Major Arcana

Deep Dive Gambler

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    Prologo:"I've got friends, on the other side..."



    Un alone di fumo si alzo' dal tavolo, come se a troneggiare su quelle sedie di velluto rosso ci fosse una vecchia centrale a carbone, con tanto di ciminiera. Drexar diede uno sguardo agli occhi dell'uomo seduto direttamente di fronte a lui: si muovevano spesso, evitando i suoi, correndo dal basso verso il tavolo, poi di nuovo in giu', quasi ad imitare un balletto propiziatorio. Non c'era ombra di dubbio: quel povero diavolo stava bluffando.

    Nelle mani di Drexar sorridevano quattro donne, e cio' al ragazzo faceva addirittura piu' piacere del solito. Non che non fosse abituato ad essere osservato, ma il piatto al centro del tavolo contava un numero elevatissimo di fiches, 550.000 munny per l'esattezza, pronti ad essere arraffati grazie alla magia di una singola parola:

    Vedo.

    Il volto dell'uomo di fronte non muto' di una virgola. Dopotutto, non si arriva a quei livelli di gioco se non si possiede un buon autocontrollo, per non parlare del coraggio che ci vuole a scommettere una tale somma. Entrambi i giocatori, con un gesto simile del volto, intimarono l'altro a calare la propria mano a terra. Tipico. Drexar l'avrebbe spiazzato, facendogli vedere quel capolavoro che stringeva tra le mani, quelle quattro meraviglie, piu' ipnotiche delle danzatrici del ventre.

    Con un sorriso sul volto, getto' le carte sul tavolo, pronto a riscuotere e...

    E nulla. Proprio sul piu' bello la scena si ferma, come se il regista avesse urlato all'improvviso. Immobile. Glaciale. Come ogni volta. Come ogni minimo ricordo, anche questo e' destinato ad essere incompleto, frammentario. Drexar chiude gli occhi, pronto a ritrovarsi nuovamente nel suo vuoto presente, a continuare il suo infinito percorso, nel tentativo di ritrovare cio' che davvero era.

    Stavolta, a quanto pare, non e' cosi'. Riaprendo gli occhi la scena rimane la stessa, e la novita' piu' grande di tutto cio' e' la sua possibilita' di muoversi di sua volonta' all'interno del ricordo, senza pero' potersi alzare dal tavolo. La situazione, tuttavia, non lo turba minimamente. Come e' possibile tutto cio'? La soluzione piu' logica e'...

    Ti consiglio caldamente di rivelarti e di uscire dalla mia testa.
    Non so se tu sia folle, stupido, o semplicemente infastidito dal fatto che possa finalmente ricordare qualcosa del mio passato, ma potrei farti molto male se continuassi ad intralciarmi.


    Il fatto di non provare piu' alcuna emozione non puo' che migliorare la sua capacita' di bluffare... Ma sarebbe davvero stato in grado di affrontare un'entita' capace di alterare la sua memoria e la sua mente?

    Edited by DukeV - 9/4/2016, 10:06 PM
     
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    -La tua mente è tanto intorpidita da confondere la lucidità con un'intrusione?

    La Voce del Deep Dive scivolò tra il fumo che circondava il tavolo e il resto di quella scena, raggiungendo le orecchie dell'uomo con una punta di amarezza. Malinconia. Molte persone prendevano in maniera differente la loro rinascita come un Nessuno: alcuni intuivano la verità, altri rimanevano ignoranti di fronte alla loro nuova natura, ma Drexar era intrappolato nel limbo che si trovava in mezzo a quelle possibilità. Comprendeva la sua situazione, ma non la comprendeva. Sentiva un vuoto, la fredda stretta della logica sulla propria mente, e quel gelo faceva male. Marciva costantemente la sua mente creativa, deteriorava i ricordi dell'individuo che era un tempo. In quello stato, qualsiasi evento "insolito" nella sua mente sarebbe sembrato quasi spaventoso... ma, fortunatamente, il giullare non era in mezzo a nemici. Sempre che lui non si decidesse a considerarli tali.

    -Non importa chi sia il fattore alieno su questo palcoscenico.
    Purtroppo ogni pubblico ti risulterebbe distante, vero?


    Le parole della Voce scivolarono calde nell'aria, apprensive, quasi materne, perché quel discorso non era piacevole per nessuno dei presenti. E non lo intendeva con lo scarso umorismo che alcuni potevano trarre da quel gioco di parole: quella battuta non avrebbe dato sollievo a nessuno. A cosa serviva una risata, se era maligna e a spese altrui? Se doveva essere sincera, avrebbbe voluto sentirlo dal protagonista di quella scena.

    -Prima di andare avanti... parlami di te. Del giullare che non può più sorridere.


    Ok, cominciamo. Scusa il ritardo, ma adesso possiamo cominciare la quest; a te la mossa.
     
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    SPOILER (click to view)
    Figurati, anche io non avrei avuto il tempo materiale per rispondere questi giorni :asd:


    Fu posando le cinque carte sul tavolo che gli arrivo' all'orecchio...

    La tua mente è tanto intorpidita da confondere la lucidità con un'intrusione?


