Monkey Business: La mano nera

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Now drink.

    Group
    C.S.C.
    Posts
    20,608
    Reputation
    +83

    Status
    Anonymous
    La tensione si poteva tagliare con un coltello. Le porte delle abitazioni erano chiuse, le finestre sigillate da assi di legno, le strade bloccate da barriere improvvisate; vani tentativi di difendere Port Royal dall'attacco che stava subendo. E, per piantare ulteriormente un coltello arrugginito in quella ferita sanguinante, quella tortura non sembrava in procinto di terminare. Il sole era ormai calato all'orizzonte, lasciando solo una striscia sanguigna sulla superficie del mare, un triste monito di ciò che rischiava di accadere in quella nottata, un inquietante appuntamento che si ripeteva da ormai due giorni.
    Di fronte a un bastione in bilico sul mare, un uomo in una casacca militare blu fissava quella linea scarlatta, tirando un sospiro mentre il vento cercava di far volare via il suo cappello tricorno. Trasse un sospiro non appena le campane del forte suonarono, intimando il coprifuoco ai cittadini in quel momento di crisi: forse, alla fine, nessuno sarebbe venuto ad aiutarli. Così come erano soli nella lotta contro la pirateria, erano soli anche nella lotta contro quella piaga. Ma, ringraziando il cielo, questi pensieri vennero rapidamente scacciati dalla mente dell'uomo; non bastò altro che uno dei soldati chiamasse il suo nome, salendo di fretta le scale.


    -Commodoro Norrington!

    L'uomo si voltò lentamente verso il suo sottoposto, vestito in una simile casacca di colore rosso, che gli rivolse un saluto militare mentre cercava di riprendere fiato. Era giovane, come si chiamava già? Smith? Quasi non si ricordava, in mezzo a tutti i pensieri che lo avevano tormentato nelle ultime ore, ma di una cosa era certo: quello era l'individuo a cui aveva dato un incarico molto importante. Era il soldato che aveva messo a guardia del porto dedito a scambi con terre molto più lontane della sua patria. E, fortunatamente, aveva le notizie che sperava di sentire sin da quella mattinata.

    -Delle navi sono arrivate dall'esterno. Abbiamo motivo di credere che siano i mercenari da lei richiesti.

    Il commodoro si limitò ad annuire in silenzio, congedando il giovane e dirigendosi con passo deciso verso le scale che lo avrebbero portato verso il porto. E, con un sospiro, riuscì finalmente a togliersi un peso dal petto.

    -Era ora. Temevo di aver gettato il mio orgoglio per niente.

    Non avrebbe mai voluto chiedere un aiuto in quel modo, con o senza l'allenza che i diversi mondi avevano instaurato. Lui era un gentiluomo, e prima di tutto un soldato, quindi non si sarebbe mai permesso di coinvolgere altri negli affari che riguardavano il suo dovere. Sua Maestà aveva affidato a lui la protezione di quelle terre, e avrebbe preferito morire prima di rubare le forze di altri eserciti. Peccato che, in quel frangente, la situazione richiedesse delle misure drastiche. Ora non gli restava nient'altro da fare, se non andare a incontrare di persona i volontari che avevano deciso di rispondere al suo appello.

    CITAZIONE
    Scusate per il post iniziale un po' scarno, ma non voolevo perdermi in troppi convenevoli. In breve, nel prossimo post dovrete descrivere il vostro arrivo al porto, magari anche cercando di far conoscenza tra di voi, ma alla fine vedrete il Commodoro Norrington che avanza verso di voi per incontrarvi. Se avete bisogno di chiarmenti, a breve aprirò una discussione nell'area quest e ruolatori per chiedere e scambiarvi informazioni.
    E, prima che mi dimentichi, l'ordine di post sarà il seguente:

    Sheil'heit => Egeria => Flandre => Ayleia => Skorr'latheym

    Edit: Piccola dimenticanza, avete cinque giorni di tempo più possibili proroghe per rispondere alla quest. Andate in pace. E ho sbagliato i colori delle casacche. Risolto anche questo.


    Edited by AlexMockushin - 4/3/2016, 16:19
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    If I could buy Forever at a price, I would buy it twice ~

    Group
    C.S.CM.
    Posts
    12,995
    Reputation
    +31
    Location
    Dai meandri oscuri all'interno del web... Niente più iPod Touch.

    Status
    Anonymous
    -Allora, cosa hai detto che ne pensi?-

    Sheil'heit era seduta compostamente su una delle sedie della gummy-nave che la stava portando a Port Royal. Dal nome altisonante le sembrava un posto importante; da quando era arrivata in quello strambo ammasso di pianeti, aveva visto poco più che Radiant Garden e la Città di Mezzo. Non aveva mai avuto l'animo da esploratrice.
    Per i primi venti minuti di viaggio aveva guardato con stupore fuori dai finestrini, ma si era presto stancata del panorama, per quanto fantastico fosse.
    Per qualunque altro passeggero, Sheil'heit sarebbe sembrata una ragazza poco interessante intenta a guardare distrattamente il paesaggio.

    -Ho già detto che non mi importa, scimmie o aquiloni, ce li mangeremo tutti-

    La voce di Roth'raku arrivò seccata, quasi ringhiata: dopotutto non era la prima volta che Sheil'heit gli rivolgeva quella domanda. Era rintanato all'interno dell'anima della ragazza, e quest'ultima poteva vederlo chiaramente raggomitolato in un angolo, chiedendo di essere lasciato in pace dalle continue domande dell'altra.
    Eppure non avrebbe avuto il tanto agognato silenzio, quella era la prima e vera "missione" che Sheil'heit si era data, da quando era stata strappata ad Aramay. In un certo senso le mancava l'azione, ma come per ogni altra missione alla quale aveva partecipato, non riusciva a calmare i propri nervi per qualunque cosa sarebbe successa dopo.

    Dopo essersi congedata dalla vecchia Ceye, aveva ricevuto come consiglio quello di trovarsi un lavoro, visto che la vita non le avrebbe sempre dato un posto dove dormire e mangiare gratis.
    Non aveva potuto far altro che concordare, e il giorno dopo si era messa a cercare qualcosa da fare. Si aspettava qualche richiesta di mercanti per delle merci o altre cose semplici. Il trovare delle scimmie senza cuore che distruggevano un porto era tutt'altro che normale, e per questo l'aveva spinta ad accettare l'incarico.

    -Dai, non sei nemmeno un po' curioso del perché delle scimmie stanno distruggendo un porto?- domandò lei.
    -Nemmeno un po'.- le arrivò come fredda risposta.

    Sheil sospirò e, per il resto del viaggio, reputò bene non svegliare il drago che dormiva, lasciandolo in pace. Quando arrivarono in vista di Port Royal, la ragazza capì che si era stupidamente ingannata, per quanto riguardava la grandezza del luogo. Si aspettava un piccolo porto con una cittadina vicina, facile da prendere di mira per delle scimmie, non una fortezza con annesse navi e tutto il resto. Port Royal era un po'... più grande di quanto si fosse immaginata. E ben difesa, sembrava.

    La nave atterrò poco dopo, dolcemente, nel porto, scaricando a terra lei e altra gente. Non sapeva chi fossero, e non le importava più di tanto.
    Appena mise piede fuori dalla navicella, del fumo sembrò uscirle dalla schiena, e accanto a lei si formò un drago blu notte. La creatura non fece rumore, e si stirò in maniera simile a un gatto, mostrando le fauci aperte in uno sbadiglio grottesco.
    Leccandosi le labbra, guardò brevemente dove si trovavano e si sedette accanto a Sheil'heit, immobile.
    La ragazza non disse nulla, da quando aveva ideato un modo per farlo tornare in questo mondo a nulla erano valsi i suoi tentativi di far ragionare il drago e di fargli capire che una bestia di sette metri con delle zanne affilate non era proprio una vista da ignorare. Ormai, semplicemente, cercava di ignorare quando lo faceva, e di non spaventare ulteriormente chiunque fosse vicino a lei.

    -Prossima fermata?- chiese lui, chiaramente poco interessato alla faccenda, fissando il sole che scendeva lungo l'orizzonte.
    -Eh... ora...- le rispose lei, a disagio.

    Ora... avrebbe dovuto fare visita alla baracca della Marina Imperiale per aderire come volontaria per la sicurezza di Port Royal, come espressamente richiesto dal foglietto strappato e malamente piegato che aveva in mano. Il problema era che, nella sua totale ignoranza, non aveva idea di dove fosse lei e di dove potesse trovarsi questa baracca della Marina Imperiale.
    Si guardò attorno spaesata, era quasi notte e se quello che aveva letto nel bando di ricerca era vero, non era molto saggio farsi cogliere dalle tenebre impreparati.

    Fermando la prima persona che le capitò sotto mano, chiese gentilmente:

    «Scusi, sa dirmi dove posso trovare... le baracche della Marina Imperiale?»

    Si trattava di una signora abbastanza giovane, sulla trentina, ma che quasi le svenne tra le braccia quando parlò. La donna balbettò qualche parola e indicò tre direzioni diverse prima di farsi prendere dal panico e fuggire in preda al terrore, stringendo a sé la borsa che portava.
    Sheil'heit guardò per qualche secondo la direzione in cui era partita la sua unica fonte di informazioni, perplessa, prima di guardare Roth'raku.

    -Avrà avuto fretta.-


    Night Shadow
    Nei giorni che Sheil'heit è rimasta nella Città di Mezzo, ha lavorato su una magia che potesse ridare a Roth'raku il suo corpo originale insieme alla vecchia Ceye. Non hanno avuto successo, ma Sheil è riuscita a creare un prototipo che permettesse all'anima del drago di manifestarsi ed essere indipendente da lei. Anche se questa magia non è perfetta, permette comunque a Roth'raku di "staccarsi" e di formare il suo vecchio corpo dalle squame blu notte. Le sue dimensioni sono ridotte, rispetto all'originale: misura un metro e ottanta al garrese, ma con circa altri due di collo, e un corpo che, coda compresa, misura altri sei metri. In totale, sette metri di drago.
    Normalmente, un animale di quelle dimensioni peserebbe quasi due tonnellate, ma la magia è incompleta: da sotto le sue squame sembrerà uscire fumo, così anche dalla bocca, il suo corpo sembrerà etereo, se guardato bene, non ha peso e se prendesse un qualsiasi danno, sparirebbe in fumo per poi tornare attaccato a Sheil'heit.
    Questa evocazione, però, ha tutti i sensi dell'originale, e al tatto è solida.
    In Game: Questa abilità permette di evocare Roth'raku come manifestazione fisica indipendente. Essendo un'abilità a costo nullo, non potrà essere usata in battaglia, non può causare danno e dovrà essere disattivata al primo post di combattimento, se attiva [Attiva nulla di evocazione].


    Non ho mai giocato a KH, dunque le mie descrizioni del luogo potrebbero essere... campate per aria, avendo letto solo distrattamente la Wiki.
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Completi
    Posts
    10,335
    Reputation
    +196
    Location
    17

    Status
    Anonymous


    I


    Line-Divider2

    Non ebbe il coraggio di addentrarsi tra i vicoli affollati, né osò soffermare troppo lo sguardo sulla moltitudine sfaccettata di creature più o meno antropomorfe che oltre il molo si affollava per le strade.
    Crescentia, spazioporto.
    Impietrì e strinse forte la spalla dello zaino. Era troppo, troppo da assimilare in una sola volta. Dopo la Città di Mezzo e le sue luci, e i suoi profughi dalla pelle e gli abiti ogni volta diversi credeva di aver visto tutto. Credeva che da quel momento in avanti quell’universo a lei così nuovo potesse sì essere fonte di meraviglia e curiosità, ma non più di attonimento e timore e senso d’inadeguatezza. Si sbagliava. Quando era scesa dalla navetta non lo stupore, non la meraviglia, ma la sensazione di piccolezza e di soffocamento l’avevano inchiodata sul suolo ligneo.
    Troppo. Animali antropomorfi, alcuni più simili a mammiferi, altri a rettili; ammassi di edifici dall’architettura disordinata e scostante che si arrampicavano verso un cielo così azzurro da sembrare finto; navi di legno dall’aspetto antico che si libravano in cielo con la stessa facilità e leggerezza dei veicoli più tecnologici di Oriam; e poi folla, folla, folla ovunque, più di quanta ne avesse mai vista in tutta la sua vita. Folla che mercanteggiava ai lati della strada e sul ciglio del molo poco prima del baratro plumbeo, folla affaccendata, folla urlante, folla alienante, folla di colori e di rumori e di impressioni.
    Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi. Calma. Respira. Rilassa i muscoli. Respirò e rilassò i muscoli. E pensò. Una scena familiare, un ambiente soffusamente illuminato e accogliente. Un libro davanti a un tè dopo ore di studio e di lavoro e di allenamento. L’abbraccio di sua sorella, un raro sorriso di sua madre. Una tranquilla camminata tra le strade deserte di una fresca mattina di settembre.
    Espira. Espirò.
    Riaprì gli occhi e si scoprì respirare normalmente. Di fronte a lei, la folla non era più macchie e colori e rumori; solo folla, lontana e ininfluente. Era stata presuntuosa. Non poteva sperare di archiviare il panico, non poteva sperare di archiviare lo smarrimento; non ancora, non quando aveva visto così poco di un mondo così grande. Doveva capirlo, doveva metterselo in testa: tutto era possibile. Il suo mondo era lontano, e non importava più se non nei suoi ricordi e nelle sue speranze. Nuove regole, nuovi paradigmi, nuova vita.
    Sentì il bisogno di sedersi, così cercò un barile vuoto, abbandonato sul pavimento lastricato, e si sedette sopra di esso. Di fronte a lei passò un gruppo di marinai dalla pelle grigia e squamosa, ma cercò di non prestarvi attenzione. Raccolse le braccia al grembo e attese che la sua percezione si adattasse definitivamente a quella moltitudine di stimoli uditivi, visivi e olfattivi. Uno alla volta, senza fretta. Il rombo dei motori di un veliero. L’ondeggiare dorato delle sue vele mosse dal vento. Il lontano ma distinto odore di spezie esotiche. Era vero, tutto quanto; ma non doveva accettarlo tutto insieme. Un po’ alla volta. Un boccone di realtà alla volta.
    Scese dal seggio improvvisato con un saltello e si sistemò lo zaino in spalla. Cercò con gli occhi il punto di riferimento visivo che l’addetto nella nave le aveva raccomandato di seguire per trovare i moli diretti a Port Royal. La vide subito: una gigantesca gru di legno e ferro. Seguì le piastrelle bianche guardandosi gli stivali e solo occasionalmente alzando il capo al cielo. La vista della terra che si piegava su stessa davanti a lei le dette più volte le vertigini.
    Eppure camminò, accettando un po’ alla volta le strane leggi di quel sogno.


    Alla fine del tragitto i suoi pensieri avevano ripreso a scorrere normalmente. Era riuscita a focalizzarsi sulla missione e su quello che significasse, aspetti che per qualche istante aveva dimenticato: la speranza di una relativa stabilità economica, che la aiutasse a portare avanti le sue ricerche riguardo al suo pianeta per un po’ senza preoccupazioni; ma anche la possibilità di raccogliere informazioni sugli heartless, sui mostri che avevano attaccato sua madre e sconvolto in un solo istante la sua vita. Nella Città di Mezzo, le aree ad alto rischio di apparizione delle creature erano di stretta giurisdizione del Comitato di Sicurezza, che interveniva prontamente e tenendo a debita distanza i civili, ed Egeria non aveva intenzione di arruolarsi in un’organizzazione simile solo per avvicinare un heartless. Non poteva, non adesso. Le avrebbe portato via fin troppo tempo prezioso. Il lavoro di mercenario, per quanto più rischioso, aveva molti più lati positivi.
    Guardò in alto e vide la gru, prima lontana, svettare sopra di lei e oscurare il sole. Era arrivata. Cercò tra i barili e gli scatoloni e gli uomini indaffarati qualcuno che corrispondesse a una descrizione dell’addetto: “Si chiama Richard Colver”, le aveva spiegato “Uomo grosso e grasso, occhi porcini, porta sempre un cappellaccio grigio sopra alla testa rasata e un moschetto nero sulla schiena. Difficile da non notare.”
    E così fu. Gli occhi di Egeria non avevano vagato che per qualche secondo, quando si soffermarono sulla figura imponente e flaccida del capitano Colver. Stava in piedi sul ciglio del molo, poco prima della passerella che collegava la terraferma al grande veliero commerciale ormeggiato nel vuoto. Sbraitava ordini a decine di uomini che portavano in spalla barili e cassoni sul ponte della nave.
    Si fece avanti senza esitazione, ripetendo mentalmente il discorso che si era preparata.


    Richard Colver aveva fatto molte meno storie del previsto. Non appena Egeria aveva nominato il commodoro Norrington e l’annuncio, la faccia seccata e contratta dalle urla del capitano si era distesa in un’espressione di sorpresa prima e di riconoscenza poi.
    «Quel manichino impomatato si è deciso, finalmente!» aveva sputato tra le risate «Te lo dico io, quando ci sono gli heartless di mezzo è sempre meglio chiedere l’aiuto dei professionisti. Altro che orgoglio. Altro che onore».
    Egeria aveva annuito, sorpresa che il capitano non si fosse fatta pregiudizi sul suo aspetto. Evidentemente, i mercenari donna erano una realtà molto più diffusa di quanto non credesse. Colver l’aveva fatta salire subito dopo, pregandola di mettersi comoda e avvertendola che avrebbero levato le ancore a breve e che il tragitto era gentilmente offerto dalla Compagnia delle Indie Orientali. Egeria aveva creduto di percepire una sottile ironia in quelle parole, ma non ci aveva dato peso.
    Decise di non prestare troppa attenzione a ciò che avveniva intorno a lei e di individuare un posto appartato per sedersi. Adocchiò la rampa di scale che oltre la cabina del capitano saliva verso prua; vide che gettava ombra su un piccolo rialzamento che poteva fungere da seggio e si diresse lì. Attraversato il ponte affollato da marinai indaffarati poggiò delicatamente a terra lo zaino. Si sistemò nervosamente la giacca sulle spalle. Per quanto si sforzasse, non poteva fare a meno di notare gli sguardi degli uomini che la circondavano. Alcuni rapidi e curiosi, altri prolungati e inopportuni. Fortunatamente, Richard Colver tornò a urlare direttive poco dopo e anche i più ostinati si decisero a riprendere la marcia verso la stiva.
    Eppure si sentiva ancora osservata. Voltò rapidamente il capo verso sinistra, verso la passerella che aveva da poco percorso. Non vide un marinaio, non vide il capitano. Vide una ragazza. Esile, più bassa e più magra di lei. Forse anche più giovane. Portava i capelli corti, caschetto rosso intorno a un viso minuto; i grandi occhi verdi macchiati d’azzurro sembravano disorientati quanto i suoi e si agitavano in più direzioni, seguendo i movimenti agitati del suo corpo. Portava vestiti ampi e una spada dalla forma peculiare, segno che doveva essere una guerriera; forse sarebbero state compagne per quella missione, considerò.
    Distolse immediatamente lo sguardo, solo per incontrare quello di una seconda, rimasta appartata poco dopo la passerella. Ancora più giovane; ancora più piccola. Scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Doveva essere poco più di una bambina, valutò Egeria: dodici, forse tredici anni. Il corpo esile era avvolto da abiti a sbuffo, bianchi e rossi, che la facevano sembrare fuori contesto persino in quel caleidoscopio di culture e popoli diversi. Dietro all’ombrellino che portava per ripararsi dal sole, riusciva a malapena a scorgere i voluminosi capelli biondi e i grandi occhi rossi dall’espressione a quella distanza indecifrabile. Li incrociò per un solo istante: interesse? Non fu in grado di dirlo con certezza.
    Un ultimo grido di Colver annunciò che i preparativi erano terminati.
    «Levate le ancora, topi di sentina! Si salpa!»
    Egeria afferrò istintivamente il corrimano della scala vicina e strinse la maniglia dello zaino.
    Un rombo assordante. L’aprirsi quasi simultaneo di decine di vele argentate. E poi la propulsione, forte ma morbida, verso l’alto. La folla, i rumori e gli edifici si fecero lentamente più piccoli. Egeria osservò rapita ogni singolo movimento di quel veicolo che trascendeva la fantasia. Vide l’albero maestro riempirsi di luce e vide la luce irradiarsi alle vele spiegate, ora un mosaico di seta dorata. Vide i marinai tirare corde e spiegare le vele rimanenti. Sentì il rombo dei motori farsi più placido, mentre la nave guadagnava stabilità e galleggiava sofficemente a un centinaio di metri dal suolo. Vide un mozzo dalla pelle a scaglie abbassare una grossa leva posta sotto l’albero maestro, dalla quale si irradiò subito dopo un’onda violacea che percorse tutta la nave. «Gravità artificiale attiva!» urlò.
    Egeria non ebbe il tempo di riflettere su quelle parole, che Colver sovrastò in volume tutti i suoi pensieri: «RAZZI POSTERIORI!»
    Egeria strinse con forza il corrimano.
    La spinta fu brutale e il rombo assordante. Per qualche istante, Egeria fu costretta a chiudere gli occhi: sentì solo le raffiche di vento che le scompigliavano i capelli e cacofonie di rumori cozzanti.
    Durò poco, qualche secondo. Quando riaprì gli occhi, Crescentia era già lontana, sagoma sottile di luce in un mondo buio. Erano già nello spazio aperto, galleggianti tra lontane strisce luminose. Abbandonò il contatto sicuro col corrimano e fece un passo verso il parapetto. Fino a quel momento, aveva visto lo spazio soltanto attraverso piccoli oblò; vederlo in questo modo, aperto e infinito tutto intorno a sé era un’esperienza completamente diversa.
    «Prima volta su un veliero volante, signorine?» la destò Colver. Il capitano aveva lo sguardo rivolto verso l’alto, alle galassie e alle nebulose in lontananza.
    «Già.» sussurrò Egeria in risposta, la voce atona che tradiva appena la meraviglia.
    Colver rispose con una risata. «Godetevela, allora. La prima volta è sempre la prima volta». E detto questo si allontanò, agitando le braccia e berciando ordini.
    Egeria lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, poi tornò a volgere il capo di fronte a sé. Fu allora che vide di nuovo la ragazza dai capelli rossi. Del resto, Colver aveva parlato al plurale; da quanto le si era avvicinata? La squadrò rapidamente: sorrideva, anche se con evidente imbarazzo. Dall’atteggiamento, sembrava intenzionata a parlarle.
    «Ehm, ehi, anche tu diretta a Porto Royal?» le chiese infatti poco dopo la ragazza.
    Egeria la fissò per un solo istante, poi tornò a esplorare le stelle. «Per l’annuncio del commodoro», specificò. Quindi era davvero un’altra mercenaria.
    «Ah, forte!» rispose l’altra immediatamente, con una leggerezza che le sembrò quasi fuori contesto «Nel senso, anche io vado là per l'annuncio del commodoro».
    Egeria inspirò e portò una ciocca dietro l’orecchio. Quella ragazza sembrava persino più a disagio di lei: i suoi toni e il suo gesticolare erano in continuo mutamento, oscillanti dallo spensierato, al preoccupato, al nervoso. Decise di non preoccuparsene e di cercare con lo sguardo la seconda ragazza, la bambina. La trovò nello stesso posto e nella stessa posizione. La stava ancora fissando, espressione immutata. Aggrottò le sopracciglia e tornò a rivolgere il capo verso la rossa.
    «Quindi, hum, combatti anche tu. Sai usare la magia o qualche arma in particolare?»
    Egeria esitò. «Sì… chiamiamola magia» il pensiero corse al Kervion e a tutto ciò che significava; sorrise malinconica «E tu?»
    L’altra ricambiò il sorriso e sfiorò l’arma con le dita. Seguendo il suo movimento, Egeria vide un pupazzetto di peluche legato all’elsa; un gatto? Distolse subito lo sguardo e decise di non dare importanza alla cosa.
    «Con questa, in parte, ed in parte anch'io con la magia», continuava intanto la rossa, finalmente più a suo agio.
    Esitò ancora, indecisa se lasciar morire la discussione o sforzarsi di continuarla. In fondo, sarebbero state compagne in quella missione; valeva almeno la pena tentare.
    «Mh» farfugliò, ancora indecisa. “Coraggio”, si disse. “Coraggio. Non è difficile”. «Sono Egeria» riuscì in fine a sussurrare, con calma e compostezza. Incrinò appena le labbra in quello che doveva sembrare un sorriso, ma continuò ad evitare l’incontro con le grandi pupille verdi dell’altra.
    «Ah, piacere! Io- Ehm,» un istante di pausa «Ayleia».
    Egeria sospirò e annuì. «Piacere».
    Rumori in lontananza. Egeria alzò lo sguardo e ne identificò la fonte: la stiva. Già da un po’ le era sembrato di sentire colpi di tosse ed altri suoni indecifrabili, ma ora si erano fatti più forti e più vicini. Culminarono con il lento aprirsi della botola.
    Ne uscì un uomo imponente, vestito di pelle nera rovinata dall’uso. Sul volto squadrato cresceva un pizzetto caprino, nero come i suoi lunghi capelli scompigliati e i suoi occhi stretti. Non era un marinaio, o di certo non appariva come tale. Un altro mercenario? Ma in quel caso, perché si sarebbe trovato nella stiva?
    Lo fissò per un solo istante, e l’uomo ricambiò il suo sguardo. Ciò che vide negli occhi neri -malizia?- le fece aggrottare le sopracciglia e arricciare il naso.
    Affondò il mento nella sciarpa bianca e continuò a osservarlo di sottecchi. Lo stesso trattamento riservato a lei toccò anche ad Ayleia e alla bambina, per quanto nei confronti di quest’ultima la malizia e la sicurezza si erano trasformate in stupore e incredulità.
    L’uomo in nero sparì com’era venuto, tornando lentamente all’oscurità della stiva.
    Egeria scrollò le spalle e si sistemò la giacca. Non uno solo di quegli individui sembrava davvero degno di fiducia in un’ipotetica battaglia; ma del resto, lo stesso poteva dirsi di lei.
    Si voltò verso il seggio nei pressi delle scale e vi si avviò con passi calcolati. Si sedette e portò lo zaino al grembo.


    Il resto del viaggio fu tranquillo. Egeria aveva cercato di distrarsi leggendo e fissando il surreale panorama, ma più di una volta il suo sguardo si era posato con preoccupazione sui suoi “compagni”: su Ayleia, che aveva trovato un posto a sedere non troppo lontano da lei, sulla ragazzina bionda, che di tanto in tanto tornava a fissarla, e sulla stiva, dalla quale, però, l’uomo in nero non era più uscito.
    Quando la voce raschiante di Colver annunciò che erano giunti a destinazione sospirò e chiuse il libro, dirigendosi verso il parapetto sul quale l’imponente capitano era affacciato.
    La nave, nel frattempo, era entrata nell’atmosfera di Port Royal: il buio si sostituì all’improvviso ad un cielo al tramonto, la luce delle stelle più lontane fu eclissata da quella del sole. Un sole che, ormai quasi scomparso oltre l’orizzonte, rifletteva il suo arancione acceso sulla massa d’acqua che Egeria aveva imparato a conoscere come Oceano. Deglutì e tormentò la stoffa dei guanti, ricordi poco piacevoli che riaffioravano alla sua mente. Chiuse gli occhi e li scacciò.
    La terra era ancora lontana quando il veliero si adagiò delicatamente sull’acqua calma e il capitano ordinò di ammainare le vele.
    «Precauzione» le spiegò Colver «I porti di questo mondi non sono attrezzati per atterraggi aerei di veicoli così grandi».
    Annuì e osservò il suo riflesso frastagliato tra le onde.


    Solo quando le suole dei suo stivali incontrarono il grigio lastricato del porto si concesse un sospiro di sollievo; e solo allora capì quanto quel viaggio fosse stato drenante, lungo e semplicemente troppo. “Troppo”, rimarcò tra sé, memore delle considerazioni già elucubrate su Crescentia. Troppo da assimilare e provare tutto insieme. Ma ce l’aveva fatta. Era arrivata a destinazione e in fondo il resto non importava.
    Si guardò intorno, metà volto affondato nella sciarpa. Fortunatamente, Port Royal era molto più sobrio di Crescentia e della stessa Città di Mezzo: nessuna creatura aliena, nessun cozzare di culture diverse, nessun impossibile edificio a svettare su un cielo sempre uguale. Solo case di legno e pietra, separate da una ragnatela di vicoli lastricati e qualche occasionale edificio più alto, più particolare. Era diverso, certo; era nuovo, era ignoto, ma in una maniera sufficientemente leggera da inibire l’attonimento e permettere una tiepida meraviglia.
    Per qualche istante, lo sguardo atono di Egeria si perse lungo la linea costiera, sull’imponente fortezza di pietra che svettava sul mare, sulla vegetazione che oltre la cittadina si ergeva a confine del mondo civilizzato. Lasciò che alle sue orecchie fluissero i versi placidi dei grandi volatili bianchi che planavano sull’acqua, il brusio lontano delle persone che rientravano in casa, il frusciare timido delle onde e il loro abbattersi sulla pietra del porto.
    L’illusione durò poco. Fu spezzata da una signora presa dal panico, che fuggiva gridando verso il borgo. Gli occhi rossastri di Egeria vagarono alla ricerca della causa, e non faticarono a trovarla: una giovane donna, alta e dal fisico prestante, vestita di un’armatura che non aveva nulla a che fare con l’altrimenti armonico contesto del luogo; ma soprattutto, l’enorme creatura azzurra che le stava vicino, un’enorme lucertola alata. Scappando, la donna si era più volte girata verso di loro, come a controllare che il mostro non la stesse inseguendo.
    Strinse i denti e rifletté. Né l’una né l’altro sembravano avere intenzioni ostili. Visto il tempismo, la donna doveva essere un altro mercenario.
    Si sistemò lo zaino in spalla e si umettò le labbra. Dietro di lei, Ayleia, la ragazzina bionda e l'uomo in nero l'avevano già seguita sul lastricato, segno che sì: erano tutti lì per la missione. Voltò appena il capo, in modo da far rientrare tutti nel suo campo visivo. Attese asettica che qualcuno prendesse la parola.

    Chiedo scusa per la parte iniziale dal ritmo lentissimo e la parte finale dal ritmo velocissimo. Quando cominci a scrivere il giorno prima della scadenza cagate simili capitano :v:



    Edited by Frenz; - 9/3/2016, 08:52
     
    Top
    .
  4. Elation
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    ---------------------------------------------------------------------------------


    Quando aveva deciso di farsi guidare solo ed esclusivamente dal suo naso –letteralmente- per muoversi attraverso la città e, di conseguenza, attraverso i mondi, Flandre non si sarebbe mai aspettata niente di simile. Non che si fosse fatta chissà quali progetti o avesse immaginato chissà quali cose, ma di sbarcare –ancora, letteralmente- in un pianeta sospeso nel cielo, con “cose volanti” che non aveva mai visto prima, creature dalle forme e i colori –e gli odori e i sapori, immaginò- più disparati era completamente oltre le sue più sfrenate fantasie. Anche perché nelle sue fantasie si limitava a mangiare, dormire e vivere sazia e soddisfatta senza doversi preoccupare di nient’altro. Quelle sì che erano fantasie! Trovare cibo che soddisfacesse il suo palato non era mai facile: non era schizzinosa, si adattava e poteva vantare anche un certo spirito di sacrificio. Il problema era che i suoi pasti non erano mai all’insegna della pace e della tranquillità. Nessuno che decidesse mai di perorare la sua causa e di offrirsi spontaneamente a lei. Tutti scappavano, tutti si nascondevano, tutti la attaccavano “aah, un vampiro” e addio assaggini. Le ingiustizie della vita.
    Aveva seguito tre, quattro persone diverse, a seconda dell’odore più o meno invitante. Aveva pensato bene di riempirsi la pancia prima di andare alla conquista dell’ignoto. Sfoderata la sua più innocente espressione spaesata, la vampira si era comportata da brava bambina, era rimasta composta sulle due navette in cui era rotolata senza neanche rendersene conto, non aveva attaccato nessuno e si era divertita a escludere i possibili spuntini, dai sontuosi pasti, in caso le fosse venuta fare. Ipotesi più che azzeccata dato che viaggiare metteva effettivamente fame. Contenuta e composta, con vaghi rimasugli di educazione impartitile da Sakuya, Flandre aveva ignorato il basso brontolio, distinguendolo dall’appetito nero che la mandava fuori controllo.
    Crescentia, dunque. Meglio, quella che avrebbe scoperto essere Crescentia dopo una brevissima conversazione con un fastidiosissimo signorotto in bianco. Aveva cominciato a guardarsi intorno da poco: persone nuove, creature mai viste, metà animali, metà umane, più strane di lei. Ed era tutto dire, perché una bambina con delle ali di metallo sulle spalle e dei cristalli dei colori dell’iride che pendevano e tintinnavano come parte integrante di esse non era uno spettacolo da tutti i giorni. Un uomo l’aveva fermata, con il suo ombrello, il suo monocolo, la sua bombetta bianca e il suo fiore appuntato al taschino. Flandre si era voltata verso di lui, gli occhi grandi grandi mentre ringraziava la sua fortuna sfacciata. “Ti sei persa”, “Crescentia non è un posto per bambini”, “hai bisogno di aiuto” e altre balle varie che il suo bel faccino dava da intendere senza troppi problemi. Aveva trovato qualcuno in grado di calmare il suo languorino. Le possibilità erano due: o le offriva una bistecca, o Flan gli avrebbe estorto una bistecca. La bistecca come costante, era da vedersi il tipo di carne in questione.
    «Ti posso aiutare a trovare mamma e papà,» le aveva detto, dopo essere giunto tutto da solo alla conclusione che lei dovesse essere accompagnata. Flan, dal canto suo, non aveva dato direttive e fatto anche solo intuire il contrario e l’aveva seguito docile docile, adocchiando l’ombrellino e un morso di quell’uomo ben oltre la soglia dei cinquanta.

    Cinque minuti dopo, Flandre sbucava da un vicolo pacifica e sazia, con un ombrellino a ripararla dalla fastidiosa luce del sole, leccandosi le dita e spolverandosi il vestitino rosso. Trotterellò allegra sulle mattonelle della strada, ignorando sguardi perplessi e occhiate torve, serena sotto il suo parasole aperto. La percentuale di esseri umani era piuttosto bassa, constatò. Meglio, poteva assaggiare specialità di altri pianeti. Non le era andata male con il suo primo stuzzichino, ma c’era sempre posto per un dolcetto. Seguì un uomo, poi una donna, poi un essere strano dal muso molle, poi un altro uomo, poi una ragazza. Così si dilettò per un’oretta, girando a vuoto e fotografando con lo sguardo tutto ciò che le potesse interessare, dal punto di vista culinario. Non che ci fosse molto da osservare. Costruzioni assurde, magazzini di smercio, approdi, mercato, gente che si spingeva –Flandre che chiedeva educatamente il permesso e la mandria che si spostava per lasciarla passare-, urla, strepiti, schiamazzi. Avrebbe anche potuto ammazzare qualcun altro, e probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto. Seguì da debita distanza una massa gelatinosa che ciondolava sul selciato, finché un’altra con ben quattro paia di zampe non attirò la sua attenzione; perse interesse quando scorse un mammifero volante che planava basso e osservava l’attività sotto di sé. Se fosse riuscita a salire su uno di quegli animali avrebbe potuto puntare tutte le prede del mondo. Si fece guidare verso il molo da una frotta di quei volatili che si appollaiavano sui pennoni delle navi. Loro vivevano di istinto e Flandre amava seguire l’istinto: messe le due cose insieme, l’avrebbero sicuramente condotta verso una sicura fonte di cibo. Senza rendersene conto, schivando silenziosa un uomo grasso che pestava venendo nella sua direzione, aveva percorso la passerella di imbarco di una nave, con il suo ombrellino aperto, la sua camminata leggera e il suo sorrisetto innocente. Nessuno le disse niente. Ricambiò qualche occhiata perplessa inclinando il capo e chinandosi leggermente in avanti in segno di saluto, ben conscia che dare il via ad una rissa che si sarebbe concentrata tutta contro di lei su una nave che contava un equipaggio di almeno –le contò con lo sguardo, quelle visibili sul ponte e sul molo- dodici, tredici persone non sarebbe stata una scelta saggia. E visto che nessuno l’aveva ancora cacciata via, Flandre stabilì di voler viaggiare su quella nave e, se il viaggio verso chissà dove fosse stato lungo, di mangiarsene qualcuno e buttare i resti giù dalla nave per tenere a bada il suo appetito. Semplice, lineare, pulito.
    Si sistemò contro il parapetto e abbassò le palpebre in una penombra luminosa per ascoltare meglio i suoni intorno a sé; lo stormire del vento, le vele ammainate che sbattevano contro il legno, ordini ai marinai, lo schiamazzo dei lavori. Si guardò intorno: uomini, rozzi, brutti, strani, antropomorfi –qualcuno-, puzzolenti. Estremamente puzzolenti. Tutto in quel posto puzzava di fogna. Stantia, vomitevole fogna. Due odori diversi tagliavano quel mare di disgustoso fetore: sottili, quasi conosciuti. Simili all’odore della Città di Mezzo e di Radiant Garden. Odori rimasti impressi sugli abiti, sulla pelle, odori di luoghi in cui era già stata. Non erano del posto. Sollevò leggermente l’ombrellino, inclinandolo all’indietro e sondò con lo sguardo le persone sul ponte.
    E come non notarle? Ragazze, intanto. Nessun energumeno pustoloso imbevuto di alcool e di unto in potenza. Due ragazze vestite tutt’altro che da marinaie. Due mercenarie. Flandre si leccò le labbra con un ghigno sottilissimo. Sarebbe stato divertente. Poteva puntare su di loro, in caso le fosse venuta fame. Attività ricreativa e pasti inclusi. Una delle due si voltò verso di lei, probabilmente sentendosi osservata. Oh, aveva a che fare con un pasticcino sospettoso. Erano i suoi preferiti. La vampira ammiccò appena nella sua direzione, facendole capire che sì, era stata notata e stava guardando proprio lei.
    Il rombo dei motori e l’improvviso rollare della nave le annunciò che probabilmente stavano lasciando Crescentia. Flandre richiuse l’ombrellino, e continuò a fissare dritto di fronte a sé. Si isolò nel mondo in scala di grigi nella sua mente, con punte colorate e sature solo intorno a quegli oggetti, a quelle persone che avevano suscitato in lei un interesse superiore alla norma. Le sue orecchie si tesero, il suo corpo assorbiva tutti gli spostamenti e le correnti d’aria, galleggiava. Era come quando correva sui tetti, solo più veloce, più forte, con più potenza. Bello, bello, le piaceva.
    «Prima volta su un veliero volante, signorine?»
    Flandre sollevò una sola delle due palpebre. Ci mise un po’ per mettere a fuoco il tutto. Il gorilla che aveva schivato stava parlando con le due ragazze. Tese le orecchie e si concentrò sulla conversazione in corso in quella direzione. La giovane dai capelli neri parlava poco, a voce bassa, e non sembrava molto convinta di voler essere su quella nave. L’altra se ne stava alle sue spalle, in attesa, aspettando di essere notata, come se volesse dire qualcosa di particolare.
    «Ehm, ehi, anche tu diretta a Porto Royal?»
    Port Royal…?
    «Per l’annuncio del commodoro
    Annuncio del commodoro? Quella nave stava andando verso una meta precisa per un motivo preciso?
    «Ah, forte!» Flandre inclinò il capo dall’altro lato, perplessa; «Nel senso, anche io vado là per l'annuncio del commodoro». Ah, ecco.
    Bene, fantastico, anche lei stava andando a Port Royal per l’annuncio del Commodoro, recitò un paio di volte nella sua mente. L’aveva scoperto giusto in quel momento e le stava bene. Se qualcuno gliel’avesse chiesto, anche lei stava andando a Port Royal per l’annuncio del Commodoro, tutto chiaro. Flandre sorrise ancora, innocente. Troppo innocente. Poi avrebbe dovuto scoprire cosa fosse un commodoro.
    «Quindi, hum, combatti anche tu. Sai usare la magia o qualche arma in particolare?»
    Sì, ecco, ecco. Quella era una cosa che le interessava ampiamente. La magia, puah, che cosa orribile. Col senno di poi, si rese conto, anche lei era in grado di usare la magia. Ma in mano ad altri la trovava piuttosto fastidiosa. Soprattutto se usata come mezzo principale per combattere. Cosa c’era di divertente nel distruggere i propri avversari con attacchi magici quando a mani nude si potevano fare cose molto più piacevoli e soddisfacenti? Bah.
    «Sì… chiamiamola magia. E tu?»
    Evviva. Una maga. O qualcosa del genere. Flandre assottigliò leggermente le palpebre, contrariata. Una maga era dura da digerire.
    «Con questa, in parte,» la vide accennare alla sua spada. A quella stupida spada. Qualunque spada a confronto della Laevateinn era un giocattolino. Pfft. «…ed in parte anch'io con la magia.»
    Ma che palle.” Doveva stare attenta. Molto attenta. Per ora non aveva fame, ma in caso fosse capitata un’emergenza, forse era meglio puntare davvero su qualcuno dell’equipaggio, piuttosto che su una di loro due. Non voleva avere l’altra contro. E fronteggiarle tutte e due non sembrava essere proprio la scelta più saggia e sicura. Mannaggia.
    Egeria.
    Ayleia.
    Troppo simili quei due nomi. Probabilmente li avrebbe scambiati, l’uno con l’altro, Probabilmente non le avrebbe mai chiamate per nome. Probabilmente arrivata a Port Royal, Flandre se ne sarebbe andata per la sua strada, girando a caso la città. Molto più divertente che fare la posta a due ragazzine che non sapevano neanche tenere in piedi una conversazione. Un filo di odore fetido la raggiunse. Flandre subito si guardò intorno cercando di capire da dove provenisse. Suoni. Suoni sotto i suoi piedi, suoni lungo tutto il legno della nave. Flandre si leccò le labbra. Un’altra preda? Un nemico? Il suo stomaco che riverberava per tutta la struttura del vascello? Una qualunque di quelle opzioni le sarebbe andata benissimo. Cominciava ad annoiarsi. Ascoltare i discorsi degli altri poteva intrattenerla per poco. Dopo un po’ diventava noioso, e se non trovava qualcosa con cui intrattenere le mani probabilmente avrebbe finito con il sedersi per terra e il lamentarsi di non essere a caccia. Cosa da non fare con due mercenarie a bordo e a… dieci, quindici, venti metri di distanza.
    La stiva. Flandre tese i muscoli e i suoi occhi brillarono interessati. Si alzò il portello della stiva e sbucò un uomo incappucciato. Un barbone. Cosa ci faceva un barbone sulla nave del Pommodoro? Aveva un odore orribile, un misto di alcool, vomito e strada. Tutti quegli odori che aveva sentito passando nei vicoli della città di mezzo, nelle periferie di notte. Tutti quegli odori che associava ai senza tetto che molto spesso avevano colmato la sua fame più nera. Ecco chi avrebbe potuto far sparire. Per niente curato. Fetido, probabilmente anche nell’alito e nelle viscere. Abbandonato a sé. Il viso stravolto e stordito. Incrociò il suo sguardo per un istante e Flandre lo guardò con un’occhiata a metà tra la promessa di mettere fine alle sue sofferenze e un patto non siglato di non belligeranza che lei stessa avrebbe potuto infrangere, se le cose si fossero messe male. Giurò a se stessa di non farsi prendere la mano e di non attaccare nessuno di loro se non in caso di estrema necessità. L’uomo tornò nella stiva, e Flandre dichiarò superfluo indagare ancora con un’alzata di spalle.

    Sbarcarono a Port Royal. Il barbone era uscito dal suo nascondiglio e sì, come aveva immaginato, puzzava come una latrina. Almeno, per il suo naso. Aveva annusato di peggio, concesse. Se non altro, di positivo c’era che quell’odore era più che sufficiente a soffocare di quel tanto che bastava il suo appetito.
    «Puzzi di morto,» sussurrò all’uomo vicino a lei, che a quanto pareva era più in forma del previsto, nonostante il viso ammaccato. Una constatazione pura e semplice. Mentre da Ayleia ed Egeria si irradiavano fragranze neutre, pulite, fresche e mescolate con le note peculiari della loro pelle, da quell’individuo Flandre non riusciva a carpire particolari informazioni. Nemmeno cosa fosse. Perché se di fronte a sé era sicura di avere due ragazze con un cuore più o meno equilibrato, da lui percepiva un segnale disturbato e una sensazione opprimente.
    «Beh, e tu sei alta un cazzo e una ciliegia.»
    Flandre batté le palpebre senza capire e si girò appena verso di lui.
    «Che cos’è un “cazzo”?» domandò perplessa.
    Lo vide titubare: «Urk... Mmm. Come dire.»
    Un frutto? Una verdura? Un tubero? Una parte del corpo umano di cui non sapeva il nome? Perché Flandre mangiava tantissime cose, ma molte non sapeva neanche cosa fossero. Realizzò lentamente che magari non si trattava neanche di qualcosa di commestibile, e visto che quell’uomo sembrava metterci tanto a risponderle, probabilmente era un oggetto e basta.
    «Meh, se non si mangia non mi interessa.»
    Fece un passo oltre, superando l’uomo che continuava a camminare sulla nuda pietra. Poi si voltò indietro, come per cercare una smentita o una conferma. Scrollò le spalle, più che mai convinta che quella conversazione fosse ormai finita.
    «Però, in un certo qual senso, si può 'mangiare' come un ghiacciolo, eheheh…»
    Un fruscio, un sussurro consapevole, non rivolto a lei. Ma Flandre era abituata ad ascoltare ciò che le persone avevano da dire anche quando non volevano essere sentite.
    «Un ghiacciolo non si mangia. Si lecca.» commentò piccata, ancora, a tutt’altro volume rispetto a quello dell’uomo. Che trasalì. Non se l’aspettava, vero? Non si aspettava che lei sapesse cosa fosse un ghiacciolo. Viveva da quasi cinquecento anni, era stupido pensare che non sapesse cosa fosse. Era una bambina intelligente, in fondo.
    «Oh mer-»
    Flandre storse il capo.
    «S-Si, hai ragione, si lecca, si lecca.»
    Ecco visto? Aveva ragione. Be’, qualcosa che non conosceva era commestibile. Doveva scoprire dove trovarlo e assaggiarlo. Si allontanò di tre, quattro passi, avvicinandosi alle altre due più avanti, lasciando il barbone dietro di sé.
    Port Royal non era un granché. Vecchia, senza dubbio. Piena di profumi stantii, di acqua salata, di pesce marcio. Viaggiò con lo sguardo annoiato lungo tutto il molo, seguendo i profili delle barche, delle abitazioni distanti accarezzate dal sole morente, della lucertola gigante blu, del- una lucertola gigante blu? Le piacevano le lucertole! Aveva già mangiato lucertole! Arrostite erano stuzzichini quasi migliori delle dita scottate. Quasi. Si strofinò le mani. Una lucertola gigante, era il suo giorno fortunato. Neanche lei sembrava parte di quell’ambiente, a giudicare dalla donna che correva urlando nella direzione opposta. Quindi forse poteva andare che anche lei fosse lì per l’annuncio del Com… Commo… Pomodoro e, arrivata a quel punto, mantenere la facciata di mercenaria che aveva deciso di imbarcarsi per una missione di cui non sapeva assolutamente niente poteva essere estremamente utile. Cosa avrebbe dovuto fare, non era un problema. Finché si trattava di togliere dai piedi qualcuno o qualcosa, lei ci sarebbe sempre stata. In più, forse, avrebbe potuto mangiare lucertola come spuntino di mezzanotte.

     
    Top
    .
  5. M a g e n t a
        +1   -1
     
    .

    User deleted





    L7VHwIZ


    Con una gioia affatto celata dallo sciocco sorriso che indugiava sul suo volto, Ayleia continuò a camminare in mezzo a quella folla variegata che sembrava invadere ogni singolo angolo di Crescentia. Chiudendo appena gli occhi, una mano stretta attorno al borsellino, in modo da non venire scippata dei suoi pochi risparmi il primo momento che si fosse distratta, e l'altra attorno all'elsa della spada, inspirò a pieni polmoni l'aria di quel piccolo asteroide, assaporando con l'olfatto gli aromi e gli odori di quello che era, letteralmente, un mondo così differente dal proprio. Attorno a lei il brusio si fece più forte, mentre le urla di marinai e di venditori di bancarelle sovrastavano e sommergevano le voci di chiunque parlasse con un tono anche solo lontanamente normale. Anche se il porto di Crescentia era pieno di delinquenti, tagliagole appostati in vicoli bui, pronti ad uccidere per una manciata di munny, e la peggio feccia di probabilmente mezzo universo conosciuto, non riusciva a non sentirsi quasi a suo agio, all'interno della sensazione di disagio che, in realtà, permeava il suo corpo di fronte a quegli esseri così minacciosi e, in un certo senso, terrificanti. Forse era perché sapeva di essere normale rispetto a loro, che la sua paura di essere anomala veniva spazzata via dal vento di fronte a quegli esseri così bizzarri. Il sorriso adesso leggermente meno aperto, come se la felicità che la pervadeva fosse improvvisamente diventata timida e si vergognasse a fare capolino tra le sue labbra, abbassò il capo, osservando le pietre grige dei moli, distogliendo lo sguardo dalle case e dagli edifici che si arrampicavano l'uno sull'altro attorno a lei. Forse, se tutto fosse andato bene, sarebbe anche riuscita a stringere un qualche tipo di rapporto con i mercenari che l'avrebbero accompagnata, visto che, con tutta probabilità, anche in mezzo a loro non sarebbe stata così “anormale” come invece era nel suo mondo. L'idea di poter nuovamente sentirsi libera di stringere un nuovo legame dopo tutti quegli anni in cui si era proibita e aveva avuto paura di concedersi quel “lusso” la riempiva sia di paura che di febbrile eccitazione, similmente a quando da bambina arrivava la notte del 24 dicembre e andava a letto con la speranza di essere stata abbastanza buona durante l'anno da poter ricevere un regalo da Babbo Natale.
    Tirandosi da sola una ciocca di capelli, si riportò alla realtà: no, quella non sarebbe stata di sicuro un'avventura allegra o spensierata. Concentrandosi e tornando seria per pochi attimi fece un veloce riepilogo della informazioni che aveva. Port Royal, Heartless, attacco, nave da Crescentia, munny come ricompensa per i loro sforzi. In silenzio annuì più volte a se stessa. Sin dal momento in cui aveva visto il bando, non aveva potuto fare a meno di pensare che quella missione era semplicemente un'occasione d'oro. Quando era partita, in fondo, non era del tutto una bugia quella che aveva detto ai suoi genitori: il voler conoscere nuove culture ed esplorare nuovi mondi era una prospettiva estremamente interessante ed eccitante e aveva presto scoperto che lavorare come mercenaria era probabilmente il modo più veloce per viaggiare e, nel frattempo, guadagnare qualche soldo. Aveva paura, un po', di cosa la stava aspettando, ma aveva già combattuto contro gli Heartless, diamine, era quasi una cosa quotidiana se si passava per alcuni vicoli della Città di Mezzo invece di prendere le strade principali, quindi poteva dire di avere, e anche a buon ragione, se doveva essere sincera, abbastanza fiducia nelle proprie capacità. Distratta dai suoi pensieri, il richiamo brontolante del suo stomaco, scatenato dall'odore che con forza si era insinuato nelle sue narici, la riportò alla realtà dello spazioporto, facendo riaffiorare la folla ed il chiasso che la circondavano. Il suo cervello impiegò qualche secondo a metabolizzare l'insieme di aromi che l'aveva raggiunta. Carne, unta, grassa e odore di pane o qualcosa estremamente simile. Scuotendo la testa e stringendo le dita attorno alla stoffa ruvida dell'elsa della sua arma, cercò di ignorare la fame che le aveva invaso lo stomaco, concentrandosi su quello che doveva fare. Sapeva il molo, la zona le era stata indicata e, almeno secondo l'orologio che portava al polso, mancava circa una mezz'ora scarsa, prima dell'orario di partenza. No, anche se era vicina, almeno da quanto aveva capito e da quanto il suo senso dell'orientamento le stava suggerendo, preferiva non concedersi distrazioni o di rischiare di perdere la nave.
    La destra in tasca, a giocare distrattamente con la cerniera del portamonete, e la sinistra poggiata mollemente sull'elsa della sua arma continuò a camminare, osservandosi attorno, concentrata sui moli e sui cartelli che indicavano il loro numero via via crescente. Senza mai perdere d'occhio dove si trovava, tornò ad osservare il mondo attorno a sé, spiando gli abitanti di quel nuovo universo che le passavano accanto, senza nemmeno degnarla di un'occhiata, osservando le abitazioni e gli edifici, magazzini e negozi, per lo più, che vedeva affacciarsi sulla zona dei moli, esponendo le mercanzie più particolari, oltrepassando a testa bassa un ispettore doganale che stava litigando animatamente con quello che sembrava il capitano di uno dei vascelli, inspirando nuovamente a pieni polmoni la sensazione di libertà che provava e che l'insieme di quegli odori, sia sconosciuti che non, le portava.
    Eco di una voce calma, femminile, poco distante, alle sue orecchie giunse il nome “Norrington”, facendo risuonare un campanello d'allarme all'interno della sua mente. Con un pelo d'ansia ad irrigidire tutti i suoi movimenti, cercò attorno a sé il cartello che indicava il numero del molo a cui si trovava, continuando ad insultarsi da sola per la sua distrazione. Sollevata, cercando di riacquistare la calma e la compostezza perdute pochi secondi prima, confermò che le cifre sul cartello corrispondevano a quelle che le erano state indicate prima, assicurandosi di aver raggiunto la propria destinazione e complimentandosi ironicamente con se stessa per l'attenzione e la concentrazione che stava dedicando alla missione.
    Tentando di non farsi notare, si avvicinò con quanta più nonchalance possibile all'origine della voce che le aveva impedito di perdere la nave, identificandola nella ragazza dai capelli scuri che stava ancora parlando con un uomo dalle dimensioni, sia in lungo che in largo, decisamente imponenti, più simili a quelle di un Blu Ciccio che a quelle di un essere umano normale, si ritrovò a pensare tra sé e sé Ayleia.
    Nervosa, tenendosi a debita distanza, la schiena dritta ed i muscoli del corpo tesi, seguì la ragazza a bordo della nave, ignorando il baratro che si apriva oltre l'instabile passerella sotto i suoi piedi, troppo concentrata, un'espressione di finta sicurezza sul volto, a non pensare alle rare occhiate dei marinai che venivano lanciate nella sua direzione, mentre l'odio e la paura di essere osservata e giudicata le facevano sudare le mani. Odio e paura, in realtà, completamente ingiustificati, continuava a ripetersi mentalmente: non era di sicuro la più strana a bordo di quella nave, un paio di occhiate attorno a sé e la vista di due marinai dall'aspetto molto poco umanoide confermarono ciò, e, così come l'uomo che aveva sentito si chiamasse Colver non sembrava impressionato dal fatto che due ragazze, di cui una armata, fossero salite a bordo -la prima delle quali aveva esplicitamente detto di starsi dirigendo a Port Royal per l'annuncio del Commodoro- le faceva sperare che le sue paure si sarebbero dimostrate molto presto infondate.
    Sospirando pesantemente, si accasciò a terra, appoggiandosi con la schiena ad uno dei parapetti di prua, osservando il cielo perfettamente azzurro che splendeva sopra di lei. Non era un bel cielo, quello di Crescentia, lo ammetteva: un colore troppo acceso, troppo saturo, che tradiva la sua natura artificiale, privo di nuvole o di impurità, se non i rari fumi dei camini e degli impianti di riscaldamento delle case che occasionalmente, sparsi lungo la superficie ricurva di quel peculiare asteroide, ne offuscavano la limpidità. Per qualche secondo rimase ferma lì, occhi sbarrati su quel finto cielo oltre il quale non si potevano vedere le stelle.
    «Levate le ancora, topi di sentina! Si salpa!»
    Improvviso, l'urlo profondo di Colver la riportò alla realtà, riscuotendola dai propri pensieri. Leggermente frastornata, scosse la testa, alzandosi in piedi con una spinta delle braccia, decisa ad osservare l'uscita dallo spazioporto e a non lasciarsi più incatenare da quelle paure che in quel luogo erano assurdamente ingiustificate.
    Con un rombo terribilmente forte, i motori iniziarono a muovere il veliero, prima con uno scatto leggero, che minacciò di destabilizzarla per un secondo, seguito da un'accelerazione più dolce e graduale. Battendo gli occhi, entusiasmata da quello spettacolo così eccitante, Ayleia si aggrappò al parapetto in legno, sporgendosi appena oltre, in modo da osservare meglio il lento allontanarsi degli odori e degli edifici di Crescentia sotto e dietro di loro. Lo sguardo fisso sul porto ed i suoi abitanti, la giovane si spostò indietro, verso la poppa della nave, la mano che scorreva sul parapetto ruvido, sollevandosi da esso solo laddove le sartie salivano verso l'alto, stringendo, allora, le corde tese.
    «Gravità artificiale attiva!»
    Un urlo percorse la nave, il tono più calmo di quello di Colver, mentre un'onda violacea partiva dall'albero maestro, investendo tutte le superfici del veliero. Istintivamente, come se temesse di scottarsi o di prendere la scossa, Ayleia allontanò la mano dalle corde, intimorita dal fenomeno a cui aveva appena assistito. Ridacchiando per la propria sciocchezza -come se avesse davvero potuto provare dolore per qualcosa il cui compito era tenerli assicurati al ponte ed impedire di farli andare alla deriva nello spazio profondo- fece per aggrapparsi nuovamente alla sartia.
    «RAZZI POSTERIORI!»
    Con una spinta impressionante, lo spostamento d'aria causato dall'improvvisa accelerazione del veliero la colpì in pieno, prima che potesse stringere nuovamente qualcosa per tenersi in piedi, facendola cadere a terra a faccia avanti, mentre il rombo dei motori copriva il suo urlo di sorpresa.
    Ridacchiando e gemendo assieme per la forza del colpo, la testa incassata tra le spalle e la patetica speranza che nessuno l'avesse vista, si rialzò in piedi con tutto il contegno di cui era capace, massaggiandosi appena il naso con la sinistra. Lo stupore la invase con un'ondata calda, piacevole, mentre il suo sguardo si perdeva nell'oceano stellato che la circondava. Preda della meraviglia e con una strana gioia che le sussultava all'interno della cassa toracica, si sporse nuovamente oltre il parapetto, osservando Crescentia, oramai ridotta ad un sinistro sorriso luminoso contro il blu dello spazio, allontanarsi. Senza pensare, si spostò ancora più indietro, continuando ad ammirare lo spettacolo che la circondava, fissando le strie luminose, dei colori più disparati -oro, verde, rosa, azzurro- contro lo sfondo blu scuro, quasi nero dello spazio, costellato di infiniti puntini splendenti, tutti piccoli diamanti incastonati sullo sfondo, più numerosi di quelli che si vedevano dalle gummiship o nei cieli notturni della Città di Mezzo.
    «Prima volta su un veliero volante, signorine?»
    Con uno scatto, si voltò all'indietro, ritrovandosi ad osservare il fisico imponente di Colver e accorgendosi solo in quell'istante della figura dell'altra ragazza, a poco più di un metro di distanza.
    «Già.»
    Con un sussurro, l'altra giovane rispose a quell'uomo mastodontico che benevolo le osservava entrambe dall'alto della sua massa, un sorriso furbo stagliato sul volto gonfio. Troppo imbarazzata per rispondere anche lei, Ayleia arricciò una ciocca di capelli attorno al proprio dito, gli occhi puntati verso il legno del ponte, sobbalzando appena quando Colver esplose in una risata.
    «Godetevela, allora. La prima volta è sempre la prima volta.»
    Sorridendo leggermente anche lei in risposta alla risata dell'uomo, la giovane alzò di nuovo lo sguardo, solo per accorgersi che l'altra ragazza la stava osservando. In silenzio ricambiò lo sguardo, il sorriso timido ancora a piegarle le labbra, indugiando sui capelli scompigliati dal vento -grazie al cielo a lei piaceva tenerli corti- e gli occhi rossi, scuri, che sovrastavano il naso e le labbra sottili.
    «Ehm, ehi,» Con un leggero movimento della mano, come se la stesse salutando, cercò di parlare, la voce che tremava leggermente. Era da anni che attendeva un momento simile, il giorno in cui avrebbe potuto provare, almeno, ad instaurare un rapporto con qualcun altro, senza dover iniziare sin da subito a nascondere parti di se stessa o della propria natura, e l'emozione accumulata durante tutto quel tempo si stava facendo sentire.
    «anche tu diretta a Port Royal?»
    Con fare noncurante tentò di creare un contatto, un punto da cui iniziare a parlare e conoscersi, poco importava che si trattasse di una domanda stupida, portata con una voce nervosa, leggermente tremane, la cui risposta era assolutamente ovvia.
    Lo sguardo freddo, assente, quasi, la giovane la osservò per un istante, senza proferire parola. Leggermente a disagio, Ayleia si gratto una guancia, osservando un punto non meglio definito alle spalle e in basso rispetto alla mora.
    «Per l’annuncio del commodoro»
    La voce sottile, l'altra si voltò verso il paesaggio che li circondava, interrompendo quel contatto che stava cominciando a diventare imbarazzante.
    Con un sospiro di sollievo, felice, forse troppo, che l'altra avesse risposto, sorrise caldamente.
    «Ah, forte!»
    Troppo entusiasmo.
    Mordendosi appena il labbro inferiore nel tentativo di impedire alle parole successive di uscire dalla sua bocca con lo stesso tono pregno di felicità che aveva accompagnato quell'esclamazione, abbassò lo sguardo, cercando di contenersi e calmarsi.
    No. Non era forte. Andare a combattere degli Heartless che stavano gettando nel panico un intero mondo non era affatto forte. Con un deglutizione più pesante del normale, si affrettò a riprendere fiato e a parlare di nuovo, questa volta senza sembrare completamente folle.
    «Nel senso, anche io vado là per l'annuncio del commodoro.»
    Meglio, molto meglio. Il tono si era fatto più neutro, anzi, più serio, meno fuori contesto. Un sorriso timido che continuava a fare capolino tra le sue labbra, si voltò anche lei verso il mare di stelle che le circondava, asciugandosi nervosamente le mani sudate contro l'interno delle tasche della felpa che portava. Non aveva idea di cosa l'altra stava pensando di lei, ma non era sicurissima di aver fatto un'impressione propriamente positiva. Si sentiva a disagio, in realtà. L'altra le sembrava così distante e distaccata da darle una strana aura fredda attorno, una sensazione che non sapeva bene se prendere per timidezza o indifferenza.
    Il silenzio era calato pesantemente tra di loro, ponendo un freno, o per meglio dire, fermando completamente la conversazione. Lentamente, con un gesto fluido che aveva un qualcosa di calcolato, la mora si voltò. Inseguendo il suo sguardo, Ayleia girò il capo, fermandosi ad osservare la bambina dall'altro lato della nave, che le osservava di rimando. Piccola, sui… cinque anni, forse? No, forse un po' di più. Bionda, occhi rossi, più saturi e vividi di quelli della mora tuttavia, un paio di propaggini che le spuntavano dalla schiena, da cui pendevano cristalli dai vari colori, la giovane le stava guardando con un sorriso leggero, un ombrellino bianco chiuso tenuto in una delle mani affusolate e sottili. Ancora leggermente distratta dalla figura della bambina, si voltò nuovamente verso la ragazza.
    «Quindi, hum, combatti anche tu.»
    La voce titubante, la frase che uscì dalla sua bocca era a metà tra un'affermazione e una domanda.
    «Sai usare la magia o qualche arma in particolare?»
    Ecco, questo era qualcosa che le interessava davvero, non una domanda solo per fare i convenevoli e parlare del più e del meno: conoscere quali abilità o quali poteri possedevano coloro che la circondavano, quali anomalie -almeno secondo gli abitanti del suo mondo- questi individui possedevano. Quello la incuriosiva.
    «Sì… chiamiamola magia» Con un pizzico di esitazione nella voce, la mora le rispose, non soddisfacendo minimamente la sua curiosità. Gli angoli della bocca si abbassarono un po', mentre iniziava ad arrendersi all'idea che la sua compagna di viaggio non era una persona socievole o desiderosa di stringere amicizia. «E tu?»
    Con un sorriso malinconico, la domanda uscì dalle labbra dell'altra. Leggermente rincuorata da quella prima domanda, ricambiò il sorriso, pensando a come rispondere. Se la sua interlocutrice non era entrata nei particolari delle sue capacità, probabilmente avrebbe fatto meglio a fare lo stesso e non trascinare oltre quel dialogo così peculiare.
    Più rilassata di prima, toccò con delicatezza la sua spada, accompagnando le sue parole con quel gesto.
    «Con questa, in parte, ed in parte anch'io con la magia.»
    La voce uscì più normale, questa volta, meno tesa. Non avrebbe chiesto altro: non voleva continuare quella conversazione così… strana, se voleva essere ottimista con le definizioni.
    «Mh» Pronta a congedarsi, si preparò a chinare appena la testa in segno di saluto e trovare un luogo dove sedersi.
    «Sono Egeria»
    Con un sussulto accolse il nome dell'altra. Non era brutto, come nome: semplice, non troppo complicato da pronunciare o ricordare, veloce da dire, nel caso fosse servito chiamarsi in battaglia. Timidamente ricambiò il sorriso, il primo che le sembrava sincero e non velato da malinconia che l'altra le offriva, mentre si scopriva felice che la mora si fosse fidata o aperta abbastanza da rivelare come si chiamava.
    «Ah, piacere! Io- Ehm,»
    Esattamente come prima, l'entusiasmo aveva preso il sopravvento su di lei e, esattamente come prima, si morse il labbro inferiore, cercando di darsi un contegno. Velocemente espirò un po' d'aria, rilassando i muscoli e mettendo sul volto un'espressione appena più neutra di prima.
    «Ayleia.»
    La tensione nella voce si sentiva, era evidente, ma il resto del suo corpo non tradiva l'emozione che provava.
    «Piacere»
    Con un accenno leggero di risata, accettò quel saluto cortese. Forse Egeria non era fredda e apatica, ma solo timida e insicura, molto più di lei, quantomeno.
    Un colpo sotto i suoi piedi la fece trasalire. Sentiva qualcuno tossire, dalla stiva, muoversi con passi pesanti e strascicati sotto di loro. Perplessa, le sopracciglia inarcate, osservò la botola che portava ai piani inferiori sollevarsi lentamente, facendo uscire un uomo dalla stazza imponente, ma dal volto anonimo: occhi marroni, capelli neri striati di grigio, lineamenti rozzi e privi di grazia o bellezza. Senza aver ancora distolto lo sguardo aveva già dimenticato come era fatto quel viso. In silenzio si scrollò di dosso qualsiasi pensiero inerente quella faccia, pensando all'uomo solo come alla sua stazza e agli abiti che indossava, mentre, arricciando il naso, accoglieva l'odore di vomito che si era portato dietro, cercando di non tenere a bada la nausea. Per un istante incrociò lo sguardo dell'altro. Un brivido, una sensazione di disagio, fredda, appiccicosa, estremamente sgradevole le percorse la schiena, bisbigliandole all'orecchio “pericolo”. Infastidita, simile ad un gatto, assottigliò le palpebre, soffiando contro l'incappucciato. Era come quando si trovava di fronte ad un Heartless e la cosa non le piaceva. Per niente.
    Esattamente inquietante come quando era apparso, l'uomo si richiuse la botola dietro, scomparendo nelle viscere del veliero.
    Scacciando con un brivido e scuotendo la testa le sensazioni che quell'uomo le aveva lasciato addosso, si mosse verso la poppa del vascello, sedendosi contro il parapetto, vicino alle scale su cui Egeria si era messa comoda a leggere. La mente serena, alzò lo sguardo verso l'alto, osservando nuovamente l'universo che scorreva attorno alla nave e gli spettacoli di luci che lo riempivano, illuminandolo.

    CuxkbT5

    Con un sussulto si risvegliò, la luce del sole al tramonto che le colpiva gli occhi e le urla di Colver che le riempivano le orecchie. Leggermente frastornata da quel pisolino fuoriprogramma, si asciugò con la manica il rivoletto di bava che le stava colando da un angolo delle labbra, mentre le sue narici coglievano l'odore penetrante della salsedine. Con uno sbadiglio, allargò le braccia, stiracchiando gli arti intorpiditi dalla posizione scomoda con cui aveva dormito. Non aveva idea delle ore che erano passate da quando si era addormentata, ma si sentiva la schiena tutta indolenzita. Aggrappandosi al legno scuro del vascello, si alzò in piedi, osservando l'oceano che sciabordava placidamente contro il ventre del veliero, lasciando una spuma bianca sul rivestimento di gummiblock. In silenzio si voltò verso i propri compagni, concentrando il proprio sguardo su Egeria, la quale stava ammirando le onde dell'oceano, concentrata. Riposata e rilassata, sorrise appena, di fronte a quella vista.

    CuxkbT5

    Camminando lentamente, scese dalla nave, cercando di riabituarsi alla stabilità della terra ferma, la quale, dopo tanto tempo passato su quel vascello, le sembrava star ondeggiando pericolosamente. Con un respiro profondo restò ferma per qualche istante, la destra portata alla tempia, come se volesse reggersi la testa mentre questa tentava di scacciare l'abitudine di assecondare il lento ondeggiare della nave. Bene. Andava meglio, adesso. In silenzio, senza pensare troppo al mare, riprese a camminare, tenendosi pochi metri dietro ad Egeria, a poca distanza dall'uomo della stiva e dalla bambina con le ali strane.
    «Puzzi di morto»
    Non poté farci molto: era troppo vicina per evitare di sentire quello che i due si stavano dicendo e, in tutta onestà, avrebbe preferito che un individuo che puzzava di vomito e di cui non si sapeva bene la provenienza, come quello, per l'appunto, non parlasse con una bambina. Bambina di cui non aveva ancora visto i genitori, a proposito.
    «Beh, e tu sei alta un cazzo e una ciliegia.»
    ...Appunto. Leggermente stordita e stupefatta da quel commento, proprio come se fosse stato rivolto a lei, piuttosto che alla bambina, irrigidì le spalle, storcendo la bocca in una smorfia contrariata.
    «Che cos’è un “cazzo”?»
    Senza pensarci due volte aumentò la velocità del proprio passo, determinata a non voler sentire una parola di più di quella conversazione e ancora di più a non essere trascinata in mezzo.
    «Urk...» Decisamente “urk”. «Mmm. Come dire.»
    In silenzio, una nota acida nei suoi pensieri, augurò buona fortuna a quel perfetto sconosciuto che sperava ardentemente non sarebbe stato un suo compagno di missione, pensando, allo stesso tempo, a quanto era fortunata a non trovarsi nella situazione in cui lui si trovava al momento.
    «Meh, se non si mangia non mi interessa.»
    Con tono svogliato, la bambina liquidò innocentemente l'argomento. Il calo della tensione e il rilassamento che l'uomo stava provando erano palpabili. Forse perché, neanche troppo in fondo, erano anche i suoi. Espirando lentamente, un sorriso tranquillo sul volto, rallentò il passo: non c'era più bisogno di scappare.
    «Però, in un certo qual senso, si può 'mangiare' come un ghiacciolo, eheheh…»
    Nella sua mente la domanda sorse spontanea: “Ma è un coglione?”
    La risposta seguì l'istante successivo: “Sì.”
    Va bene che lo aveva detto sottovoce, ma sarebbe stato meglio solo pensarle quelle cose di fronte ad una bambina, soprattutto quando ci si è appena salvati dal dover spiegare l'apparato riproduttore e cosa fosse un “cazzo” ad una bimba che non dimostrava più di sei anni.
    «Un ghiacciolo non si mangia. Si lecca.»
    In pochi istanti la gradazione di colore della pelle del suo volto raggiunse quella dei suoi capelli. Quello era troppo: non sapeva se dover iniziare a ridere o se provare a trasportare con una qualunque scusa l'uomo lontano dalla bambina, impedendogli di fare altre gaffe che avrebbero potuto portare a risultati assolutamente imbarazzanti. Forse era meglio non fare niente e tentare nuovamente di accelerare il passo, in modo da non venire coinvolte. Incassando la testa tra le spalle decise per l'ultima opzione.
    «Oh mer-»
    Sempre più convinta della propria decisione, si affrettò ad accelerare ulteriormente il passo, raggiungendo Egeria.
    «S-Si, hai ragione, si lecca, si lecca.»
    Improvviso -e, in tutta onestà, abbastanza gradito considerando la conversazione che si stava svolgendo alle sue spalle- un urlo acuto la raggiunse: una signora correva, preda del panico, gettando occhiate spaventate attorno a sé. Cauta, mise una mano sull'elsa della propria arma, pronta a sfoderarla per combattere. Gli occhi si mossero velocemente, cercando la causa del terrore che aveva afferrato la popolana. Causa che, considerando quanto era appariscente, non era proprio da cercare: un… drago? Almeno quello che credeva e le sembrava un drago, anche perché non avrebbe avuto altri termini con cui descriverlo: molte, troppe a dire il vero, somiglianze con i libri che leggeva da piccola, quelli dove i cavalieri andavano a salvare le principesse rinchiuse nelle torri più alte e sorvegliate da terribili draghi cattivi. Non troppo perplessa -aveva visto di peggio a Crescentia- abbassò la mano, osservando il rettile e la donna che gli stava vicino. Nessuno dei due sembrava pericoloso o intenzionato a far loro del male, anzi, la giovane sembrava persino perplessa, come se non si aspettasse una reazione simile dalla donna che era scappata. In effetti, chiunque avesse viaggiato per una settimana o poco più tra i mondi non sarebbe rimasto molto sorpreso di fronte a quella che sembrava una strana coppia, quindi non la biasimava per questo. Senza proferire parola, strinse le labbra, inarcando un sopracciglio. Di sicuro non era la più “anormale” da quelle parti.


    Tutto sommato per essere il primo post in assoluto con la nuova piggia, non mi dispiace.
    Edit: editata grandezza font, una "t" di meno in "soprattutto" ed un pezzo di frase. Possibili altri edit in arrivo.



    Edited by M a g e n t a - 28/2/2016, 01:01
     
    Top
    .
  6.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Metal God

    Group
    Heartless
    Posts
    91
    Reputation
    +4

    Status
    Anonymous
    Pezzo-Sopra-3.0-1
    pezzo-in-basso-a-sinistraPLAYpezzo-in-basso-a-destra
    La ragazza a cavalcioni sopra Skorr'lathyem si tolse il reggiseno.
    «Beh, diamine
    Doveva ammetterlo, ne aveva viste di tette in vita sua, sia prima che dopo la possessione - non sempre in carne ed ossa, purtroppo - ma ogni volta era come la prima!
    Allungò una mano per tastare quel soffice angolo di paradiso, ma lei gliela scacciò con uno schiaffetto. Quindi voleva farsi desiderare, eh? Per stavolta si sarebbe adeguato, si sentiva stranamente bene.
    Lei si chinò verso la sua fronte, sfiorandola con la lingua.
    «Eh, eh, se Skorr non va alle montagne, le montagne vengono da Skorr!» ridacchiò lui, preparandosi a un incontro ravvicinato della terza taglia! Abbondante.
    In quel momento, la sua fronte divenne oscenamente umida.
    «Ehi, non esagerare là sopra, se hai voglia di leccare c'è altro, cazzo!» grugnì, infastidito.
    Una fitta di dolore partì dalle sue tempie, facendogli aprire gli occhi.

    Si trovava in uno stanzone scuro e umido, con pareti di legno e un'umidità infame e bastarda; una gocciolina continuava a cadergli precisa precisa in mezzo agli occhi.
    «Porca troia.» boccheggiò, trattenendo a forza un conato di vomito e cercando di prevenire l'imminente esplosione della sua scatola cranica.
    Rantolando, iniziò la tipica checklist:
    - Emicrania? - «Ce l'ho.»
    - Nausea? - «Nngh»
    - Sensibilità alla luce? - Voltandosi verso la sua sinistra, incontro un singolo raggio di luce, proveniente da una porta socchiusa. I suoi occhi presero fuoco. «Mmm, quello è normale.»
    - Diarrea? - Alcuni rumori provenienti dall'addome lo convinsero a prepararsi a correre il prima possibile a un cesso. E a chiamare un esorcista.
    Bene, un post sbornia coi fiocchi! La giornata sarebbe stata, dunque, dedicata all'autocommiserazione, all'ultraviolenza e ad altro alcool!
    Ma prima di tutto. «Dove cazzo sono?»

    Con molta calma, Skorr'lathyem si erse in piedi, barcollando appena. Giramento di testa. 1, 2, 3. A posto.
    «Maledetta l'umanità.» sputò, assieme a un po' di catarro misto a bile. - Toh, ieri doveva essere giorno di frattaglie "Al Mozzo Sgherlo" - constatò, osservando pezzettini di cibo che erano volati dalla sua bocca, coperti di succhi gastrici.
    Un rumore ronzante raggiunse la sua ottenebrata mente; nelle vicinanze doveva esserci qualche sorta di motore o simili...
    - No. Non di nuovo. No dai... - una forte sensazione di Deja Vù assalì il nostro amichevole metallaro di quartiere, il quale infilò, con la stessa foga con cui si svuota un tacchino, una mano in tasca, alla ricerca di qualche prova che avrebbe confermato le sue paure.
    Trovò un foglio, malamente strappato agli angoli, che recava una qualche altisonante richiesta d'aiuto.
    Sospirando e digrignando un po' i denti, estrasse un taccuino dalla tasca interna sinistra del giubbotto, assieme a una biro; strappò malamente il tappo coi denti e, su una pagina che recitava "Servizi militari o civili a cui mi sono iscritto da ubriaco", aggiunse "Marina Reale di sua Maestà la Regina", sopra a "Inserviente alla Casa di Riposo 'Anni Dorati' di Crepuscopoli" ma sotto a "Giovani Marmotte di Radiant Garden". Niente può battere le GM di Radiant Garden! Aveva imparato a intessere cestini di vimini, a identificare la dieta di un cerbiatto esaminandone la merda!
    La situazione non era neanche delle peggiori, si era guadagnato un viaggio gratis per Port Royal! Un ampio giro delle peggiori bettole e taverne, un paio di scherzose risse qua e là, qualche sollazzo con una o più signorine scostumate e via, si sarebbe imbucato su un'altra nave per poter tornare a casa e poi chiudere la serata in bellezza, correndo nudo attorno al Ring di Sabbia pisciando copiosamente! Questo, perlomeno, era il piano di Skorr'lathyem prima di emergere dalla stiva in cui si era risvegliato.

    Un meraviglioso paesaggio accolse gli occhi stanchi di Skorr'lathyem. Dolci collinette, acerbe ma pregne di una bellezza tutta loro, si rincorrevano, coronate da sublimi areole velate di bianco; distese rocciose, attraversate da crepacci, attiravano lo sguardo vagante del viaggiatore stanco. Ovviamente, queste sono tutte sottili e sagaci metafore per le tette e i culi! Specificatamente, quelli di due ragazze che se ne stavano in piedi a una decina di metri da dove era sbucato l'eroe che quest'universo, in fondo in fondo, sa di meritarsi.
    - Spio coi miei piccoli occhietti... Una rossa e una nera. -
    La voglia, scatenata dal sogno di prima poi brutalmente repressa dalla nausea, cominciò a rimontare nell'animo di Skorr'lathyem... E nelle sue mutande.
    Entrambe si girano a guardare nella sua direzione, molto probabilmente richiamate dal rumore cigolante della stiva che si apriva; erano entrambe molto carine, forse un po' carenti dal punto di vista mammario, ma con dei bei corpicini sodi, come piacevano a lui! Il loro taglio di capelli era molto simile, sebbene i colori fossero agli antipodi: la più vicina ce li aveva neri come la pece, mentre quelli dell'altra erano di un rosso molto forte, non sapeva come descriverlo. Era una sega coi colori.
    Le due risposero all'invitante e malizioso sguardo di Skorr'lathyem con disgusto e apprensione... - Stronze! -
    Ma in fondo se l'era anche un po' cercata: doveva essere un bijou, con la puzza di vomito, le movenze di un bradipo zoppo e fatto di metadone e lo sguardo da mongoloide.
    Quegli occhi così sgargianti, prima o poi li avrebbe visti contorti in espressioni di profano piacere, era una promessa! Certo, non manteneva quasi mai le promesse, ma qua ci avrebbe messo più impegno del solito.
    Doveva solo trovare una doccia, un caffè scadente, qualche bicchierino di rum a fare da richiamino e poi sarebbe tornato all'attacco con tutto il suo charme, per portarsi una delle due "nel backstage", come amava dire... O forse tutte e due, si sa come sono quelle dall'aspetto pudico e innocente!
    Per ora, comunque, era meglio sprofondare nuovamente nella cripta, dato che, con ogni probabilità, era abusivo su quella cazzo di nave, e meditare su come mettersi in mostra di fronte alle due tiz-
    Uno sguardo affilato come un coltello lo trafisse svariate volte. Sconvolto, Skorr'lathyem trovò in pochi attimi la fonte, una ragazzina bionda, casualmente appoggiata al parapetto della nave che lo squadrava; era vestita come una di quelle bambole di porcellana che si vedono spesso nei negozi di antiquariato, con un abito svolazzante e una cuffietta, con in mano un piccolo parasole chiuso.
    Ma non era il suo aspetto fisico che lo stava spaventando, bensì l'orrore che quel corpicino nascondeva.
    Da quando aveva ottenuto una forma fisica, gli pareva quasi di sentire la forza che si celava dentro ogni essere che incontrava, con risultati più o meno precisi. Nel caso di quella ragazzina, sentiva che, se avesse voluto, avrebbe potuto fare tranquillamente a pezzi buona parte dell'equipaggio, senza neanche stropicciarsi il vestito.
    Negli occhi della bambina c'era un velo di sufficienza, mentre fissava Skorr'lathyem come un affamato avrebbe fissato un pezzo di pane raffermo. Cionondimeno, a quello sguardo mancava, fortunatamente, ostilità.
    Grato per non aver incorso l'ira, o la fame, di quell'essere, Skorr'lathyem scivolò nel suo antro sicuro, la stiva, spossato da questo "incontro", e si lasciò cadere a terra.


