CONTEST: Cartoline dalla Terra di Nessuno

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  1. Skorr'lathyem
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    Good Dead Friends and a Bottle of Pills

    L'uomo dalla pelle bruna stava ispezionando i corridoi della base. Ancora non credeva ai suoi occhi, i passi da gigante che quel gruppo aveva fatto erano sbalorditivi; ciò che era iniziato come un utopico progetto suo e di Azrael aveva preso piede con una velocità disarmante. Distratto, i suoi piedi l'avevano portato al piano dove c'erano i primi operativi che si erano uniti: dato che ormai era lì, avrebbe anticipato la visita a sorpresa agli alloggi. Freddi rapporti vergati nero su bianco che recitavano "la situazione nelle baracche è ottimale" lo interessavano marginalmente; doveva vedere coi propri occhi e giudicare lui stesso.
    Si fermò a un paio di passi da una porta, una tessera bianca che recitava "Skorr'lathyem". Sospirò, afferrandosi il ponte del naso. Quell'uomo era l'unica parte dell'organizzazione che non aveva ancora ben inquadrato. Era un'ottima risorsa o un potenziale pericolo; o entrambi.
    Un boato improvviso fece scattare all'indietro Khan, facendogli urtare la spalla contro il muro alle proprie spalle: dalla stanza, ora priva di una porta, emerse una figura imponente, alta quasi quanto lui. Un liquido scuro e viscoso colava da in mezzo alla fronte dell'uomo che si stagliava, urlando, di fronte all'Immortale. I vestiti, di solito solo abbastanza logori e sporchi, pendevano in pezzi sui suoi muscoli, mentre schizzi di saliva esplodevano dalla bocca, ancora piegata in un urlo inumano; prima che Khan potesse anche solo comprendere la situazione, Skorr'lathyem prese da terra la porta divelta, scagliandola con forza verso l'interno della stanza, causando un fracasso infernale.
    «Skorr, dannazione!» ripresosi dallo shock improvviso, Khan cominciò a urlare in direzione dell'altro.
    Skorr'lathyem si girò violentemente verso il proprio superiore.
    «Levati dalle palle, o la prossima volta scardino te invece della porta.» la voce di Skorr'lathyem era addirittura più bestiale di quando si trasformava; schiarendosi la gola, Khan porse la mano destra per afferrare la spalla dell'altro.
    Skorr'lathyem si scansò e cercò di colpirlo con un pugno; Khan non si degnò neanche di spostarsi, tanto era instabile l'altro. A Khan parve quasi che non fosse un pugno quello che si era appoggiato al suo sterno, bensì una mosca.
    Osservandolo ora da più vicino, l'uomo dalla pelle brunastra cominciò a notare alcune stranezze: dai lati della bocca dell'altro colava una quantità innaturale di saliva, piccoli movimenti, simili a tic nervosi, attraversavano il corpo intero, copiosamente ricoperto di sudore.
    «Skorr, ora ti calmi e mi-» le parole di Khan vennero bruscamente interrotte da Skorr'lathyem; sfruttando tutto il proprio peso, il sottoposto lo spintonò via, caracollando poi nella direzione opposta.
    Nell'attimo che ci volle a Khan per riprendere l'equilibrio, l'invasato prese a correre lungo il corridoio, occasionalmente sbandando, come se facesse fatica a mantenersi in piedi. L'essersi fatto prendere così in contropiede da un proprio sottoposto fece affiorare un sentimento simile alla vergogna dal suo animo.
    La situazione era, però, strana.
    Si fermò a guardare la direzione in cui era scappato l'uomo; strisce nerastre sbavate tracciavano, come la proverbiale scia di briciole, il percorso che aveva preso. La presenza di macchie sia sul muro destro che su quello sinistro confermarono l'impressione iniziale di Khan, ovverosia che Skorr'lathyme stesse barcollando.
    Doveva inseguirlo?
    La base era vuota se non per loro due e una manciata di altre reclute di cui aveva confermato la posizione prima durante il giro di controllo. Su di un tastierino numerico che sbucava dal muro a pochi centimetri, Khan digitò il proprio codice estraendo un microfono.
    «A tutte le reclute: fino a nuovo ordine» cercò di rendere il proprio tono il più autoritario possibile «restate nei vostri alloggi. Non è un'esercitazione, ripeto, non è un'esercitazione.»
    Questo sarebbe dovuto bastare, o almeno sperava: tutta quella situazione non gli piaceva. Certo, aveva visto spesso Skorr'lathyem avere esplosioni di rabbia tali da arrivare a ferire sé stesso ed altri, ma questo era qualcosa di molto peggio rispetto al solito.
    Doveva trovare la miccia che lo aveva fatto esplodere.
    Con cautela, entrò nella stanza, evitando pezzi di mobili e cocci vari; la brandina era spaccata in due, con macchie nere che imbrattavano sia il materasso che il telaio in metallo; lo specchio appeso sul muro sopra la scrivania era stato frantumato, spiegando il perché il terreno fosse un dedalo di schegge di vetro. Vicino alla scrivania, incrinata e intera solo per intercessione divina, Khan notò qualcosa.