    L'agognata risposta alla domanda provocatoria del clown, giunta poco dopo, da una voce dal tono profetico. Un profeta che sembrava conoscere davvero bene il giullare ed il suo passato. Le parole erano scelte a mestiere, pareva esser stato lo stesso Drexar a parlare a se' stesso, a fissarsi per un momento da lontano per poi tirar fuori le sue constatazioni.

    Non importa chi sia il fattore alieno su questo palcoscenico.
    Purtroppo ogni pubblico ti risulterebbe distante, vero?


    Gambler sarebbe rimasto immobile, continuando a tenere il suo sguardo dritto di fronte a lui, simulando un sorriso beffardo, come se davvero potesse sentirsi sicuro di se' in quel momento.

    Prima di andare avanti... parlami di te. Del giullare che non può più sorridere.

    Con un gesto della mano destra, richiamerebbe quel mazzo dei tarocchi che continuava a perseguitarlo, all'unico scopo di prendere una carta dal centro del mazzo, e posarla coperta davanti a se', sul tavolo. Nonostante anche la sua mente continuava ad indicargli il da farsi, aveva imparato ad ascoltare anche il parere della Dea bendata.

    Ding ding ding! Abbiamo appena superato la SNMD! La Soglia Non Mortale versione Gambler. E' passato un bel po' da quando ti ho "accusato" di esserti introdotto nella mia testa, e, considerando il potere di cui potresti disporre, mi avresti potuto facilmente uccidere a questo punto, se lo avessi voluto. E poi...

    A quel punto con un gesto del polso girerebbe la carta coperta, rivelando la carta numero 0, quella del folle.

    Mi si preannuncia un nuovo inizio, o un viaggio, da cio' che dicono le carte. Le carte non mentono mai, io si'! Gwhahaha!

    Se davvero la voce che lo stava interpellando non era nient'altro che il lasciapassare per comprendere il suo passato ed allo stesso tempo per riottenere cio' che aveva perduto, e che gli importava piu' d'ogni altra cosa, beh, non aveva poi gran senso mentirle.

    Ci siamo gia' incontrati vero? Sei tu, eri tu, che quel giorno mi hai dato questo nome... Nessuno! Creatura vuota! Gwhahaha... hah... ha...

    A poco a poco la sua espressione muterebbe, passando dal sorriso sguaiato che il clown aveva volutamente dipinto sulla tela del suo viso, ad un'espressione neutra, fredda.

    Non so cosa tu mi abbia fatto, ma ci sei riuscito. Gioia, dolore, felicita', tristezza, rabbia... sono soltanto semplici parole alle mie orecchie. Non riesco neppure a ricordare cosa si provi. Non riesco a ricordare come si provi.

    Indicherebbe quindi il suo viso, aggiungendo:

    Non sai neppure quanto tempo ho impiegato a cercare di imitare una risata convincente. E hai potuto notare quali sono stati i risultati: non ci crederebbe nessuno. Ed infatti non ci credo! Gwhahaha!

    Simulare un sorriso coinvolgente, tentare di comprendere ed utilizzare ironia ed umorismo, fallire miseramente. Delle tre cose, il pagliaccio era riuscito solo nell'ultima da quando era cambiato, ma, nonostante tutto, continuava a recitare la sua parte, la parte di un pagliaccio con un humor tale da poter catturare le folle nel suo pugno.

    SPOILER (click to view)
    Dimmi subito se c'e' da correggere/modificare qualcosa!
    Mi sono permesso di modificare il mio post precedente perche' mi sono accorto di alcune mie ripetizioni tra una frase e l'altra (tutto cio' pero'- pero', tutto cio') :asd:
     
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    "Ridi, pagliaccio, con il tuo cuore infranto"; così diceva quella canzone, e quella metafora non era certo un'iperbole per la situazione in cui si trovava quell'uomo. Perché sì, rideva, rideva con una follia che stava chiaramente cercando di tirare fuori con un chiaro sforzo, con un'ilarità che non gli apparteneva. Poteva comprendere il vuoto che si era formato nel suo petto, il gelo che aveva intorpidito la sua mente e le sue emozioni, ma quelle reazioni non facevano che causare altri danni, a ricoprire di brina i ricordi delle sue risate genuine. Solo una fiamma poteva sciogliere quella presa glaciale, ma non sarebbe più stata la solita voce a fornirgliela.

    -Forse è proprio quello il tuo problema.

