Monkey Business: La mano nera

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  1. Elation
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    Quando aveva deciso di farsi guidare solo ed esclusivamente dal suo naso –letteralmente- per muoversi attraverso la città e, di conseguenza, attraverso i mondi, Flandre non si sarebbe mai aspettata niente di simile. Non che si fosse fatta chissà quali progetti o avesse immaginato chissà quali cose, ma di sbarcare –ancora, letteralmente- in un pianeta sospeso nel cielo, con “cose volanti” che non aveva mai visto prima, creature dalle forme e i colori –e gli odori e i sapori, immaginò- più disparati era completamente oltre le sue più sfrenate fantasie. Anche perché nelle sue fantasie si limitava a mangiare, dormire e vivere sazia e soddisfatta senza doversi preoccupare di nient’altro. Quelle sì che erano fantasie! Trovare cibo che soddisfacesse il suo palato non era mai facile: non era schizzinosa, si adattava e poteva vantare anche un certo spirito di sacrificio. Il problema era che i suoi pasti non erano mai all’insegna della pace e della tranquillità. Nessuno che decidesse mai di perorare la sua causa e di offrirsi spontaneamente a lei. Tutti scappavano, tutti si nascondevano, tutti la attaccavano “aah, un vampiro” e addio assaggini. Le ingiustizie della vita.
    Aveva seguito tre, quattro persone diverse, a seconda dell’odore più o meno invitante. Aveva pensato bene di riempirsi la pancia prima di andare alla conquista dell’ignoto. Sfoderata la sua più innocente espressione spaesata, la vampira si era comportata da brava bambina, era rimasta composta sulle due navette in cui era rotolata senza neanche rendersene conto, non aveva attaccato nessuno e si era divertita a escludere i possibili spuntini, dai sontuosi pasti, in caso le fosse venuta fare. Ipotesi più che azzeccata dato che viaggiare metteva effettivamente fame. Contenuta e composta, con vaghi rimasugli di educazione impartitile da Sakuya, Flandre aveva ignorato il basso brontolio, distinguendolo dall’appetito nero che la mandava fuori controllo.
    Crescentia, dunque. Meglio, quella che avrebbe scoperto essere Crescentia dopo una brevissima conversazione con un fastidiosissimo signorotto in bianco. Aveva cominciato a guardarsi intorno da poco: persone nuove, creature mai viste, metà animali, metà umane, più strane di lei. Ed era tutto dire, perché una bambina con delle ali di metallo sulle spalle e dei cristalli dei colori dell’iride che pendevano e tintinnavano come parte integrante di esse non era uno spettacolo da tutti i giorni. Un uomo l’aveva fermata, con il suo ombrello, il suo monocolo, la sua bombetta bianca e il suo fiore appuntato al taschino. Flandre si era voltata verso di lui, gli occhi grandi grandi mentre ringraziava la sua fortuna sfacciata. “Ti sei persa”, “Crescentia non è un posto per bambini”, “hai bisogno di aiuto” e altre balle varie che il suo bel faccino dava da intendere senza troppi problemi. Aveva trovato qualcuno in grado di calmare il suo languorino. Le possibilità erano due: o le offriva una bistecca, o Flan gli avrebbe estorto una bistecca. La bistecca come costante, era da vedersi il tipo di carne in questione.
    «Ti posso aiutare a trovare mamma e papà,» le aveva detto, dopo essere giunto tutto da solo alla conclusione che lei dovesse essere accompagnata. Flan, dal canto suo, non aveva dato direttive e fatto anche solo intuire il contrario e l’aveva seguito docile docile, adocchiando l’ombrellino e un morso di quell’uomo ben oltre la soglia dei cinquanta.

    Cinque minuti dopo, Flandre sbucava da un vicolo pacifica e sazia, con un ombrellino a ripararla dalla fastidiosa luce del sole, leccandosi le dita e spolverandosi il vestitino rosso. Trotterellò allegra sulle mattonelle della strada, ignorando sguardi perplessi e occhiate torve, serena sotto il suo parasole aperto. La percentuale di esseri umani era piuttosto bassa, constatò. Meglio, poteva assaggiare specialità di altri pianeti. Non le era andata male con il suo primo stuzzichino, ma c’era sempre posto per un dolcetto. Seguì un uomo, poi una donna, poi un essere strano dal muso molle, poi un altro uomo, poi una ragazza. Così si dilettò per un’oretta, girando a vuoto e fotografando con lo sguardo tutto ciò che le potesse interessare, dal punto di vista culinario. Non che ci fosse molto da osservare. Costruzioni assurde, magazzini di smercio, approdi, mercato, gente che si spingeva –Flandre che chiedeva educatamente il permesso e la mandria che si spostava per lasciarla passare-, urla, strepiti, schiamazzi. Avrebbe anche potuto ammazzare qualcun altro, e probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto. Seguì da debita distanza una massa gelatinosa che ciondolava sul selciato, finché un’altra con ben quattro paia di zampe non attirò la sua attenzione; perse interesse quando scorse un mammifero volante che planava basso e osservava l’attività sotto di sé. Se fosse riuscita a salire su uno di quegli animali avrebbe potuto puntare tutte le prede del mondo. Si fece guidare verso il molo da una frotta di quei volatili che si appollaiavano sui pennoni delle navi. Loro vivevano di istinto e Flandre amava seguire l’istinto: messe le due cose insieme, l’avrebbero sicuramente condotta verso una sicura fonte di cibo. Senza rendersene conto, schivando silenziosa un uomo grasso che pestava venendo nella sua direzione, aveva percorso la passerella di imbarco di una nave, con il suo ombrellino aperto, la sua camminata leggera e il suo sorrisetto innocente. Nessuno le disse niente. Ricambiò qualche occhiata perplessa inclinando il capo e chinandosi leggermente in avanti in segno di saluto, ben conscia che dare il via ad una rissa che si sarebbe concentrata tutta contro di lei su una nave che contava un equipaggio di almeno –le contò con lo sguardo, quelle visibili sul ponte e sul molo- dodici, tredici persone non sarebbe stata una scelta saggia. E visto che nessuno l’aveva ancora cacciata via, Flandre stabilì di voler viaggiare su quella nave e, se il viaggio verso chissà dove fosse stato lungo, di mangiarsene qualcuno e buttare i resti giù dalla nave per tenere a bada il suo appetito. Semplice, lineare, pulito.
    Si sistemò contro il parapetto e abbassò le palpebre in una penombra luminosa per ascoltare meglio i suoni intorno a sé; lo stormire del vento, le vele ammainate che sbattevano contro il legno, ordini ai marinai, lo schiamazzo dei lavori. Si guardò intorno: uomini, rozzi, brutti, strani, antropomorfi –qualcuno-, puzzolenti. Estremamente puzzolenti. Tutto in quel posto puzzava di fogna. Stantia, vomitevole fogna. Due odori diversi tagliavano quel mare di disgustoso fetore: sottili, quasi conosciuti. Simili all’odore della Città di Mezzo e di Radiant Garden. Odori rimasti impressi sugli abiti, sulla pelle, odori di luoghi in cui era già stata. Non erano del posto. Sollevò leggermente l’ombrellino, inclinandolo all’indietro e sondò con lo sguardo le persone sul ponte.
    E come non notarle? Ragazze, intanto. Nessun energumeno pustoloso imbevuto di alcool e di unto in potenza. Due ragazze vestite tutt’altro che da marinaie. Due mercenarie. Flandre si leccò le labbra con un ghigno sottilissimo. Sarebbe stato divertente. Poteva puntare su di loro, in caso le fosse venuta fame. Attività ricreativa e pasti inclusi. Una delle due si voltò verso di lei, probabilmente sentendosi osservata. Oh, aveva a che fare con un pasticcino sospettoso. Erano i suoi preferiti. La vampira ammiccò appena nella sua direzione, facendole capire che sì, era stata notata e stava guardando proprio lei.
    Il rombo dei motori e l’improvviso rollare della nave le annunciò che probabilmente stavano lasciando Crescentia. Flandre richiuse l’ombrellino, e continuò a fissare dritto di fronte a sé. Si isolò nel mondo in scala di grigi nella sua mente, con punte colorate e sature solo intorno a quegli oggetti, a quelle persone che avevano suscitato in lei un interesse superiore alla norma. Le sue orecchie si tesero, il suo corpo assorbiva tutti gli spostamenti e le correnti d’aria, galleggiava. Era come quando correva sui tetti, solo più veloce, più forte, con più potenza. Bello, bello, le piaceva.
    «Prima volta su un veliero volante, signorine?»
    Flandre sollevò una sola delle due palpebre. Ci mise un po’ per mettere a fuoco il tutto. Il gorilla che aveva schivato stava parlando con le due ragazze. Tese le orecchie e si concentrò sulla conversazione in corso in quella direzione. La giovane dai capelli neri parlava poco, a voce bassa, e non sembrava molto convinta di voler essere su quella nave. L’altra se ne stava alle sue spalle, in attesa, aspettando di essere notata, come se volesse dire qualcosa di particolare.