    Quella stessa mattina.

    Lo sguardo inquisitore della donna dall'altro lato della scrivania lo stava stilettando con violenza; ancora si chiedeva come facesse ogni volta a infilarsi in situazioni così del cazzo.
    Nella mente di Skorr'lathyem si susseguirono immagini del capo che, quasi scardinando la porta della sua stanza, irrompeva a passo di carica, chioma fucsia a punteggiare l'ancheggiare estremamente femminile del suo corpo muscoloso, urlando qualcosa sulla falsariga di «Ora basta, Skorr, tu hai bisogno di aiuto professionale, e ne hai bisogno immediatamente!»
    Già, ecco come.
    Cercò di sistemarsi un attimo meglio nella sedia: non capiva come mai, ma le sedie negli uffici erano sempre scomode. Non che fosse entrato in chissà quanti uffici, giusto in quello di Azrael e Khan e in svariati uffici disciplinari, ma la scomodità delle sedie era un minimo comune denominatore.
    «Dunque,» per quanto fosse soffusa e, in un certo qual modo, accogliente, la voce della strizzacervelli richiamò Skorr'lathyem all'ordine «mi faccia prendere la sua cartella, signor Lathyem.»
    L'altra si piegò un attimo verso sinistra, aprendo uno dei cassetti della piccola scrivania color mogano; Skorr'latyhem sfruttò l'occasione per rimirare di nuovo la figura della dottoressa Barlowe. Aveva una chioma di capelli ondulati, dai riflessi ramati che, a seconda della luce, sembravano più castani o più rossi, che le incorniciava scrosciante il viso, abbastanza pallido, attraversato qua e là da minute rughe d'espressione che non facevano altro che sottolineare la scintilla indagatrice degli occhi color acquamarina; il tailleur nero, chiuso da un unico bottone, lasciava intendere un corpo tonico e dalle forme piene. Oltre la camicetta bianca che indossava sotto il tailleur, a Skorr'lathyem parve d'intravedere un reggiseno nero, purtroppo non di pizzo. Avendo portato la sedia di qualche centimetro più indietro quando si era seduto, Skorr'lathyem poté appoggiarsi allo schienale, facendo scivolare lo sguardo sotto la scrivania, la quale non era chiusa davanti. Da sotto una gonna nera delle medesima fattura del tailleur sbucavano le gambe accavallate della strizzacervelli, avvolte da calze a maglie finissime, leggermente opache; dei tacchi a spillo con décolleté le cingevano i piedi, lasciando in piena mostra la loro forma elegante e minuta, con dita corte e unghie perfettamente curate; nel vacuo cosmico della mente di Skorr'lathyem passò, come una cometa, un pensiero riguardo all'odore e al sapore di quei piedi; cercò di scacciarlo, per ora. Un improvviso movimento della donna fece scivolare in alto la gonna, mostrando per quello che a Skorr'lathyem parve meno di un battito di palpebre, una giarrettiera nera fissata alla banda autoreggente delle calze.
    «Allora,» quella parola venne punteggiata dal rumore di un plico di fogli che veniva fatto cadere sulla scrivania «mi parli di lei, signor Lathyem.»
    L'uomo alzò lo sguardo; avvertì una zaffata del profumo della donna, acidule note di bergamotto che gli stavano titillando la fantasia con idilliche scene della dottoressa coperta solamente di petali.
    «Nah, non ho voglia.» in fondo, aveva accettato quella farsa solo dopo aver visto l'aspetto della dottoressa Barlowe, mica per altri motivi «Tanto c'è già tutto scritto nella magica cartelletta che ha estratto dalla scrivania, no?»
    Skorr'lathyem tirò su col naso.
    «Facciamo così,» continuò, di fronte allo sguardo imperterrito della donna «tu dai una letta veloce a quella cartella, mentre io mi godo lo spettacolo che ho finora solo intravisto sotto la tua gonna,» alzò l'indice della mano sinistra «mi prescrivi qualsiasi pasticca, soluzione in gocce, iniezione, tutto fuorché supposte, ritieni possa aiutarmi a non voler staccare la faccia a morsi a chi mi sta sulle palle,» alzò il medio «poi magari ti racconterò di quella volta che lo zio Jim mi ha toccato il cazzo nel capanno degli attrezzi, piangerò un attimino urlando 'mi sento così sporco!', tu mi porti con te nel tuo appartamento e mi... consoli.» alzò infine l'anulare.
