Il Quarto Regno

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  1. misterious detective
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    All'inizio, la situazione gli era sembrata così irreale che il pensiero di quelli che potessero essere i veri rischi di una missione simile potesse comportare. Senza porsi tanti problemi, alla notizia della scomparsa di Radiant Garden, lui come molti altri soldati del Comitato si era offerto con un discreto entusiasmo e molta, molta curiosità, per andare a indagare sulla scomparsa di un intero mondo, uno dei maggiori baluardi della luce, per di più. Forse era stata la follia di un momento, forse l'ingenuità, ma non si era reso conto subito dei rischi che un simile compito potesse comportare; o, meglio ancora, non aveva previsto quando e in che forma sarebbero potuti arrivare. Combattere gli Heartless all'interno del Comitato lo aveva portato più volte a rischiare la vita e puntare tutto sulle proprie capacità e, fino a quel momento, si era sempre scoperto vincitore di tutte quelle scommesse. Tuttavia, affrontare la morte era un conto, ma sfidare l'ignoto era totalmente diverso: era lì, quando una Gummiship era scomparsa nel nulla, senza lasciare dietro di sé un solo segno della sua esistenza. Non lo aveva visto con i propri occhi, non era così vicina, ma era in contatto con i suoi compagni quando le comunicazioni radio si zittirono di colpo e dai radar un segnale si spense di colpo come se non fosse mai esistito. I suoi compagni d'armi, i suoi amici erano su quella nave; non poteva immaginare cosa loro avessero provato, ma il terrore che lo aveva schiacciato non era certo meno doloroso. Non era più sicuro di voler scoprire cosa si celava dietro alla scomparsa di quello stupido mondo su cui non aveva nemmeno mai avuto occasione di mettere piede prima di allora, non voleva scoprire che fine faceva la gente divorata così dalle tenebre infinite dello spazio. Eppure era lì, di nuovo davanti alla cloche dell'astronave, chiuso in quel comparto ovoidale indipendente in testa alla Gummiship, accompagnato non più da commilitoni ma da mercenari, per indagare di nuovo su quei fatti misteriosi.
    John, soldato semplice del Comitato di Sicurezza della Città di Mezzo, nonché pilota di Gummiship, deglutì e pensò, fra sé e sé, che doveva essere stato più scortese del necessario nei loro confronti. Avrebbe dovuto mostrarsi più aperto, più grato del loro contributo, avrebbe dovuto spiegare con più calma la situazione, ma quelli erano tutti doveri di cui si sarebbe disfatto volentieri. Voleva tornare a casa, voleva riabbracciare sua moglie e dimenticarsi di quell'incubo freddo. C'erano già abbastanza persone a preoccuparsi per quello stupido sasso, uno come lui non serviva di certo. Sarebbero andati là, non avrebbero trovato nulla, se ne sarebbero tornati indietro e prima del mattino si sarebbe ritirato dall'incarico, poco ma sicuro. E che queste fossero le sue intenzioni lo aveva reso ben chiaro a tutti i suoi compagni di viaggio.
