Monkey Business: La mano nera

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  1. Frenz;
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    II


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    Lo sguardo di Egeria vagava ancora perso sui confini della città e sulla linea dell’oceano quando intravide la figura longilinea uscire dal bastione. La vide esitare un istante, sussurrare qualcosa tra sé e dirigersi a passo deciso verso di loro.
    “Il nostro committente”, considerò Egeria seguendo spenta la marcia dell’uomo. La brezza pregna di salsedine le scompigliò i capelli.
    Il commodoro Norrington era un uomo sui trenta. Alto e composto, indossava degli abiti formali e un cappello tricorno sopra la corta e ondeggiante parrucca bianca.
    Egeria si sistemò una ciocca dietro l’orecchio destro e sospirò impercettibilmente. Nonostante la sua nulla conoscenza delle tradizioni e dei costumi di quel luogo, intuire che quegli abiti e quel portamento appartenessero al “commodoro” le era risultato tristemente semplice. Il mento alzato. Le braccia dietro la schiena. Lo sguardo tronfio anche nel momento del bisogno. Gli uomini di potere -constatò deglutendo- erano riconoscibili ovunque.
    Norrington li aveva raggiunti. Lo vide squadrarli con espressione indecifrabile -delusione? Supponenza?-, ma Egeria distolse lo sguardo non appena l’altro cercò un contatto diretto con lei. Soltanto di sottecchi intravide l’inchino rivoltole: cortesia? Convenevoli? Non seppe dirlo e decise di non darvi peso. Norrington stava per parlare. Leggermente distaccata dagli altri, aguzzò le orecchie.
    «Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?» tono autoritario, volto inamovibile. Si rimise il cappello con un gesto impostato. «Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve...» sospirò col naso «Se, come temo, le creature che ci hanno tormentato negli ultimi giorni saranno puntuali come al solito, mancano pochi minuti al loro attacco, e vi dovremo mandare in vari punti della città per cercare di contenere i danni. Non sottovalutatele solo per l'aspetto, perché hanno ucciso a sangue freddo e ferito molte persone. Non mi riterrò responsabile per morti o ferite causate ignorando questi avvertimenti».
    Egeria abbassò leggermente le palpebre e il capo. Non faticava a credergli. Si trattava di heartless: sulle Isole del Destino aveva lei stessa avuto occasione di verificare la loro pericolosità. Nonostante l’aspetto quasi comico di alcuni di essi, sottovalutarli era -concordò mentalmente col commodoro- fuori discussione.
    «Avete qualche obiezione?» concluse Norrington.
    Egeria si sistemò lo zaino sulla spalla destra e si isolò, ponderando la domanda. No. Le sembrava tutto piuttosto chiaro. Li avrebbe divisi, e la cosa non le dispiaceva -captò un’istantanea del bizzarro gruppo di mercenari voltando per un istante il capo- per più di una ragione. Puntò un albero qualsiasi della foresta circondante la città e lasciò che tutto il resto sfocasse.
    «Nessuna obiezione, commodoro».
    Tornò alla realtà trasalendo. Non conosceva quella voce. Guardò l’uomo in nero ancora senza nome: no, non era stato lui a parlare.
    Ma allora chi?
    Una risata gutturale e profonda, modulata sugli stessi toni della battuta da poco udita, la fece trasalire una seconda volta. Le iridi viaggiarono di nuovo al circondario, fredde all’aspetto ma ansiose nei movimenti guizzanti. Nessuno. Non aveva parlato nessuno. Eppure non poteva averlo immaginato. La voce era così chiara, così vicina…
    La voce del commodoro richiamò ancora una volta la sua attenzione altalenante: «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.»
    “Questa creatura”? Il rettile? Squadrò l’interessato, dalla testa allungata che lentamente si allontanava dal volto del commodoro alla punta della coda: davvero poteva trattarsi di lui?
    Chiuse gli occhi e scosse la testa. No. No, non doveva pensarci. “Un po’ alla volta”, si ripeté. “Un boccone di realtà alla volta”. Ne aveva già ingurgitata abbastanza a Crescentia.
    Non devi accettare tutto insieme”.
    Non fece in tempo a visualizzare una scena rilassante: il rapido e quasi minaccioso avanzare dell’uomo in nero verso Norrington glielo impedì. Egeria distorse le labbra in un’espressione di contenuto fastidio.
    I volti dei due uomini erano a pochi centimetri, gli sguardi di fastidio dissimulato e astio palese si scontravano senza cedere.
    «In realtà sì, Norry» esordì il mercenario, frapponendo tra i due una mano aperta.
    Norry?
    «Ne ho quattro».
    La lista di insulti più o meno infantili che seguì fu per lo più ignorata da Egeria, che cercò di dissimulare l’imbarazzo e il disagio di trovarsi nella stessa compagnia di quell’uomo allontanandosi di qualche passo e tornando a esplorare il paesaggio con lo sguardo, l’udito e l’olfatto. Le non troppo occasionali volgarità, tuttavia, le resero piuttosto difficile anche solo fingere di apprezzare il tramonto che si avviava al crepuscolo oltre il molo.
    Una breve pausa la convinse a tornare a voltarsi; ma con suo disappunto, l’uomo in nero non aveva ancora finito.
    «Peeerò, potrei decidere di prendere a calci in culo queste bestiole che stanno mettendo in ridicolo la "MARINA DI SUA MAESTA' LA REGINA"»
    Espirò rassegnazione. Fortunatamente, Norrington sembrò prenderla fin troppo bene: «Sarete giustamente compensati per il vostro servizio» rispose, statuario, il sopracciglio alzato unico segnale d’irritazione «E se non desidera farlo per aiutare la Marina, tenga in considerazione che anche i locali che la interessano sono stati attaccati. In questo caso, una mano lava l'altra, sbaglio?»
    Egeria rilassò i muscoli, sollevata.
    Il mare sciabordò contro la pietra totalizzando l’agognato momento di silenzio.

     
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