    «Ehm, ehi, anche tu diretta a Porto Royal?»
    Port Royal…?
    «Per l’annuncio del commodoro
    Annuncio del commodoro? Quella nave stava andando verso una meta precisa per un motivo preciso?
    «Ah, forte!» Flandre inclinò il capo dall’altro lato, perplessa; «Nel senso, anche io vado là per l'annuncio del commodoro». Ah, ecco.
    Bene, fantastico, anche lei stava andando a Port Royal per l’annuncio del Commodoro, recitò un paio di volte nella sua mente. L’aveva scoperto giusto in quel momento e le stava bene. Se qualcuno gliel’avesse chiesto, anche lei stava andando a Port Royal per l’annuncio del Commodoro, tutto chiaro. Flandre sorrise ancora, innocente. Troppo innocente. Poi avrebbe dovuto scoprire cosa fosse un commodoro.
    «Quindi, hum, combatti anche tu. Sai usare la magia o qualche arma in particolare?»
    Sì, ecco, ecco. Quella era una cosa che le interessava ampiamente. La magia, puah, che cosa orribile. Col senno di poi, si rese conto, anche lei era in grado di usare la magia. Ma in mano ad altri la trovava piuttosto fastidiosa. Soprattutto se usata come mezzo principale per combattere. Cosa c’era di divertente nel distruggere i propri avversari con attacchi magici quando a mani nude si potevano fare cose molto più piacevoli e soddisfacenti? Bah.
    «Sì… chiamiamola magia. E tu?»
    Evviva. Una maga. O qualcosa del genere. Flandre assottigliò leggermente le palpebre, contrariata. Una maga era dura da digerire.
    «Con questa, in parte,» la vide accennare alla sua spada. A quella stupida spada. Qualunque spada a confronto della Laevateinn era un giocattolino. Pfft. «…ed in parte anch'io con la magia.»
    Ma che palle.” Doveva stare attenta. Molto attenta. Per ora non aveva fame, ma in caso fosse capitata un’emergenza, forse era meglio puntare davvero su qualcuno dell’equipaggio, piuttosto che su una di loro due. Non voleva avere l’altra contro. E fronteggiarle tutte e due non sembrava essere proprio la scelta più saggia e sicura. Mannaggia.
    Egeria.
    Ayleia.
    Troppo simili quei due nomi. Probabilmente li avrebbe scambiati, l’uno con l’altro, Probabilmente non le avrebbe mai chiamate per nome. Probabilmente arrivata a Port Royal, Flandre se ne sarebbe andata per la sua strada, girando a caso la città. Molto più divertente che fare la posta a due ragazzine che non sapevano neanche tenere in piedi una conversazione. Un filo di odore fetido la raggiunse. Flandre subito si guardò intorno cercando di capire da dove provenisse. Suoni. Suoni sotto i suoi piedi, suoni lungo tutto il legno della nave. Flandre si leccò le labbra. Un’altra preda? Un nemico? Il suo stomaco che riverberava per tutta la struttura del vascello? Una qualunque di quelle opzioni le sarebbe andata benissimo. Cominciava ad annoiarsi. Ascoltare i discorsi degli altri poteva intrattenerla per poco. Dopo un po’ diventava noioso, e se non trovava qualcosa con cui intrattenere le mani probabilmente avrebbe finito con il sedersi per terra e il lamentarsi di non essere a caccia. Cosa da non fare con due mercenarie a bordo e a… dieci, quindici, venti metri di distanza.
    La stiva. Flandre tese i muscoli e i suoi occhi brillarono interessati. Si alzò il portello della stiva e sbucò un uomo incappucciato. Un barbone. Cosa ci faceva un barbone sulla nave del Pommodoro? Aveva un odore orribile, un misto di alcool, vomito e strada. Tutti quegli odori che aveva sentito passando nei vicoli della città di mezzo, nelle periferie di notte. Tutti quegli odori che associava ai senza tetto che molto spesso avevano colmato la sua fame più nera. Ecco chi avrebbe potuto far sparire. Per niente curato. Fetido, probabilmente anche nell’alito e nelle viscere. Abbandonato a sé. Il viso stravolto e stordito. Incrociò il suo sguardo per un istante e Flandre lo guardò con un’occhiata a metà tra la promessa di mettere fine alle sue sofferenze e un patto non siglato di non belligeranza che lei stessa avrebbe potuto infrangere, se le cose si fossero messe male. Giurò a se stessa di non farsi prendere la mano e di non attaccare nessuno di loro se non in caso di estrema necessità. L’uomo tornò nella stiva, e Flandre dichiarò superfluo indagare ancora con un’alzata di spalle.

    Sbarcarono a Port Royal. Il barbone era uscito dal suo nascondiglio e sì, come aveva immaginato, puzzava come una latrina. Almeno, per il suo naso. Aveva annusato di peggio, concesse. Se non altro, di positivo c’era che quell’odore era più che sufficiente a soffocare di quel tanto che bastava il suo appetito.
    «Puzzi di morto,» sussurrò all’uomo vicino a lei, che a quanto pareva era più in forma del previsto, nonostante il viso ammaccato. Una constatazione pura e semplice. Mentre da Ayleia ed Egeria si irradiavano fragranze neutre, pulite, fresche e mescolate con le note peculiari della loro pelle, da quell’individuo Flandre non riusciva a carpire particolari informazioni. Nemmeno cosa fosse. Perché se di fronte a sé era sicura di avere due ragazze con un cuore più o meno equilibrato, da lui percepiva un segnale disturbato e una sensazione opprimente.
    «Beh, e tu sei alta un cazzo e una ciliegia.»
    Flandre batté le palpebre senza capire e si girò appena verso di lui.
    «Che cos’è un “cazzo”?» domandò perplessa.
    Lo vide titubare: «Urk... Mmm. Come dire.»
    Un frutto? Una verdura? Un tubero? Una parte del corpo umano di cui non sapeva il nome? Perché Flandre mangiava tantissime cose, ma molte non sapeva neanche cosa fossero. Realizzò lentamente che magari non si trattava neanche di qualcosa di commestibile, e visto che quell’uomo sembrava metterci tanto a risponderle, probabilmente era un oggetto e basta.
    «Meh, se non si mangia non mi interessa.»
    Fece un passo oltre, superando l’uomo che continuava a camminare sulla nuda pietra. Poi si voltò indietro, come per cercare una smentita o una conferma. Scrollò le spalle, più che mai convinta che quella conversazione fosse ormai finita.
    «Però, in un certo qual senso, si può 'mangiare' come un ghiacciolo, eheheh…»
    Un fruscio, un sussurro consapevole, non rivolto a lei. Ma Flandre era abituata ad ascoltare ciò che le persone avevano da dire anche quando non volevano essere sentite.
    «Un ghiacciolo non si mangia. Si lecca.» commentò piccata, ancora, a tutt’altro volume rispetto a quello dell’uomo. Che trasalì. Non se l’aspettava, vero? Non si aspettava che lei sapesse cosa fosse un ghiacciolo. Viveva da quasi cinquecento anni, era stupido pensare che non sapesse cosa fosse. Era una bambina intelligente, in fondo.
    «Oh mer-»
    Flandre storse il capo.
    «S-Si, hai ragione, si lecca, si lecca.»
    Ecco visto? Aveva ragione. Be’, qualcosa che non conosceva era commestibile. Doveva scoprire dove trovarlo e assaggiarlo. Si allontanò di tre, quattro passi, avvicinandosi alle altre due più avanti, lasciando il barbone dietro di sé.
    Port Royal non era un granché. Vecchia, senza dubbio. Piena di profumi stantii, di acqua salata, di pesce marcio. Viaggiò con lo sguardo annoiato lungo tutto il molo, seguendo i profili delle barche, delle abitazioni distanti accarezzate dal sole morente, della lucertola gigante blu, del- una lucertola gigante blu? Le piacevano le lucertole! Aveva già mangiato lucertole! Arrostite erano stuzzichini quasi migliori delle dita scottate. Quasi. Si strofinò le mani. Una lucertola gigante, era il suo giorno fortunato. Neanche lei sembrava parte di quell’ambiente, a giudicare dalla donna che correva urlando nella direzione opposta. Quindi forse poteva andare che anche lei fosse lì per l’annuncio del Com… Commo… Pomodoro e, arrivata a quel punto, mantenere la facciata di mercenaria che aveva deciso di imbarcarsi per una missione di cui non sapeva assolutamente niente poteva essere estremamente utile. Cosa avrebbe dovuto fare, non era un problema. Finché si trattava di togliere dai piedi qualcuno o qualcosa, lei ci sarebbe sempre stata. In più, forse, avrebbe potuto mangiare lucertola come spuntino di mezzanotte.

     
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