    -La nostra missione...- aveva cominciato, dopo essersi presentato per la seconda volta e aver ascoltato e salutato chiunque di loro avesse voluto fare lo stesso con lui. -... consiste principalmente nel recarci sul luogo, studiare con i sistemi radar e di intercettazione della Gummiship l'area circostante... beh, i fatti.- aveva balbettato, passandosi una mano tra i capelli e asciugandosi il sudore della fronte, parlando con fare scorbutico e frettoloso. -Non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando, va bene qualsiasi cosa.- con un sospiro, quindi, aggrappatosi più forte aveva aggiunto: -Per ora, tutto ciò che siamo riusciti ad ottenere è stato di perdere, letteralmente, altri uomini e... osservare l'evento. Non l'ho visto con i miei occhi, ma a quanto pare si verificano due eventi: una forte turbolenza, come una tempesta magnetica, ma senza scariche elettriche o cose del genere, poi...- aveva spiegato, mostrando loro bene una mano e chiudendola pian piano a pugno per enfatizzare quanto la sola idea fosse spaventosa. -La nave viene come risucchiata da qualcosa, il buio si stringe tutt'attorno e poi... puff, non c'è nulla, nulla.- Aveva sospirato un'altra volta, e nonostante desiderasse tenersi per sé le ultime parole e non doverlo ricordare ancora spiegandolo ai guerrieri, aveva concluso dicendo loro: -Insomma, dobbiamo andare là e cercare di capire cosa sia questo evento, cosa lo causi e, che il cielo ce ne scampi, cercare di non finirci in mezzo nel processo.-
    Quello era tutto ciò che aveva detto loro lungo tutto il viaggio, aggiungendo solo poco altro quando veniva interpellato. Era stato in silenzio per tutto il resto del tempo, senza voltarsi nemmeno una volta verso la banda di sconosciuti che gli stava alle spalle. Ne aveva visti di mercenari, nei suoi quasi due anni di servizio, ed erano tutti uno più strambo dell'altro, troppo per potersi fidare appieno di loro: la ragazza con un occhio solo le era sembrata subito affidabile o, per lo meno, quella che più assomigliava ad un guerriero, presentatasi puntuale e piena di preoccupazione per l'accaduto. Sugli altri, invece, non aveva idea di come proferirsi: l'altra donna era rimasta silenziosa praticamente per tutto il tempo, senza dare spiegazioni e esplicare le proprie intenzioni, misteriosa come molti di quelli che svolgono il suo stesso mestiere, ma non per questo esperta nel farlo: senza nulla toglierel al suo sesso, soprattutto dato il numero di donne, generali compresi, nel Comitato, ma di faccini accigliati come il suo ne aveva visti molti contorcersi di dolore e paura in battaglia. I due uomini non erano meglio, poi, uno dall'aria distaccata e nobile che, se non per il fisico statuario, non sembrava trovarsi nel posto giusto, in viaggio verso un “fronte” e l'ultimo, tale Azrael, che aveva inquadrato subito come il più strambo con una sola occhiata. Non si aspettava molto da loro, ma andava bene così: non avrebbero nemmeno dovuto fare molto. Non dovevano trovare nulla e tornare a casa in fretta: niente battaglie, niente eventi misteriosi, niente tracce da seguire, nulla di nulla, a quello puntava. Continuò a ripeterselo nella mente, mentre ognuno sfruttava il tempo che li separava dalla meta come meglio credeva.
    Alla fine, passarono quasi tre ore prima che John si rivolgesse di nuovo a loro, mentre con mano tremante cercava di spingere i pulsanti giusti per addolcire la forza dei motori. -Siamo... siamo in arrivo.- disse solo. -Occhi aperti e preparatevi: potrebbe succedere di tutto.-