    La dottoressa non batté ciglio, il sorrisetto, a metà tra il supponente e l'amicale, che le increspava leggermente il viso restò immutato; con l'indice e il pollice della mano destra prese la cartella di Skorr'lathyem e la sollevò. Con gesti deliberatamente lenti, la portò all'altezza dei propri occhi.
    «Lei mi fraintende, signor Lathyem.» con un movimento improvviso, lanciò la busta alla propria destra, lontana dalla scrivania; «Conosco la sua cartella clinica a menadito: posso anche dirle a che pagina e a che riga viene specificato quale sintomo o quale... incidente.»
    La donna appoggiò i gomiti sulla scrivania, tendendosi in avanti e appoggiando il mento sui propri palmi rivolti verso l'alto.
    «Quello che m'interessa,» completamente agli antipodi con quello che stava dicendo, lo sguardo della dottoressa Barlowe divenne acuto e impersonale come quello di un falchetto che andava alla ricerca di un roditore nella prateria «è l'opinione che lei ha di sé stesso.»
    Suo malgrado, Skorr'lathyem distorse lo sguardo.
    «Cosa vuoi sentirti dire, che sono un maniaco che va rinchiuso in un qualche manicomio a farmi fare l'elettroterapia ai coglioni!?»
    La situazione stava volgendo verso lidi che Skorr'lathyem preferiva evitare; cercava di fare la voce grossa, ma sentiva inconsciamente che stava solo ballando nella mano della dottoressa Barlowe. Ciononostante, il magnetismo dello sguardo dell'altra lo stava piano piano spingendo proprio in quella direzione.
    «Non è ciò che voglio sentirmi dire io, l'importante;» in tutti quegli scambi, il tono di voce della donna dall'altro lato della scrivania non mutò, sempre caldo, accogliente, come le lenzuola del letto dove si ha appena scopato «bensì, ciò che LEI ha da dire.»
    «Va bene.» Skorr'lathyem sospirò a fondo. «Sto cercando d'immaginarmi la sensazione del tuo piede nudo che massaggia il mio cazzo.»
    Non sapeva neanche perché l'avesse detto: voleva introdurre disordine in tutta quella conversazione che, fino a quel momento, era stata sotto il pieno controllo della dottoressa? Oppure era un tentativo come un altro di disgustarla, farle provare un senso di ribrezzo tale nei propri confronti che si sarebbe rifiutata di andare oltre, lasciando riscivolare i suoi segreti in quel dimenticatoio che aveva costruito con mura di superalcolici e fondamenta di droghe?
    La dottoressa lo guardava, per nulla stupita, amareggiata, disgustata; o, perlomeno, non lo diede minimamente a vedere.
    «A quanto pare non si sente a suo agio, signor Lathyem, ed è comprensibile.» la donna si riappoggiò sullo schienale della sedia «D'altronde, lei non è venuto da me di sua spontanea volontà.»
    Nella voce di lei si era infilato un sottotono di complicità, quasi comprensione.
    «Cionondimeno,» tono che scomparve completamente nella frase successiva «le voglio far presente che il motivo della visita era giudicare la sua idoneità al servizio attivo.»
    Afferrò una stilografica da un vicino portapenne e, con mano esperta, vergò qualche parola su un bigliettino, senza schiodare lo sguardo dal nebuloso viso di Skorr'lathyem.
    «Se lei non collabora con me, non posso di certo farlo.» seguitò, mentre l'uomo guardava ovunque meno che nella sua direzione.
    Tappando la penna, spostò leggermente il bigliettino.
    «Comunque,» un leggerissimo sospiro scappò dalle labbra della donna «può andarsene, se vuole, non la trattengo.»
    Un peso si tolse dal petto dell'uomo.
