Monkey Business: La mano nera

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  1. M a g e n t a
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    L7VHwIZ


    Con una gioia affatto celata dallo sciocco sorriso che indugiava sul suo volto, Ayleia continuò a camminare in mezzo a quella folla variegata che sembrava invadere ogni singolo angolo di Crescentia. Chiudendo appena gli occhi, una mano stretta attorno al borsellino, in modo da non venire scippata dei suoi pochi risparmi il primo momento che si fosse distratta, e l'altra attorno all'elsa della spada, inspirò a pieni polmoni l'aria di quel piccolo asteroide, assaporando con l'olfatto gli aromi e gli odori di quello che era, letteralmente, un mondo così differente dal proprio. Attorno a lei il brusio si fece più forte, mentre le urla di marinai e di venditori di bancarelle sovrastavano e sommergevano le voci di chiunque parlasse con un tono anche solo lontanamente normale. Anche se il porto di Crescentia era pieno di delinquenti, tagliagole appostati in vicoli bui, pronti ad uccidere per una manciata di munny, e la peggio feccia di probabilmente mezzo universo conosciuto, non riusciva a non sentirsi quasi a suo agio, all'interno della sensazione di disagio che, in realtà, permeava il suo corpo di fronte a quegli esseri così minacciosi e, in un certo senso, terrificanti. Forse era perché sapeva di essere normale rispetto a loro, che la sua paura di essere anomala veniva spazzata via dal vento di fronte a quegli esseri così bizzarri. Il sorriso adesso leggermente meno aperto, come se la felicità che la pervadeva fosse improvvisamente diventata timida e si vergognasse a fare capolino tra le sue labbra, abbassò il capo, osservando le pietre grige dei moli, distogliendo lo sguardo dalle case e dagli edifici che si arrampicavano l'uno sull'altro attorno a lei. Forse, se tutto fosse andato bene, sarebbe anche riuscita a stringere un qualche tipo di rapporto con i mercenari che l'avrebbero accompagnata, visto che, con tutta probabilità, anche in mezzo a loro non sarebbe stata così “anormale” come invece era nel suo mondo. L'idea di poter nuovamente sentirsi libera di stringere un nuovo legame dopo tutti quegli anni in cui si era proibita e aveva avuto paura di concedersi quel “lusso” la riempiva sia di paura che di febbrile eccitazione, similmente a quando da bambina arrivava la notte del 24 dicembre e andava a letto con la speranza di essere stata abbastanza buona durante l'anno da poter ricevere un regalo da Babbo Natale.
    Tirandosi da sola una ciocca di capelli, si riportò alla realtà: no, quella non sarebbe stata di sicuro un'avventura allegra o spensierata. Concentrandosi e tornando seria per pochi attimi fece un veloce riepilogo della informazioni che aveva. Port Royal, Heartless, attacco, nave da Crescentia, munny come ricompensa per i loro sforzi. In silenzio annuì più volte a se stessa. Sin dal momento in cui aveva visto il bando, non aveva potuto fare a meno di pensare che quella missione era semplicemente un'occasione d'oro. Quando era partita, in fondo, non era del tutto una bugia quella che aveva detto ai suoi genitori: il voler conoscere nuove culture ed esplorare nuovi mondi era una prospettiva estremamente interessante ed eccitante e aveva presto scoperto che lavorare come mercenaria era probabilmente il modo più veloce per viaggiare e, nel frattempo, guadagnare qualche soldo. Aveva paura, un po', di cosa la stava aspettando, ma aveva già combattuto contro gli Heartless, diamine, era quasi una cosa quotidiana se si passava per alcuni vicoli della Città di Mezzo invece di prendere le strade principali, quindi poteva dire di avere, e anche a buon ragione, se doveva essere sincera, abbastanza fiducia nelle proprie capacità. Distratta dai suoi pensieri, il richiamo brontolante del suo stomaco, scatenato dall'odore che con forza si era insinuato nelle sue narici, la riportò alla realtà dello spazioporto, facendo riaffiorare la folla ed il chiasso che la circondavano. Il suo cervello impiegò qualche secondo a metabolizzare l'insieme di aromi che l'aveva raggiunta. Carne, unta, grassa e odore di pane o qualcosa estremamente simile. Scuotendo la testa e stringendo le dita attorno alla stoffa ruvida dell'elsa della sua arma, cercò di ignorare la fame che le aveva invaso lo stomaco, concentrandosi su quello che doveva fare. Sapeva il molo, la zona le era stata indicata e, almeno secondo l'orologio che portava al polso, mancava circa una mezz'ora scarsa, prima dell'orario di partenza. No, anche se era vicina, almeno da quanto aveva capito e da quanto il suo senso dell'orientamento le stava suggerendo, preferiva non concedersi distrazioni o di rischiare di perdere la nave.
    La destra in tasca, a giocare distrattamente con la cerniera del portamonete, e la sinistra poggiata mollemente sull'elsa della sua arma continuò a camminare, osservandosi attorno, concentrata sui moli e sui cartelli che indicavano il loro numero via via crescente. Senza mai perdere d'occhio dove si trovava, tornò ad osservare il mondo attorno a sé, spiando gli abitanti di quel nuovo universo che le passavano accanto, senza nemmeno degnarla di un'occhiata, osservando le abitazioni e gli edifici, magazzini e negozi, per lo più, che vedeva affacciarsi sulla zona dei moli, esponendo le mercanzie più particolari, oltrepassando a testa bassa un ispettore doganale che stava litigando animatamente con quello che sembrava il capitano di uno dei vascelli, inspirando nuovamente a pieni polmoni la sensazione di libertà che provava e che l'insieme di quegli odori, sia sconosciuti che non, le portava.
    Eco di una voce calma, femminile, poco distante, alle sue orecchie giunse il nome “Norrington”, facendo risuonare un campanello d'allarme all'interno della sua mente. Con un pelo d'ansia ad irrigidire tutti i suoi movimenti, cercò attorno a sé il cartello che indicava il numero del molo a cui si trovava, continuando ad insultarsi da sola per la sua distrazione. Sollevata, cercando di riacquistare la calma e la compostezza perdute pochi secondi prima, confermò che le cifre sul cartello corrispondevano a quelle che le erano state indicate prima, assicurandosi di aver raggiunto la propria destinazione e complimentandosi ironicamente con se stessa per l'attenzione e la concentrazione che stava dedicando alla missione.
    Tentando di non farsi notare, si avvicinò con quanta più nonchalance possibile all'origine della voce che le aveva impedito di perdere la nave, identificandola nella ragazza dai capelli scuri che stava ancora parlando con un uomo dalle dimensioni, sia in lungo che in largo, decisamente imponenti, più simili a quelle di un Blu Ciccio che a quelle di un essere umano normale, si ritrovò a pensare tra sé e sé Ayleia.
    Nervosa, tenendosi a debita distanza, la schiena dritta ed i muscoli del corpo tesi, seguì la ragazza a bordo della nave, ignorando il baratro che si apriva oltre l'instabile passerella sotto i suoi piedi, troppo concentrata, un'espressione di finta sicurezza sul volto, a non pensare alle rare occhiate dei marinai che venivano lanciate nella sua direzione, mentre l'odio e la paura di essere osservata e giudicata le facevano sudare le mani. Odio e paura, in realtà, completamente ingiustificati, continuava a ripetersi mentalmente: non era di sicuro la più strana a bordo di quella nave, un paio di occhiate attorno a sé e la vista di due marinai dall'aspetto molto poco umanoide confermarono ciò, e, così come l'uomo che aveva sentito si chiamasse Colver non sembrava impressionato dal fatto che due ragazze, di cui una armata, fossero salite a bordo -la prima delle quali aveva esplicitamente detto di starsi dirigendo a Port Royal per l'annuncio del Commodoro- le faceva sperare che le sue paure si sarebbero dimostrate molto presto infondate.
    Sospirando pesantemente, si accasciò a terra, appoggiandosi con la schiena ad uno dei parapetti di prua, osservando il cielo perfettamente azzurro che splendeva sopra di lei. Non era un bel cielo, quello di Crescentia, lo ammetteva: un colore troppo acceso, troppo saturo, che tradiva la sua natura artificiale, privo di nuvole o di impurità, se non i rari fumi dei camini e degli impianti di riscaldamento delle case che occasionalmente, sparsi lungo la superficie ricurva di quel peculiare asteroide, ne offuscavano la limpidità. Per qualche secondo rimase ferma lì, occhi sbarrati su quel finto cielo oltre il quale non si potevano vedere le stelle.
    «Levate le ancora, topi di sentina! Si salpa!»
    Improvviso, l'urlo profondo di Colver la riportò alla realtà, riscuotendola dai propri pensieri. Leggermente frastornata, scosse la testa, alzandosi in piedi con una spinta delle braccia, decisa ad osservare l'uscita dallo spazioporto e a non lasciarsi più incatenare da quelle paure che in quel luogo erano assurdamente ingiustificate.
    Con un rombo terribilmente forte, i motori iniziarono a muovere il veliero, prima con uno scatto leggero, che minacciò di destabilizzarla per un secondo, seguito da un'accelerazione più dolce e graduale. Battendo gli occhi, entusiasmata da quello spettacolo così eccitante, Ayleia si aggrappò al parapetto in legno, sporgendosi appena oltre, in modo da osservare meglio il lento allontanarsi degli odori e degli edifici di Crescentia sotto e dietro di loro. Lo sguardo fisso sul porto ed i suoi abitanti, la giovane si spostò indietro, verso la poppa della nave, la mano che scorreva sul parapetto ruvido, sollevandosi da esso solo laddove le sartie salivano verso l'alto, stringendo, allora, le corde tese.
    «Gravità artificiale attiva!»
    Un urlo percorse la nave, il tono più calmo di quello di Colver, mentre un'onda violacea partiva dall'albero maestro, investendo tutte le superfici del veliero. Istintivamente, come se temesse di scottarsi o di prendere la scossa, Ayleia allontanò la mano dalle corde, intimorita dal fenomeno a cui aveva appena assistito. Ridacchiando per la propria sciocchezza -come se avesse davvero potuto provare dolore per qualcosa il cui compito era tenerli assicurati al ponte ed impedire di farli andare alla deriva nello spazio profondo- fece per aggrapparsi nuovamente alla sartia.
    «RAZZI POSTERIORI!»
    Con una spinta impressionante, lo spostamento d'aria causato dall'improvvisa accelerazione del veliero la colpì in pieno, prima che potesse stringere nuovamente qualcosa per tenersi in piedi, facendola cadere a terra a faccia avanti, mentre il rombo dei motori copriva il suo urlo di sorpresa.
    Ridacchiando e gemendo assieme per la forza del colpo, la testa incassata tra le spalle e la patetica speranza che nessuno l'avesse vista, si rialzò in piedi con tutto il contegno di cui era capace, massaggiandosi appena il naso con la sinistra. Lo stupore la invase con un'ondata calda, piacevole, mentre il suo sguardo si perdeva nell'oceano stellato che la circondava. Preda della meraviglia e con una strana gioia che le sussultava all'interno della cassa toracica, si sporse nuovamente oltre il parapetto, osservando Crescentia, oramai ridotta ad un sinistro sorriso luminoso contro il blu dello spazio, allontanarsi. Senza pensare, si spostò ancora più indietro, continuando ad ammirare lo spettacolo che la circondava, fissando le strie luminose, dei colori più disparati -oro, verde, rosa, azzurro- contro lo sfondo blu scuro, quasi nero dello spazio, costellato di infiniti puntini splendenti, tutti piccoli diamanti incastonati sullo sfondo, più numerosi di quelli che si vedevano dalle gummiship o nei cieli notturni della Città di Mezzo.