    HEADER-COI-FIOCCHI2

    La sera prima, in un vicolo buio e oscuro di Crescentia.
    Una pila di casse se ne stava in un angolo, un sorcio di mezzo metro zigzagava circospetto, un uomo era appoggiato al muro, più di là che di qua.
    «Ugh.» mormorò l'ormai facilmente riconoscibile Skorr'lathyem. L'odore acidulo di vomito gli riempiva le narici, ci aveva proprio dato dentro; due dita in gola appena uscito dal pub e via, quattro spruzzi.
    Lentamente chiuse gli occhi. Pessima idea.
    L'intera esistenza cominciò a vorticare furiosamente, come una giostra impazzita, come un tifone, come... Dannazione, ho finito le analogie.
    Con sommo sforzo, riaprì gli occhi. La situazione non migliorò, ora non era l'esistenza a vorticare, bensì il vicolo in cui si trovava.
    «FANCULO!» gridò a pieni polmoni, alzandosi di scatto, rischiando tra l'altro di cadere faccia a terra nel suo stesso vomito, e menando un sonoro cazzotto contro il muro. «Puttana la vita!» scosse violentemente la mano, che sembrava sul punto di rompersi dal dolore. Cionondimeno, ne menò un altro.
    Ora che l'adrenalina era ben entrata in circolo, il giramento e la nausea si calmarono, lasciando spazio a un'altra ben più importante sensazione: la voglia di far casino. Voltò lo sguardo verso il punto che aveva preso a pugni e notò, con una punta d'irritazione, che il muro era illeso. Certo, non si aspettava di sfondarlo - Sai che figata!? - ma almeno una qualche sorta di crepa sperava di averla inflitta.
    «Beh fanculo.» e ricominciò il suo girovagare attraverso quel covo di ubriaconi beceri, lerci e rissosi. Ah, che paradiso!
    Mentre barcollava per una strada, uno strano tipo con dei tentacoli verdastri che sbucavano da dietro la nuca e munito di due paia di occhi completamente neri gli sbatté addosso. «Guardua duovue vuai, dueficiuentue!» gli sibilò contro, con uno strano accento.
    Skorr'lathyem fece un sorriso a trentadue denti; era tutta la sera che aspettava qualcosa del genere. Sentiva quel gallone di birra che si era scolato insieme a quei bastardi giù alla Locanda del Topo Morto ribollire nelle sue vene e il rum gli stava salendo nella testa.
    Tese all'inverosimile i muscoli del braccio destro, fece rapidamente un mezzo passettino indietro, poi scaricò in avanti un bel montante sul lato sinistro del costato del malcapitato, portando in contemporanea in avanti la gamba destra, mettendoci così tutto il proprio peso.
    Che dolce suono, quello delle costole che s'incrinano e dell'aria che fugge dai polmoni. Ecco cosa mancava per coronare una bella gita fuori porta: una sana rissa!
    L'altro si piegò in due, boccheggiando, alla disperata ricerca di un po' di aria. Ma ciò che trovò la sua bocca non fu il tanto agognato ossigeno, bensì una ginocchiata ad alta velocità, che fece volare il povero stronzo a terra, così vicino all'aldilà da sentire gli angioletti che cantavano e s'inseguivano tutti nudi.
    «Alzati, cazzo! La notte è appena iniziata, cagasotto!» si ritrovò a urlare, prima di sferrare un calcio sul mento all'inerme avversario. Il suo compare, fino a quel momento troppo scioccato per reagire, lo prese alle spalle, cercando di trattenerlo. «Fuermuo! Cuosuì luo ammuazzui!» urlò, dritto nelle orecchie di Skorr'lathyem. Per un attimo, la cosa lo rintronò, ma appena riprese un attimo di lucidità, portò in avanti il braccio destro e abbatté con violenza il gomito all'indietro, sfondando con ogni probabilità il naso di quel cretino. Guardandosi intorno, Skorr'lathyem notò a un metro da sé la vetrata illuminata di una taverna, dietro la quale stavano almeno una decina di sbronzi irosi; non contento della quantità di legnate date, fece mezzo giro su sé stesso, voltando le spalle a suddetta finestra, prese con le due mani il bavero di quello che l'aveva provato a placcare da dietro e, con tutta la forza che aveva in corpo, roteò verso destra, scaraventando quel poveraccio all'interno della taverna. Senza perdere neanche un istante, anche Skorr'lathyem si lanciò all'interno dell'edificio, per evitare che la confusione e la violenza si placassero anzitempo!

    Erano trascorsi venti minuti da quando Skorr'lathyem aveva dato il via alla più grande rissa che quel settore di Crescentia avesse mai visto, quando il divertimento venne interrotto; difatti, un grosso vociare proveniente dall'esterno della taverna fece capire all'uomo che erano in arrivo i Porci di Ferro, nome con cui era solito chiamare le guardie robotiche di quella stazione «Merda... Stronzi! Arrivano rogne, leviamoci dal cazzo, che ho voglia di fare altra cagnara! » urlò verso i suoi improvvisati compagni di barbarie, mentre imboccava in fretta e furia l'uscita. Il risultato di quella scazzottata era più che positivo, per Skorr'lathyem: al prezzo di svariati lividi, un 'occhio nero' e lacerazioni sulle nocche, aveva castigato almeno una dozzina di cretini!
    Quattro omaccioni burberi, di cui due avevano un aspetto alieno, per gli standard del metallaro e di Crepuscopoli, seguirono i suoi passi, raggiungendolo in fretta: questo squadrone di disadattati si era unito a lui durante quella rissa, trasformando quella che era nata come una Battle Royale in un sistematico sterminio di deficienti.
    «Dove andiamo ora, Skorr?» domandò Wilfred, un ragazzone tozzo quanto scemo. Faceva il mozzo su di un veliero solare che sarebbe partito il giorno dopo alla volta di Port Royal, col compito di trasportare dei mercenari per chissà quale cazzo di missione. «Facciamo come sempre, mio caro Wilfred, seguiamo la strada per la cirrosi.» Un piano semplice ed efficace, come piaceva a Skorr'lathyem; nel loro girovagare, intravidero un'insegna invitante in una stradina secondaria, una locanda che si chiamava "Al Secchio Sporco"
    Il tempo vola, quando si beve, si beve ancora, si fanno gare di rutti e si puliscono le tonsille di una bella fanciulla! Eh già, Skorr'lathyem si era anche trovato una bella donzella d'analizzare, forse un po' timida e taciturna, ma con le curve ai punti giusti. Già si stava immaginando che giochini avrebbe potuto fare, avesse avuto a disposizione delle candele o dei bicchieri di plastica rossi!
    Momento di lucidità.
    Non era una ragazza, bensì un cartello. Sì, uno di quei cartelli che indicano l'inizio della zona di carico e scarico merci e che avvertivano di non fumare in prossimità delle pompe per il rifornimento del carburante. «Occhiei, m-mi sha che ho puroprio toshato il fondo, hic.» balbettò, in preda ai peggiori fumi dell'alcool. - A proposito di fumi - mise una mano in tasca alla ricerca delle sue sigarette, fottendosene allegramente del cartello che lo avvertiva che ciò che stava per fare avrebbe condotto a una coreografica quanto dolorosa morte. Purtroppo, o fortunatamente, non le trovò, avendole probabilmente perse durante la rissa, ma trovò un foglio, un foglio malamente strappato agli angoli, che recava una qualche altisonante richiesta d'aiuto. Se lo rimise in tasca e, con lo sguardo spento e la bocca strascicante, esclamò «VI FASHO VEDERE IO DI COSHA SHONO CAPASHE, SHTRONZI!»


    HEADER-COI-FIOCCHI2

    Il resto del viaggio era stato abbastanza privo d'eventi. Beh, principalmente perché Skorr'lathyem lo passò rinchiuso nella stiva, cercando di smaltire quanto restava della sbornia.
    «Ora che cazzo combino?» chiese al vuoto intorno a sé. E il vuoto rispose solamente plic plic brrrr. Vuoto bastardo.
    Le scelte erano due, o continuava col suo piano originale, ovverosia scivolare nell'oscurità appena atterrati, passare la serata tra alcool, fumo e puttane, oppure restava attaccato a quelle due tizie, in attesa dell'occasione giusta per un tête-à-tête, rischiando però di restarci secco, qualora quell'essere avesse deciso di giocare al macellaio con lui.
    Era arduo: figa di qualità con una buona possibilità di morte, o figa scadente e una possibilità di morte minore? Il ricordo dello sguardo della biondina, spinse Skorr'lathyem più verso la seconda.
    «Ha ha ha!» una fragorosa risata irruppe nella stanza, assieme a un ben noto ragazzone; Wilfred, il mozzo della sera prima.
    Questo era un messaggio dal cielo, doveva lasciar perdere quella farsa, andare con Wilfred e qualche altro disadattato a sfondarsi e a sfondare!
    «Ehi, Wilfred!» urlò Skorr'lathyem, scivolando fuori dal suo nascondiglio «Come va la testa, brutto mongoloide?»
    L'altro si girò e, a metà tra il sorpreso e il divertito disse «Skorr? Ma che ci fai sulla nave di Colver!?» gli batté una manona pelosa sulla schiena, facendogli fare qualcosa come dieci centimetri di salto in avanti.
    «Bah, ieri sera, quando ci siamo separati, devo essermi imbucato sulla nave, per andare a spaccare i crani e degradare Port Royal!» rispose, sventolando la richiesta di soccorso che si era trovato in tasca, causa di così tanti problemi «Ma mi sa che lascio perdere questa stronzata!» sbottò, scuotendo una mano come per cancellare definitivamente ogni dubbio rimasto. «Preferirei andare a scolarmi qualche rum e seminare un po' resina mammifera dentro qualche bella figliola! Ti unisci?» gli chiese infine, appoggiando entrambe le mani sulle spalle di Wilfred.
    Qualcosa negli occhi del giovane mozzo cambiò, una scintilla di apprensione.
    «Mi sa che dovrai cambiare piani, amico.» con molta calma, Wilfred scivolò fuori dalla presa di Skorr'lathyem e mise qualche metro tra sé e lui, come se volesse mettersi al sicuro da un'improvvisa quanto violenta reazione. «Il Commodoro Norrington, per far fronte alla minaccia degli Heartless, ha...» deglutì sonoramente «instaurato un coprifuoco e ordinato la chiusura temporanea di pub e bordelli.»
    ...
    «Lui, lui cosa...»
    «D-Devo andare, amico, se Colver non mi vede tornare e per di più mi trova a chiacchierare con un clandestino, mi farà pulire l'intero ponte con la lingua.» balbettò il povero mozzo, che scomparve dalla stiva con una rapidità che il suo stupido grugno e la sua mole esagerata non avrebbero mai suggerito.
    Ira. Ira funesta. Ira nucleare. Ira tetrastrutturale.
    L'unica cosa che evitava a Skorr'lathyem di sfogarsi sul cargo di quel veliero bastardo, capitanato sicuramente da un figlio di puttana infame e stronzo, era che, se avesse fatto casino, magari gli facevano camminare l'asse, visto che era un abusivo.
    - Respira a fondo - in qualche modo si calmò.
    Avrebbe risparmiato la rabbia per l'incontro col Commodoro. Allora avrebbe dato sfogo a tutto il suo... come possiamo chiamarlo, disappunto.

    Finalmente era sceso da quel veliero del gran cazzo.
    Non ne poteva più di quella stiva umida e fetida, piena di ratti e muffa, gli ricordava troppo casa sua.
    Sospirò, assaporando l'aria salmastra, la puzza di pesce, l'odore del mistero. Mmm, l'ultima era probabilmente una sua scoreggia, quindi si spostò rapidamente, sperando che non fosse una cometa!
    Preso com'era dal controllare l'eventuale presenza di una trappola umida, in quella piccola scoreggia, non si accorse nemmeno di chi gli si era fatto vicino.
    «Puzzi di morto» Ehi, non puzzava come un morto! Forse come una persona morente e lebbrosa, ma non come un morto!
    C'era una sostanziale differenza... Girò il proprio sguardo, vide una bambina e, senza pensare, rispose «Beh, e tu sei alta un cazzo e una ciliegia.»
    Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo. Non era UNA bambina. Era QUELLA bambina.
    Si sarebbe prostrato più a terra di un verme, urlando "Ti prego risparmiami, ti prego risparm-"
    «Che cos’è un “cazzo”?»
    Eh?
    Cosa?
    Come, quando, perché, con che fine?
    Le corde della sua chitarra mentale erano tutte saltate, anche quelle del basso. Il batterista aveva sfondato due Tom e piegato un Charleston. Se non si era capito, la sua psiche era stata completamente distrutta da quella innocente domanda.
    «Urk... Mmm. Come dire» provò a rispondere in qualche modo, ma era come chiedere a una sardina di provare l'ultimo Teorema di Fermat.
    - Calmo, Skorr, prova a pensare come hai fatto a discutere di queste cose con tuo padre, quando eri un giovan- merda, lui non ce l'aveva un padre. Merda, aveva poco più di un anno, quindi era ancora un giovanotto.
    «Meh, se non si mangia non mi interessa.» ... Era forse decisa a torturarlo psicologicamente? O era davvero così innocente? Entrambe le possibilità erano terribili...
    Quella bambina fece qualche passo in avanti e Skorr'lathyem, essendo sopravvissuto alla tempesta, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
    - Se non si mangia, non le interessa, eh? - un ghigno malizioso sorse sul suo volto «Però, in un certo qual senso, si può 'mangiare' come un ghiacciolo, eheheh…» sussurrò al vento, che passava vicino a sé.
    «Un ghiacciolo non si mangia. Si lecca.» gli rispose la piccola, girandosi - VENTO BASTARDO, HAI FATTO LA SPIA, ASPETTA CHE ARRIVI LA RICREAZIONE E TI FACCIO ASSAGGIARE UN PANINO DI PUGNI -
    «Oh mer-» stavolta ebbe la prontezza di fermarsi. Non aveva le forze di spiegare a quella bambina cosa fossero un cazzo e la merda, perlomeno, non nella stessa giornata.
    Mugugnò, sconfitto, «S-Si, hai ragione, si lecca, si lecca.» e la bimba lo guardò come per dire "Visto?? IO sono intelligente" per poi rigirarsi e fare qualche altro passettino avanti, rifugiandosi in mezzo alle altre due, che lo ignoravano con forza.
    Avevano sentito.
    Avevano sentito tutto.
    - Merda secca - partiva con un malus enorme, nella sua operazione "Portatene una o entrambe a letto e sopravvivi".
    Guardandosi intorno, alla ricerca di un singolo motivo per non uccidersi lì e ora, vide una donna con accanto una specie di drago blu. Del drago blu non gliene fregava un cazzo, ma era ben armata.
    - Porca puttana, ma ce l'avrà il porto d'armi per quelle due granate?

    Il tramonto stava calando, ma le strade erano vuote. Coprifuoco del cazzo.
    Accelerò il passo.
    Prima risolvevano quella situazione di merda e prima si sarebbe potuto ubriacare in santa pace.


    06-03-2016, 22.12: Modifica di layout: tolto il vecchio titolo e sostituito con l'iSkorr 2GI (Grande, Grosso, Incazzato)
    04-06-2016 14.47: Sostituito vecchio modello dell'iSkorr, con uno con la funzione per creare playlist! Offre la ditta.


    Edited by Skorr'lathyem - 4/6/2016, 14:47
     
    Top
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Now drink.

    Group
    C.S.C.
    Posts
    20,608
    Reputation
    +83

    Status
    Anonymous
    Il Commodoro scese a passo rapido gli scalini di pietra che decoravano il lato del bastione, incerto su cosa aspettarsi dalle navi che erano attraccate al porto. Dire che fosse in ansia non rendeva abbastanza l'idea, lì non ne andava solo della cittadina che gli era stata assegnata, c'era in gioco il suo orgoglio, e il buon nome della marina di Sua Maestà. Si stava giocando tutto pur di risolvere quella crisi... e, sfortunatamente, in un primo momento la sua decisione si rivelò assolutamente sbagliata. Non appena i piedi dell'ufficiale toccarono la nuda terra, infatti, i suoi occhi incrociarono le cinque figure che avevano risposto al suo appello, e con un tono carico di delusione non riuscì a trattenere delle parole di disappunto.

    -Santo cielo, non mi aspettavo di finire così in basso.

    Poteva accettare le tre ragazze, sotto un certo punto di vista: anche la signorina Elizabeth si era mostrata capace in momenti di crisi, e purtroppo sapeva che la pirateria non conosceva limitazioni di sesso. Forse avrebbe preferito un gruppo di soli uomini, gli avrebbe certo risparmiato il disturbo di ricorrere al galateo e di preoccuparsi troppo per la loro incolumità, ma nella posizione in cui si trovava, non poteva certo storcere il naso di fronte all'aiuto che gli veniva fornito. Tuttavia, per quanto questo gli consentisse di tirare un sospiro di sollievo quando i suoi occhi si posarono su quella specie di barbone, ma quando vide che il quarto membro femminile di quel gruppo era una bambina, Norrington poté chiaramente sentire un nodo che rischiava di schiacciare completamente il suo stomaco. Perché o non avevano preso sul serio la sua richiesta, oppure sarebbe stato davvero costretto ad affidarsi a cinque sconosciuti con dubbie capacità. E in entrambi i casi, gli si gelava il sangue nelle vene come la neve d'inverno.
    Peccato che, nel bene o nel male, loro fossero la sua unica speranza. Di consenguenza, con un silente sospiro, il Commodoro avanzò verso quel singolare gruppo di individui, tenendo la testa alta e le mani dietro alla propria schiena, fermandosi solo a circa quattro metri dai suoi nuovi sottoposti. Li squadrò meglio con uno sguardo indagatore, trattenendo una smorfia alla vista dell'abbigliamento peculiare delle ragazze, piuttosto inadatto a delle gentildonne, a eccezione della bambina. Ma, nonostante questo, l'uomo chiuse gli occhi e rivolse ai quattro esponenti del gentil sesso un leggero inchino, togliendosi per un attimo il cappello tricorno prima di prendere la parola.


    -Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?

    Con queste parole, Norrington tornò freddo, autoritario, mentre il suo copricapo si posava nuovamente sulla candida parrucca tipica di un gentiluomo. Non attese neanche una risposta da un possibile rappresentante del gruppo, non si aspettava sinceramente che ne avessero uno, e non aveva il tempo per comprendere la loro catena del comando. Erano tutti minuti preziosi, e non aveva intenzione di sprecarli.

    -Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve...

    L'ufficiale tirò un sospiro col naso, cercando il modo migliore per dargli degli ordini, o come minimo qualche informazione in più su ciò che li aspettava quella notte. E, considerando ciò che aveva visto nelle ore passate, sarebbe stato meglio per tutti. Cercò di ignorare quanto possibile la... bestia, quella specie di drago che si trovava accanto alla giovane coi capelli corvini più corti, facendo il possibile per soffocare le domande e le paure partorite dalla sua mente. Finché quella creatura era sua alleata, avrebbe accettato anche il Diavolo in persona alle sue dipendenze.

    -Se, come temo, le creature che ci hanno tormentato negli ultimi giorni saranno puntuali come al solito, mancano pochi minuti al loro attacco, e vi dovremo mandare in vari punti della città per cercare di contenere i dannni. Non sottovalutatele solo per l'aspetto, perché hanno ucciso a sangue freddo e ferito molte persone. Non mi riterrò responsabile per morti o ferite causate ignorando questi avvertimenti.

    Duro, forse anche troppo, ma non aveva intenzione di indorare la pillola a nessuno dei presenti, neanche alla volontaria più giovane, sempre che potesse definirla tale. Negli ultimi anni aveva visto così tante cose inspiegabili dal senno comune, che ormai sarebbe stato pronto ad accettare qualsiasi cosa. E, se lui era disposto a spezzare qualche ramo per il bene di Port Royal, allora anche i suoi sottoposti avrebbero fatto qualche sacrificio nei suoi confronti. Una transazione, un breve scambio di educazione, niente di più. Non gli avrebbe neanche lasciato altri "fili" per legarli alla sua causa, come avrebbe sottolineato con la sua domanda successiva, se non quelli della loro stessa coscienza.

    -Avete qualche obiezione?

    CITAZIONE
    Bene, cercherò di non rubarvi troppo tempo con i convenevoli, quindi cercherò di tenere questa parte della quest relativamente "stretta", per mettervi direttamente nell'azione. Scrivete nel topic apposito in "Area Quest e Ruolatori" le vostre reazioni e le domande che avete per il Commodoro, così potrete riassumerle nei vostri post e vi manderò ad affrontare qualche Heartless nel prossimo giro di post.


    Edited by AlexMockushin - 4/3/2016, 18:22
     
    Top
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    If I could buy Forever at a price, I would buy it twice ~

    Group
    C.S.CM.
    Posts
    12,995
    Reputation
    +31
    Location
    Dai meandri oscuri all'interno del web... Niente più iPod Touch.

    Status
    Anonymous
    Legenda:
    Sheil'heit - Roth'raku
    -Pensato- «Parlato» -Pensatoparlato- (i pensieri che sentite anche voi)


    Un rumore di motori fece distogliere lo sguardo a Sheil dal punto in cui pochi secondi prima era scappata la donna a cui aveva chiesto informazioni, e a Roth'raku dalla linea dell'orizzonte. La fonte del suono era un enorme veliero meccanico, e la ragazza restò per parecchi secondi a osservare la maestosità di quel mezzo di trasporto.
    Su Aramay non c'era quel livello di tecnologia. Vi era la magia, certo, e la forza manuale degli animali, ma nulla di così avanzato.

    Dal ponte scesero presto quattro persone, tre ragazze e un marinaio ubriaco. Forse sarebbe stato più giusto dire che si trattava di due ragazze, una bambina, e un marinaio ubriaco. Cosa ci faceva lì quel barbone? E perché c'era una bambina in un luogo che, le era stato detto, era pericolosissimo?
    La ragazza diede uno sguardo oltremodo confuso al gruppetto, e iniziò ad avvicinarsi, sondando la mente dei quattro.

    Da due di esse non sentì nulla di particolare, se non un disagio per l'essere in un posto nuovo, mentre dalla bambina sentiva solo fame. Quanto al barbone...

    -Porca puttana, ma ce l'avrà il porto d'armi per quelle due granate?-

    Si girò di scatto verso quest'ultimo, fissandolo con sguardo gelido. Sapeva bene che il suo abbigliamento non era proprio consono alla battaglia, o quantomeno alla decenza pura e cruda, ma non apprezzava per niente chi guardava lì. Un effetto collaterale della sua unione con Roth'raku era stata quella di rimuoverle ogni desiderio carnale per qualunque uomo, e così era successo a Roth'raku. L'essere di due specie diversi e, per di più, di due sessi opposti, aveva fatto sì che gli istinti di uno venissero repressi dall'altra metà. Era un compromesso accettabile, dopotutto.
    Per un secondo pensò di lanciare al marinaio una freccia nel posteriore, per insegnargli a tenere lo sguardo alto, ma il buon senso le disse che non era proprio la cosa migliore da fare con persone che non conosceva. Per logica, erano i suoi compagni di missione, quelli...

    Mise una mano sul collo di Roth'raku, accarezzandolo distrattamente per calmarsi, cercando di capire chi fossero quelli e come approcciarsi.

    I suoi tentativi di socializzazione vennero brutalmente interrotti: si era instaurato un piccolo dialogo tra la bambina e un altro barbone natio di Port Royal, e Sheil'heit non poté fare altro che guardare (e ascoltare) con gli occhi spalancati la scena. P-perché si stava iniziando a parlare di cazzi e come mangiarli?
    Intanto Roth'raku si era seduto nuovamente al suo fianco, ridacchiando per la situazione e fissando la bambina e l'uomo. Sembrava che, alla fine, tra scimmie e altro il viaggio sarebbe stato molto più interessante del dovuto.

    L'arrivo del commodoro fu provvidenziale, distogliendola dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni.

    «Santo cielo, non mi aspettavo di finire così in basso.»

    -Oh scusa tanto, signorino dal cappello a cornetto- disse Roth'raku con ironia, aprendo e chiudendo la bocca in maniera simile a uno scimmiottamento.

    Sheil restò in silenzio con un piccolo cipiglio e, al gesto di saluto del Commodoro, mise la mano destra sul petto e si inchinò leggermente, volgendo lo sguardo verso di lui.
    Non fece in tempo a presentare lei o Roth'raku, che quest'ultimo si lanciò in una spiegazione sommaria di ciò che avrebbero dovuto affrontare.

    -Perché non hanno chiamato un gruppo di combattenti dell'Impero Britannico? A quanto ho capito è la loro città, dovrebbero difenderla.-
    -Pensi che me ne freghi qualcosa?-

    «Avete qualche obiezione?»

    La ragazza si limitò a scuotere la testa, mentre Roth'raku allungò il collo soffiando fumo blu sulla giacca dell'uomo. Sheil'heit cercò di fermare l'amico, sentendo le sue intenzioni, graffiandogli leggermente il collo per impedirgli di avanzare, ma a nulla valsero i suoi sforzi.

    -Nessuna, Commodoro.-

    La sua voce fu sentita da tutti i presenti, una voce sibilante e profonda che parlava nelle loro menti, seguita da una risata gutturale. Sheil'heit si mise una mano sulla fronte, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa.
    Il commodoro si spostò di lato, spolverandosi la giacca: «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.»
    Sheil'heit annuì timidamente, ancora con il volto coperto, tirando una manata al drago che se la rideva bellamente.

    -Un giorno ti uccido, lo giuro.-


    Signori, post di merda, ma so come sarebbe andata a finire, che scrivo al termine della scadenza e poi perdo la voglia.
    Ho omesso la parte di Skorr perché... in effetti ancora non è avvenuta :asd:
     
    Top
    .
  9.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Completi
    Posts
    10,335
    Reputation
    +196
    Location
    17

    Status
    Anonymous


    II


    Line-Divider2

    Lo sguardo di Egeria vagava ancora perso sui confini della città e sulla linea dell’oceano quando intravide la figura longilinea uscire dal bastione. La vide esitare un istante, sussurrare qualcosa tra sé e dirigersi a passo deciso verso di loro.
    “Il nostro committente”, considerò Egeria seguendo spenta la marcia dell’uomo. La brezza pregna di salsedine le scompigliò i capelli.
    Il commodoro Norrington era un uomo sui trenta. Alto e composto, indossava degli abiti formali e un cappello tricorno sopra la corta e ondeggiante parrucca bianca.
    Egeria si sistemò una ciocca dietro l’orecchio destro e sospirò impercettibilmente. Nonostante la sua nulla conoscenza delle tradizioni e dei costumi di quel luogo, intuire che quegli abiti e quel portamento appartenessero al “commodoro” le era risultato tristemente semplice. Il mento alzato. Le braccia dietro la schiena. Lo sguardo tronfio anche nel momento del bisogno. Gli uomini di potere -constatò deglutendo- erano riconoscibili ovunque.
    Norrington li aveva raggiunti. Lo vide squadrarli con espressione indecifrabile -delusione? Supponenza?-, ma Egeria distolse lo sguardo non appena l’altro cercò un contatto diretto con lei. Soltanto di sottecchi intravide l’inchino rivoltole: cortesia? Convenevoli? Non seppe dirlo e decise di non darvi peso. Norrington stava per parlare. Leggermente distaccata dagli altri, aguzzò le orecchie.
    «Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?» tono autoritario, volto inamovibile. Si rimise il cappello con un gesto impostato. «Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve...» sospirò col naso «Se, come temo, le creature che ci hanno tormentato negli ultimi giorni saranno puntuali come al solito, mancano pochi minuti al loro attacco, e vi dovremo mandare in vari punti della città per cercare di contenere i danni. Non sottovalutatele solo per l'aspetto, perché hanno ucciso a sangue freddo e ferito molte persone. Non mi riterrò responsabile per morti o ferite causate ignorando questi avvertimenti».
    Egeria abbassò leggermente le palpebre e il capo. Non faticava a credergli. Si trattava di heartless: sulle Isole del Destino aveva lei stessa avuto occasione di verificare la loro pericolosità. Nonostante l’aspetto quasi comico di alcuni di essi, sottovalutarli era -concordò mentalmente col commodoro- fuori discussione.
    «Avete qualche obiezione?» concluse Norrington.
    Egeria si sistemò lo zaino sulla spalla destra e si isolò, ponderando la domanda. No. Le sembrava tutto piuttosto chiaro. Li avrebbe divisi, e la cosa non le dispiaceva -captò un’istantanea del bizzarro gruppo di mercenari voltando per un istante il capo- per più di una ragione. Puntò un albero qualsiasi della foresta circondante la città e lasciò che tutto il resto sfocasse.
    «Nessuna obiezione, commodoro».
    Tornò alla realtà trasalendo. Non conosceva quella voce. Guardò l’uomo in nero ancora senza nome: no, non era stato lui a parlare.
    Ma allora chi?
    Una risata gutturale e profonda, modulata sugli stessi toni della battuta da poco udita, la fece trasalire una seconda volta. Le iridi viaggiarono di nuovo al circondario, fredde all’aspetto ma ansiose nei movimenti guizzanti. Nessuno. Non aveva parlato nessuno. Eppure non poteva averlo immaginato. La voce era così chiara, così vicina…
    La voce del commodoro richiamò ancora una volta la sua attenzione altalenante: «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.»
    “Questa creatura”? Il rettile? Squadrò l’interessato, dalla testa allungata che lentamente si allontanava dal volto del commodoro alla punta della coda: davvero poteva trattarsi di lui?
    Chiuse gli occhi e scosse la testa. No. No, non doveva pensarci. “Un po’ alla volta”, si ripeté. “Un boccone di realtà alla volta”. Ne aveva già ingurgitata abbastanza a Crescentia.
    Non devi accettare tutto insieme”.
    Non fece in tempo a visualizzare una scena rilassante: il rapido e quasi minaccioso avanzare dell’uomo in nero verso Norrington glielo impedì. Egeria distorse le labbra in un’espressione di contenuto fastidio.
    I volti dei due uomini erano a pochi centimetri, gli sguardi di fastidio dissimulato e astio palese si scontravano senza cedere.
    «In realtà sì, Norry» esordì il mercenario, frapponendo tra i due una mano aperta.
    Norry?
    «Ne ho quattro».
    La lista di insulti più o meno infantili che seguì fu per lo più ignorata da Egeria, che cercò di dissimulare l’imbarazzo e il disagio di trovarsi nella stessa compagnia di quell’uomo allontanandosi di qualche passo e tornando a esplorare il paesaggio con lo sguardo, l’udito e l’olfatto. Le non troppo occasionali volgarità, tuttavia, le resero piuttosto difficile anche solo fingere di apprezzare il tramonto che si avviava al crepuscolo oltre il molo.
    Una breve pausa la convinse a tornare a voltarsi; ma con suo disappunto, l’uomo in nero non aveva ancora finito.
    «Peeerò, potrei decidere di prendere a calci in culo queste bestiole che stanno mettendo in ridicolo la "MARINA DI SUA MAESTA' LA REGINA"»
    Espirò rassegnazione. Fortunatamente, Norrington sembrò prenderla fin troppo bene: «Sarete giustamente compensati per il vostro servizio» rispose, statuario, il sopracciglio alzato unico segnale d’irritazione «E se non desidera farlo per aiutare la Marina, tenga in considerazione che anche i locali che la interessano sono stati attaccati. In questo caso, una mano lava l'altra, sbaglio?»
    Egeria rilassò i muscoli, sollevata.
    Il mare sciabordò contro la pietra totalizzando l’agognato momento di silenzio.

     
    Top
    .
  10. Elation
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    ---------------------------------------------------------------------------------


    «Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?»
    Appello. Mercenari. Ok. Flandre da quel momento in poi sarebbe stata nobilitata del titolo di mercenaria; perché essere pagati per massacrare qualcuno o qualcosa era più che nobilitante. Poteva anche decidere di tenerlo a mente e di renderlo veramente la sua professione. In fondo, era facile: le veniva dato un compito e lei doveva solo svolgerlo. Osservò la parrucca, quella nuvoletta corta di boccoli e riccioli, imbrillantinata con qualcosa che aveva un vago odore di pesce, misto alla salsedine dell’acqua del mare. Con la treccina laterale. E il fiocchetto azzurro. Hm. Era una parrucca piuttosto stupida, ma, riconobbe, sotto un cappello diverso da quel ridicolo coso sformato che Norrington si portava in testa avrebbe potuto avere del potenziale.
    «Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve..
    Ma non ti chiamavi Pomodoro?
    Flandre lanciò un’occhiata a quella lucertola gigante. Vagò tra il grosso rettile, la donna a cui sembrava essere attaccato, gli altri presenti e cominciò a farsi una lista in ordine decrescente di chi voleva avrebbe potuto assaggiare per primo.
    «Se, come temo, le creature che ci hanno tormentato negli ultimi giorni saranno puntuali come al solito, mancano pochi minuti al loro attacco, e vi dovremo mandare in vari punti della città per cercare di contenere i danni.»
    Creature, attaccare, tormentare. Bello, bello, bello. Si cominciava subito! Flandre si leccò le labbra. Oh be’, se erano commestibili, lei non chiedeva altro. Sarebbe rimasta in quella città anche per sempre: pasti gratis e puntuali, di cos’altro poteva aver bisogno?
    «Non sottovalutatele solo per l'aspetto, perché hanno ucciso a sangue freddo e ferito molte persone. Non mi riterrò responsabile per morti o ferite causate ignorando questi avvertimenti.»
    Pfft, non doveva venire a dirlo a lei, se qualche malcapitato veniva coinvolto nello scontro. Bastava solo che non ritenesse responsabile lei. Non si sarebbe fatta nessun problema: era la prima che uccideva a sangue freddo, fregandosene altamente di quello che succedeva agli altri. Se qualche civile aveva intenzione di mettere il naso fuori casa e farsi mangiare, non era un fatto che la riguardava.
    «Avete qualche obiezione?»
    Sì, il tuo nome è stupido e io ho fame.
    Fece per allontanarsi, più che intenzionata ad andarsene a zonzo per la città per conto suo, sperando di incontrare il prima possibile una di quelle “creature” e potersi divertire un po’ e riempire il ronzio del suo stomaco e quello della sua mente, quando notò la lucertola allungarsi verso il loro committente. Lucertola affumicata, riuscì solo a pensare.
    «Nessuna obiezione, commodoro.»
    E parlava anche! Gli occhi di Flandre si allargarono carichi di entusiasmo e di sorpresa. No, no, una lucertola gigante non andava solo mangiata, andava assaporata. Si leccò le labbra e arricciò il naso.
    «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.»
    Oh! Oh! Voleva gestirla a lei! Perché nessuno l’aveva ancora data a lei, quella lucertola gigante? Gestire era il suo forte! La scia di puzza che seguì l’ombra che le passò di fiancò stordì il suo senso dello spazio per un istante, e si ritrovò a fissare la schiena dell’uomo che affrontava il manichino impomatato.
    «In realtà sì, Norry.» Ecco, Norry era già un nome più simpatico e intelligente di Norrington. Mai bello quanto “Pomodoro”, ma doveva ammettere che aveva del potenziale. Inclinò di lato il capo, tendendo le orecchie per ascoltare. Dai, il barbone poteva anche starle simpatico.
    Fece piuttosto fatica a seguire il discorso, ma non poté che essere inequivocabilmente d’accordo con lui. Aveva sentito due volte la parola “cazzo”, un “coglioni”, un “fottiti” e un “culo” e valutò immediatamente come impeccabile la retorica di quell’uomo che, forse, a questo punto, non era solo un barbone. Considerando soprattutto quanto fosse grosso, puzzolente e schietto, forse era tutt’altro che un barbone.
    Perché erano ancora lì? Perché non stavano uccidendo gente, o cose? Flandre rimase ferma nella sua posizione, l’espressione che slittava da coinvolgimento a noia patologica nel giro di frazioni di secondi. A lei interessava solo menare le mani. Cosa le importava dei bordelli, dei locali, della Regina della Maestà Marina? Era tutto un blablabla sui loro interessi, ma chi si preoccupava dei suoi, a parte lei stessa? Roteò gli occhi. Si imbambolò a fissare il nulla, proseguendo col suo programmino del pasto: la lucertola era meglio farla arrosto, con un contorno di passata di Pomodoro. Come spuntino. Poi per la cena avrebbe deciso più tardi. Più tempo passava, più la sua fame si faceva nervosa e sempre meno giustificata. Il più delle volte, ammise, mangiava per noia. Peggio per chi le stava intorno.

     
    Top
    .
  11. M a g e n t a
        +1   -1
     
    .

    User deleted





    Espressione altera stampata sul volto, testa alta e schiena dritta, l'uomo che non poteva essere altro che un ufficiale di alto rango si avvicinò a loro, soffermando lo sguardo appena qualche istante più del necessario sui suoi abiti e quelli delle altre due ragazze. Leggermente a disagio per quell'occhiata inquisitoria, strinse appena le dita della destra, ingoiando con un nervosismo stupido ed ingiustificato la saliva e il grumo pesante che si erano formati nella sua gola.
    Con una sorpresa leggera, presa contropiede, osservò il delicato inchino che l'uomo rivolse in direzione del quintetto che formavano. Confusa, si voltò un secondo quelli che oramai era certa sarebbero stati i suoi compagni, alla ricerca di un segno di conferma, di un gesto da imitare, nella speranza che almeno uno di loro, forse più abituato a situazioni di questo tipo rispetto a lei, facesse qualcosa. Improvvisamente liberata dal dubbio su cosa avrebbe dovuto fare, osservò la giovane in armatura piegare appena la schiena, la mano portata all'altezza del petto, decidendo, senza esitare ulteriormente, di imitarla, nascondendo un sospiro di sollievo.
    Già andava meglio, così. Per un secondo, cercando di non farsi notare osservò la sua compagna di missione. Era palese che fosse una guerriera, di sicuro più palese che con lei o Egeria, così come sembrava più forte, più esperta. Forse era qualcosa nello sguardo o forse, più banalmente, erano soltanto l'armatura e la postura militare che la contraddistinguevano.
    «Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?»
    Ayleia annuì appena col capo, anche se era ovvio che, nonostante il tono con cui era stata posta, quella non fosse una domanda, ma un'affermazione. Senza attendere conferme, ignorando il suo gesto, Norrington riposizionò il tricorno sul proprio capo, lo sguardo severo e altezzoso rivolto verso di loro.
    «Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve...»
    Per un istante l'uomo arrestò il proprio discorso, sospirando dal naso, probabilmente radunando i pensieri e mettendo ordine nella sua mente, cercando di dare loro una spiegazione più sostanziosa di quella presente sul bando. Senza approfittare di quell'attimo di pausa, cercando di sembrare il più “professionale” possibile, continuò ad osservare il Commodoro, la schiena dritta, un cipiglio serio ad offuscarle lo sguardo, nel tentativo di non sembrare molle o una semplice ragazzina indifesa, di apparire all'altezza della situazione.
    «Se, come temo, le creature che ci hanno tormentato negli ultimi giorni saranno puntuali come al solito, mancano pochi minuti al loro attacco, e vi dovremo mandare in vari punti della città per cercare di contenere i danni. Non sottovalutatele solo per l'aspetto, perché hanno ucciso a sangue freddo e ferito molte persone. Non mi riterrò responsabile per morti o ferite causate ignorando questi avvertimenti.»
    Severo ma giusto, dovette ammettere. Il nervosismo che le scorreva nel corpo era reale, così come lo era la possibilità di morire in quella missione, almeno secondo Norrington, ma era decisa a non lasciarsi sopraffare da tutto quello. Era vero che non aveva combattuto nella guerra di pochi giorni prima, ma era altrettanto vero che non era a digiuno di battaglie e lotte contro gli Heartless. Forse non era all'altezza, ma, almeno ad una prima occhiata, due dei suoi compagni lo sembravano e, sempre forse, avrebbe potuto contare su almeno una di loro in battaglia, se non fossero state separate tutte e tre. L'unica cosa che sperava era di non ritrovarsi da sola con la bambina o con… l'altro. Le labbra strette e le palpebre abbassate, senza che celassero la punta d'astio presente nei suoi occhi, si girò verso l'unico uomo del loro gruppo, osservandolo per un istante.
    Senza indugiare troppo, si voltò nuovamente verso il Commodoro, attendendo ulteriori spiegazioni, qualche informazione sui loro avversari, su come combattevano o sulle abilità da loro possedute, se sarebbero stati affiancati da membri della guardia locale o meno, o anche solo qualche ulteriore dettaglio in generale.
    «Avete qualche obiezione?»
    Cosa?
    Per un'istante i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa. Tutto qui? Avrebbe detto loro solo quello? Non era un po' poco? I gesti nervosi, si voltò verso i suoi compagni, tutti perfettamente a loro agio e rilassati, come se quella fosse la norma. Forse era davvero troppo una novellina per quel genere di cose. In meno di un istante il panico venne sostituito da un leggero senso di inferiorità e vergogna per aver ceduto campo libero all'ansia.
    O-ok. Se a loro andava bene così, allora si sarebbe dovuta accontentare e starsene in silenzio. Cauta annuì appena, rivolgendosi più a se stessa che alla domanda del Commodoro, mentre affondava i denti nella carne morbida del labbro, nel tentativo di far tornare tramite il dolore la propria mente ad uno stato neutro. Probabilmente era lei che si era fatta delle illusioni un po', un bel po', lontane dalla realtà su ciò che li avrebbe aspettati. Liberando i muscoli e lasciando scivolare la tensione, soffiò appena dalla bocca, lo sguardo perso nei dettagli delle pietre del selciato sotto i suoi piedi.
    Andava tutto bene.
    «Nessuna obiezione, commodoro»
    Sobbalzando appena, accolse la nuova voce che rimbombò all'interno delle sue tempie, spostando lo sguardo attorno a sé con leggero timore, per fermarlo sul drago che stava soffiando contro Norrington. Quindi sapeva anche parlare. Realizzando lentamente quel fatto, osservò meglio l'essere, inarcando leggermente le sopracciglia e attendendo la reazione del Commodoro. Reazione che fu più neutra, molto più neutra, di quanto si sarebbe aspettata, in verità. Un sospiro, un movimento leggero e quasi noncurante della mano sulla giacca, il tutto mentre si spostava di lato, come se fosse abituato a tutto quello.
    «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.»
    Non sapeva bene il perché, ma credeva che, considerando quella sorta di “pomposità” che lo circondava, avrebbe mostrato più fastidio di fronte al venire trattato in questo modo.
    Meglio così.
    Già più rilassata di prima, nascose il leggero sorriso che si era formato sul suo volto di fronte all'imbarazzo della guerriera in blu, l'unica persona che poteva essere incaricata della creatura alata. Se tutto fosse andato bene avrebbe combattuto assieme a lei e, almeno secondo la logica, assieme al drago e non faceva fatica ad ammettere che ciò non le sarebbe dispiaciuto affatto. Il filo dei suoi pensieri venne interrotto bruscamente dall'incedere pesante dell'unico uomo del loro gruppo sulla pietra, il quale si stava avvicinando al Commodoro con movimenti trasudanti astio.
    «In realtà sì, Norry.»
    Oh, no. Con un gemito di esasperazione si portò il palmo della sinistra al volto, poggiando la fronte sulle dita. Prima i cazzi e poi “Norry”. Perfetto. Semplicemente perfetto.
    Ecco qualcuno con cui non avrebbe voluto combattere affianco.
    «Ne ho quattro.»
    Il fastidio che non faceva altro che crescere all'interno del suo corpo, misto alla rabbia e alla voglia di mollare un pugno ben assestato all'uomo, oltre a un calcio all'inguine, una volta che arrivò alla parte sui bordelli, crebbe con ogni parola che usciva dalla bocca dell'altro.
    Idiota. Nella sua mente rimaneva solo quella parola -unica adatta a descrivere il comportamento e gli atteggiamenti che definire infantili e degni di un demente di prima categoria sarebbe stato riduttivo- mentre ascoltava l'ultima frase di quel discorso delirante, accompagnata da una risatina che sembrava appartenere ad un pre-adolescente in piena fase ormonale che aveva appena sentito la parola “tette”. Idiota.
    In tutta onestà, non si sarebbe scandalizzata o opposta se il Commodoro avesse preso la bellissima ed estremamente gradevole iniziativa di sbattere in una qualche prigione, anche si fosse trattato solo di quella notte, il loro compagno di missione. Tentando di calmare l'irritazione beandosi del pensiero che quella possibilità potesse diventare realtà, chiuse per un istante gli occhi, allontanando la mano dal volto.
    «Sarete giustamente compensati per il vostro servizio. E se non desidera farlo per aiutare la Marina, tenga in considerazione che anche i locali che la interessano sono stati attaccati. In questo caso, una mano lava l'altra, sbaglio?»
    Leggermente sorpresa aprì un occhio, le sopracciglia inarcate. Era davvero così disperato quell'uomo? I denti serrati, stretti gli uni contro gli altri, si portò una mano alla tempia, massaggiandola delicatamente. O Norrington era estremamente paziente, oppure la situazione era decisamente peggiore di quanto si aspettasse o forse era un misto di entrambe le cose. In tutta onestà non sapeva cosa pensare, ma di sicuro non era difficile da indovinare il fatto che, nonostante tutto, avrebbe davvero preferito che si trattasse della prima opzione.

     
    Top
    .
  12.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Metal God

    Group
    Heartless
    Posts
    91
    Reputation
    +4

    Status
    Anonymous
    Pezzo-sopra-3.0-2
    pezzo-in-basso-a-sinistraPLAYpezzo-in-basso-a-destra
    – Eccolo!! Il figlio di troia – flemmatico e gentile come suo solito, Skorr'lathyem espresse mentalmente la sua irritazione alla comparsa del fantomatico Commodoro Norrington.
    – Che nome da stronzo, meglio Norry – Bene, d'ora in poi si sarebbe chiamato Norry. Qualora avesse avuto qualcosa da ridire, gli avrebbe strappato i denti uno ad uno per poi farglieli ingoiare, con un contorno di calci in bocca. Offre la casa.
    Più lo guardava, più gli stava sulle palle. Schiena dritta, che manco un manico di scopa impiantato tra le natiche – Ho davvero usato la parola "natiche"? Avere a che fare con sti stronzi damerini mi sta fottendo il linguaggio! – sguardo da lecchino che era convinto di essere meglio di noi poveri stronzi perché si ritrova in alto nella gerarchia a furia di umettare perinei con la lingua e una ridicola parrucca.
    «Suppongo che voi siate i mercenari che hanno risposto al mio appello, esatto?» Okay, un'altra uscita così carica di sufficienza e probabilmente Skorr'lathyem non si sarebbe più trattenuto. Digrignò dolcemente i denti, come una giovane venticinquenne che si ritrova da sola ad occuparsi di un bambino, frutto di una notte di passione con uno sconosciuto, dovendo così dire addio alla sua sfrenata vita di feste e sesso animalesco.
    «Io sono il Commodoro James Norrington, della Marina Reale di Sua Maestà. Cercherò di essere breve...» Dannazione, perché non aveva delle vene funzionanti in quel cesso di corpo; avrebbe potuto fare dell'ottima comicità facendone esplodere una e coprire di sangue tutti i presenti che manco quella volta che assisté all'esplosione di un mattatoio.
    Ora, come poteva esprimere la sua indignazione a Norry? «[...]creature che ci hanno tormentato[...]» Avrebbe potuto rubargli la parrucca per poi picchiarlo brutalmente con la suddetta... Nah, sa di già visto. «[...]mandare in vari punti della[...]» Poteva afferrargli le mutande e sollevarlo di peso! No, non avrebbe mai toccato le mutande di un uomo, perlomeno non volontariamente. «[...]perché hanno ucciso a sangue[...]» Tecnica dei 100 pugni della morte astrale sull'inguine? Solo ed unicamente specificando che nessun omoerotismo era inteso. «[...]ignorando questi avvertimenti.» Oh, era forse finita quella sorta di diarrea verbale? Tempo di agire; certo, sarebbe stato più emblematico se l'avesse preso a pugni nel bel mezzo del suo discorso, ma non si poteva avere tutto!
    «Avete qualche obiezione?» Oh... Oh oh oh oh. Era il momento di andare in scena! Avrebbe optato per il vecchio trucchetto del conto alla rovescia da quattro! E poi l'avrebbe preso a ginocchiate nelle gengive! Un piano perfetto, brillante!
    «Nessuna obiezione, commodoro»
    – Ma che cazzo! Dannazione, siamo o no in una società civile! Se c'è una fila, la si rispetta, porca di quella puttana – Quello strano drago blu gli era sfrecciato accanto con la stessa velocità di un melone cantalupo sparato da una catapulta... E parlava con cognizione di causa, quegli strani regalini che trovava, di tanto in tanto, dietro casa gli permettevano di cimentarsi nei migliori esperimenti scientifici!
    «Chiunque sia responsabile per questa creatura, cerchi di... gestirla meglio. Preferirei evitare danni collaterali.» Ah, sempre fresco come un cetriolo, il nostro Norry. Doveva ammetterlo, si aspettava, sinceramente, una reazione spaventata misto tra urletti nevrastenici e improvvisa quanto violenta urinazione nelle sottane. Sciapò, Norry, sciapò. O come cazzo si scrive.
    – Però, adesso tocca a me –
    Passò in mezzo alle presenti, rapido come un cobra, scivoloso come un ex-marito che cerca di bypassare una noiosa ordinanza restrittiva, arrivando a piantare il suo bel grugno a pochi millimetri dalla faccia del Commodoro. Il suo alito sapeva di aglio.
    «In realtà si, Norry.» Con ogni probabilità, le tre donne, di fronte a questa sua dimostrazione di mascolinità, si stavano già bagnando!
    Teatralmente, fece un passettino all'indietro, allungando il braccio destro con le dita alzate e il palmo rivolto verso di sé. «Ne ho quattro.»
    "Ma lui ha alzato cinque dita, quale arguto piano o critica postmodernista starà facendo, con questa palese discrepanza tra fatti e azioni" questo era sicuramente il pensiero fisso del suo pubblico. Questo, e il fatto che dovevano, a ogni costo, fare sesso con lui. Sicuramente. Ne era convinto. 100%. 120, addirittura.
    Ecco il mignolo che scendeva. Eccolo, eccolo! Mancava pochissimo. Eeeeeeeeee.... Ooooh, sì, orgamisco!
    «Primo, la tua faccia mi sta sul cazzo.» Doveva stare attento, quando faceva la sua teatrale uscita di scena. Un passo falso e sarebbe potuto scivolare sui fluidi vaginali che stavano naturalmente coprendo l'intero molo!
    «Secondo, la tua parrucca è da coglioni.» Giù anche il pollice, di modo da creare anche una sottile ironia e un doppiosenso, ovverosia che quella parrucca davvero non fosse OK. Sagace.
    Era un decrescendo, la titanica discesa dell'indice era di Miltoniana memoria, più simile al caracollare di Lucifero. O, perlomeno, l'avrebbe pensato se concetti come Lucifero e Milton fossero esistiti in quell'universo «Terzo, come cazzo ti è saltato in mente di chiudere i bordelli e i pub!»
    Il clou dello spettacolo, il colpo di scena finale, quella conclusione introdotta dal preambolo iniziale. L'anulare precipitò, veloce e terribile come un carro carico di gattini e fuochi d'artificio che va fuori strada e finisce in un burrone, impattando con potenza e devastazione sul duro palmo.
    «Quarto, fottiti.» Orgasmi clitoridei a destra e a manca, taluni piangevano, altri pregavano gli dei di far cessare tutto quel piacere, un gabbiano ne stava sodomizzando un altro.
    Tocco finale per consolidare la propria figura di maschio alfa.
    «Peeeerò» Doveva dare fondo a tutta la propria forza di volontà per trattenere le risate di fronte ai sospiri del Commodoro. Davvero, la disperazione può spingere gli esseri umani ad accettare le peggiori ingiurie «potrei decidere di prendere a calci in culo queste bestiole che stanno mettendo in ridicolo la "MARINA DI SUA MAESTA' LA REGINA"»
    Crisi di nervi mista a balbettamento e gesti scomposti, alla quale avrebbe risposto con la sopramenzionata ginocchiata nelle gengive tra 3, 2, 1
    «Sarete giustamente compensati per il vostro servizio.» HAHAHAHA- cosa?
    «E se non desidera farlo per aiutare la Marina, tenga in considerazione che anche i locali che la interessano sono stati attaccati. In questo caso, una mano lava l'altra, sbaglio?»
    NO, NO NO NO CAZZO. Non doveva andare così! Quella risposta era... PERFETTA!
    Aveva mantenuto il suo sguardo, non si era fatto scappare niente se non un sospiro, non aveva spostato la faccia di un millimetro dalla sua. Quel Norry aveva le palle, dannazione. Suo malgrado, un sorriso comparve sul volto di Skorr'lathyem. Avrebbe glissato sulla ginocchiata nelle gengive.
    «Umpf, non male.» si limitò a commentare distrattamente. Aveva dimostrato una quantità di gonadi nettamente superiore al damerino medio, ma che diamine, superiore all'uomo medio. Era deciso, al suo prossimo, nonché primo, concerto, avrebbe mandato un invito personale a Norry, con allegato un pass speciale per il backstage! Servizi offerti: una birra gratis, una maglietta e un braccialetto personalizzabile in plasticone in omaggio!
    Si girò, pronto a farsi ricoprire d'adorazione e lussuriosi sguardi.
    Eh? Cosa, perché lo guardavano con... Imbarazzo e disappunto!? E che cazzo, però.


    19-03-2016, 15.22: Modifica di layout: tolto il vecchio titolo e sostituito con l'iSkorr 2GI (Grande, Grosso, Incazzato)
    Eliminato anche un "all'improvviso" dato che, con il nuovo layout, sgorillava di brutto.
    04-06-2016, 14.49: Sostituito vecchio modello dell'iSkorr, con uno con la funzione per creare playlist! Offre la ditta.


    Edited by Skorr'lathyem - 4/6/2016, 14:50
     
    Top
    .
  13.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Now drink.

    Group
    C.S.C.
    Posts
    20,608
    Reputation
    +83

    Status
    Anonymous
    Forse era stato fin troppo ottimista. Non si era aspettato molto da quella sua richiesta, sapeva fin troppo bene che richiedere dei mercenari come rinforzi, soprattutto in meno di un giorno intero, sarebbe stata una scelta che, possibilmente, gli avrebbe fatto rimpiangere la sua esitazione nei giorni passati. Però, considerando che richiedere rinforzi dalla patria avrebbe richiesto troppo tempo, e soprattutto che non poteva permettersi di mandare altri soldati al macello, quella era la sua sola scelta. Sì, era abbastanza disperato da affidarsi a quella manica di scapestrati, perché non aveva altra scelta. Poteva solo sperare che quegli individui non si aggiungessero al conto dei cadaveri di quella notte.
    E, se doveva essere onesto, fino a quel momento le uniche difficoltà erano quelle dettate dalle... "teste calde" del gruppo. Per quanto quella creatura draconica fosse insolita, spaventosa per certi punti di vista, lui aveva avuto a che fare con dei pirati maledetti, che sotto la luce della Luna diventavano degli scheletri in decomposizione; non si sarebbe fatto intimorire tanto facilmente da un rettile gonfio di orgoglio. Tuttavia, allo stesso tempo, era certo di aver sentito un olezzo migliore proprio durante l'incontro con i pirati di Barbossa, che quando l'unico membro maschile di quel gruppo si mise a parlargli. Non sapeva se si stava riprendendo da una sbornia o se avesse mangiato del pesce avariato, ma l'alito di quel suo interlocutore gli causò un leggero conato, come quando si ritrovava a dover passare vicino a ciò che rimaneva delle bancarelle giù al porto. Almeno le teste di pesce avevano la cortesia di rimanere a terra, anziché lanciarsi sul suo naso. Ma, alito a parte, si era già ritrovato in una situazione del genere: aveva dovuto trattare con individui tutt'altro che amichevoli, e come minimo quella persona voleva soltanto sfotterlo come una sua vecchia conoscenza, quindi la soluzione era semplice. "Parley". Negoziazione. Se i problemi del suo interlocutore derivavano dalle decisioni che aveva preso riguardo il coprifuoco, allora la soluzione era il semplice baratto; se voleva una soluzione alle sue obiezioni più "costruttive", quell'individuo doveva semplicemente fare il suo lavoro. Una volta sterminata la minaccia, avrebbe potuto indugiare tranquillamente nei locali che aveva addocchiato, senza alcuna obiezione da parte di Norrington. Gli bastava solo che, prima, sfogasse la sua indignazione -e anche qualcos'altro- sui veri colpevoli.
    E, detto questo, il Commodoro si poteva ritenere fortunato ad aver risolto quelli che sembravano essere gli unici focolai di rivolta nati da quel quintetto. Il drago era tornato dalla sua "padrona", apparentemente imbarazzata per la sua scenata, quel buzzurro sembrava essere soddisfatto dalla risposta di Norrington, mentre le altre tre ragazze sembravano avere molto più autocontrollo. La giovane dai capelli corvini sembrava sollevata quanto il Commodoro dalla soluzione diplomatica che quest'ultimo aveva trovato, mentre la ragazza coi capelli scarlatti invece era più sorpresa di come la situazione si fosse risolta, e la bambina sembrava fremere per motivi che ancora non gli erano completamente chiari. Ma, sfortunatamente, questi furono gli ultimi problemi di cui l'uomo dovette preoccuparsi; perché, prima che potesse dare altre indicazioni, una serie di grida lontane raggiunse le sue orecchie. Provenivano chiaramente dalla cittadina, ma prima che potesse indovinare d'istinto le zone da cui arrivavano, uno dei suoi soldati, stringendo con forza il moschetto dotato di baionetta, corse nella sua direzione col fiato pesante.


    -Neanche un attimo di ritardo, vero?

    Norrington sussurrò quelle parole a denti stretti, chiaramente irritato, anzi, offeso dalla metodica puntualità che quelle creature mostravano per la terza notte di fila. Non c'era riposo per diavolo o santi, e nemmeno per un soldato che cercava di fare il suo lavoro. La sua unica consolazione era che, con l'apparizione dei loro bersagli, i mercenari non avrebbero dovuto perdere troppo tempo a vagare per le vie di Port Royal. Peccato che anche questo sollievo sarebbe stato sicuramente temporaneo, lo sentiva nelle budella. Proprio per questa ragione, Norrington si avvicinò a passo rapido al suo sottoposto, incontrandolo verso la fine del ponte che collegava quella parte del porto alla cittadina. Non diede neanche peso al fatto che, troppo preso dall'ansia e dalla fatica, quell'uomo non si degnò di rivolgergli un saluto militare; gli avrebbe dato una strigliata di capo in un momento più rilassato. I suoi presentimenti avevano priorità in quel frangente.

    -Co... Commodoro Norrington, signore! Gli Heartless sono tornati!

    -Nelle zone che avevamo predetto?

    Lo sguardo del Commodoro fu rigido, penetrante, e carico di un'orribile coscienza. Lo aveva pensato per i primi attacchi, e lo aveva temuto anche per quello attuale: per quanto gli Heartless fossero normalmente istintivi e crudi nelle loro azioni, gli ultimi attacchi erano fin troppo precisi. Nel primo e nel secondo giorno avevano assalito due zone completamente diverse della città, e non vi avevano più messo piede, come se stessero conquistando lentamente terreno per un obiettivo che ancora non gli era chiaro. E, come aveva temuto insieme al governatore, il suo sottoposto gli rivelò che i loro presentimenti erano fondati.

    -Sì, un gruppo più folto vicino alla distretto degli artigiani e alcuni nella zona nobiliare.

    A quelle parole, Norrington aggrottò lo sguardo e trattenne un pesante sospiro con un certo sforzo di volontà; da quando era arrivato in quella cittadina, gli scenari peggiori non tardavano ad avverarsi. Prima erano stati attaccati i luoghi di svago più comuni e il porto, successivamente i quartieri più malfamati e le abitazioni dei cittadini comuni... quel piano era tanto semplice quanto sadico. Chiunque stesse pianificando quegli assalti, purtroppo, stava cercando di colpire lo spirito di quella cittadina.

    -Vai a radunare un piccolo plotone nella guarnigione e portalo qui, avrò delle indicazioni per loro.

    Il soldato non aspettò neanche un attimo per eseguire quell'ordine, e si congedò degnando finalmente il suo superiore di un saluto militare, riprendendo la sua corsa in direzione del bastione. Norrington non aveva più tempo per pianificare il da farsi, poteva solo cercare di trovare una soluzione con il poco che aveva tra le mani, e doveva fare in modo che funzionasse. Con questi pensieri in mente, il Commodoro tornò dai mercenari con un sospiro...

    -Avrei preferito che la situazione fosse meno... grave di così, ma dovrò chiedervi di mettervi al lavoro immediatamente. Come probabilmente avrete sentito da quel soldato, i vostri obiettivi sono prevalentemente in due zone. Il "gentiluomo", la ragazza dai capelli scarlatti e la signorina col drago...

    Probabilmente era stato fin troppo gentile a definire quella specie di barbone come un gentiluomo, e non solo per l'ovvia attrazione che sembrava provare verso quasi tutte le sue colleghe più giovani, non solo perché si era mostrato ben poco educato nei suoi confronti... ma anche perché, almeno, poteva presentarsi in maniera meno sciatta. Tuttavia, a quel punto non importavano più le sue impressioni, i suoi dubbi o i pregiudizi; quelle persone avevano risposto alla sua richiesta, e adesso poteva solo pregare che avessero le spalle abbastanza robuste per resistere alla pressione di quell'emergenza.
    L'uomo esitò giusto per un attimo a dare il suo ordine, quel poco che gli serviva per partorire una mezza strategia che si basasse sulle persone a sua disposizione. Non poteva perdere tempo a dargli indicazioni precise, ma non li avrebbe lasciati neanche a mani vuote.


    -... Voi andrete nel distretto degli artigiani. Si trova parallelo alla costa, e se avete difficoltà a trovare la strada per le vie della cittadina, cercate delle colonne di fumo, così vi dirigerete verso le botteghe dei fabbri. Dovrebbe essere il modo più semplice per orientarvi.

    Sì, quella poteva essere la scelta più saggia con quel primo gruppo. Nessuno di quei tre gli dava l'impressione di avere molta esperienza in combattimento, nessuno di loro gli dava quella sensazione a dirla tutta, ma poteva farsi una mezza idea delle loro capacità dalle loro armi e il loro aspetto. La soldatessa aveva quel suo compagno spettrale e un fisico apparentemente atletico, l'altra ragazza sembrava abbastanza in forma da gestire il combattimento a medio raggio e portava una spada, e infine quel tizio sembrava semplicemente una massa di muscoli che avrebbe volentieri preso gli Heartless a testate. Di conseguenza, se avessero lavorato insieme, si sarebbero potuti muovere senza troppi problemi tra le strada più larghe di quel distretto, e non avrebbero rischiato di trovarsi in difficoltà se li avessero spinti in un angolo. E, vista la sua decisione, le ultime due signorine avevano una sola destinazione, per principio di eliminazione.

    -La signorina più giovane e quella con la sciarpa andranno verso la zona nobiliare, la troverete in cima alla collina, tutto ciò che dovete fare è cercare le strade che si arrampicano verso l'alto. Ora andate, abbiamo tutti il nostro dovere da compiere.

    Le case dei nobili avevano cespugli, alberi e altri "ostacoli" che potevano tornare utili per quelle due ragazzine, specialmente per la bambina. Gli sembravano più maghe che altro, quindi si sarebbero trovate a loro agio in uno spazio più aperto, che potevano manipolare a loro piacimento... e se le cose non fossero state così, allora non sapeva se fidarsi più del suo istinto strategico.
    Infine, con quell'ultima frase, il Commodoro Norrington fece per avvicinarsi alla fortezza, preparandosi così all'arrivo delle sue truppe, ma prima che potesse dare completamente le spalle ai suoi dipendenti, l'uomo si bloccò sui suoi passi. Diede solo un'ultima occhiata al quintetto, sempre col solito sguardo austero, tenendo le mani strette dietro la propria schiena, e con un pizzico di rimorso per essersi mostrato più cafone di quanto si meritassero.


    -... Cercate solo di tornare per il vostro compenso. Avrò bisogno dei vostri nomi per ringraziarvi, in caso di successo.

    CITAZIONE
    Ok, da questo post in poi sarete ufficialmente divisi in due gruppi: il primo composto da Skorr'latheim, Sheil'heit e Ayleia, il secondo da Egeria e Flan. Nel vostro prossimo post dovrete semplicemente descrivere il vostro breve viaggio verso le due zone della città che vi ha indicato Norrington, così possiamo tirare fuori qualche interazione tra i singoli gruppi. Dal mio prossimo post passeremo allo scontro autoconclusivo, ma per adesso potete chiaccherare liberamente tra voi, e se avete domande potete sempre far riferimento alla discussione apposita in area quest o in privato, andate in pace figlioli.
     
    Top
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Metal God

    Group
    Heartless
    Posts
    91
    Reputation
    +4

    Status
    Anonymous
    pezzo-sopra-3.0-3
    pezzo-in-basso-a-sinistraPLAYpezzo-in-basso-a-destra
    – Quello mi sa il galoppino che viene a dirci che tutto è perduto – un soldato, abbastanza grassoccio e con un'unticcia zazzera che spuntava da sotto il cappello, meno stupido di quello di Norry, era arrivato di corsa, sudato come un povero diavolo che soffre d'emorroidi che cerca di partorire la madre di tutti gli stronzi.
    «Neanche un attimo di ritardo, vero?» d'ora in poi, Norry, il tuo soprannome sarà Mr. One-liner!
    Velocemente, Norry fece qualche passo in direzione del suo sguattero, arrivando sul ponticello di pietra che connetteva il molo al resto della città e a Skorr'lathyem parve di sentire gli applausi. Cambio scena, il sipario si chiude. Ora, atto primo, scena seconda.
    Bah, tutta quella situazione sembrava davvero inscenata. Erano appena arrivati e bam, ecco che i cosi attaccavano – Come cazzo li aveva chiamati, Wilfred? Assless? Fartless? –
    Mancava giusto che qualcuno dei personaggi si mettesse a parlare di sottecchi col pubblico e lo sceneggiato sarebbe stato completo. In fondo lo diceva anche... Sciaksper, Sceikspar ...... Quello là, dai! "Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori."
    – Madonna, c'ho un caccolone nel naso – avendo perso ogni qualsivoglia interesse per il metateatro o per ciò che si stavano dicendo Norry e la sua puttanella, Skorr'lathyem si mise, di nascosto, a ravanarsi le narici, alla ricerca dello schifo che gli stava dando un fastidio allucinante.
    Merda, merda, sangue. Ravanando con eccessiva violenza si era aperto un taglietto all'interno del naso, che cominciò a sanguinare.
    Velocemente, mise le mani in tasca alla ricerca di un fazzoletto o qualcosa per otturare quel rubinetto, trovando solo il solito foglio che l'aveva spedito in quella situazione del cazzo.
    – A mali estremi. – ne stracciò, abilmente, una listarella, come se stesse facendo su una canna l'arrotolò, creando un ottimo stoppino per quel naso sanguinante.
    Certo, era un po' sporco, quel foglio, e abbastanza ruvido, ma meglio che niente.
    Una sensazione che aveva già provato lo colpì da sinistra. La paura gli afferrò, con la sua gelida mano, le palle e cominciò a stringerle con forza crescente.
    Quando si girò e vide la bambina che lo fissava leccandosi le labbra, sentì distintamente il suono del suo coglione sinistro che s'incrinava.
    A cosa pensa un uomo che sa di star per morire? Famiglia, rimpianti, progetti non realizzati che resteranno tali?
    Skorr'lathyem si chiese se, prima di uscire, aveva chiuso il gas. Per poi ricordarsi di non avercelo un piano cottura a gas. Un cruccio in meno.
    Perché non lo attaccava? Troppa gente? Forse – Non vuoi fare casini dove ci sono troppe persone? –
    Lo sguardo carico di aspettativa, come quello di un predatore, della biondina confermò tutto. Sarebbe sopravvissuto, per ora. Ma quando la battaglia sarebbe cominciata, beh... Era fottuto.
    «[...] i vostri obiettivi sono prevalentemente in due zone. Il "gentiluomo", la ragazza dai capelli scarlatti e la signorina col drago...» Due zone. Gentiluomo, ragazza dai capelli scarlatti E la signorina col drago. Divisi, in due zone diverse.
    – NORRY. SE SOPRAVVIVO A TUTTO QUESTO, TI FACCIO UN POMPINO CON INGOIO. – quel bastardo gli aveva appena salvato il culo dalla brace! Se finora non lo aveva attaccato, voleva dire che quella bambina non voleva troppi scazzi, sicuramente non sarebbe venuta a cercarlo in giro per la città, mentre vittime più facilmente ottenibili si trovavano di fronte a lei! Lei continuava a fissarlo, col visino irritato e deluso di una bambina a cui è stato tolto un dolce mentre se lo stava già pregustando. Gli parve, addirittura, di vedere gli occhi scintillare, come per dirgli "Si, si, sei al sicuro. Per ora."
    Era stabilito, appena avesse avuto un minuto di pausa, avrebbe dovuto bruciare le mutande che indossava.
    Quindi, a chi era toccato l'onore di essere in squadra con lui?
    Girandosi, vide le sue due nuove compagne. La rossa che prima l'aveva guardato a metà tra l'esasperato e l'incazzato e quella tizia che si portava appresso il simpaticone. Beh, poteva andargli peggio. Queste qua potevano odiarlo, ma dubitava che volessero cibarsi di lui o macellarlo come un porco.
    «[...] cercate delle colonne di fumo, così vi dirigerete verso le botteghe dei fabbri. Dovrebbe essere il modo più semplice per orientarvi.» Toh, stava ancora parlando? Okay, okay, botteghe dei fabbri, artigiani, pestare a sangue nemici, si era segnato tutto. Subito sotto a "Non me ne" ma sopra a "Fotte un cazzo"!
    Poi, gli doveva la vita, certo, ma – un po' più di gentilezza o garbo nel dire le cose non guastano, Norry –
    Quando sarebbe tornato l'avrebbe perculato un po', così, alla simpatia.
    «... Cercate solo di tornare per il vostro compenso. Avrò bisogno dei vostri nomi per ringraziarvi, in caso di successo.» Cazzo, in fondo era un tenerone, niente perculazione, al suo ritorno. Bah, si stava rammollendo.
    Si voltò nuovamente verso le due. La rossa lo stava bellamente ignorando, andata a presentarsi alla maggiorata, che di tanto in tanto lo squadrava freddamente di sottecchi.
    – Sapete che vi dico? Fottetevi, una e una due, solo perché avete una cosa che io voglio (la figa) e io ho una cosa che voi ancora non sapete di volere (il mio cazzo) non potete trattarmi come se fossi l'ultimo degli stronzi, fanculo! – e così decise che non gliene sarebbe più fregato niente di bombarsi né la prima, né la seconda. Certo, se fosse successo non avrebbe detto di no, ma non sarebbe diventato matto. Tornato a casa sarebbe bastato quel vecchio trucchetto con una brocca di plastica, un asciugamano bagnato con acqua calda e un po' d'immaginazione per sopperire a quei bisogni animaleschi!
    Ora, sarebbe passato accanto a loro, avrebbe detto 'il mio nome è Skorr'lathyem, chiamatemi Skorr.' e avrebbe continuato a camminare, facendo finta di sapere dove cazzo dovevano andare. Via.
    «Il mio nome è Skorr'lathyem, chiamatemi Skorr.» almeno, per un po' avrebbe fatto la figura dell'affascinante misterioso. Gli avevano risposto? Lo avevano ignorato? Fregacazzi, onestamente.

    La città, così vuota, schiacciata da quel cielo annerito, lo inquietava. Non perché avesse paura di attacchi o stronzate varie, ma perché era esattamente l'opposto di quello che dovrebbe essere una città portuale, a quest'ora. Gente ubriaca, risse, puttane che cercano di adescarti a ogni angolo, non c'era nulla di tutto ciò che rendeva quel genere di posti così vitale. Era quasi sconcertante. Piccole colonnine di fumo si levavano nella distanza, anche andando a caso aveva preso la via giusta, viva Skorr. Non si girò nemmeno una volta a controllare se le altre due lo stessero seguendo, aveva le palle girate.
    Nessuno adorava la violenza più di Skorr'lathyem, questo era assodato. Non diceva mai di no a una rissa, non si scandalizzava se qualcuno ci lasciava le penne, sono cose che succedono, ma questi Fartless lo facevano incazzare. Il loro attacco su questa città non era della bella e salubre violenza, era meccanica, a quanto aveva potuto evincere dalle parole di Norry. Tic tac, quando l'orologio batte un'ora arrivano, attaccano a caso e se ne vanno. Niente preamboli, niente insulti, niente alcool, droghe, fumo, sesso. Niente divertimento. Era un lavoro. E se c'è una cosa che Skorr odia, oltre agli asparagi, è il lavoro.

    «Faccio vedere io, a questi bastardi, come ci si diverte, a menare le mani.» scrocchiò le nocche. Erano arrivati.


    04-06-2016, 14.50: Sostituito vecchio modello dell'iSkorr, con uno con la funzione per creare playlist! Offre la ditta.


    Edited by Skorr'lathyem - 4/6/2016, 14:51
     
    Top
    .
  15. M a g e n t a
        +1   -1
     
    .

    User deleted





    «Neanche un attimo di ritardo, vero?»
    La voce seccata e sibilante di Norrington le fece stringere leggermente i pugni, tesa in previsione della battaglia che sicuramente stava per prendere luogo. Gli Heartless avevano attaccato, tornati nelle zone che… avevano predetto? Presa contropiede, aggrottò le sopracciglia. Era un attacco sistematico, dunque. Sovrappensiero, si morse il labbro inferiore, scavando nel solco lasciato dal morso precedente, mentre gli occhi vagavano sul selciato sotto i suoi piedi, seguendo le linee di separazione tra le lastre di pietra che lo ricoprivano. Se erano riusciti a prevedere le zone poteva significare solo due cose: o possedevano qualche tipo di “potere”, una qualche persona capace di prevedere dove e quando sarebbero avvenuti gli attacchi, oppure si trattava di un qualcosa di organizzato, che seguiva uno schema logico. Il pensiero di qualcuno, si qualcosa che governava i Senza Cuore e ne amministrava le forze la faceva tremare. Era vero che c'era qualcuno a capo degli eserciti dell'Oscurità, qualcuno che comandava le masse degli Heartless, ma non si aspettava di trovarsi contro qualcosa di simile. Tutto quello le faceva paura. Forse stava solo pensando troppo e si stava immaginando cose che non esistevano, eppure… Senza farsi notare, si asciugò i palmi sudati sui polsini della felpa che indossava.
    Per un attimo chiuse gli occhi, chiedendosi se era davvero pronta per una cosa simile. Già prima, quando la mancanza di informazioni l'aveva lasciata sorpresa, si era resa conto di essere davvero una novellina, ma solo adesso, solo ora che si trovava davanti alla concreta possibilità di dover affrontare qualcosa che non aveva mai combattuto capiva veramente quanto non era pronta per quel genere di cose. Eppure non doveva farsi prendere dal panico: erano in cinque, aveva i suoi compagni e almeno due di loro sembravano affidabili. Poteva stare tranquilla riguardo al fatto che qualcuno le avrebbe sempre coperto le spalle. Certo, era vero che non riusciva proprio a sentirsi a suo agio vicino all'uomo incappucciato del quintetto di cui erano parte, così come era vero che ad ogni parola che aveva detto aveva sentito l'antipatia che provava nei suoi confronti salire, ma non poteva assolutamente lasciarsi influenzare da quei sentimenti, non in battaglia, non quando ne andava delle loro vite. Con un sospiro rilassò i muscoli del collo e delle braccia, allentando la stretta delle proprie dita. Anche li avesse divisi, doveva riuscire a mantenere la calma e a non lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento sulla sua sua razionalità. Se fosse riuscita a fare così, allora sarebbe andato tutto bene.
    «Avrei preferito che la situazione fosse meno... grave di così, ma dovrò chiedervi di mettervi al lavoro immediatamente. Come probabilmente avrete sentito da quel soldato, i vostri obiettivi sono prevalentemente in due zone. Il "gentiluomo", la ragazza dai capelli scarlatti» Per un istante chiuse gli occhi, sperando di non restare sola con l'incappucciato e la bambina. «e la signorina col drago...» Il sollievo sul suo volto fu fin troppo palese, probabilmente. Andava bene, così, anche se avrebbe preferito che se il suo gruppo fosse stato composto da Egeria e la donna in armatura. Probabilmente era un'egoista e sarebbe stato solo un bene per la bambina -che, in fondo, ora che ci pensava, tanto bambina non doveva essere, se si trovava lì per la missione- stare lontana dall'uomo, ora che ve n'era la possibilità, eppure non poteva non provare un pizzico di insoddisfazione per come erano stati separati. Entrambe le more le sembravano ragazze affidabili e capaci in combattimento, mentre non poteva dire lo stesso del membro maschile del gruppo… La metteva a disagio, anche se non riusciva a capire bene il perché di quella sensazione che provava quando si concentrava su di lui; forse si trattava dell'odore di vomito che emanava, ma quello -la sensazione, non l'odore- assieme ai comportamenti che l'idiota aveva assunto in precedenza, non faceva altro che aumentare il suo fastidio nei suoi confronti.
    «... Voi andrete nel distretto degli artigiani. Si trova parallelo alla costa, e se avete difficoltà a trovare la strada per le vie della cittadina, cercate delle colonne di fumo, così vi dirigerete verso le botteghe dei fabbri. Dovrebbe essere il modo più semplice per orientarvi.»
    Essendoci il coprifuoco, dubitava che ci fosse qualcuno pronto ad indicare loro la strada, se non per le occasionali guardie di pattuglia, quindi avere un punto di riferimento sarebbe stato sicuramente loro d'aiuto. Oltretutto le colonne di fumo erano visibili sin da lì nella luce del tramonto, quindi non ci sarebbero stati troppi problemi a trovare il distretto degli artigiani. Le labbra strette, sottili, strinse gli occhi contro la luce del sole al tramonto, mentre osservava la direzione che avrebbero preso.
    «La signorina più giovane e quella con la sciarpa andranno verso la zona nobiliare, la troverete in cima alla collina, tutto ciò che dovete fare è cercare le strade che si arrampicano verso l'alto. Ora andate, abbiamo tutti il nostro dovere da compiere.»
    Con queste parole, il Commodoro si voltò, incamminandosi verso la propria destinazione e il luogo da cui avrebbe probabilmente gestito i soldati sotto il suo comando. Era lì, quindi che le loro strade si sarebbero separate. Un sorriso mesto sul volto, come fosse un'espressione di scuse, si voltò verso Egeria, alzando appena le dita in segno di saluto, sapendo che non avrebbero combattuto assieme. Sperava davvero che non si facesse male. Sapeva che le apparenze spesso ingannavano, si poteva prendere addirittura lei come esempio, considerando che di sicuro non sembrava una ragazza forte o capace di gestire un combattimento con la spada come invece era nella realtà, ma non poteva fare a meno di temere per quella ragazza magra e la bambina bionda. Erano preoccupazioni inutili, lo sapeva, pesavano comunque.
    «... Cercate solo di tornare per il vostro compenso. Avrò bisogno dei vostri nomi per ringraziarvi, in caso di successo.»
    L'espressione fredda, maschera di una preoccupazione ed una gentilezza tradite dalle parole che aveva appena pronunciato, Norrington si voltò nuovamente verso di loro. L'ombra di un sorriso a piegarle le labbra, annuì appena, come se volesse confermare che ce l'avrebbero fatta, che sarebbero riusciti a tornare tutti interi. Eppure niente era ancora certo. Un lungo sospiro accompagnò il movimento del suo capo, mentre si voltava per trovare la donna in armatura. Avrebbe dovuto presentarsi a lei e all'altro, quantomeno per conoscere i loro nomi e poterli chiamare nel mezzo della battaglia. Passi veloci, tesi, schiocchi secchi contro la pietra della strada, si avvicinò alla sua compagna di missione, un'espressione che sperava sembrasse gentile sul volto.
    «Sembra che staremo nello stesso gruppo.»
    Un sorriso di circostanza a decorare le sue labbra, tese la mano destra, asciugata di nascosto col polsino della felpa in precedenza, in modo da non schifare la sua interlocutrice col contatto della sua pelle.
    «Felice di conoscer-»
    “Conoscerti” o “conoscervi”? Dopotutto il drago prima aveva parlato e sembrava essere un'entità separata rispetto alla donna, quindi come doveva comportarsi? La consonante esitò sulla sua lingua, senza scivolare fuori, rimanendo incerta per un istante. Meglio il “vi”. Casomai si fosse sbagliata, allora sarebbe sembrato solo che avesse dato del “voi” alla sua collega, risultando solo troppo formale.
    «-vi, Ayleia.»
    Non sapeva se avrebbe o avrebbero ricambiato: forse nel loro mondo non si era soliti salutarsi in quel modo, quindi non si sarebbe sorpresa né offesa, fosse stato quello il caso. Certo, sperava di non aver commesso qualche atto scortese o inappropriato rispetto alle usanze della sua interlocutrice, ma anche fosse stato così, dubitava che qualcuno che viaggiava per i mondi se la sarebbe presa per qualcosa di simile. Perché, in fondo, la donna doveva aver viaggiato per i mondi, per essersi ritrovata in quel luogo, no? L'abbigliamento ed il drago che l'accompagnava sembravano suggerire quello, che non era originaria di Port Royal.
    «Il mio nome è Skorr'lathyem, chiamatemi Skorr.»
    L'uomo, Skorr'lathyem, passò di fianco a loro, presentandosi con quella frase, senza attendere una loro risposta. Leggermente irritata, strinse gli occhi. Almeno si fosse fermato e avesse atteso i loro nomi non sarebbe stato di sicuro un peccato mortale, no? Che senso aveva presentarsi in quel modo? Forse era solo troppo tesa e nervosa e quindi reagiva male anche a cose piccole come questa, stupidamente tra l'altro. Con un sospiro smise di osservare la schiena dell'uomo, concentrandosi nuovamente sul volto della sua compagna, attendendo una risposta.

     
    Top
    .
54 replies since 16/2/2016, 19:08   1392 views
  Share  
.