    La nebbia intorno a Gambler si fece improvvisamente scarlatto, il calore del suo interlocutore precedente venne sostituito da un tono pesante, austero, che fece scivolare quelle parole sulla pelle del Nessuno come una serie di coltelli incandescenti. Alla sinistra dell'uomo, una mano spezzò il fumo come la tenda di un sipario, appoggiando con violenza sul tavolo una serie di cinque carte, come se fosse rimasto nascosto a giocare con l'uomo e la sua illusione fin dall'inizio. Quattro assi, ciascun seme avvolto da una lingua di fiamme, e un Jack di cuori che mostrava la figura dell'individuo che si era appena aggiunto al tavolo: un uomo coperto del tutto da vari strati di abiti di cuoio sanguigno, e indossava una specie di elmo in pelle del medesimo colore che somigliava al muso di un polipo. Sui buchi neri in cui si dovevano intravedere gli occhi, tuttavia, si vedevano solo due punti fiammeggianti, puntati direttamente sul volto del giullare mentre il nuovo arrivato si avvicinava al tavolo cingendo le mani di fronte alla propria bocca.
    Tra le memorie del suo esaminando e il tempo speso tra quelle di Archaya, ormai era abbastanza familiare con il gioco del poker. Era anche a conoscenza di vari modi per barare, sempre grazie alla donna dai capelli scarlatti, anche se non aveva le stesse... "maniche" in cui lei teneva le carte con cui modificare la sua mano. Almeno poteva consolarsi del fatto che, in mezzo a quel discorso, forse il Nessuno sarebbe stato più concentrato sulle sue parole che sulle carte che aveva introdotto nella partita.


    -Un conto è non credere in te stesso. Un altro è non credere nella tua umanità.

    Harold pronunciò quelle parole fissando Drexar senza interruzioni, statuario di fronte al viso truccato del clown. E, pur non avendo gli zigomi per mostrarlo, il suo sguardo sarebbe stato inquisitorio, perché la carta che aveva pescato dal mazzo era quella sbagliata. Il "Folle", il "Matto", l'inizio di qualcosa... non era quella la caratteristica principale che mostrava, in quel momento. Quale inizio? Verso cosa stava avanzando? Nessuno dei messaggi di quell'arcano calzavano con la risata amara che usciva dalle sue labbra.

    -Penso che sia questa la tua vera carta.

    Con uno scatto deciso della mancina, Harold pescò la carta che si trovava in cima al mazzo evocato dal suo esaminando, voltandola e poggiandola con violenza sul tavolo, rivolta verso il giullare: una croce, e una "V". Quindici. Il quindicesimo arcano maggiore, il Diavolo. La carta che, quando veniva letta negativamente, simboleggiava restrizione, una prospettiva limitata, il malefico paraocchi che precedeva la caduta simboleggiata dalla Torre. Non era "iniziato" niente, e Drexar lo sapeva: la sua vita andava avanti, senza qualcosa di importante, ma non era mai finita, né era ricominciata. Si stava solo crogiolando in ciò che non aveva, e cercava perennemente un capro espiatorio, un demone contro cui lanciare maledizioni per sopportare il dolore che non poteva neanche provare appieno.

    -Oppure avresti preferito vedere la Ruota della Fortuna?

    La fiamma che illuminava l'occhio destro di Harold guizzò malefica verso il suo interlocutore, fissandolo senza sosta mentre la sua mano si ritirava dalla proprietà del Nessuno. Non aveva voglia di sentire quelle risate vuote, le accuse dettate da un istinto che non gli apparteneva più, le illusioni nate da una verità che non aveva mai avuto tra le mani, ma che aveva accettato come una malefica punizione divina. Lo scherzo di un sadico inquisitore. Ma il vero "inquisitore", in realtà, non aveva la pazienza necessaria per certi giochi: se voleva mostrargli che le sue congetture erano errate, doveva solo parlargli, dirgli dove stesse sbagliando. Niente maschere teatrali, niente risate che mascheravano lacrime prive di sentimento. Se davvero stava mentendo, lui si sarebbe preso il compito di bruciare ogni sipario dietro a cui nascondeva le sue ferite.

    Edited by AlexMockushin - 9/9/2016, 02:22
     
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    Negli attimi che seguirono l'ultima risata del pagliaccio, l'aria si surriscaldo'. Letteralmente. La nebbia grigiastra che ancora giaceva intorno alla figura di Drexar inizio' a colorarsi di un rosso scarlatto, a mano a mano sempre piu' luminoso, divenendo quasi insopportabile all'occhio. E li', alla sinistra del clown, comparve all'improvviso: un singolo arto fuoriusci' dall'agglomerato nebbioso, portando con se' la propria mano, cinque assi fiammeggianti ed un Jack, totalmente diverso da come sarebbe dovuto essere. La copia perfetta dell'individuo che aveva appena completato il suo "buy in" al tavolo.
    La voce parlo' nuovamente, questa volta con toni e maniere nettamente diverse.

    Un conto è non credere in te stesso. Un altro è non credere nella tua umanità.

    Un rombo di tuono, o l'impatto di una meteora a terra. Queste furono le uniche analogie che si sarebbero potute trovare ascoltando la nuova voce. L'uomo ad aver pronunciato quelle parole, se uomo poteva chiamarsi, sembrava un gran sacerdote di qualche culto perduto: l'intero corpo era nascosto da un lungo abito che alternava un color rosso vermiglio ad un nero profondo, in maniera quasi ipnotica. Cio' che pero' colpiva di piu', era certamente il volto. Una grossa maschera, o forse un elmo, ricopriva il viso della figura, che continuava a tenere gli occhi, due bracieri accesi, puntati sul suo interlocutore.

    Non voglio neppure sapere quanto allenamento ci voglia per preparare un'entrata cosi' teatrale. Giuro, tutto questo per me? Apprezzo molto! Gwhahaha!

    Costui, tuttavia, sembrava propenso a tutto, fuorche' a scherzare col clown. Ed e' a quel punto che Drexar capi' la gravita' della situazione.

    Penso che sia questa la tua vera carta.

    L'uomo mosse in modo deciso il suo braccio sinistro, andando a prendere una carta dal mazzo evocato da Gambler. Un movimento rapido, atto soltanto a prendere la prima carta dal mazzo, girandola davanti il naso del clown e facendola impattare con forza sul tavolo verde.
    Drexar conosceva bene le arcane ed il loro significato, ma non pensava che anche il suo interlocutore fosse cosi' ben informato. Un grosso quindici, scritto in numeri romani, si paleso' su di essa, portando sotto l'immagine di una figura infernale, seduta su un grosso trono d'ossa, con tanto di tridente nella mano sinistra, mentre con la destra si reggeva il capo, appoggiato su di essa. La parte peggiore e' che la carta era capovolta: il diavolo, interpretato in modo negativo. Se avesse avuto ancora possibilita', sarebbe trasalito', rabbrividito, o almeno sarebbe stato un minimo scosso dalla cosa, ma la sua nuova natura gli impedi' qualsiasi reazione tangibile.
    Tuttavia, ci fu un cambiamento netto nel suo approccio con la nuova figura: il sorriso mascherato svani' lentamente dal suo volto, mostrando un viso senza sentimenti. L'uomo che aveva davanti poteva leggere chiaramente dentro la sua persona, tutte quelle recite e finzioni sarebbero servite letteralmente a nulla, costui era l'equivalente di uno spettatore che conosce gia' lo spettacolo a cui sta assistendo, e non si fa scrupoli ad evidenziare ogni minimo errori del regista e degli attori.

    Oppure avresti preferito vedere la Ruota della Fortuna?


    Un uomo che porta una maschera in viso non dovrebbe preoccuparsi di indagare la verita' di comportamenti altrui, non credi?

    Il suo tono non era di sfida, ne' tantomeno alterato, ma anzi sembrava la personificazione assoluta della calma. Gambler voleva soltanto avere una conversazione con un essere che non riusciva a decifrare, un evento che non si verificava da moltissimo tempo da quando era divenuto vuoto.

    E spiegami anche il significato di questa farsa, gia' che ci sei.

    Il pagliaccio passerebbe rapidamente la sua mano destra al di sopra della carta girata in precedenza sul tavolo, posandola con la faccia rivolta in giu'.

    Dopotutto, non ci vuole un genio per capirlo...

    A quel punto la rigirerebbe rapidamente, mostrando una nuova immagine: un uomo dalla barba lunga e folta, di un color bruno intenso. Lo sguardo deciso, rivolto verso l'esterno della carta, un'espressione fiera in viso e dei lunghi capelli in tinta con la peluria facciale, al di sopra dei quali giace una corona dorata. Nella mano destra reggie un Ankh, mentre nella destra regge un globo azzurro, intervallato da fasce verdeggianti. Un numero quattro si staglia sulla carta in numeri romani: costui e' "L'imperatore", interpretato in maniera positiva rappresenta la figura della massima autorita', allo stesso tempo austera e paterna.

    E' tutto nelle tue mani, giusto?
     
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    Un passo avanti, e due indietro. Per un attimo, Harold apprezzò la sottile ironia celata nel tono del suo esaminando, perché se lui aveva una maschera fisica, allora il giullare ne indossava una trasparente e molto più tragica. Era lui che desiderava indagare, voleva trovare qualcosa su cui sfogare il vuoto nel suo petto, la rabbia che non poteva esprimere, la fredda frustrazione di non avere più un cuore con cui provare sentimenti, soprattutto quelli gioiosi. Non poteva biasimarlo. Non voleva. Sapeva che cosa si provasse quando la mente diventava incapace di processare i sentimenti, con la sola differenza che, nel suo caso, questi erano corrotti alla radice dall'emozione che rappresentava. Rabbia. Furia. Spesso anche odio. E Harold provò chiaramente le prime due emozioni quando Drexar cambiò il volto della carta sul tavolo nell'Imperatore.

    -Allora temo che tu sia un inetto, seguendo la tua logica.

    L'uomo strinse con forza la mano destra tra le proprie dita, mentre quelle parole uscivano dalla sua bocca con un ringhio infastidito. Non voleva arrabbiarsi in quel modo, ma il giullare stava premendo incosciamente ogni ferita aperta nel suo animo: se fosse stato davvero come la figura che si trovava su quel tarocco, non avrebbe sofferto. Non avrebbe provato odio per sé... e non lo avrebbe sfogato di riflesso durante i combattimenti con i suoi esaminandi.
    Dopo quel rapido sfogo, l'uomo pescò un'altra carta dal mazzo di Gambler, poggiandola rapidamente sopra a quella che aveva appena rivelato, come per coprirla con disgusto. Il regnante era stato spodestato dalla figura d un uomo anziano, con la schiena piegata dall'età e una brillante lanterna in mano. Il nono arcano, l'Eremita. Quello che poteva calzare ogni suo compagno, ogni anima intrappolata in quel sogno da un dovere ancestrale, ma in quel tarocco si trovavano molte delle sue qualità, positive e negative. Introspezione, saggezza, che spesso venivano nascoste da una rabbia selvaggia e un istinto cieco. Sì, non c'erano dubbi: quello era lui, con tutti i particolari che detestava del suo essere.


    -Io non sono che un Giudice. Un osservatore.

    Harold ritirò lentamente la mano, riportando il suo sguardo su Gambler con fare austero. Non era lui ad avere il controllo di quella situazione, del suo fato; non poteva neanche controllare il proprio, con quale malata presunzione poteva anche solo pensare di poterlo fare per quello altrui? Tutto ciò che poteva fare era indicare la via agli altri, e sperare in un giorno in cui la fiamma nel suo petto bruciasse con molta meno forza. Ma, in quel momento, il suo esaminando sembrava un incendio a confronto.

    -E non c'è alcuna provvidenza divina che ti possa salvare o voglia maledirti. Esistono solo le tue decisioni.

    Come al solito, le sue metafore erano sprecate, o troppo criptiche per essere comprese. Quando aveva menzionato la Ruota della Fortuna, non lo aveva fatto a caso: Gambler doveva conoscere il significato di quell'arcano maggiore, ma era troppo occupato ad analizzare la persona che aveva davanti per comprendere quella frecciata. Più volte aveva accusato i suoi interlocutori di essere "intrusi", di avere "controllo" su di lui; dal suo punto di vista, era una vittima. Qualcosa lo aveva trasformato in ciò che era, qualcuno rideva sadicamente alle sue spalle per quel suo destino, e il vuoto che provava nel suo petto non poteva essere colmato, perché un antagonista invisibile lo aveva maledetto a soffrire. Un ragionamento calzante per un attore, per qualsiasi individuo che viveva perennemente sul palcoscenico, ma era anche ciò che stava facendo marcire rapidamente la sua mente. Non avrebbe trovato nessun Deus Ex Machina dietro alle quinte; né per causargli altro dolore, né per lenire le ferite che già aveva.

    -Però è molto più comodo dare la colpa agli altri, vero?

    La voce del Giudice si fece improvvisamente più triste, amara: se quelle parole e i suoi gesti non riuscivano a smuoverlo, allora il suo compito sarebbe finito seduta stante. Era riuscito a mettere da parte la maschera con un sorriso stampato sopra, ma sul suo volto era ancora ben salda quella che ritraeva la tragedia, la smorfia di dolore, il pianto silenzioso dell'eroe maledetto. Su quel tavolo di velluto verde, e nella sua vita, Gambler aveva trovato un grande capro espiatorio che non poteva rispondere alle sue accuse. Dietro ai frammenti di umanità che nascondevano il suo vero volto agli altri, coperti dalla coltre gelida che aveva riempito il suo petto, alla fine Drexar aveva scelto di sfogare tutta la sua rabbia su una "donna".

    -La Dea Bendata non può rispondere alle tue maledizioni, d'altronde.
     
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    Allora temo che tu sia un inetto, seguendo la tua logica.

    L'uomo si avvicino' a lui nuovamente, e,ancora, con un gesto della mano, venne estratta una carta dal mezzo del mazzo, utilizzata per sostituire quella del pomposo regnante tirata fuori dal clown. Un figuro dall'eta' avanzata, incurvato dalla stanchezza e dalla vecchiaia, che stringeva in mano una luminosa lanterna, unica guida per i suoi occhi provati. Era il nono arcano, "L'eremita", una carta che poteva rappresentare la saggezza di colui che riesce a comprendere il flusso vitale di ogni cosa, o il mondo introspettivo dello stesso personaggio, sofferente e forse addirittura adirato per il peso portato da tale conoscenza. Una conoscenza dolorosa quanto una ferita aperta.

    Io non sono che un Giudice. Un osservatore.

    La situazione gli stava a mano a mano sfuggendo di mano, sempre che fosse mai riuscita ad averla sotto controllo. Ogni parola che usciva dalla bocca di quell'uomo, ogni gesto, ogni singola movenza... sembrava quasi che la rabbia, la frustrazione, l'amarezza di un attore che non riesce piu' a fingere, si fosse materializzata dritta davanti a lui, che i suoi sentimenti perduti, gli stessero dando un avvertimento. Nuovamente, si senti' come se la persona davanti a se' conoscesse la mente del pagliaccio molto meglio di Drexar.

    E non c'è alcuna provvidenza divina che ti possa salvare o voglia maledirti. Esistono solo le tue decisioni.

    In quel luogo non c'era fato, ne' fortuna: c'era lui, e lui solo. Al centro di una sala fumosa quasi quanto la sua mente, contenente un tavolo al quale oramai era in corso un "hands up" con l'unico rivale che potesse davvero rispondergli. E costui era il solo che avrebbe dovuto interpellare per poter comprendere a pieno la sua situazione, ma non il responsabile di cio' che gli era accaduto. E non c'era nessuno a cui addossare la colpa in quelle circostanze.