    «Non fraintenda, signor Lathyem» l'improvvisa durezza del tono di voce dell'altra lasciò intendere che aveva perfettamente letto la reazione di Skorr'lathyem; non che ci volesse un genio «lei non può tornare a operare finché io non la riterrò in grado.» si sistemò la camicetta, che intanto si era leggermente spostata e aveva messo un attimo più in mostra il reggiseno «Può tornare a farmi visita quando se la sente, a qualsiasi ora.»
    In tutto questo, Skorr'lathyem era rimasto in silenzio; sentiva che quella donna lo stava rivoltando come un calzino, con quegli occhi indagatori; sentiva l'iride acquamarina di lei farsi strada nei meandri più segreti del suo io, come se stesse scavando una miniera.
    Non gli piaceva per niente.
    Quello che c'era là dentro doveva restare nascosto, dimenticato.
    Doveva scomparire, se possibile.
    Si era già rivelato difficile farlo scomparire quando era solo Skorr'lathyem a esserne a conoscenza; non osava immaginare cosa sarebbe successo se anche la dottoressa Barlowe fosse entrata nell'equazione.
    Mugugnò qualcosa, un va bene poco convinto.
    Per quanto si sentisse messo in scacco dalla dottoressa, però, quella era l'occasione più ghiotta che aveva; quando si sarebbe ritrovato da solo nella sua stanza avrebbe preparato per filo e per segno una qualche storiella, l'avrebbe studiata nei minimi particolari e poi, qualora si fosse sentito pronto, l'avrebbe raccontata alla Barlowe; se riusciva a convincere la strizzacervelli della veridicità di quanto raccontava, lei lo avrebbe giudicato idoneo al servizio e si sarebbe trovato al sicuro da altri menti indagatrici come la sua.
    In un atipico gesto di cortesia, Skorr'lathyem chinò il capo sibilando qualcosa sulla falsariga di "Con permesso" si alzò e si diresse verso la porta.
    La mano destra dell'uomo stava per raggiunger l'ottone della salvezza, la maniglia che l'avrebbe fatto evadere da quel luogo maledetto dove l'oscurità viene a galla.
    «Prima che se ne vada, signor Lathyem.» la voce della dottoressa alle sue spalle suonò come il trillo che annunciava l'arrivo di un'ondata di cavalleria «Posso farle solo una domanda veloce?»
    Sperava con ogni fibra del suo essere che quella domanda fosse davvero veloce; quella parte della sua mente che funzionava solo con il reflusso di sangue sperava addirittura che fosse la richiesta di un appuntamento. Comunque, annuì, girando leggermente la testa per vedere la donna con la coda dell'occhio.
    «Come si chiamava?»
    Tra le novantaquattro domande che, nell'arco di tempo in cui aveva annuito, si era immaginato che la donna volesse porgli, questa non figurava. Scosse la testa, a dir poco confuso, voltandosi in direzione della dottoressa Barlowe.
    «Chi?»
    «La persona la cui fiducia lei ha tradito, signor Lathyem.» non c'era malignità negli occhi della donna, né c'era benignità. Non c'era morbosa curiosità, né la volontà di distruggere il male di una qualche buonasamaritana. C'era solo il guizzo di un professionista che faceva il proprio lavoro; e che sapeva di starlo facendo dannatamente bene.
    Skorr'lathyem si sentì come congelato, come se il tempo fosse diventato una sostanza gelatinosa e lui ci stesse sguazzando dentro; non esisteva un prima, un dopo, un adesso, andava avanti, indietro, a sinistra, a destra, in su e in giù, e in milioni di altre direzioni che esseri tridimensionali non potevano neanche iniziare a immaginare.
    Aveva tirato a indovinare?
    Doveva essere quello, era troppo specifica come cosa per capirla solo da una stramaledetta cartella clinica e una chiacchierata di neanche mezz'ora.
    Però era vero anche il contrario: quante erano le possibilità che tirando a indovinare riuscisse ad azzeccare ciò che era successo con Eddie? Non era il cinquanta e cinquanta di testa o croce, o il trentatré virgola tre del gioco delle tre carte.
    Doveva dire qualcosa, ma era troppo tardi.
    Era già passato abbastanza tempo da far capire all'altra che aveva completamente ragione; quindi, anche avesse tirato a indovinare, ormai ne aveva la conferma.
    Una parte della testa di Skorr'lathyem gli stava urlando di sollevare quella donna per la gola e strangolarla: non avrebbe avuto la forza di urlare, lasciandogli l'occasione di farla tacere per sempre e di dileguarsi dalla base prima che venisse scoperto. Sentì i muscoli del collo tendersi.
    Lo sguardo dell'altra era privo di ogni timore; com'era possibile? Se aveva davvero letto la sua cartella doveva sapere di cosa era capace, di cosa aveva fatto e di cosa era disposto a fare. Che avesse una sorta di protezione? Una telecamera a circuito chiuso, soldati qua fuori pronti a intervenire, una registrazione?
    «Non deve essere così ostile, signor Lathyem» ecco che tornava il tono caldo e amichevole. Lo stava manovrando come una marionetta, lo faceva ballare strattonando fili che solo lei vedeva. «Quanto detto qui dentro sarà un segreto tra me e lei, glielo posso assicurare.»
    L'uomo digrignò i denti; gli pareva di essere una volpe che sentiva il distante latrato dei cani da caccia.
    «Non voglio costringerla a parlare, ovviamente.» la donna si alzò, sistemando una piega nella gonna e spolverandosi il lato sinistro del petto; ancheggiando, con il ticchettio dei tacchi a punteggiare ogni passo, si avvicinò all'uomo, porgendogli il bigliettino su cui aveva scritto poco prima.
    Skorr'lathyem lo lesse distratto, il profumo della donna, ora più forte che mai, che gli ovattava la mente: Deanxit, una compressa, una massimo due volte al giorno, dopo i pasti, non la sera.
    «Cominci col prendere questo, signor Lathyem.» la dottoressa si trovava ora a poco meno di un passo di distanza, il più vicino che fosse mai stata a Skorr'lathyem; riusciva a vedere perfettamente l'alzarsi e l'abbassarsi del suo seno con ogni respiro, e avvertiva sulle clavicole il calore del suo alito, «Dovrebbero aiutarla con possibili attacchi...»
    Attacchi di cosa? Diarrea, sifilide, voglia di shopping? Doveva dirlo chiaro e tondo "Piglia queste quando stai dando di matto e vuoi uccidere tutti, ti faranno dare meno di matto e ti convinceranno a non voler uccidere tutti."
    «Appena uscirà dal mio ufficio contatterò la guardia medica della base con l'interfono; farò in modo che abbiano tutto pronto per quando passa.»
    Digrignò i denti, mugugnò qualcosa; voleva solo andarsene.
    «Un'ultima cosa.» in quel momento sentì il disperato bisogno di quelle compresse per non dare di matto «Questo glielo chiedo sia da psichiatra che da persona genuinamente interessata alla sua salute.»
    L'altra allungò la mano, come a volerla appoggiare sulla spalla di Skorr'lathyem, ma cambiò idea.
    «Se le viene difficile parlarne con me,» il tono quasi convinse Skorr'lathyem che a quella persona interessasse veramente la sua salute «provi a mettere per iscritto quello che vorrebbe dire, come una lettera a... quella persona.»
    Di tutta risposta Skorr'lathyem sputò fuori solo un «Faccio cagare a scrivere.»
    «Non deve mica scrivere per me o per qualcun altro, infatti.» lo rimbeccò l'altra «Bensì, scriva per sé stesso, metta nero su bianco ciò che non riesce a dire a nessun altro.»
    Riprovò lo stesso gesto di prima, stavolta arrivando a sfiorare il bicipite sinistro con l'unghia del medio, prima che Skorr'lathyem ritraesse la spalla, cozzando con la porta,
    «Poi può farne quello che vuole, bruciarlo, strapparlo in mille pezzi, non importa.»
    Sentiva uno sconforto crescente in tutta quella situazione, come se la donna di fronte a lui, un metro e settanta coi tacchi per neanche sessanta chili di peso, lo stesse intimorendo.
    «Forse.» mormorò, uno sforzo che si rivelò enorme.

    Poco prima dell'arrivo di Khan.

    Skorr'lathyem era seduto alla scrivania della sua stanza; di fronte a lui, un foglio pieno di frasi malamente barrate, una biro schifosamente rosicchiata e un blister di compresse lo stavano irridendo. Nelle crepe del legno gli parve quasi di vedere il viso della psichiatra, deformato in una maschera di derisione: cercò di scacciarlo con un pugno.
    Sebbene la stanza fosse ben ventilata, stava sudando come un cavallo, letteralmente gli pareva di perdere litri e litri di sudore. Non riusciva a tenere ferme le gambe: appena la sua concentrazione passava dal loro continuo ballonzolare a qualsiasi altra cosa, queste ricominciavano; sembrava stessero seguendo ritmi che Skorr'lathyem conosceva ormai a livello inconscio, quattro quarti, otto quarti, sedici quarti; poi iniziavano a variare, diciassette quinti, undici terzi, il caos più totale.
    Sospirò.
    Era agitato in maniera insana; tutta colpa di quello che aveva detto la dottoressa Barlowe.
    Solo perché aveva indovinato qualcosa che era successo nella vita di Skorr'lathyem, ora riteneva di conoscerlo a fondo, come un vecchio amico, di sapere cosa gli passava per la testa.
    Si alzò di scatto.
    «Fanculo! Tu non sai chi sono io!» si ritrovò a urlare alla propria immagine mentale della rossa.
    Un forte attacco di vertigini lo costrinse a lasciarsi ricadere all'indietro sulla sedia, la quale scricchiolò dolorosamente; Skorr'lathyem lasciò cadere la testa in avanti, sbattendola sulla scrivania: pulsava in maniera orribile, gli tremavano le mani; per quanto stesse sudando, la bocca era più secca di un deserto.
    Appoggiò i palmi tremanti sulle tempie; la voce della donna rimbombò nei suoi timpani così forte da fargli temere che sarebbero esplosi.
    «Tradito la fiducia...»
    «Zitta, troia...» gorgogliò, un fiotto di vomito che stava cercando di affogarlo.
    «Come si chiamava? Chiamava? -ava? a? aaaa? Come? Chia? Fiducia
    Il suono era come il fischio di un treno, le unghie di centinaia di persone su centinaia di lavagne, come la sofferenza di intere galassie racchiuse in un palloncino che veniva massaggiato con guanti di velcro.
    «Se non taci, ti ammazzo.»
    Le braccia erano attraversate da spasmi; la sensazione che una trivella rovente gli stesse torcendo le budella lo colpì dritto all'addome.
    Con una mano afferrò il blister con il Deanxit; era quasi vuoto, delle dodici compresse solo due ne rimanevano.
    Provò a spingere fuori una delle pasticche con il pollice, ma il tremore gli rendeva le braccia fiacche e non riusciva a controllarle; in preda alla disperazione, lo prese e cominciò a masticarlo, sputando pezzi di plastica e alluminio.
    Colpì la scrivania con la testa. Il rimbombo tolse, per un attimo tutto lo statico e il dolore.
    Un secondo colpo. La pace durò ancora meno che dopo la prima testata.
    Le seguenti cinque non ebbero più alcun effetto.
    Gli spasmi piano piano si calmarono, lasciando almeno a Skorr'lathyem una parvenza di ritrovato controllo sui propri arti.
    Prese in mano la penna; da qualche parte nella sua mente, era sorta la malsana idea che finire quello che stava facendo avrebbe fatto andare via tutto quel dolore, la vertigine, il sudore, le allucinazioni.
    Passò la penna sul foglio. Un tremore gli fece allungare di molto la gambetta di una p. Non reagì, continuò imperterrito.
    Provò a sputare il miscuglio di sangue, plastica e alluminio che gli girava per la bocca; fallì miseramente.
    Cercò di mettere un puntino sopra ad una i. La biro non scriveva più.
    Stancamente, provò ad alitarci sopra, facendo volare goccioline di vomito misto a sangue sul foglio.
    Improvvisi come un maroso, tutti i sintomi che aveva provato prima tornarono a tormentarlo; uno spasmo troppo violento lo fece caracollare all'indietro, facendolo finire a faccia in giù in mezzo al pavimento.
    Una cacofonia di urla esplose tutta intorno: assassino! alcuni gridavano, traditore!, altri, mostro! sembrava l'opinione della maggioranza; dalla bocca uscì, senza che lui potesse fare nulla, un leggero reflusso di sangue nero che imbrattò il pavimento.
    A poca distanza dal suo orecchio, riecheggiò violentemente il rumore dei tacchi della dottoressa Barlowe.
    «Come si chiamava?» gli chiese, la voce stranamente udibile sopra tutte quelle urla «Come si chiamava l'amico che hai ucciso, divorato, malamente sepolto in una discarica, l'amico che vuoi dimenticare ad ogni costo, l'amico che non avrà nessun futuro, l'amico che ha visto il tuo vero aspetto senza rifiutarti? L'amico che ha fatto l'errore di essere tuo amico? Come si chiamava, signor Lathyem? Come?»
    Provò a urlare, ma uscì solo un leggero gorgoglio, un sibilo rotto.
    All'improvviso, tutto il rumore cessò. Il silenzio era quasi più assordante di tutta quella cacofonia. Una voce diversa parlò da dove non poteva vedere.
    «Che c'è, Skorr?» no. nonono. no. «Non riesci neanche a dire il mio nome, amico?»
    Cercò di mordersi la lingua, ma non aveva quasi più il controllo delle proprie funzioni motorie.
    Sentì fiotti su fiotti di un liquido caldo e viscoso cadergli in mezzo alle scapole. Guardando sotto di sé, il pavimento era diventato completamente rosso, un lago di sangue.
    «Levami una curiosità, amico.» sentì un paio di mani prenderlo e girarlo, per metterlo a pancia in su. Di fronte ai pochi occhi, una figura che non vedeva da tempo, se non nei propri incubi.
    La carne delle braccia penzolava, con alcuni pezzetti che si staccarono e fecero schizzare in giro del sangue; un occhio era fuori dall'orbita, con il nervo oculare a fare da pendolo; la cassa toracica era aperta lasciando in vista un cuore pulsante che spruzzava sangue ad ogni contrazione. Ma la cosa che più spaventò Skorr'lathyem era il lato del volto ancora riconoscibile, una maschera di odio che lo fissava come se stesse fissando qualcosa d'inferiore a un verme.
    «Avevo almeno un buon sapore?»
    Come attraversato da una carica elettrica, Skorr'lathyem si alzò di scatto e cercò di colpire la figura davanti a sé.
    «Ha, quindi mi uccidi di nuovo, amico?» la carcassa di fronte a lui venne attraversata dalle braccia di Skorr'lathyem, rompendosi in svariati pezzi «Hai ancora fame dopo il banchetto dell'ultima vo-» la voce venne sommersa dal rumore della brandina che veniva sollevata dall'altro e fatta roteare intorno alla stanza, sfasciando il mobilio.
    Un urlo bestiale sfuggì dalla gola di Skorr'lathyem, mentre quest'ultimo si lanciava, instabile, a piena forza contro la porta, sfondandola.

    Khan prese in mano il foglio che aveva trovato accanto alla scrivania di Skorr'lathyem: era leggermente sporco di qualcosa che Khan non era interamente sicuro di voler identificare ed era stato vergato con una mano incerta, quasi infantile.
    Lesse le prime righe, poi piegò il foglio su sé stesso; decise di non leggere oltre.


    Yo!
    Ehilà!
    Eddie,

    so che sono l'ultima persona che dovrebbe scriverti queste parole che ti sto scrivendo suoneranno completamente fuori luogo scritte da me. Ma la strizzacervelli mi ha detto mi è stato detto che scrivere aiuta quelli fottuti in testa con dei problemi a esprimersi, quindi ci provo. Da quando... è successo quello che è successo, la mia vita è cambiata completamente, e credo anche la tua. Mi è sembrato che ogni scelta che facessi fosse volta all'autodistruzione; ho cominciato a starci sotto di brutto, come mi dicevi sempre tu. Dicevi sempre, non devi starci sotto di brutto, ed io lo ho fatto. Ho smesso di suonare; prima che t'incazzi, intendevo dire che ho smesso di suonare a tempo pieno. Sono entrato in un gruppo di mercenari, capitanato da due tizi abbastanza... strani. Ti piacerebbero, probabilmente. Hanno preso un pezzo di merda come me, drogato e al culmine di un baratro e stanno cercando di ripulirmi.

    Ma io sono coperto di troppa merda, anche per tutte le loro buone intenzioni. Non ero pulito quando sono entrato in questo mondo, e dubito che lo lascerò in maniera pulita; dannazione, molto probabilmente se non fosse stato per te sarei già morto almeno quindici volte.

    Perché è così difficile scrivere, cazzo. C'è una cosa che non sono mai riuscito a dirti... QUEL giorno, mi hai salvato da una parabola discendente che mi avrebbe, probabilmente, portato a una morte dolorosa. Grazie, amico.

    E scusami... Per tutto, per non aver saputo ripagare le possibilità che tu hai dato a me.

    Mi manchi, cazzo.

    Addio, Eddıe.


    Me to me: Prenditi per tempo Kyer, non trovarti a fare tutto all'ultimo come per l'uni.
    Also me to me: IL 15 AGOSTO HA BEN 24 ORE PRIMA DI MEZZANOTTE

    comunque, la citazione musicale è, stavolta, Good Friends and a Bottle of Pills dei Pantera.
     
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