, di coloro che sono capaci di superare ostacoli sia mentali che fisici.» Lentamente, mentre faceva riferimento a ciò che aveva già detto prima, mentre tentava di far comprendere ad Ailis ciò che stava per accadere senza spiegarlo direttamente, si chinò e raccolse lo scettro. «Io…» Di nuovo esitò. In silenzio, trattenne le emozioni, riportò i pensieri sotto controllo. Non voleva infierire nuovamente su quella ragazza, non voleva provocarle altro dolore, ma era necessario. Era necessario e doveva accettarlo. Un sospiro stanco sfuggì alle sue labbra. «Per uscire da qui dovrai scontrarti con me, dimostrarmi la tua forza.»

    Non proprio il migliore dei post, ma spero ti soddisfi .asd
    Alors, lo scontro non è ancora iniziato, tranquilla, se vuoi puoi fare tu la prima mossa nel prossimo turno, oppure continuare il dialogo per ancora un post, a te la scelta. E… tutto qua .asd
    Buona scrittura ùwù

     
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    Era una stretta dolce, così dolce da far sciogliere quel grumo di sensi di colpa e dolore che sentiva all'altezza dell'addome e che le rendeva difficile respirare. L'abbraccio sembrava rassicurarla, prometterle che il peggio era passato, che dopo aver toccato il fondo le cose avrebbero soltanto potuto migliorare. Il tocco gentile della mano che le accarezzava i capelli aveva un che di materno e il suo ripetersi lento e costante le fece perdere quel poco di autocontrollo che poteva vantare. Un singhiozzo scivolò dalle sue labbra socchiuse e, nonostante lo sforzo di trattenersi, sentì nuove lacrime sgorgare dagli occhi e farsi strada sulla pelle accaldata. La dita sottili si strinsero sulla stoffa della veste di Zaher, ricambiando l'abbraccio come se la ragazza fosse la sua ancora di salvezza, l'unico appiglio che le impediva di annegare negli oscuri abissi del rimorso. Si nascose contro la sua spalla, con il risultato di impregnarle la maglia di tante, piccole gocce salate.
    Ma poi, aveva davvero il diritto di piangere, di autocommiserarsi in quel modo? Aveva il diritto di scappare, di lasciarsi tutto alle spalle, di cercare una vita migliore in un mondo nuovo che non la costringesse, giorno dopo giorno, a ritrovarsi faccia a faccia con i risultati dei suoi errori? No. Certo che no. Ma Ailis sapeva di essere una vigliacca e un'egoista, e lo faceva comunque. Scappava, sempre. Dai problemi, dalle responsabilità, da quello che la spaventava. Le sembrava di correre da tutta una vita. Le sue gambe non la reggevano più, i polmoni la imploravano di fermarsi a riprendere fiato, i muscoli si laceravano per lo sforzo. Ma continuava a correre. Ancora e ancora, sempre più lontano. Non sapeva se si sarebbe mai fermata, la sola idea la terrorizzava al punto di impedirsi anche solo di rallentare, di prendersi un po' di tempo per guardarsi intorno e capire effettivamente dove quella fuga infinita la stesse conducendo, se nel luogo sicuro che anelava o in uno ancor peggiore di quello da cui era partita. Anche se il suo cuore fosse scoppiato per la fatica, le sarebbe stato bene. Forse era condannata a non trovare pace, ma quanto meno l'avrebbe cercata fino alla fine, fino a quando il suo corpo e la sua anima non avrebbero ceduto.
    Quella stretta, però, le diceva che si sbagliava. Persino una come lei poteva essere compresa e non solo compatita. Era degna di ricevere un minimo di conforto, di sentirsi dire che non era colpa sua, anche se era una bugia. Forse doveva solo... fermarsi. Smettere di dare le spalle ai problemi senza guardarsi indietro. Non sarebbe riuscita ad affrontarli tutti, ma poteva iniziare da quelli meno complicati. Poteva tornare sui suoi passi e cercare di rimediare ai suoi sbagli. Non a tutti c'era soluzione, e quelli l'avrebbero tormentata in eterno, senza darle la possibilità di perdonarsi. Però sarebbe comunque stato un miglioramento. Stava raschiando il fondo del barile, peggio di così non si sarebbe potuta sentire.
    Inspirò a bocca aperta, il petto che le vibrava a causa del pianto troppo recente. Quando fece fuoriuscire tutta l'aria raccolta, si sentì svuotata. Non sapeva se fosse positivo o meno, però si sentiva un po' meglio, più leggera.
    Le mani lasciarono la presa sulla veste di Zaher quando questa sciolse l'abbraccio. Il suo sorriso gentile era lì. Non c'era biasimo nel suo sguardo, né ribrezzo, né qualunque altra cosa temesse di trovarvi. Solo quella gentilezza che le aveva rivolto fin dal primo momento e che trovava disarmante. «Spero vada meglio...». La ragazza annuì con un cenno, un leggero oscillare della testa. Avrebbe voluto riuscire ad esprimere quanto le fosse riconoscente per averle dato il conforto di cui aveva bisogno, qualcosa che credeva più nessuno le avrebbe concesso, ma sapeva di non essere brava con le parole. Era difficile scegliere quelle giuste, articolarle fino a formare un discorso comprensibile e che non finisse col rovinare tutto.
    Mentre Zaher si alzava, Ailis andò rapida ad asciugarsi il viso, le maniche ormai coperte di aloni umidi che ne scurivano il colore. Avrebbe dovuto smettere di piangere, prima o poi. Poco alla volta.
    «Ailis» il suono della voce dell'altra la costrinse ad alzare il viso. «È quasi ora che tu vada, c'è solo un'ultima cosa da fare». Andare? Andare dove? Non... non voleva andarsene. Non quando finalmente si sentiva meglio di come fosse stata negli ultimi giorni. Certo, l'inizio nel Deep Dive non era stato dei migliori, ma le cose erano cambiate in fretta. «Immagino di non avere scelta» mormorò, più per convincere se stessa che per ricevere una risposta. Raccolse le gambe e si mise in piedi, strofinando i palmi aperti sui vestiti per eliminare i fili d'erba che vi erano rimasti attaccati. Quando si ritrovò a guardare il viso di Zaher sentì un brivido scenderle giù lungo la spina dorsale, vertebra dopo vertebra. Qualcosa l'aveva fatta rabbuiare, un qualcosa a cui non era ancora in grado di dare un nome ma che, era certa, non sarebbe stato di suo gradimento, affatto. Ed evidentemente, lo stesso valeva per la Giudice.
    «Ricordi quello che ti ho detto prima? Quando ti ho accennato della formalità?» cominciò. Dal tono con cui aveva parlato, immaginava non si trattasse di firmare delle carte o fare qualcosa di altrettanto elementare.
    Non mi piace. Non mi piace neanche un po'.
    «Ecco, vedi… Il Deep Dive è la culla dei guerrieri, di coloro che sono capaci di superare ostacoli sia mentali che fisici». Ancora quella storia. Era quanto di più lontano potesse esserci dall'idea di un guerriero. Era piccola, incapace, debole, patetica e inutile. Aveva preferito ferire le persone che amava piuttosto che trovarsi faccia a faccia con le sue paure peggiori. Era una vigliacca, una codarda. Come poteva lei essere una combattente? «Io...» Zaher esitò e l'agitazione di Ailis andò crescendo. «Per uscire da qui dovrai scontrarti con me, dimostrarmi la tua forza».
    No. Fu l'unico pensiero che la sua mente riuscì a formulare mentre il suo corpo, istintivamente, muoveva il piede destro indietro, pronto ad allontanarsi, a cercare un riparo qualora fosse stata attaccata. Tra tutte le cose che potevano essere fatte, perché proprio quello?
    «N-Non voglio combattere» disse, il tono frettoloso, la voce che le tremava, così come le gambe, le braccia, ogni fibra del suo essere vibrava in modo più o meno percettibile. A dispetto della sua insicurezza, però, di quello era assolutamente certa. Sapeva di non essere capace di combattere. Quando era con la sua famiglia non si parlava d'altro, di quanto fosse vergognoso per tutto il clan che lei non fosse nemmeno in grado di tenere un coltello dalla parte del manico. I suoi movimenti erano goffi e approssimativi e c'era sempre qualcuno a ricordarle che, davanti ad una strega, sarebbe morta non appena cominciata la battaglia. Certo, quando aveva effettivamente partecipato ad una caccia – la sua prima e ultima – le cose erano andate molto diversamente, ma Valerie non l'aveva mai attaccata, il pensiero non doveva averla nemmeno sfiorata.
    «Non voglio ferire nessuno, nemmeno per sbaglio». Sentiva i muscoli tendersi fino quasi a farle male. «Soprattutto, non voglio rischiare di ferire lei» precisò. In quei pochi minuti trascorsi insieme, Zaher aveva fatto per lei molto più di quanto avessero fatto i suoi parenti in quasi vent'anni, le aveva dato ciò di cui più aveva bisogno in quel momento, la stava aiutando a sentirsi un po' meno colpevole per le azioni che si era ritrovata a commettere.
    E allora perché? Perché doveva combattere?



     
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    «N-Non voglio combattere.» Anche lei avrebbe volentieri evitato lo scontro, ma Zaher sapeva che era impossibile. Con un sospiro, la giudice rafforzò la presa attorno allo scettro, facendosi forza, cercando un sostegno nell'arma e nei ricordi dei vecchi prescelti che aveva avuto l'onore di valutare. Eppure quello era diverso: Ailis era, nonostante l'età, ancora una bambina, qualcuno che non avrebbe mai dovuto sperimentare sulla propria pelle le ferite e il dolore che le guerre portavano con loro. Non si meritava gli eventi che l'attendevano là fuori, ma li avrebbe superati: avrebbe continuato ad andare avanti, forse non sempre a testa alta, di sicuro mai senza guardarsi alle spalle, senza rimpiangere ciò che aveva perso. Di questo Zaher era sicura.
    «Non voglio ferire nessuno, nemmeno per sbaglio.» A occhi chiusi, la giudice continuò ad ascoltare, soffrendo ogni volta che Ailis tentennava, stringendo sempre di più le dita attorno al metallo a ogni esitazione del tono, a ogni volta che le sembrava di sentire la ragazza trattenere le lacrime.
    «Soprattutto, non voglio rischiare di ferire lei.»
    Per un istante vi fu solo il silenzio. Zaher non replicò, sicura che se avesse aperto bocca in quell'istante non sarebbe riuscita a mantenere la propria voce ferma, a trattenere tutta la tristezza e il dolore che ogni singola parola pronunciata da Ailis aveva inciso nel suo petto. Poco alla volta sciolse la presa e allentò la stretta delle dita, rilassando i muscoli. Mentre alzava di nuovo le palpebre, seguendo un processo meccanico, quasi innaturale -aiutata in quersto anche della sua peculiare natura-, riprese fiato e calmò il proprio corpo.
    «Ailis.» Una sfumatura dolce, materna permeava il tono della voce. «Calmati: non c'è niente di cui aver paura.» Per un istante si fermò, lasciando che le sue parole potessero aiutare la ragazza a riprendere il controllo di se stessa e delle sue emozioni. «Non mi farai del male. Non puoi farmene, vedi,» La sinistra andò a sfiorare la clavicola, scendendo subito dopo mollemente verso il basso. «questo corpo non è reale. Non possiedo un corpo, sono solo un'idea, uno spirito capace di esistere solo in questa realtà, solo all'interno del Deep Dive.» Di nuovo si interruppe, di nuovo attese prima di riprendere a parlare. Era un'esistenza triste, in teoria, ma non aveva rimpianti: gli eroi che incontrava, sebbene la maggior parte di loro andasse incontro a un destino tragico, erano tutte persone meravigliose, carismatiche, luminose, capaci di affascinare e ammaliare gli altri, di essere fonte di ispirazione sia per le forze della Luce che per quelle dell'Oscurità. Nonostante tutto era stata felice di incontrare tutti loro e teneva alle memorie che conservava di essi, alle particolarità di ognuno. Se avesse avuto il tempo, sarebbe stata capace di elencarli tutti, di parlare ore e ore delle loro vite, delle loro imprese una volta usciti dal Deep Dive, una volta che li aveva promossi. Era orgogliosa di essere stata parte del loro percorso, di essere stata parte della loro vita e di ciò che li aveva plasmati in quello che erano poi diventati. No, nonostante non potesse essere definita “vita” a tutti gli effetti, quell'esistenza non era triste.
    Sorridendo risollevò il capo e gli occhi, osservò di nuovo Ailis, ansiosa di conoscere che svolta avrebbe preso la sua storia.
    «Non avere paura, dunque: non puoi farmi del male. Sono io che te lo chiedo, che ti chiedo di combattere, di dimostrarmi ciò di cui sei veramente capace. Non quello che tuo padre e tua zia dicevano che non eri, ma ciò che sei adesso.» Non voleva vedere la cacciatrice fallita, ma la strega, la maga capace di scatenare la furia degli elementi, di piegare le forze della natura alla sua volontà.
    «Per favore, Ailis.»


    Non proprio il massimo, ma spero che sia di tuo gradimento. Scusa per la lunghezza un po' misera ^^”
    In ogni caso, se vuoi iniziare il combattimento nel tuo prossimo post fai pure, lascio a te la prima mossa.
     
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    Il silenzio che calò dopo le sue ultime parole le parve innaturale. Le dava l'impressione di essere completamente sola, abbandonata a se stessa. Quell'assenza di suoni la opprimeva, sembrava fosse più pesante di un qualsiasi, infinito susseguirsi di parole, indipendentemente da quanto dure e crudeli potessero essere. Fissò Zaher sentendosi persa, gli occhi sgranati simili a quelli di un cucciolo smarrito. L'agitazione la costringeva a ridurre l'intervallo che separava un respiro dall'altro e di conseguenza il suo petto si alzava e abbassava a quel ritmo leggermente accelerato. Quei pochi istanti di mutismo le parvero durare un'eternità.
    La Giudice non la guardava nemmeno. Se ne stava con le palpebre abbassate, il suo ingombrante scettro stretto con forza tra le dita della mano. Forse l'aveva delusa. Anzi, sicuramente l'aveva delusa. Avrebbe dovuto essere abituata a quella consapevolezza, invece si ritrovò con un groppo alla gola che premeva fastidiosamente poco sotto il mento e le rendeva difficile e doloroso deglutire. Non avrebbe mai voluto che accadesse, ma nemmeno desiderava combattere, combatterla. Era troppo chiedere di non essere costretta a ferire o essere ferita?
    «Ailis». La voce di Zaher la riportò bruscamente coi piedi per terra, ancorata a quella realtà e non più all'impetuoso vorticare dei suoi pensieri, di quelle emozioni che non riusciva a controllare. Fu un sollievo sentire ancora quella voce dolce, il tono mite, l'atteggiamento affettuoso dell'altra ragazza. Ne aveva bisogno. Ammetterlo la imbarazzava, ma era evidente al punto che non valeva neanche la pena negarlo. Era stata la gentilezza di Valerie e Constance a permetterle di accettare la realtà, anni prima; forse quella di Zaher poteva spingerla ad affrontarla, ad andare avanti un passo dopo l'altro senza scappare dalle difficoltà. A uscire da quel posto e tornare – o cominciare? - davvero a vivere. «Calmati: non c'è niente di cui aver paura». Su quel punto Ailis non concordava. Doveva lottare e non voleva. Non sapeva come sarebbe andata a finire se l'avesse fatto, non sapeva cosa sarebbe successo se si fosse rifiutata. Quella prospettiva era più che sufficiente a spaventarla.
    «Non mi farai del male. Non puoi farmene, vedi,» seguì con occhi attenti il gesto della mano, «questo corpo non è reale. Non possiedo un corpo, sono solo un'idea, uno spirito capace di esistere solo in questa realtà, solo all'interno del Deep Dive».
    Mosse la testa all'indietro di appena un centimetro, di scatto, gesto che tradì un certo stupore. Quindi... nulla di tutto quello che la circondava era reale? Neanche Zaher stessa lo era? Distolse lo sguardo nel tentativo di riordinare le idee, cercando di capire come potesse un'idea, come l'altra si era definita, essere così... vera. Le aveva parlato, l'aveva abbracciata, aveva sentito il suo profumo, il suono della sua voce. Come poteva essere una...
    Scosse la testa. Non sarebbe arrivata da nessuna parte con quei ragionamenti. Si conosceva: avrebbe potuto continuare a pensarci senza trovare risposta e la frustrazione del non capire l'avrebbe spinta a rimuginarci ancora e ancora, all'infinito. Sfortunatamente, dubitava di avere così tanto tempo a disposizione. Zaher era stata chiara sul punto: era quasi ora di andare.
    «Non avere paura, dunque: non puoi farmi del male. Sono io che te lo chiedo, che ti chiedo di combattere, di dimostrarmi ciò di cui sei veramente capace. Non quello che tuo padre e tua zia dicevano che non eri, ma ciò che sei adesso». Il riferimento alla sua famiglia la colse impreparata e, istintivamente, gli occhi si posarono sul terreno ai loro piedi, sui fili d'erba rigogliosa e sui fiori. Lo stomaco si contrasse al pensiero della lapide grigia sotto la quale riposava suo padre. Era morto prima di essere riuscita a trovare il coraggio di dirgli la verità, e lei avrebbe vissuto senza mai sapere se sarebbe riuscito ad accettare l'idea di avere una strega come figlia o se l'avrebbe uccisa con le sue stesse mani. Sua zia, poi, dopo quella notte aveva finalmente iniziato a pensare che non fosse un caso perso, e che anzi potesse essere una buona cacciatrice. Dopotutto aveva ucciso una di quelle maledette fattucchiere, da sola, riuscendo dove l'intero clan aveva fallito. Le venne quasi da ridere, con amarezza, al pensiero che le i rapporti con i componenti della sua famiglia si basavano esclusivamente su bugie.
    «Per favore, Ailis». No, per favore, Zaher, semmai. Aveva capito di non avere scelta. O combatteva, qualunque potesse essere l'esito, o sarebbe rimasta bloccata in un'illusione, rispedita indietro senza più avere la possibilità di andarsene o chissà cos'altro. Non ne era capace, ma in qualche modo avrebbe dovuto arrangiarsi.
    Portò la mano sinistra alla tracolla che sembrava tagliarle il busto in obliquo, stringendola tra le dita. La pistola, l'unica arma a sua disposizione, era nella borsa. L'aveva portata con sé per proteggersi dai pericoli, non per attaccare deliberatamente qualcuno, specie se a quel qualcuno si era affezionata.
    Inspirò, riempendosi i polmoni di ossigeno nel tentativo di mantenere un po' di calma e un briciolo di lucidità. Non aveva scelta. Odiava non avere la possibilità di fare a modo suo, di doversi sottomettere a quello che altri avevano deciso per lei. Non ce l'aveva con Zaher per quello, ma le sembrava comunque ingiusto. Buttò fuori tutta l'aria che aveva incamerato con un soffio. Alzò lo sguardo, osservando le iridi rosse della ragazza. La distanza tra di loro era minima, poco più di un metro, forse due. «Lo trovo comunque scorretto» mormorò. «Non vorrei combattere».
    Cercò di essere il più rapida possibile nell'infilare la mano destra nella borsa e afferrare la pistola. Armò il cane col pollice prima ancora di estrarla, concentrando la magia nel metallo e poi nella camera di scoppio. Non si preoccupò di prendere la mira: premette l'indice sul grilletto non appena il braccio, teso in avanti, arrivò all'altezza dell'addome di Zaher. Non sapeva se l'avrebbe colpita e nemmeno dove. Le serviva solo come diversivo per mettere quanta più distanza possibile tra lei e quella che adesso era la sua avversaria. Probabilmente, no, sicuramente era stata sleale, ma se c'era una sola cosa che aveva imparato, di tutte quelle che il clan aveva cercato di inculcarle, era che l'onore e la lealtà non ti salvavano la vita. Ti rendevano solo un bersaglio fin troppo facile da colpire.
    Nell'istante successivo allo scoppio, Ailis girò su se stessa e iniziò a correre. Era un errore dare le spalle al nemico, ma la sua priorità era allontanarsi, mettere quanta più distanza possibile tra di loro. Quando si fermò, voltandosi nuovamente verso la Giudice, dovevano esserci cinque, massimo sei metri a separarle. Individuò Zaher. Il respiro accelerato non le avrebbe permesso di sparare con sufficiente precisione, quindi alzò il braccio sinistro, la mano libera aperta e tesa contro l'altra ragazza mentre si concentrava. Il suo respiro si condensò in una nuvoletta di vapore, insolita considerando la temperatura mite di quel paradiso che l'altra aveva creato. Sentì la magia che fluiva dentro di lei permeando ogni cellula del suo corpo, e con essa una brezza fresca che andò a lambire le porzioni di pelle non coperte dai vestiti. Quella stessa corrente avrebbe dovuto intensificarsi e stringere l'avversaria nella sua morsa gelida, il freddo avrebbe dovuto avvinghiarsi alla sua pelle e penetrare nelle sue carni, intorpidendole i muscoli e rallentandone i movimenti.
    Anche se avesse funzionato non sarebbe durato a lungo, lo sapeva. Strinse le dita attorno alla pistola mentre la impugnava con entrambe le mani, di nuovo puntata contro Zaher. Non era certa di quello che stava facendo, non sapeva nemmeno se sarebbe stata in grado di restare in piedi, dopo. Ma se fosse riuscita a rallentarla, avrebbe avuto un, seppur minimo, vantaggio. Non era brava a combattere, né ad elaborare strategie: se aveva anche solo una possibilità di concludere tutto e subito, doveva prenderla al volo.
    L'arma cominciò a sprigionare una luce azzurrina mentre caricava il colpo, la magia si trasferiva dai polpastrelli al metallo che, al tocco della sua pelle, si stava lentamente scaldando. Guardò il viso di Zaher per la prima volta da quando aveva iniziato ad attaccare ed esitò – un solo istante, forse uno di troppo. Si diede della stupida. Le aveva detto di non preoccuparsi, non doveva farlo. Relegò in un angolo della propria mente i sensi di colpa e premette il grilletto. Sei piccole sfere luminose, di pochi centimetri di diametro, fuoriuscirono dalla canna creando una sorta di cerchio, tutte dirette contro il suo unico bersaglio, ma in punti diversi: uno per ogni arto, uno per il torso e uno per la testa.
    Il rinculo dell'arma rischiò di farle perdere l'equilibrio. Fu abbastanza pronta di riflessi per spostare una gamba indietro, a sorreggersi e impedirsi di cadere. Non era abituata ai ritmi della battaglia, non era abituata alla paura che si provava, all'adrenalina che scorreva nel suo corpo, alla fatica che già iniziava a farsi sentire. Lo odiava.



    Cor. 30 - Ess. 75 - Men. 40 - Con. 50 - Vel. 45 - Dest. 60


    Status fisico - ottimale
    Status mentale - agitata, insicura
    Energia - 100 - 16 (congelation) - 32 (bourrasque) + 5 = 57%
    Riassunto - Ahahahah. Ahah. Ah. Iniziano le note dolenti. Ok, saltiamo la parte dell'autocommiserazione. Visto che Zaher e Ailis sono state vicine vicine fino a quel momento ho ipotizzato potessero esserci massimo massimo due metri di distanza, giusto perché se non erro nel post prima la mia bimba aveva mosso un passo indietro. Quindi le spara da distanza ravvicinata e si allontana, puntando sul fatto di averla colta di sorpresa e magari ferita. Poi niente, usa l'attiva di depotenziamento medio del parametro velocità e poi l'attiva alta offensiva. Spero di non aver fatto disastri su disastri.


    a b i l i t à p a s s i v e

    ❛ c o n t r ô l e ❜
    All'inizio del suo apprendistato, la prima cosa che ha dovuto imparare è stata l'autocontrollo, la capacità di utilizzare il suo potere in base alla propria volontà senza che fosse preda delle emozioni. Una delle magie che usava spesso a livello inconscio era quella di far levitare gli oggetti, che senza preavviso di mettevano a galleggiare a mezz'aria nei momenti meno opportuni. Il primo esercizio che le è stato fatto eseguire consisteva nel perfezionarla, fino a permetterle di manovrare le cose a suo piacimento. Gli iniziali fallimenti l'hanno spinta a provare così tante volte che, alla fine, è diventato un automatismo. Ailis è capace di spostare gli oggetti facendoli allontanare o avvicinare a sé, alzare o abbassare, il tutto entro un raggio d'azione di cinque metri da sé. L'abilità, in ogni caso, non può essere usata per provocare danni. (passiva inferiore razziale)

    ❛ v u e ❜
    La famiglia di Ailis ha sempre cercato di renderla una di loro, una cacciatrice di streghe, senza sapere che una di quelle persone che avrebbero dovuto eliminare avesse il loro stesso sangue. Dal canto suo, Ailis non si è mai dimostrata molto portata: non ha sviluppato un fisico robusto e forte, non è diventata rapidissima, non è mai stata nemmeno troppo capace nell'uso delle armi, spesso troppo pesanti per le sue braccia. Tuttavia, non tutti gli allenamenti hanno costituito una grossa perdita di tempo da entrambe le parti. Il potenziamento dei sensi, in particolare la vista e l'udito, è considerato importantissimo dai cacciatori. Quello che Ailis ha sviluppato maggiormente è stato la vista, e grazie a questo è capace di vedere in modo nitido anche a grandi distanze e, purché ci sia una minima fonte di luce, è in grado di distinguere le sagome di ciò che la circonda anche nella penombra. (passiva inferiore razziale)



    a b i l i t à a t t i v e

    ❛ c o n g é l a t i o n ❜
    A Hibernia la presenza del ghiaccio è una pericolosa certezza. Cinque mesi l'anno la temperatura scende sotto lo zero e le verdi pianure di quella terra vengono seppellite da diversi centimetri di neve, fiumi e laghi vengono ricoperti da spessi strati di ghiaccio. Ailis sa come muoversi in simili ambienti e conosce bene le conseguenze che il gelo ha sul corpo umano. Diminuendo drasticamente la temperatura attorno all'avversario, questa abilità le permette di provocare un depotenziamento pari a 45 del parametro Velocità per due turni. (attiva magica a costo medio di depotenziamento) turno 1/2

    ❛ b o u r r a s q u e ❜
    Ailis non ama combattere, né ferire, men che meno uccidere. Sa però che non può difendersi senza doverlo fare, anche se preferisce usare la violenza solo quando non c'è possibilità di risolvere situazioni rischiose in modo diverso. Questa tecnica consiste nel concentrare una grande quantità di energia nell'arma, intenzione tradita da una luce azzurra che l'oggetto emana per tutta la durata della preparazione all'attacco. Nel momento in cui viene premuto il grilletto, dalla pistola partono sei diversi diversi colpi, simili a piccole sfere dal diametro di tre centimetri l'una e illuminate anch'esse di una luce azzurra, che, muovendosi inizialmente a spirale, si direzioneranno contro nemici multipli o contro un unico nemico, in base alla volontà di Ailis. Qualora tutti e sei i colpi vadano a segno su un solo bersaglio, il danno riportato sarà alto. (attiva magica offensiva a costo alto, elemento ghiaccio)



    edit: avevo dimenticato i + 5 di recupero


    Edited by walpurrrgisnacht. - 11/7/2017, 12:10
     
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    La mano scattò veloce verso la borsa a tracolla, pochi istanti e la pistola era stata estratta e puntata verso di lei. La sua mente era ancora ferma a qualche istante prima, alle parole piene di sconforto e rassegnazione che Ailis aveva pronunciato.
    Se solo la ragazza avesse saputo quanto le dispiaceva doverla far combattere. Se solo avesse saputo quanto Zaher avrebbe desiderato che la giovane non uscisse mai da quel luogo, che potesse addormentarsi e riposare pacificamente in eterno, lontana dalle guerre e dall'Oscurità.
    Sapeva ancora prima di caricare la magia che non sarebbe riuscita a parare il colpo in tempo. Le fiamme sfrigolarono, una luce calda sembrò accendersi sopra il palmo della mano. Lo sparo, l'eco della magia che veniva liberata dalla pistola echeggiò contro gli alberi e le piante che avevano ricoperto Liffrey Street. Il dolore arrivò subito dopo, acuto e profondo, all'altezza del ventre. Leggermente stordita, Zaher sbatté velocemente le palpebre, l'addome contratto, il busto piegato in avanti in risposta al dolore, nel vano tentativo di fermarlo. Un rivolo di sangue, denso e scuro, colò dalla ferita verso il basso, tingendo il rosso che portava attorno alla vita di nero.
    Per un secondo annaspò alla ricerca d'aria, le palpebre sbarrate, il dolore che si propagava in fitte leggere verso tutto il resto del corpo. Per essere una ragazzina che si definiva incapace di combattere non poteva negare che l'avesse colta di sorpresa. O forse era lei che l'aveva sottovalutata? Rapida scacciò quei pensieri e si ricompose.
    La vide correre via, mettere le distanze tra lei e la giudice -o, forse, tra lei e lo scettro appuntito della giudice. Una buona mossa, non conoscendo le sue capacità, ma avesse insistito, non le avesse dato tregua tra un attacco e un altro, allora quello scontro sarebbe già stato vinto.
    La vide fermarsi e voltarsi verso di lei. Subito la temperatura esterna calò, un brivido percorse le sue membra mentre il freddo si insinuava sotto pelle, avvinghiando carne e muscoli, stringendoli in un abbraccio gelido, irrigidendoli contro la sua volontà. Un respiro tremulo uscì dalle sue labbra, mentre in guardia continuava ad osservare la sua avversaria, i movimenti e i flussi di magia, cercando di prevederne le mosse. Energia iniziò a scorrere verso l'arma di Ailis, ricoprendo la pistola di una luce azzurrina, il potere dell'incantesimo percepibile perfino da Zaher. Subito la giudice richiamò i poteri di cui disponeva, fece appello al fuoco su cui aveva il dominio. Il palmo della mano si illuminò nuovamente di rosso e oro, mentre le fiamme crescevano e lambivano la pelle.
    Assieme alla deflagrazione della magia, le fiamme scattarono. Un muro vermiglio, caldo e furioso si espanse di fronte a lei, schermandola dal colpo di Ailis. I proiettili impattarono uno dopo l'altro contro la barriera, sei piccole sfere di ghiaccio e magia si infransero contro le fiamme, perdendo potenza ed estinguendosi, non lasciando traccia della loro esistenza. Solo allora la protezione si infranse e la giudice poté tornare a osservare la sua esaminanda negli occhi.
    La sua espressione era seria, della gentilezza di prima era rimasta solo un'ombra sottile.
    Andava bene. Non aveva esperienza nel combattimento, ma allo stesso tempo era capace di manipolare bene i suoi incantesimi anche in situazioni di tensione simili. Quello che doveva vedere, adesso, era se Ailis fosse altrettanto capace di difendersi.
    Un sospiro sfuggì alle sue labbra, un soffio freddo, impregnato di magia, diretto alla gamba destra della ragazza. Subito Zaher scattò. In pochi istanti lo spirito macinò i metri di distanza che esistevano tra lei e la sua esaminanda. Di nuovo caricò la magia, di nuovo concentrò i suoi poteri, facendo appello ancora una volta al fuoco. Una lingua di fiamme, lunga e sinuosa le danzò attorno per un istante, scivolando come un serpente attorno ai fianchi, risalendo sopra la spalla, fiondandosi subito dopo verso Ailis, puntando al braccio con cui quella reggeva la pistola.
    Sarebbe stato solo alla fine dello scatto, una volta raggiunta la ragazza, che avrebbe mosso le braccia. Un arco ampio, dorato e splendente -forse un po' impacciato e lento a causa del dolore all'addome- e la base del suo scettro, la parte non affilata, si sarebbe diretta contro il polpaccio destro della giovane, quello che, se la sua prima offensiva fosse andata a buon segno, sarebbe stato incastrato dal ghiaccio.
    Solo allora si sarebbe fermata, il respiro affaticato, la testa leggera a causa del dispendio di energie. Sarebbe rimasta immobile in attesa, un'espressione compiaciuta sulle labbra.


    Allora, unica nota riguardo al tuo post precedente è di fare attenzione ai consumi, in quanto spendere il 48% (anche se poi recuperi 5% a fine turno) delle tue energie è TANTO. Quindi… tenta di regolarti di conseguenza nel prossimo post. Non ti dico di non spendere per consumi, ma stai attenta alle azioni di Ailis e in generale a quello che scrivi mentre descrivi il combattimento.
    Per il resto poco da dire: Zaher incassa il proiettile che a causa della vicinanza (se la distanza è due metri e tendi il braccio per sparare la distanza dovrebbe diventare un metro, più o meno) si tramuta in un danno medio. Dopo di che incassa pure il debuff, ma riesce a parare l'alta. Lancia la sua bassa verso la gamba destra di Ailis (per la precisione all'altezza della caviglia e del polpaccio, in modo da poterle bloccare l'arto al terreno in caso riuscisse nel suo intento) e si lancia verso di lei. Adesso che la distanza è di 6 metri, conta che quando arriva a circa 3 metri dal punto in cui ha iniziato a correre evoca il dominio di fuoco e lancia una tecnica media. Una volta arrivata abbastanza vicina ad Ailis, poi, tenta un attacco con lo scettro. E… tutto qua. A te la tastiera!





    m68I8fg

    Stato Fisico: Danno Medio da proiettile all'addome. Leggermente affaticata.
    Stato Mentale: Ottimale. Soddisfatta.
    MP: 100-[(24)+(6)+(12)-(5)]=63%

    Tecniche utilizzate:

    Setta:

    Il fuoco era la specialità di Setta, del suo ultimo compagno: non importava dove si trovassero, non importavano la pioggia e il vento che imperversavano, quell'uomo era sempre capace di accendere un falò, di dar vita alle fiamme. Era una delle tante cose che lo rendevano così speciale. E il fuoco era ciò che li aveva tenuti in vita per così tante notti, ciò che li aveva riscaldati quando si stringevano l'un l'altra, era una costante nella loro vita, un qualcosa che diceva casa. Per lei anche adesso il fuoco è Setta, è il ricordo del vento contro le finestre, è l'odore delle foglie umide d'autunno, il cielo stellato d'estate. Il fuoco la protegge, è la sua arma principale, il suo migliore amico all'interno del Deep Dive, il suo ricordo più potente. Come Setta le fiamme calde la avvolgono e la coprono, impedendo a chi vuole farle del male di raggiungerla e allo stesso tempo li ferisce, i respinge e li allontana. Il fuoco è sempre accanto a lei, adesso esattamente come prima ed esattamente come sempre
    [Dominio Magico Offensivo – Medio – Istantaneo][Dominio Magico Difensivo – Variabile Alto – Istantaneo].

    Awal:

    Magia nata dalle memorie di Awal, del suo primo compagno, dell'uomo che per primo ha amato e con cui ha vissuto e condiviso lunghi anni. Il ricordo della sua prima morte è ancora fresco e doloroso, una cicatrice che non riuscirà mai a scomparire del tutto. Chiara nella mente è l'immagine di come fosse rimasta paralizzata, di come fosse congelata di fronte a Awal quando le si era rivoltato contro, quando l'aveva accusata di star complottando contro di lui. Similmente, le basterà un soffio e consumare un po' della magia a sua disposizione per cristallizzare quelle memorie e dar loro forma, dar loro potere. A partire dalle sue labbra, un leggero alone azzurrino, quasi del tutto indistinguibile nell'aria, si dirigerà dove Zaher desidera fino a una distanza massima di otto metri; solo nel momento in cui l'incantesimo sfiorerà una qualsiasi superficie, i suoi effetti si renderanno palesi, solo allora il ghiaccio avvolgerà e si propagherà attorno all'oggetto o all'essere vittima dell'attacco per un'estensione massima di venti centimetri, rendendogli, nel caso si tratti di un essere umano, estremamente più difficile muovere la zona interessata, attaccandola, in caso si trovi a contatto con una superficie, a questa, oppure generando una patina sottile e scivolosa, su cui sarà quasi impossibile mettere piede senza rischiare di perdere l'equilibrio.
    [Magica – Bassa – Due turni][1/2]

    BaseVerde P.Q. A&OTotale
    Corpo30+20±0±050
    Essenza80+15±0±095
    Mente30+20±0±050
    Concentr.50+15±0±065
    Velocità50+20+10-4535
    Destrezza50+20+10±080

     
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    Le aveva detto che il suo corpo non era reale. Le aveva detto che non avrebbe potuto ferirla.
    Ma il sangue che colava dalla ferita del proiettile, tingendo di rosso le stoffe chiare dei suoi abiti, le sembrava autentico in maniera quasi spaventosa, insieme al dolore che traspariva dai suoi movimenti. La vista del liquido scuro che impregnava le fibre dei vestiti fu sufficiente a chiuderle lo stomaco con un forte senso di nausea. Per quanto sciocco e ingenuo da parte sua, fu un sollievo vedere un muro di fiamme divorare i sei colpi, quelle piccole sfere che si scioglievano al calore senza lasciare alcuna traccia di sé.
    Il fuoco. L'adrenalina. La paura. Il sangue e la consapevolezza di essere stata lei a ferire. C'erano troppi elementi in comunque con la notte in cui aveva ucciso Val, troppi per non pensarci. Troppi per non sentire il senso di colpa tornare a bussare alla sua porta.
    Il malessere si ripresentò ancora, intensificato questa volta dallo sforzo. Usare due magie di quella portata non era stata la migliore delle idee. Prendeva respiri profondi, la testa che le girava e la costringeva ad abbassare le palpebre, serrarle, nella speranza che una volta riaperte l'ambiente avesse smesso di muoversi e vorticare. Teneva il busto leggermente inclinato in avanti per non perdere l'equilibrio.
    In quella situazione, non vide Zaher lanciare la sua prima magia. Fu solo per caso che notò quell'alone azzurrognolo che fluttuava nella sua direzione. Forse era uno scherzo della vista, della stanchezza, ma forse no. Divaricò appena le gambe per rendersi più stabile mentre la magia si attivava. Dal basso iniziò a formarsi una parete cristallina a sua protezione, appena in tempo perché il respiro della Giudice non la colpisse. Ghiaccio si aggiunse ad altro ghiaccio in corrispondenza del punto in cui si sarebbe dovuta trovare la sua gamba, propagandosi rapido sulla superficie già congelata; il suo scudo si infranse, senza più lasciare traccia di sé.
    Non ebbe il tempo di sospirare, sollevata all'idea di non aver evocato una difesa per niente, che un dolore acuto la colpì al braccio facendola gridare. Una lingua di fuoco era saettata lungo l'arto, ardendole i vestiti e carbonizzandoli. Il metallo della pistola si arroventò e, dopo pochi istanti in cui aveva tentato inutilmente di resistere, fu costretta a lasciare la presa e farla cadere a terra.
    L'ustione si estendeva dalla mano fino alla spalla seguendo la scia serpentina lasciata dalla magia di Zaher. Le fiamme avevano divorato l'epidermide e la carne sottostante era di un rosso viso e intenso, sembrava quasi pulsare, purulenta. Le era addirittura parso di sentire la sua pelle sfrigolare a contatto con quel calore così inteso e pregò che fosse solo il frutto rivoltante della sua immaginazione. Solo intravedere con la coda dell'occhio il braccio ridotto in quelle condizioni non fece che rincarare la dose e il suo stomaco già provato si esibì in acrobazie mai tentate prima. Poteva anche essere un'illusione, quel mondo, ma ogni danno inferto e subito era vero, e non il frutto della fantasia troppo fervida di qualcuno. Le ferite facevano male, la fatica le appesantiva il corpo, la debilitava, la paura stringeva tra le sue spire viscide e rivoltanti. Era tutto maledettamente reale.
    Il luccichio dello scettro dorato la riportò coi piedi per terra. Mosse la gamba di pochi centimetri verso sinistra e l'asta la colpì, ma solo di striscio, raschiando la pelle senza intaccare l'osso. Zaher era di nuovo vicina, troppo vicina, adesso che era vigile e non avrebbe più potuto coglierla di sorpresa. Sollevò il braccio sinistro, l'unico che fosse ancora in grado di muovere, il palmo aperto, in attesa. Senza sforzo richiamò a sé l'arma caduta e la impugnò. Era ancora calda, ma non in maniera insopportabile. La magia si trasferì rapida dalle dita al metallo. Puntò alla testa inizialmente, ma la sola idea che Zaher le avesse mentito, che avesse potuto effettivamente farle del male - ucciderla - la frenò. Un attimo prima di sparare abbassò il braccio e puntò al petto, pochi centimetri sotto la gola. Una ferita meno grave sono in grado di curarla, pensò mentre premeva il grilletto. Non voleva commettere di nuovo lo stesso errore. Non voleva più far del male solo per proteggere se stessa, solo per condurre una vita miserabile fatta di sensi di colpa. La Giudice voleva metterla alla prova? Va bene. Ma non voleva affondare ancora di più in quel pantano di rimorsi, bugie e sbagli. Si sarebbe dovuta accontentare di quello.
    Lo notò solo un istante dopo. Zaher aveva un'espressione compiaciuta sul viso, poco prima che le sparasse. Era... era soddisfatta di lei?