    «Prima volta su un veliero volante, signorine?»
    Con uno scatto, si voltò all'indietro, ritrovandosi ad osservare il fisico imponente di Colver e accorgendosi solo in quell'istante della figura dell'altra ragazza, a poco più di un metro di distanza.
    «Già.»
    Con un sussurro, l'altra giovane rispose a quell'uomo mastodontico che benevolo le osservava entrambe dall'alto della sua massa, un sorriso furbo stagliato sul volto gonfio. Troppo imbarazzata per rispondere anche lei, Ayleia arricciò una ciocca di capelli attorno al proprio dito, gli occhi puntati verso il legno del ponte, sobbalzando appena quando Colver esplose in una risata.
    «Godetevela, allora. La prima volta è sempre la prima volta.»
    Sorridendo leggermente anche lei in risposta alla risata dell'uomo, la giovane alzò di nuovo lo sguardo, solo per accorgersi che l'altra ragazza la stava osservando. In silenzio ricambiò lo sguardo, il sorriso timido ancora a piegarle le labbra, indugiando sui capelli scompigliati dal vento -grazie al cielo a lei piaceva tenerli corti- e gli occhi rossi, scuri, che sovrastavano il naso e le labbra sottili.
    «Ehm, ehi,» Con un leggero movimento della mano, come se la stesse salutando, cercò di parlare, la voce che tremava leggermente. Era da anni che attendeva un momento simile, il giorno in cui avrebbe potuto provare, almeno, ad instaurare un rapporto con qualcun altro, senza dover iniziare sin da subito a nascondere parti di se stessa o della propria natura, e l'emozione accumulata durante tutto quel tempo si stava facendo sentire.
    «anche tu diretta a Port Royal?»
    Con fare noncurante tentò di creare un contatto, un punto da cui iniziare a parlare e conoscersi, poco importava che si trattasse di una domanda stupida, portata con una voce nervosa, leggermente tremane, la cui risposta era assolutamente ovvia.
    Lo sguardo freddo, assente, quasi, la giovane la osservò per un istante, senza proferire parola. Leggermente a disagio, Ayleia si gratto una guancia, osservando un punto non meglio definito alle spalle e in basso rispetto alla mora.
    «Per l’annuncio del commodoro»
    La voce sottile, l'altra si voltò verso il paesaggio che li circondava, interrompendo quel contatto che stava cominciando a diventare imbarazzante.
    Con un sospiro di sollievo, felice, forse troppo, che l'altra avesse risposto, sorrise caldamente.
    «Ah, forte!»
    Troppo entusiasmo.
    Mordendosi appena il labbro inferiore nel tentativo di impedire alle parole successive di uscire dalla sua bocca con lo stesso tono pregno di felicità che aveva accompagnato quell'esclamazione, abbassò lo sguardo, cercando di contenersi e calmarsi.
    No. Non era forte. Andare a combattere degli Heartless che stavano gettando nel panico un intero mondo non era affatto forte. Con un deglutizione più pesante del normale, si affrettò a riprendere fiato e a parlare di nuovo, questa volta senza sembrare completamente folle.
    «Nel senso, anche io vado là per l'annuncio del commodoro.»
    Meglio, molto meglio. Il tono si era fatto più neutro, anzi, più serio, meno fuori contesto. Un sorriso timido che continuava a fare capolino tra le sue labbra, si voltò anche lei verso il mare di stelle che le circondava, asciugandosi nervosamente le mani sudate contro l'interno delle tasche della felpa che portava. Non aveva idea di cosa l'altra stava pensando di lei, ma non era sicurissima di aver fatto un'impressione propriamente positiva. Si sentiva a disagio, in realtà. L'altra le sembrava così distante e distaccata da darle una strana aura fredda attorno, una sensazione che non sapeva bene se prendere per timidezza o indifferenza.