    Mi conoscete, non aspettatevi abbellimenti grafici di alcuna sorta da parte mia perché non li so fare e, beh, spero di intrattenervi più con il contenuto che non con l'esteriorità. Come già ci siamo accordati, avete un giro di post per far interagire tra di loro i personaggi come preferite, prendetevi il tempo che vi serve e divertitevi ^^
     
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    IL QUARTO REGNO

    I


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    La notte era frizzante nonostante l’incombere di aprile.
    Avvolta nella giacca pesante, Egeria camminava rapidamente tra la gente indaffarata della Città di Mezzo. La piazza del primo distretto era luminosa, affollata e chiassosa come al solito: residenti e commercianti, avventurieri e guardie del Comitato portavano avanti le loro faccende con altalenante spensieratezza; solo occasionali volti tesi denunciavano la vicinanza -spaziale e temporale- della calamità abbattutasi su Radiant Garden.
    Egeria schivò un bambino che correva attorno all’aiuola in mezzo alla piazza e proseguì oltre, verso l’enorme portone a due ante. Trovava surreale quella calma. La notizia della scomparsa del baluardo della luce doveva ormai essersi sparsa ben oltre le orecchie del Comitato e dei mercenari, eppure non vedeva né panico né terrore. Forse credevano che la situazione fosse reversibile, o forse le contingenze avevano obbligato buona parte degli abitanti di quel mondo allo stoicismo –cinismo nel peggiore dei casi. La seconda opzione non le sembrava così assurda. Aveva passato una settimana nella Città di Mezzo, e in quel breve arco di tempo aveva interagito con decine di persone; nessuna di loro era nata lì. La Città di Mezzo era un mondo di profughi, gente che aveva perso la propria casa. Il proprio mondo. Gente che si era rassegnata ad andare avanti come poteva, conscia che da quel momento in avanti non sarebbe mai stata al sicuro.
    Si fermò di fronte al portone, ma non tirò subito il massiccio batacchio di ferro. E lei?, si trovò a pensare; lei si era rassegnata? Seguendo la logica avrebbe dovuto. Tutti i “naufraghi” con i quali aveva parlato avevano confermato che il loro mondo era stato distrutto. La maggior parte si era risvegliato nella Città di Mezzo, insieme a pochissimi altri compatrioti. Nessuno era stato “trasportato” e basta; l’eventualità datale da Argo era apparsa sempre più un ipocrita tentativo di consolazione ad ogni domanda che poneva, ad ogni lacrima di nostalgia che vedeva versare.
    Afferrò il batacchio e cominciò a tirare. No, concluse di non essersi ancora rassegnata; troppe cose non tornavano. Perché non si era risvegliata alla Città di Mezzo, come tutti gli altri? Perché solo lei, quando almeno una decina di persone riuscivano sempre a salvarsi? Doveva farselo bastare: persa quella speranza, cosa le rimaneva?
    Oltrepassò la porta e si lasciò dietro i rumori, le luci e la folla. La pesante anta di legno sbatté dietro di lei con un tonfo cacofonico. Era sola, in un’ambiente scuro e dalle pareti metalliche. Un hangar. Decine di “gummiship” -così Argo le aveva chiamate- erano parcheggiate di fronte a lunghe piste rettilinee che si perdevano nel buio. Si avvicinò ad una delle tante colonne che riempivano la stanza e abbandonò a terra lo zaino, così da dare sollievo alla spalla che lo sosteneva.
    Forse era arrivata troppo presto. Avrebbe dovuto incontrare un soldato in divisa, un membro del Comitato che doveva portare lei e altri “mercenari” nel luogo in cui Radiant Garden, senza un apparente motivazione logica, era sparito. Passò distrattamente un dito guantato sulla superficie liscia e lucida della colonna. Il suo sguardo perso seguiva gli arabeschi tracciati dalla mano. Sparito. Non distrutto. Sparito. Sparito insieme a tutti i suoi abitanti. Un fenomeno apparentemente senza precedenti: le informazioni che era riuscita a raccogliere su Radiant Garden escludevano che gli Heartless potessero esserne la causa, senza contare che anche le navi mandate ad investigare erano andate disperse pur non avendo ricevuto assalti di sorta.


    Ma era davvero privo di precedenti?
    Egi2_3


    Interruppe ogni movimento di dita e occhi, colta da un’ormai ricorrente stasi delle percezioni. Che un fenomeno simile fosse accaduto anche ad Oriam? Se l’era chiesto l’istante stesso in cui aveva terminato la lettura dell’annuncio. Dato che nessuno sembrava conoscere il suo pianeta natale, l’ipotesi esisteva.
    Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, cercando di mettere in ordine i pensieri. Si rendeva conto che la possibilità fosse minima, che forse stava solo rimandando il confronto con la verità, ma non poteva esimersi dal verificare di persona. Quella era la speranza più ferma e più vicina a cui potesse ancora tenersi aggrappata. Era disposta a correre i rischi.

    --------

    Picchiettava le dita sulle ginocchia e guardava fuori dal piccolo oblò. Non erano ancora partiti, quindi i sui occhi si posavano solo su pareti di ferro, muletti e taniche di benzina. Eppure, nonostante non ci fosse nulla da guardare, il suo volto parzialmente coperto dalla sciarpa bianca rigata di nero non si era mosso che per catturare rapide immagini dei suoi compagni di viaggio, saliti proprio in quel momento. Erano in quattro: aveva già incontrato due di loro, nell’hangar poco prima.
    Il primo ad arrivare era stato un uomo imponente, dall’abbigliamento e l’aspetto singolari: lunghi capelli di un rosa acceso -colore che si ripeteva sulle sue labbra e le sue unghie-, pantaloni di pelle, petto nudo. