Day 0 - Castaway

Quest Autoconclusiva

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  1. -Artemisia-
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    Il grembo materno è come un immenso mare nel quale un figlio nuota spensierato ascoltando suoni e voci provenienti dal mondo esterno, così vicini eppure, oltre quella bolla di tenebre e tepore, così lontani, indefiniti, misteriosi. Quell’immenso mare, sulla cui superficie si specchiavano le stelle, era come un grembo freddo, desolato, che intorpidisce le membra e nel profondo del quale nessun suono, nessuna voce oltre quella delle onde stesse può essere udita. Le gambe raccolte al petto, le braccia strette in un solitario abbraccio, fluttuava nel cuore delle acque immersa in un dolce sonno, trasportata dalla corrente verso una meta sconosciuta, i capelli sciolti e sparsi attorno a lei in una nuvola come raggi di una luna che in realtà non era in grado di penetrare tanta fredda tenebra, infiocchettati da molli alghe come nastri verdi e bluastri. La salsedine accarezzava la pallida pelle di un corpo minuto in cerca del calore di un essere che non esisteva, che non stava affatto attendendo, da qualche parte là fuori, la sua venuta, poiché tale essere non esisteva affatto. Ma questo ella non poteva saperlo. Nell’inconsapevolezza del sonno il suo fragile, esile corpo cercava di respingere l’abbraccio della notte cercando il conforto del proprio sangue caldo pompato nelle vene, del battito di un cuore che rappresentava l’essenza stessa della vita, ma quelle mani strette al petto non sentivano alcun palpitare contro i loro palmi, e i lineamenti del viso si facevano minuto dopo minuto più rigidi, quasi sofferenti, le piccole labbra più sbiadite e fredde, dai cui contorni socchiusi dense bolle d’aria affioravano ritmicamente risalendo verso la superficie in cerca della libertà, e più il tempo passava, più quel ritmo si faceva lento e dilatato. Appena nata e già stava morendo, senza che ella avesse il tempo di prendere atto né dell’una, né dell’altra cosa.



    La sabbia ancora tiepida solleticava le esili gambe di Hrist, abbandonate mollemente su quella distesa di soffici granelli dorati che restituivano, sul limitare del giorno, quel calore che il sole fino a pochi istanti prima aveva irradiato su di essi. Quel sole stava ormai svanendo, e una leggera brezza serale sfiorava le guance della ragazza, assorta nella contemplazione del mare increspato che all’orizzonte si confondeva con il cielo, mentre con le punte dei piedi dissodava per gioco la sabbia inumidita dalla risacca, scavando in quella bruna poltiglia mentre il mare ritornava sempre puntuale a lambirle le fragili caviglie. Un’onda inaspettatamente più lunga delle altre si spinse ben oltre, strisciando schiumosa fino ad inumidire l’orlo ricamato dell’abito raccolto grossolanamente appena più sotto dei fianchi. Hrist fremette a quel contatto bagnato eppure inaspettatamente tiepido e avvolgente, arrossendo d’imbarazzo mentre con le mani impediva alle acque di sollevare ancor di più le stoffe dell’abito, come se qualcuno potesse scorgerla su quella spiaggia deserta in quell’attimo di abbandono ad una sensuale carezza dell’oceano. Le acque avanzavano e si ritiravano, ancora e ancora, finché ella infine si lasciò convincere da quel richiamo e decise di alzarsi, barcollando incerta mentre i piedi affondavano nella sabbia bagnata, cercando l’equilibrio con un braccio teso nell’aria mentre con l’altro reggeva la lunga gonna dell’abito per non inciampare. I piedi sprofondavano ad ogni passo mentre la spiaggia discendeva dolcemente al mare, sollevando sott’acqua leggeri sbuffi di sabbia smossa.

    In lontananza, sul limitare della vegetazione, una figura osservava in silenzio la scena come rapito da una dolce visione. Guardava la fanciulla come sorvegliasse una sacra reliquia, un frutto desiderabile ma al tempo stesso proibito a chiunque: mirabile e al tempo stesso irraggiungibile. Hrist percepiva quello sguardo fisso su di sé, vigile e autoritario al tempo stesso, e lasciò la presa sulle sue vesti che ricaddero in acqua aprendosi come un ventaglio attorno ai fianchi, ondeggiando al ritmo della marea. Volse appena il capo, porgendo l’orecchio al rumore sordo dell’incedere dell’uomo sul bagnasciuga, stringendosi titubante nelle spalle, allungando una mano dietro la nuca a raggiungere l’intricata trama di capelli intrecciati, facendoli scivolare e ricadere sul petto, scoprendo così le spalle nude e la sinuosa linea della schiena. Sapeva, in qualche modo, che lui non l’avrebbe mai sfiorata nemmeno per farle una carezza, e mentre avvertiva il rumore dei suoi passi farsi sempre più vicino si domandava, sciogliendo con le dita la chioma intreccio dopo intreccio, se ciò fosse perché egli non voleva, o perché non poteva.

    L’acqua stessa le narrò del suo arrivo imminente con le onde smosse dall’incedere lento e l’inconfondibile suono dei flutti infranti dai passi, ma ella non osò voltarsi a guardarlo negli occhi: provava paura, un timore ingiustificato dettato forse dall’incombere della notte che avanzava, dalla luce che pian piano si affievoliva come se fosse la stessa venuta dell’uomo ad allontanare il sole da lei, da quel mare che via via si faceva più mosso e spazzato da venti freddi che tagliavano il suo viso ora con maggiore veemenza. Desiderava ora scappare, da quel mare, da quel buio e da quella figura ormai così vicina da poterne sentire il respiro, ma non sapeva nelle braccia di chi buttarsi, se nelle sue o se in quelle dell’oceano. In cuor suo sapeva che le sarebbe bastato solamente lasciarsi andare, abbandonare la schiena contro il petto di lui e farsi salvare; persino il respiro di lui, caldo sul suo collo, le trasmettevano una sensazione di calma, sicurezza, e un turbinio di altri sentimenti che la sua sfera emotiva non riusciva a distinguere ma che sapeva essere diversi e opposti alla paura. Strinse le braccia attorno alle spalle, smarrita: non riusciva più a sentire il proprio cuore batterle nel petto, o forse, si ritrovò a pensare, era sempre stato il rumore delle onde fino a quel momento. Chiuse gli occhi, ormai avvertiva il gelo della marea attanagliarle la gola. Fu allora che quel caldo respiro divenne una voce, profonda e avvolgente:
    “È ora. Respira, adesso.”




    In uno scatto repentino gli occhi si spalancarono e il corpo prese a contrarsi in guizzi spasmodici, sentendosi improvvisamente soffocare. Il petto cominciò ad espandersi come d’istinto risucchiando l’acqua salmastra nella gola, riempiendo la bocca del suo sapore pungente. La spina dorsale si inarcò, le gambe si distesero dimenandosi nel buio in cerca di una via di fuga da quella trappola mortale, le braccia si protesero in cerca di un appiglio, aggrappandosi spasmodicamente al quel mare freddo e desolato che continuava indifferente a scivolare fra le dita sottili, sordo a qualunque supplica. Combatté a lungo prima che le forze decidessero di abbandonarla, ed ella cominciò a spegnersi lentamente come un tizzone abbandonato in una brace ormai morente. Il petto candido e femminile si espanse e si contrasse una volta di più e si arrestò ormai gonfio del freddo e sterile liquido, mentre quelle braccia protese verso il baluginio lontano di una luce bianca e tremolante ricaddero molli accompagnate dolcemente dall’oceano. L’ultimo fiato di vita fuggì dalle sue labbra socchiuse e immobili in piccole, poche bolle leggere, mentre sullo sguardo fisso nel vuoto cadevano le palpebre appesantite da un sonno innaturale sopraggiunto all’improvviso. Va bene così pensò ella mentre i contorni lividi del suo viso si rilassavano dimentichi della paura e della fatica. Forse si sono dimenticati, forse non mi stavano aspettando. La paura e il risentimento fuggirono oltre il velo di tenebre, ed ella rimase sono con la malinconia del desiderio di un abbraccio che non sarebbe mai sopraggiunto. Non ha importanza, va tutto bene .

    Ma ella avvertì d’un tratto quel suo esile corpo sorretto e sospinto verso l’alto: la schiena nuda si adagiò inerme ad un ombra giunta forse dagli abissi, che cinse le spalle minute come a volerla proteggere da qualunque male sarebbe sopraggiunto; un braccio possente le cinse la vita stringendola a sé, mentre le gambe sorreggevano quelle di lei sottili e immobili. La testa della fanciulla ricadde lenta all’indietro, la nuca si adagiò dolcemente a quel petto straniero, al duro metallo come fosse stato un soffice cuscino. Nessun altro sarebbe giunto, nessun’altro la stava aspettando.





    Quando ella aprì gli occhi sentì un respiro di vita spinto con forza attraverso le sue labbra fino nella sua gola; l’acqua sgorgò dalla sua bocca spalancata prima che ella cominciasse ad accogliere avida l’aria della sera nei suoi polmoni, e in un rantolo il petto riprese ad espandersi alla sua massima capacità. Quando ella aprì gli occhi, le stelle la osservavano silenziose dalla volta celeste e la luna illuminava per lei la spiaggia deserta. Ansante, infreddolita, spaventata, tentò impacciata di mettersi a sedere, affondando le mani nella sabbia bagnata, trascinandosi esausta lontano dalla risacca che ancora lambiva le sue gambe come in un estremo tentativo di riportare la donna ai suoi flutti. Ella strisciò lontana, sorda al richiamo delle acque, al mormorio delle onde che ella avvertiva chiaramente nel silenzio della notte, mentre un vento freddo carezzava la sua pelle ricoperta di sabbia bagnata, insinuandosi fra i lunghi capelli argentei impastati di alghe e salsedine, un pesante groviglio di ciocche che ricadevano scomposte avvolgendo il torso livido e percorso da un fremito incontrollato. Assieme al freddo sopraggiunse la confusione, e innumerevoli domande si accalcarono nella sua mente amplificando quella sensazione di stordimento e di panico al tempo stesso: chi fosse, dove si trovasse, ella non riusciva a rispondere a quelle domande, e per quanto scavasse nella sua mente in cerca di una parola, un indizio, nessuno dei concetti che ella riusciva ad afferrare sembrava adattarsi alle circostanze. La sua mano affondò una volta di più nei soffici granelli, ed ella ricadde rovinosamente sulla spiaggia, sfinita, frastornata, spaventata. Raccolse le gambe al petto, si rannicchiò riversa su un fianco sotto i raggi della luna, mentre dai suoi occhi neri sottili rivoli di lacrime cominciarono a sgorgare senza controllo, e d’un tratto in risposta sbuffi di fumo nero uscirono dal suo petto, vapori che a contatto con l’aria divennero consistenti ma leggeri come delicati tessuti che avvolsero e bendarono le belle e pallide forme. Ella alzò le mani davanti al suo viso, osservano spiazzata i fumi neri e violacei diradarsi rivelando della stoffa ricamata al di sotto. Fissò attonita i palmi e dal nulla pensò Mani, sfregò fra loro le dita che sbucavano sottili dai suoi nuovi manicotti, Sabbia pensò osservando i granelli ora asciutti staccarsi e piovere a terra. In un impeto d’emozione gettò le braccia attorno alle ginocchia, stringendole forte a sé, nascondendo il viso fra gli abiti e la chioma fluente: nel silenzio della notte un riso sommesso echeggiò soffocato dai singhiozzi e dalle lacrime che continuarono a scorrere senza sosta per diverse ore dopo che ella si fu addormentata.