    Il silenzio era calato pesantemente tra di loro, ponendo un freno, o per meglio dire, fermando completamente la conversazione. Lentamente, con un gesto fluido che aveva un qualcosa di calcolato, la mora si voltò. Inseguendo il suo sguardo, Ayleia girò il capo, fermandosi ad osservare la bambina dall'altro lato della nave, che le osservava di rimando. Piccola, sui… cinque anni, forse? No, forse un po' di più. Bionda, occhi rossi, più saturi e vividi di quelli della mora tuttavia, un paio di propaggini che le spuntavano dalla schiena, da cui pendevano cristalli dai vari colori, la giovane le stava guardando con un sorriso leggero, un ombrellino bianco chiuso tenuto in una delle mani affusolate e sottili. Ancora leggermente distratta dalla figura della bambina, si voltò nuovamente verso la ragazza.
    «Quindi, hum, combatti anche tu.»
    La voce titubante, la frase che uscì dalla sua bocca era a metà tra un'affermazione e una domanda.
    «Sai usare la magia o qualche arma in particolare?»
    Ecco, questo era qualcosa che le interessava davvero, non una domanda solo per fare i convenevoli e parlare del più e del meno: conoscere quali abilità o quali poteri possedevano coloro che la circondavano, quali anomalie -almeno secondo gli abitanti del suo mondo- questi individui possedevano. Quello la incuriosiva.
    «Sì… chiamiamola magia» Con un pizzico di esitazione nella voce, la mora le rispose, non soddisfacendo minimamente la sua curiosità. Gli angoli della bocca si abbassarono un po', mentre iniziava ad arrendersi all'idea che la sua compagna di viaggio non era una persona socievole o desiderosa di stringere amicizia. «E tu?»
    Con un sorriso malinconico, la domanda uscì dalle labbra dell'altra. Leggermente rincuorata da quella prima domanda, ricambiò il sorriso, pensando a come rispondere. Se la sua interlocutrice non era entrata nei particolari delle sue capacità, probabilmente avrebbe fatto meglio a fare lo stesso e non trascinare oltre quel dialogo così peculiare.
    Più rilassata di prima, toccò con delicatezza la sua spada, accompagnando le sue parole con quel gesto.
    «Con questa, in parte, ed in parte anch'io con la magia.»
    La voce uscì più normale, questa volta, meno tesa. Non avrebbe chiesto altro: non voleva continuare quella conversazione così… strana, se voleva essere ottimista con le definizioni.
    «Mh» Pronta a congedarsi, si preparò a chinare appena la testa in segno di saluto e trovare un luogo dove sedersi.
    «Sono Egeria»
    Con un sussulto accolse il nome dell'altra. Non era brutto, come nome: semplice, non troppo complicato da pronunciare o ricordare, veloce da dire, nel caso fosse servito chiamarsi in battaglia. Timidamente ricambiò il sorriso, il primo che le sembrava sincero e non velato da malinconia che l'altra le offriva, mentre si scopriva felice che la mora si fosse fidata o aperta abbastanza da rivelare come si chiamava.
    «Ah, piacere! Io- Ehm,»
    Esattamente come prima, l'entusiasmo aveva preso il sopravvento su di lei e, esattamente come prima, si morse il labbro inferiore, cercando di darsi un contegno. Velocemente espirò un po' d'aria, rilassando i muscoli e mettendo sul volto un'espressione appena più neutra di prima.
    «Ayleia.»
    La tensione nella voce si sentiva, era evidente, ma il resto del suo corpo non tradiva l'emozione che provava.
    «Piacere»
    Con un accenno leggero di risata, accettò quel saluto cortese. Forse Egeria non era fredda e apatica, ma solo timida e insicura, molto più di lei, quantomeno.
    Un colpo sotto i suoi piedi la fece trasalire. Sentiva qualcuno tossire, dalla stiva, muoversi con passi pesanti e strascicati sotto di loro. Perplessa, le sopracciglia inarcate, osservò la botola che portava ai piani inferiori sollevarsi lentamente, facendo uscire un uomo dalla stazza imponente, ma dal volto anonimo: occhi marroni, capelli neri striati di grigio, lineamenti rozzi e privi di grazia o bellezza. Senza aver ancora distolto lo sguardo aveva già dimenticato come era fatto quel viso. In silenzio si scrollò di dosso qualsiasi pensiero inerente quella faccia, pensando all'uomo solo come alla sua stazza e agli abiti che indossava, mentre, arricciando il naso, accoglieva l'odore di vomito che si era portato dietro, cercando di non tenere a bada la nausea. Per un istante incrociò lo sguardo dell'altro. Un brivido, una sensazione di disagio, fredda, appiccicosa, estremamente sgradevole le percorse la schiena, bisbigliandole all'orecchio “pericolo”. Infastidita, simile ad un gatto, assottigliò le palpebre, soffiando contro l'incappucciato. Era come quando si trovava di fronte ad un Heartless e la cosa non le piaceva. Per niente.
    Esattamente inquietante come quando era apparso, l'uomo si richiuse la botola dietro, scomparendo nelle viscere del veliero.
    Scacciando con un brivido e scuotendo la testa le sensazioni che quell'uomo le aveva lasciato addosso, si mosse verso la poppa del vascello, sedendosi contro il parapetto, vicino alle scale su cui Egeria si era messa comoda a leggere. La mente serena, alzò lo sguardo verso l'alto, osservando nuovamente l'universo che scorreva attorno alla nave e gli spettacoli di luci che lo riempivano, illuminandolo.

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    Con un sussulto si risvegliò, la luce del sole al tramonto che le colpiva gli occhi e le urla di Colver che le riempivano le orecchie. Leggermente frastornata da quel pisolino fuoriprogramma, si asciugò con la manica il rivoletto di bava che le stava colando da un angolo delle labbra, mentre le sue narici coglievano l'odore penetrante della salsedine. Con uno sbadiglio, allargò le braccia, stiracchiando gli arti intorpiditi dalla posizione scomoda con cui aveva dormito. Non aveva idea delle ore che erano passate da quando si era addormentata, ma si sentiva la schiena tutta indolenzita. Aggrappandosi al legno scuro del vascello, si alzò in piedi, osservando l'oceano che sciabordava placidamente contro il ventre del veliero, lasciando una spuma bianca sul rivestimento di gummiblock. In silenzio si voltò verso i propri compagni, concentrando il proprio sguardo su Egeria, la quale stava ammirando le onde dell'oceano, concentrata. Riposata e rilassata, sorrise appena, di fronte a quella vista.

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    Camminando lentamente, scese dalla nave, cercando di riabituarsi alla stabilità della terra ferma, la quale, dopo tanto tempo passato su quel vascello, le sembrava star ondeggiando pericolosamente. Con un respiro profondo restò ferma per qualche istante, la destra portata alla tempia, come se volesse reggersi la testa mentre questa tentava di scacciare l'abitudine di assecondare il lento ondeggiare della nave. Bene. Andava meglio, adesso. In silenzio, senza pensare troppo al mare, riprese a camminare, tenendosi pochi metri dietro ad Egeria, a poca distanza dall'uomo della stiva e dalla bambina con le ali strane.
    «Puzzi di morto»
    Non poté farci molto: era troppo vicina per evitare di sentire quello che i due si stavano dicendo e, in tutta onestà, avrebbe preferito che un individuo che puzzava di vomito e di cui non si sapeva bene la provenienza, come quello, per l'appunto, non parlasse con una bambina. Bambina di cui non aveva ancora visto i genitori, a proposito.
    «Beh, e tu sei alta un cazzo e una ciliegia.»
    ...Appunto. Leggermente stordita e stupefatta da quel commento, proprio come se fosse stato rivolto a lei, piuttosto che alla bambina, irrigidì le spalle, storcendo la bocca in una smorfia contrariata.
    «Che cos’è un “cazzo”?»
    Senza pensarci due volte aumentò la velocità del proprio passo, determinata a non voler sentire una parola di più di quella conversazione e ancora di più a non essere trascinata in mezzo.