    La Dea Bendata non può rispondere alle tue maledizioni, d'altronde.

    La voce dell'austera figura divenne meno intensa, piu' riflessiva, quasi compassionevole. Se avesse ricordato cosa si provasse, avrebbe potuto pensare che quest'uomo era quasi rattristato dalle sue reazioni attuali. Negli ultimi attimi si era limitato ad ascoltare le parole del suo interlocutore, senza accennare a controbattere. Il motivo? In quel ragionamento, non c'era una singola falla. Tutte le frasi che gli aveva sentenziato contro calzavano perfettamente, come le tessere di un enorme mosaico, oramai quasi completo.

    In un mondo senza emozioni ne' senso non avrei trovato neppure le parole per maledire la mia "Dea".

    La sua mano si era allungata nuovamente verso il tavolo, andando a prendere rapidamente le carte sparse sul verde tappeto, per rimescolarle nel mazzo. In seguito avrebbe appoggiato sul sostegno di legno l'intero gruppo di carte. La papessa? Gli amanti? La forza? No, quella farsa doveva giungere al termine, o non sarebbe mai riuscito a compiere il suo piu' grande obiettivo. Ritrovare i suoi sentimenti ed il suo essere dipendeva da una ed una sola cosa, mai presa in considerazione realmente fino a quell'istante.

    Mi piace scommettere, ma tutt'ora non punterei nulla sulla possibilita' che ho di ricordare chi ero. Tuttavia, non per questo sono costretto, ne' voglio continuare ad affrontare passivamente i miei giorni. Di certo le risposte che cerco non mi balzeranno in viso autonomamente.

    A quel punto farebbe scorrere tutto il mazzo sul tavolo, girando ogni singola carta con la faccia rivolta in su. Le carte non avrebbero nulla a che vedere con le illustrazioni precedentemente mostrate, anzi, apparterrebbero a tutt'altro genere: sfondo totalmente bianco, attraversato da null'altro che un grosso volto, unico protagonista dello stesso disegno; un vistoso cappello a bande verticali viola e verdi giaceva su di un volto totalmente perlaceo, sul quale spicca un grosso sorriso, dalle labbra rosso intenso. Non c'erano dubbi sull'identita' della carta in questione, che non aveva nulla a che fare con le arcane maggiori.

    Sono io il Jolly di cui ho bisogno per vincere la mano. Sono io a dover scegliere quando spuntare dal mazzo.

    Le carte a quel punto inizierebbero ad evaporare nell'aria, lentamente sbiadendosi, mentre rivoli di essenza grigia si distaccano dalle stesse salendo verso l'alto della sala, mischiandosi alle nuvole nebbiose che ancora circondano il soffitto. Lo sguardo del clown ha continuato a fissare fermamente i due fuochi luccicanti che dovrebbero corrispondere ai bulbi oculari dello scarlatto personaggio davanti a lui, senza mai evitarli.

    Sono io a decidere la direzione del Carro ed a fermare la Ruota della Fortuna, a sedere sul trono dello Ierofante e a sapere quando sorge il Sole. Il mio destino, passato, presente e futuro non e' nelle carte, ma nelle mie scelte.
     
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    Era sincero, quello sguardo? Oppure si trattava dell'ennesima sfida che un suo esaminando gli stava lanciando, rispondendo istintivamente alla rabbia che lui mostrava inavvertitamente? Non poteva dirlo. Non poteva saperlo. Ma di una cosa era certo: tutti potevano pronunciare quelle parole. "Prenderò in mano la mia vita", "Sarò io a scegliere il corso del mio destino"; facile a dirsi in una situazione del genere, però come avrebbe affrontato le persone con cui quelle frasi contavano qualcosa? Con il freddo sguardo di un Nessuno, o la maschera da giullare che rideva per disperazione? In entrambe le occasioni, Harold poteva vedere un buco gigantesco nel discorso che il suo esaminando aveva messo in piedi.

    -Spero che queste parole non diventino vuote, una volta che sarai uscito da qui.

    Harold strinse ulteriormente le sue mani a quelle parole. Non avrebbe voluto rispondere con quell'amarezza nella voce; anche solo un tono neutrale sarebbe stato abbastanza per far capire a Drexar quanto fosse seria la situazione. Poteva definirsi una "carta selvaggia" quanto voleva, ma quel termine poteva avere anche un altro significato, dal suo punto di vista.

    -Nello stato in cui ti ritrovi, sei malleabile. Vulnerabile. Suscettibile alle scelte altrui. Proprio come la carta che hai scelto per rappresentarti.

    L'uomo si alzò durante quel discorso, dissipando una parte della nebbia scarlatta che si trovava tra lui e Drexar. Non aveva scelto di seguire quella metafora a cuor leggero, perché sì, una parte di ciò che aveva detto era vero: sarebbe stato Drexar a scegliere cosa fare, chi ascoltare, dove combattere, e a quale causa dedicarsi. In teoria, ogni essere umano aveva quel diritto, e mantenere quella coscienza nonostante la trasformazione in Nessuno era ammirevole. Ma, allo stesso tempo, quell'ideale portava con sé qualcosa di molto più sinistro, il semplice fatto che, una volta uscito dal "mazzo", Drexar si trovava alla mercé di chi lo aveva preso sotto la propria ala. Non era il Jolly a scegliere il proprio valore, non era il Jolly a scegliere se essere utilizzato o se finire insieme alle altre carte scartate. E, come se questo non bastasse, c'era anche la possibilità che il suo destino venisse alterato da persone che lo vedevano come una semplice pedina. Dopotutto, la posizione di una carta si poteva calcolare, modificare con una mischiata del mazzo, e così via: se Drexar non fosse stato cosciente di cosa accadeva intorno a lui, sarebbe diventato nuovamente uno schiavo del Fato. Con queste tristi verità nel cuore, gli occhi di Harold tornarono sul suo esaminando, incapaci di esprimere la tristezza che in quel momento provava per le spine che risalivano lentamente la sua gola.

    -Se qualcuno ti promettesse di poter tornare a ridere sinceramente al costo di un'altra vita, tu crederesti alle sue parole?
     
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    Il discorso del clown era da poco giunto al termine e l'iracondo interlocutore sembrava esserne stato colpito, in un modo o nell'altro. Sia il suo modo di fare che il suo modo di presentarsi erano leggermente mutati da quando Drexar aveva pronunciato quelle parole. La nebbia scarlatta iniziava a diradarsi, e lo stesso figuro inizio' a pronunciarsi in modo meno aggressivo o provocatorio nei suoi confronti, quasi come se fosse preoccupato. Preoccupato per lui. La preoccupazione era forse uno degli stati d'animo meno compreso dal pagliaccio da quando era cambiato: un pescatore si dannera' allo sfinimento per la sua canna malandata, nonostante nel suo cuore egli sia certo che quella stessa canna si spezzera' sotto il peso di una semplice anguilla. La preoccupazione e' inutile. Illogica.

    Pensi davvero che siano colme di qualcosa?

    Si avvicinerebbe al suo interlocutore con fare serioso, arrivando infine a distare solo qualche spanna da lui. La luce adesso piu' pulsante, proveniente dal soffitto della "stanza" faceva nettamente risaltare il violaceo completo ondeggiante ad ogni passo, potendosi fermare solo dinanzi al cupo nero corvino delle scarpe. Il mazzo, ancora sparso sul tavolo, svanirebbe in coriandoli argentei nel giro di pochi secondi, preceduto da un semplice schiocco di dita del verdecapelluto.

    Signor Vendicatore Mascherato, ha davvero frainteso, probabilmente a causa dell'ambiguita' delle mie parole.

    Continuerebbe a fissarlo dritto negli occhi mentre pronuncia le sue parole, il clown manterrebbe la piu' totale compostezza nei suoi movimenti e modi. Malleabile? Vulnerabile? Molti avrebbero certamente tentato di manipolarlo prima o poi, in modi che non si potevano neppure sognare in quell'istante, e pochi sarebbero stati, probabilmente, gli aleati a disposizione del Nessuno. Ma gliene bastava uno per prevalere: la sua cinica logica. La capacita' di osservare con imparzialita' la situazione ed attuare in modo da poterne trarre il meglio per se' e per nessun altro.

    Puoi mescolare e cambiare le proprieta' al tuo Jolly quanto vuoi, ma e' sempre quella la faccia della carta. Un personaggio capace di diventare tutto e niente, sempre rimanendo se' stesso. Un elemento che non e' necessario per giocare, ma utile a vincere. Un simbolo che puo' sopravvivere solo per sempre. Non e' la carta a rappresentare me, no. Sono io a rappresentarla.

    Il rossovestito pose quindi un'ultima domanda al suo esaminando, con il pugno stretto e la voce piu' roca di quanto forse dovesse essere. Tornare a ridere sinceramente a costo di un'altra vita... Dopotutto, era quello il suo obiettivo principale, cio' a cui ambiva, ottenere la capacita' di provare emozioni e sentimenti. Il problema principale consisteva in una piccola questione che il mascherato probabilmente non poteva conoscere, una "clausola", se cosi' si poteva chiamare, nel ragionamento del folle clown. Doveva essere lui stesso ad acquisire un potere tale, non un suo eventuale committente.

    Tenterei ad ogni costo di ucciderlo. Cercherei di ottenere quante piu' informazioni posso su come questo abbia ottenuto una tale capacita'. Se si rivelasse una pista scadente, semplicemente cambierei strada.

    Era il suo obiettivo. Il perche' mai un altro uomo dovesse arrivare a carpire un potere del genere andava nettamente oltre le conoscenze del "giovane", ma non per questo avrebbe accettato di piegare la sua mente al volere di terzi in questione. Una collaborazione tra pari, ad esempio, sarebbe risultata decisamente piu' allettante...
     