    Cor. 30 - Ess. 75 - Men. 40 - Con. 50 - Vel. 45 - Dest. 60


    Status fisico - danno alto da ustione al braccio destro, danno basso alla gamba destra, debilitata dal consumo di magia
    Status mentale - spaventata, affaticata
    Energia - 57 - 16 (geler) + 5 = 46%
    Riassunto - Alur. Ailis riesce a individuare Awal grazie alla passiva Vue che le rende la vista più sviluppata e para col dominio difensivo medio. Incassa Setta in toto e, visto che la pistola diventa ustionante e la cretina cerca di non lasciarla e visto che tre metri di distanza non sono poi così tanti (o sì?) ho aumentato il danno ad alto. Visto che ci sono solo cinque punti di differenza tra il parametro Corpo di Zaher e il parametro Velocità di Ailis, senza contare il debuff di Velocità di Zaher, Ailis riesce a limitare i danni alla gamba. Grazie alla passiva Controle recupera la pistola persa poco prima e spara nel petto a Zaher e non alla testa perché, ripeto, è cretina. E forse lo sono anch'io. Bon, a te!


    a b i l i t à p a s s i v e

    ❛ c o n t r ô l e ❜
    All'inizio del suo apprendistato, la prima cosa che ha dovuto imparare è stata l'autocontrollo, la capacità di utilizzare il suo potere in base alla propria volontà senza che fosse preda delle emozioni. Una delle magie che usava spesso a livello inconscio era quella di far levitare gli oggetti, che senza preavviso di mettevano a galleggiare a mezz'aria nei momenti meno opportuni. Il primo esercizio che le è stato fatto eseguire consisteva nel perfezionarla, fino a permetterle di manovrare le cose a suo piacimento. Gli iniziali fallimenti l'hanno spinta a provare così tante volte che, alla fine, è diventato un automatismo. Ailis è capace di spostare gli oggetti facendoli allontanare o avvicinare a sé, alzare o abbassare, il tutto entro un raggio d'azione di cinque metri da sé. L'abilità, in ogni caso, non può essere usata per provocare danni. (passiva inferiore razziale)

    ❛ v u e ❜
    La famiglia di Ailis ha sempre cercato di renderla una di loro, una cacciatrice di streghe, senza sapere che una di quelle persone che avrebbero dovuto eliminare avesse il loro stesso sangue. Dal canto suo, Ailis non si è mai dimostrata molto portata: non ha sviluppato un fisico robusto e forte, non è diventata rapidissima, non è mai stata nemmeno troppo capace nell'uso delle armi, spesso troppo pesanti per le sue braccia. Tuttavia, non tutti gli allenamenti hanno costituito una grossa perdita di tempo da entrambe le parti. Il potenziamento dei sensi, in particolare la vista e l'udito, è considerato importantissimo dai cacciatori. Quello che Ailis ha sviluppato maggiormente è stato la vista, e grazie a questo è capace di vedere in modo nitido anche a grandi distanze e, purché ci sia una minima fonte di luce, è in grado di distinguere le sagome di ciò che la circonda anche nella penombra. (passiva inferiore razziale)



    a b i l i t à a t t i v e

    ❛ c o n g é l a t i o n ❜
    A Hibernia la presenza del ghiaccio è una pericolosa certezza. Cinque mesi l'anno la temperatura scende sotto lo zero e le verdi pianure di quella terra vengono seppellite da diversi centimetri di neve, fiumi e laghi vengono ricoperti da spessi strati di ghiaccio. Ailis sa come muoversi in simili ambienti e conosce bene le conseguenze che il gelo ha sul corpo umano. Diminuendo drasticamente la temperatura attorno all'avversario, questa abilità le permette di provocare un depotenziamento pari a 45 del parametro Velocità per due turni. (attiva magica a costo medio di depotenziamento) turno 2/2

    ❛ g e l e r ❜
    Ailis è sempre rimasta affascinata dalle caratteristiche dell'elemento ghiaccio: la capacità di rendere solidi i liquidi, di fermare il movimento delle acque, di essere talmente freddo da bruciare la pelle. Il suo interesse l'ha spinta a prediligerlo rispetto a tutti gli altri ed è su quello che ha concentrato gran parte dei suoi studi. La sua conoscenza del ghiaccio le ha permesso di manipolarlo a suo piacimento, ma esclusivamente con scopi difensivi. Può creare piccoli scudi, barriere e lastre di ghiaccio a costo medio da usare come protezione. (dominio elementale difensivo a costo medio)