    «Urk...» Decisamente “urk”. «Mmm. Come dire.»
    In silenzio, una nota acida nei suoi pensieri, augurò buona fortuna a quel perfetto sconosciuto che sperava ardentemente non sarebbe stato un suo compagno di missione, pensando, allo stesso tempo, a quanto era fortunata a non trovarsi nella situazione in cui lui si trovava al momento.
    «Meh, se non si mangia non mi interessa.»
    Con tono svogliato, la bambina liquidò innocentemente l'argomento. Il calo della tensione e il rilassamento che l'uomo stava provando erano palpabili. Forse perché, neanche troppo in fondo, erano anche i suoi. Espirando lentamente, un sorriso tranquillo sul volto, rallentò il passo: non c'era più bisogno di scappare.
    «Però, in un certo qual senso, si può 'mangiare' come un ghiacciolo, eheheh…»
    Nella sua mente la domanda sorse spontanea: “Ma è un coglione?”
    La risposta seguì l'istante successivo: “Sì.”
    Va bene che lo aveva detto sottovoce, ma sarebbe stato meglio solo pensarle quelle cose di fronte ad una bambina, soprattutto quando ci si è appena salvati dal dover spiegare l'apparato riproduttore e cosa fosse un “cazzo” ad una bimba che non dimostrava più di sei anni.
    «Un ghiacciolo non si mangia. Si lecca.»
    In pochi istanti la gradazione di colore della pelle del suo volto raggiunse quella dei suoi capelli. Quello era troppo: non sapeva se dover iniziare a ridere o se provare a trasportare con una qualunque scusa l'uomo lontano dalla bambina, impedendogli di fare altre gaffe che avrebbero potuto portare a risultati assolutamente imbarazzanti. Forse era meglio non fare niente e tentare nuovamente di accelerare il passo, in modo da non venire coinvolte. Incassando la testa tra le spalle decise per l'ultima opzione.
    «Oh mer-»
    Sempre più convinta della propria decisione, si affrettò ad accelerare ulteriormente il passo, raggiungendo Egeria.
    «S-Si, hai ragione, si lecca, si lecca.»
    Improvviso -e, in tutta onestà, abbastanza gradito considerando la conversazione che si stava svolgendo alle sue spalle- un urlo acuto la raggiunse: una signora correva, preda del panico, gettando occhiate spaventate attorno a sé. Cauta, mise una mano sull'elsa della propria arma, pronta a sfoderarla per combattere. Gli occhi si mossero velocemente, cercando la causa del terrore che aveva afferrato la popolana. Causa che, considerando quanto era appariscente, non era proprio da cercare: un… drago? Almeno quello che credeva e le sembrava un drago, anche perché non avrebbe avuto altri termini con cui descriverlo: molte, troppe a dire il vero, somiglianze con i libri che leggeva da piccola, quelli dove i cavalieri andavano a salvare le principesse rinchiuse nelle torri più alte e sorvegliate da terribili draghi cattivi. Non troppo perplessa -aveva visto di peggio a Crescentia- abbassò la mano, osservando il rettile e la donna che gli stava vicino. Nessuno dei due sembrava pericoloso o intenzionato a far loro del male, anzi, la giovane sembrava persino perplessa, come se non si aspettasse una reazione simile dalla donna che era scappata. In effetti, chiunque avesse viaggiato per una settimana o poco più tra i mondi non sarebbe rimasto molto sorpreso di fronte a quella che sembrava una strana coppia, quindi non la biasimava per questo. Senza proferire parola, strinse le labbra, inarcando un sopracciglio. Di sicuro non era la più “anormale” da quelle parti.


    Tutto sommato per essere il primo post in assoluto con la nuova piggia, non mi dispiace.
    Edit: editata grandezza font, una "t" di meno in "soprattutto" ed un pezzo di frase. Possibili altri edit in arrivo.



    Edited by M a g e n t a - 28/2/2016, 01:01
     
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54 replies since 16/2/2016, 19:08   1393 views
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