     
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    Valutazione: ~Day 0 - Castaway

    Dunque, partiamo. Non so esattamente come approcciarmi al testo. Non credo di aver mai affermato il contrario prima di mettermi a valutare, in generale. Ma vedremo un po’ cosa tirare fuori u.u
    Le cose da dire sono tante e vorrei dirle tutte, fare osservazioni su ogni virgola, ogni punto (non critiche, per carità di Dio) e snocciolarti una risma di domande, teorie, opinioni, possibili opzioni riguardanti il testo che probabilmente causerebbero solo odio e frustrazione nei miei confronti. Facciamo che no.
    Come credo di averti già detto in privato, l’idea di partire da un Day Count per narrare la storia di un personaggio appena nato mi è sembrata subito un’ottima cosa: ti dà così la possibilità di portare il lettore a conoscere Hrist mano a mano che si plasma e trova il suo posto nel mondo, rendendo così la sua storia più interessante rispetto ad un immediato mattone super riassuntivo di prima e dopo. Non che il personaggio si presti, vista la sua natura e vista, appunto, la sua recentissima nascita. Ma si tratta comunque di un punto a tuo vantaggio.
    Per quanto riguarda lo stile, la narrazione, il dualismo che hai voluto creare (perché hai cercato di creare un dualismo, vero?), posso dire che anche qui l’obiettivo sia stato raggiunto. C’è un che di misterioso, di oscuro, di alternato tra realtà e sogno, quando è piuttosto chiaro che l’entità identificata con “ella”, con un impersonalissimo pronome personale terza persona femminile (ah ah, la battutona…) vada ad identificare una cosa staccata e diversa da Hrist stessa. Potrei avanzare ipotesi: una Hrist inconsapevole? Un ipotetico insieme di ricordi e sensazioni che lei crede propri e personali che si materializza in un parallelo verso una discesa nel nulla e una morte per annegamento (metaforico o no)? Un dualismo creatosi tra ombra interiore –quell’oscurità che nomini nella descrizione del tuo personaggio, che si presenta sotto forma di armatura (alla sua comparsa dopo arriverò più avanti)- e ipotetica volontà di Hrist? Così come quella voce che chiama, che le ordina di respirare, di salire verso la luce e di vivere: chi è? Perché? Si tratta dell’ombra? Si tratta della figura che Hrist vede sulla spiaggia e percepisce vicina?
    Insomma, molte cose che lasciano la porta aperta ad una molteplice interpretazione: dopo riletture successive, alcune idee sembrano più plausibili di altre, ma l’alone del dubbio, la velata, seppur ridotta, possibilità che tutte le altre possano comunque essere soluzioni papabili ed efficaci lasciano nel lettore un piacevole senso di “vai avanti, che voglio vederci chiaro”. Se il testo fosse stato più lungo, più complesso, scritto diversamente, la sensazione non sarebbe riuscita altrettanto bene. Credo volessi ottenere questo –mandami a cagare se sbaglio-: aprire in chiave misteriosa. Show don’t tell, insomma. Succede questo, questo e questo. Prova, lettore, a districarti.
    Tocco particolare, Hrist che si rende conto di quello che accade, ancora parzialmente oscuro al lettore e a cui arriverà tirando le somme del testo, che viene soccorsa da un’entità che teme, che qui, in questo caso, la protegge, la copre, la scalda e l’aiuta a vivere. Perché, esulando da qualunque metafora, tornando al significato più scarno e raso terra del componimento, questa è la nascita di Hrist, la sua venuta al mondo. Tumultuosa, traumatica, come se fosse stata soppressa fino a quel momento, e poi, improvvisamente, vita.
    Questo ho letto io, questo ho capito io. Spero di non essere andata troppo fuori dalle righe con le osservazioni e spero, se non altro, di essere riuscita a fare centro. Se ho detto boiate, insultami.

    Tornando al modo in cui è scritto: c’è qualche typo, c’è qualche svista a livello di battitura, ma niente di che. Sono la prima che, anche dopo aver ricontrollato duecento volte, trova, a distanza di tempo, orrori e cose disgustose. Ricontrolli meglio di me :v: Qualche frase suonava un po' contorta, alcune sono forse troppo lunghe ma, in generale, funziona.
    Posso solo dirti di continuare a scrivere, di ampliare e di interagire, di svelare queste cose non perfettamente chiare.

    Voto: 8.2
    Ap: 10 (8 + 2 Bonus)
    Munny: 510



    A me vanno. Boh. 4 ap e 200 Munny.
    Puoi aggiornarti Hrist °3°
    Ciao Xis, ci risentiamo x3
     
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1 replies since 29/10/2016, 14:50   83 views
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