     
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    Veloce, la pistola tornò in mano alla proprietaria, la canna nuovamente puntata verso di lei. Riusciva a muoversi. Riusciva a continuare la battaglia. Già quello era un fatto degno di nota, qualcosa che le dimostrava quanto la convinzione che Ailis aveva di sé di non essere una guerriera fosse falsa. Forse non lo era nel cuore, forse non amava combattere -e chi, sano di mente, non corrotto dall'Oscurità, lo amava?- ma lo sapeva fare. Aveva il coraggio di proseguire, forse aiutata dalle sue parole, il coraggio di andare avanti e continuare a lottare. La determinazione della ragazza era invidiabile.
    Rapida, Zaher mosse un passo all'indietro, mentre il fuoco rispondeva alla sua chiamata, addensandosi di nuovo sul palmo della mano, tingendo la pelle d'oro e vermiglio, rendendola incandescente. L'arma si abbassò di colpo, dalla sua testa, il busto divenne il bersaglio. La sinistra scattò, la magia agì seguendo la realizzazione e il filo dei suoi pensieri. Lo scoppiò riverberò per la terza volta nell'aria, raggiungendo le sue orecchie, mentre il proiettile -energia azzurrina non contaminata dagli elementi, pura magia- si scontrò contro il suo palmo aperto, la sua potenza divorata dal calore. Il tallone della scarpa strofinò contro l'erba che aveva fatto nascere poco prima, la stoffa si tinse di verde e marrone. Lentamente riprese fiato, stringendo silenziosamente i denti per il dolore che la ferita al ventre continuava a causarle. Una leggera fatica le intorpidiva le membra -causata dalla stanchezza e dalla magia della sua avversaria- ma nonostante ciò le sue reazioni erano ancora rapide, la sua mente lucida. Doveva solo sperare che il corpo si riprendesse abbastanza da poter mantenere il ritmo.
    Per un solo istante abbassò le palpebre, concentrandosi e ponderando come sarebbe stato meglio agire. Quando riaprì gli occhi stava già agendo: veloce, spinse la magia del suo corpo, la stessa essenza che la componeva verso lo scettro, l'arma che le era stata data in dono quando era nata per la prima volta. Un crepitio sommesso riverberò nell'ambiente, mentre il mana prendeva consistenza e forma, mentre gli elementi rispondevano alla sua chiamata. Subito un lampo vermiglio, dello stesso colore della pietra incastonata nell'oro di Saiqa, si sprigionò dalla punta dell'arma, dirigendosi verso il ventre di Ailis. Effimero e istantaneo, un pensiero attraversò la sua mente, un commento ironico e acido su come era solo adesso che si trovava in comando, solo adesso si trovava sempre in una situazione di vantaggio che l'arma riusciva a compiere il proprio dovere e ad aiutarla.
    Esattamente al contrario di quando era ancora in vita.
    Un sorriso triste incrinò la sua espressione orgogliosa e soddisfatta, mentre, prima ancora che il lampo colpisse il proprio bersaglio, scattò verso Ailis.
    Di nuovo evocò le fiamme, di nuovo concentrò la propria magia. Il palmo della sinistra si arroventò, colorandosi per la seconda volta in pochi secondi di rosso. Avrebbe tentato di approfittare della momentanea distrazione che la sua precedente offensiva avrebbe dovuto offrirle. Il suo braccio si mosse assieme al resto del corpo, il palmo aperto e diretto a colpire il ventre della ragazza. Sarebbe stato solo alla fine di quel movimento, però, che avrebbe rivelato il vero attacco. La magia che aveva tenuto pronta fino a quel momento sarebbe esplosa; a partire dal suo palmo, lunghe lingue vermiglie e incandescenti avrebbero illuminato la via e le piante che la ricoprivano, crepitando sinistre e feroci, dirette anch'esse al ventre della giovane, là dove avrebbe dovuto colpire prima con la mano.
    Non si aspettava che le sue offensive andassero tutte a segno: i suoi movimento erano lenti, leggermente impacciati rispetto al normale e già prima Ailis aveva dimostrato di riuscire a rispondere ai suoi attacchi in maniera ottima. Lenta, ma comunque all'erta, Zaher mosse un passo all'indietro, cercando di prendere le distanze, temendo la risposta dell'altra, preparandosi a reagire. Il sorriso triste scomparve.


    Chiedo scusa per il post corto e decisamente scritto male, ma il caldo mi sta uccidendo e non ho la testa per scrivere decentemente.
    Poco da dire sul tuo precedente post. Stai attenta alle distanze e a come calcolare i danni in questo turno, che ho usato tecniche di diversa entità e non so se è tutto estremamente chiaro.
    In ogni caso, ecco il riassunto: Zaher indietreggia di poco e para il proiettile di Ailis con un consumo basso del dominio di difesa. Fatto ciò lancia un attacco basso verso il tronco di Ailis e subito dopo segue tentando di colpire con la mano sinistra (quindi non con lo scettro, ma a mani nude) sempre il tronco di Ailis. Mano sinistra ci va di destrezza contro corpo, quindi vedi tu per i danni. Che riesca a colpire o meno, lancia una media con il dominio di fuoco puntando allo stesso punto (perdona l'orribile modo di dire) in cui avrebbe voluto/dovuto (nel caso manchi) colpire o in cui ha colpito Ailis. Detto ciò si distanzia di nuovo di un metro all'indietro e attende.





    m68I8fg

    Stato Fisico: Danno Medio da proiettile all'addome. Leggermente affaticata.
    Stato Mentale: Ottimale. Soddisfatta.
    MP: 100-[37]-[(6)+(6)+(12)-(5)]=44%

    Tecniche utilizzate:

    Setta:

    Il fuoco era la specialità di Setta, del suo ultimo compagno: non importava dove si trovassero, non importavano la pioggia e il vento che imperversavano, quell'uomo era sempre capace di accendere un falò, di dar vita alle fiamme. Era una delle tante cose che lo rendevano così speciale. E il fuoco era ciò che li aveva tenuti in vita per così tante notti, ciò che li aveva riscaldati quando si stringevano l'un l'altra, era una costante nella loro vita, un qualcosa che diceva casa. Per lei anche adesso il fuoco è Setta, è il ricordo del vento contro le finestre, è l'odore delle foglie umide d'autunno, il cielo stellato d'estate. Il fuoco la protegge, è la sua arma principale, il suo migliore amico all'interno del Deep Dive, il suo ricordo più potente. Come Setta le fiamme calde la avvolgono e la coprono, impedendo a chi vuole farle del male di raggiungerla e allo stesso tempo li ferisce, i respinge e li allontana. Il fuoco è sempre accanto a lei, adesso esattamente come prima ed esattamente come sempre
    [Dominio Magico Offensivo – Medio – Istantaneo][Dominio Magico Difensivo – Variabile Basso – Istantaneo].

    Saiqa:

    Basterà infatti che la giudice lo desideri e attinga alle sue energie, alla sua stessa essenza, che rapida dalla gemma incastonata sulla cima dell'arma di sprigionerà un lampo di magia rossastra, il quale, seguendo una traiettoria rettilinea, si dirigerà verso l'esaminando della donna a una velocità assurda, andando a colpire laddove Zaher desideri.
    [Magica – Bassa – Istantanea]

    BaseVerde P.Q. A&OTotale
    Corpo30+20±0±050
    Essenza80+15±0±095
    Mente30+20±0±050
    Concentr.50+15±0±065
    Velocità50+20+10-4535
    Destrezza50+20+10±080

     
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    Ancora una volta le fiamme schermarono Zaher dal suo attacco. Si sarebbe sentita profondamente frustrata se il bruciore insopportabile al braccio destro non avesse occupato ogni suo pensiero. Non riusciva a ragionare. Il dolore le faceva perdere lucidità, la stanchezza le rendeva il corpo pesante e le gambe faticavano a sorreggerla. Prendeva respiri profondi, ma la carne continuava a pulsare, a far male a ogni movimento.
    Non aveva idee, era bloccata. Si trovava in una situazione senza via d'uscita: le energie che le erano rimaste erano poche, troppo poche per riuscire a fare qualcosa di concreto. Sapeva fin dall'inizio che sarebbe finita così. Non aveva idea di cosa Zaher si aspettasse da lei, probabilmente non quello. Non di vederla lì in quello stato vergognoso, con un braccio quasi inutilizzabile, difficoltà anche solo nello stare in piedi, il respiro affrettato. Ailis l'aveva detto di non essere quella che la Giudice credeva. Quando combatteva i suoi movimenti, le sue scelte, erano più dettati dall'istinto che da un'attenta strategia. Lottava non come una persona che desiderava vincere, non come un guerriero, ma come qualcuno che voleva disperatamente sopravvivere, aggrappandosi alla vita con le unghie e con i denti, fino a vedere le prime spezzarsi, i secondi rompersi e cadere.
    Il leggero crepitio della magia di Zaher preannunciò di pochi istanti l'attacco. Indietreggiò di un passo, incerta sulle gambe, in un impacciato tentativo di schivarlo, ma non fu abbastanza rapida. Dalla gemma incastonata nello scettro fuoriuscì un raggio vermiglio che la colpì al ventre. Alcuni rivoli di sangue sgorgarono dalla ferita; in parte vennero assorbiti dalla stoffa dei vestiti che subito si tinse di rosso, in parte colarono verso il basso, scivolando sulla pelle altrimenti candida. Chinò il busto in avanti nell'incassare il colpo, la mano ustionata corse istintivamente verso quel punto, causandosi da sola ulteriore dolore. Trattenne a stento un'imprecazione mentre si dava dell'idiota, arrabbiata più con se stessa per quel gesto stupido che per non essere riuscita a evitare l'attacco.
    Fu più rapida nel prepararsi alla seconda offensiva. A partire dalla punta delle dita della mano destra andò a formarsi una daga di ghiaccio. Spostò leggermente l'arto di una decina di centimetri verso l'esterno, in modo che la lama si ponesse di piatto a sua protezione. Lo sforzo e il dolore le mozzarono il fiato, strinse i denti così forte che temette di scheggiarseli. Portò il dorso della mancina, stretta ancora attorno alla pistola, a contatto col ghiaccio per dare maggiore stabilità all'arma e a se stessa mentre si difendeva. L'impatto sbilanciò il suo corpo indebolito e la costrinse ad arretrare, aumentando di circa mezzo metro la ridotta distanza tra di loro. Non appena notò le fiamme, richiamò la magia. Una spessa lastra di ghiaccio la schermò dall'attacco. Il fuoco sciolse il ghiaccio e l'acqua sfrigolò, dando vita ad ampie voluta di vapore. Davanti ai suoi occhi vide tante macchie nere a ostacolarle la vista. Non era abituata ad usare tutti quegli incantesimi in tempi così ristretti e senza poter fare una pausa, il suo corpo non riusciva a reggere uno sforzo simile.
    L'unica possibilità che aveva era di coglierla di nuovo di sorpresa, distrarla, in qualunque modo. Doveva pensare in fretta. Non si azzardava a muovere ancora il braccio destro, nonostante la spada. Era pronta a giurare che sarebbe svenuta se lo avesse fatto ancora. Era tutta colpa di quelle fiamme che Zaher si continuava a usare. Tutto quel calore, il bruciore, stavano diventando insopportabili.
    Sentì un groppo alla gola mentre le veniva un'idea in mente. Quel luogo era un'illusione, la ragazza non aveva un corpo reale, aveva parlato di un marito al passato, un marito molto capace ai fornelli. Deglutì a fatica mentre già si pentiva di quello che stava per fare.
    «Usi sempre il fuoco perché ti ricorda tuo marito?». Pronunciò quelle parole in un sussurro, come se non volesse davvero essere sentita, ma la distanza tra di loro era di poco più di un metro, era improbabile che non riuscisse a cogliere quella insinuazione. Sperava di essere riuscita a distrarla anche solo per un istante, almeno essersi comportata in modo così scorretto sarebbe valso a qualcosa. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Si sentiva talmente in colpa per aver davvero avuto la faccia tosta di pronunciare quelle parole che sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi. Però non poteva sprecare l'occasione. Sollevò il braccio sinistro contro di lei e sparò puntando di nuovo al petto. La vista era ancora costellata di macchioline nere, la mano le tremava e la pistola non le era mai sembrata così pesante, ma contava che la vicinanza le impedisse di mancare il bersaglio. Se non fosse riuscita a ferirla nemmeno quella volta, sarebbe stata davvero la fine.


    Cor. 30 - Ess. 75 - Men. 40 - Con. 50 - Vel. 45 - Dest. 60


    Status fisico - danno alto da ustione al braccio destro, danno basso alla gamba destra, danno basso al ventre, molto debilitata dal consumo di magia e dalle ferite
    Status mentale - agitata, affaticata, si sente in colpa per quell'uscita molto infelice
    Energia - 57 - 16 (geler) - 8 (lame) + 5 = 27%
    Riassunto - M E H. Non ero molto capace di intendere e di volere mentre ho scritto 'sta roba e accidenti se si vede. Non so quanto si capisca ma per fortuna c'è il riassunto, non so nemmeno se tutto ciò sia fattibile o meno. Spero di sì altrimenti la valutazione cala a picco tre metri sotto la bianca, altroché.
    Ailis non ha riflessi abbastanza pronti da evitare Saiqa, ma riesce ad evocare la daga e la usa, piuttosto che per attaccare, per difendersi dal pugno di Zaher (credo che in questo caso si faccia destrezza contro destrezza e la differenza non è così ingente come tra destrezza e corpo), quindi usa la difesa media per proteggersi dalle fiamme. Cerca di distrarla con l'infamata e le spara. Ho ipotizzato che, viste le distanze prese da entrambe, a separarle ci sia un metro e mezzo, due metri massimo.


    a b i l i t à p a s s i v e

    ❛ c o n t r ô l e ❜
    All'inizio del suo apprendistato, la prima cosa che ha dovuto imparare è stata l'autocontrollo, la capacità di utilizzare il suo potere in base alla propria volontà senza che fosse preda delle emozioni. Una delle magie che usava spesso a livello inconscio era quella di far levitare gli oggetti, che senza preavviso di mettevano a galleggiare a mezz'aria nei momenti meno opportuni. Il primo esercizio che le è stato fatto eseguire consisteva nel perfezionarla, fino a permetterle di manovrare le cose a suo piacimento. Gli iniziali fallimenti l'hanno spinta a provare così tante volte che, alla fine, è diventato un automatismo. Ailis è capace di spostare gli oggetti facendoli allontanare o avvicinare a sé, alzare o abbassare, il tutto entro un raggio d'azione di cinque metri da sé. L'abilità, in ogni caso, non può essere usata per provocare danni. (passiva inferiore razziale)

    ❛ v u e ❜
    La famiglia di Ailis ha sempre cercato di renderla una di loro, una cacciatrice di streghe, senza sapere che una di quelle persone che avrebbero dovuto eliminare avesse il loro stesso sangue. Dal canto suo, Ailis non si è mai dimostrata molto portata: non ha sviluppato un fisico robusto e forte, non è diventata rapidissima, non è mai stata nemmeno troppo capace nell'uso delle armi, spesso troppo pesanti per le sue braccia. Tuttavia, non tutti gli allenamenti hanno costituito una grossa perdita di tempo da entrambe le parti. Il potenziamento dei sensi, in particolare la vista e l'udito, è considerato importantissimo dai cacciatori. Quello che Ailis ha sviluppato maggiormente è stato la vista, e grazie a questo è capace di vedere in modo nitido anche a grandi distanze e, purché ci sia una minima fonte di luce, è in grado di distinguere le sagome di ciò che la circonda anche nella penombra. (passiva inferiore razziale)



    a b i l i t à a t t i v e

    ❛ l a m e ❜
    La scelta di Ailis di usare un'arma a distanza è dovuta alla consapevolezza di non essere adatta ad un combattimento corpo a corpo, ma non è sprovveduta al punto da non essersi premunita nel caso si ritrovasse coinvolta in uno scontro ravvicinato. Concentrandosi, Ailis riesce a creare una daga fatta di ghiaccio lunga quaranta centimetri e larga cinque alla base che si restringe progressivamente fino alla punta e che resterà in campo per due turni. L'arma è priva di elsa e impugnatura e di conseguenza non viene impugnata direttamente, ma fluttua a pochi centimetri dalle dita della ragazza, la quale, per manovrarla, dovrà comunque compiere dei gesti con il braccio, esattamente come se la brandisse. Trattandosi di un'arma leggera, per il suo utilizzo si farà riferimento al parametro Destrezza. (attiva magica a costo basso, elemento ghiaccio) turno 1/2

    ❛ g e l e r ❜
    Ailis è sempre rimasta affascinata dalle caratteristiche dell'elemento ghiaccio: la capacità di rendere solidi i liquidi, di fermare il movimento delle acque, di essere talmente freddo da bruciare la pelle. Il suo interesse l'ha spinta a prediligerlo rispetto a tutti gli altri ed è su quello che ha concentrato gran parte dei suoi studi. La sua conoscenza del ghiaccio le ha permesso di manipolarlo a suo piacimento, ma esclusivamente con scopi difensivi. Può creare piccoli scudi, barriere e lastre di ghiaccio a costo medio da usare come protezione. (dominio elementale difensivo a costo medio)

     
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