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    No, non c'era niente di ambiguo nelle sue parole. Anche dopo quell'ultima spiegazione sulla metafora che aveva scelto per quella carta, le convinzioni di Harold rimanevano le stesse: in quel momento, il Nessuno era completamente malleabile. Perché no, il Jolly non poteva sopravvivere da solo. Fuori dal mazzo, quella carta era solo un pezzo di carta con sopra un disegno; e in certi giochi, veniva direttamente scartata perché inutile. L'orgoglio e le convinzioni potevano fargli pensare altro, ma se davvero voleva insistere per riassumere la sua filosofia con quell'oggetto, allora poteva anche aver speso gli ultimi minuti a parlare con un muro. Tuttavia, prima che la sua mente potesse controbattere in altro modo, il Nessuno decise di rispondere alla sua ultima domanda: se qualcuno gli avesse proposto una "cura" per la sua condizione al costo di una vita, come avrebbe reagito? Avrebbe creduto a quelle parole? Oppure avrebbe rifiutato a prescindere di mietere una vita per il proprio tornacconto? ... Purtroppo, il suo esaminando scelse una terza opzione.
    "Tenterei a ogni costo di ucciderlo"; questa, e le altre frasi che seguirono, fecero scattare qualcosa in Harold. Non aveva praticamente esitato per dargli quella risposta, ma come se non bastasse, aveva superato ogni sua aspettativa. Il suo tono era pieno di un orgoglio che non riusciva a identificare, una fredda determinazione, un egoismo che lo spingeva a considerare ogni individuo come uno "strumento", ripagando con la stessa moneta chi desiderasse fare lo stesso con lui. Ma neanche una punta di rimorso, né di repulsione per il metodo da utilizzare. Di fronte a quella spavalderia, il Giudice non riuscì a fare altro che ridere. Prima con moderazione, poi con più spirito, e dopo pochi secondi la voce di Harold rimbombò nel vuoto, aumentando la potenza di quella risata. Peccato che, più andava avanti, e più quella sua ilarità sembrava trasformarsi in un pianto disperato, anche se i suoi occhi, ormai fissi verso l'alto, non potevano versare lacrime.


    -... E io che credevo di essere schiavo della rabbia!

    Non sapeva se ridere o piangere. Credeva di essere l'unico? Oppure che quel fato giustificasse ogni sua azione per rimediare alle sue sventure? Che razza di ingenuo. Solo con un ringhio furioso l'uomo riuscì a riprendere un po' del suo contegno, ma non c'era modo per scacciare il velo di disgusto che pesava sulla sua nuca.

    -Potresti davvero andare avanti tagliando teste in quel modo, sacrificando senza esitazione le vite altrui? E se avrai trovato un metodo per tornare a essere umano, come giustificherai la scia di sangue che ti sei lasciato alle spalle?!

    Il passato si ripete sempre. Sfortunatamente, la sua esistenza gli aveva insegnato quella lezione con severità: raramente gli esseri umani si sforzano per trovare qualcosa che completi le loro mancanze. I tiranni non cercano di imparare l'empatia, chi soffre non smette di cercare un germe da incolpare per ciò che subisce, e chi ha perso il proprio cuore non si ferma a pensare a ciò che poteva arrivare dopo.
    La mano sinistra di Harold scattò come una frusta verso il basso, mentre la pressione delle sue dita sul guanto che le copriva creava uno squittio sordo di cuoio. Che avesse frainteso le parole del suo esaminando o meno, la pazienza dell'uomo aveva raggiunto il limite.


    -Quando il rimorso per le tue azioni ti raggiungerà, che scuse potrai mettere a tua difesa?!

    Con un ultimo, potente grido, Harold riportò il proprio sguardo sul giullare, con le fiamme dei suoi occhi che lo fissavano sfrigolando con rabbia. "Le mie azioni causano dolore? Peccato, non ho più empatia". "Non potete capire come ci si sente a non avere sentimenti". "Voglio solo ottenere ciò che ho perso". Scuse. Giustificazioni. Per quanto fosse facile ferire gli altri, con o senza un cuore, quelle frasi non erano che uno scudo, un paraocchi che proteggeva Drexar e i suoi simili dalle conseguenze delle loro azioni. Harold avrebbe ammesso prontamente la difficoltà della loro situazione: d'altronde, anche se si trovava in uno stato praticamente opposto al loro, questo non significava che non la comprendesse. Lui era uno schiavo dell'emozione da cui era nato, mentre i Nessuno soffrivano per il vuoto che i loro sentimenti passati si erano lasciati dietro. Lo sapeva, e a malincuore, lo accettava. Ma questa sua comprensione non si estendeva agli ideali della passata Organizzazione XIII.

    -... Solo perché non ti senti umano non significa che sia necessario abbandonare ogni straccio di buon senso o empatia che ti è rimasto, anche se strettamente dettato dalla logica. O hai un modo per provare il contrario?

    Un ultimo ringhio a mani strette, un ultimo stridio del cuoio che soffriva sotto alla pressione delle dita di Harold. Solo da quel momento in poi Gambler aveva il permesso di parlare, di controbattere col suo dolore silente o con la freddezza che caratterizzava la sua razza. Però poteva essere sicuro di una cosa: il Giudice non gli avrebbe dato nessun trattamento di favore. Se voleva tornare a ridere come un umano, Harold lo avrebbe trattato come tale, con tutte le conseguenze del caso.
     
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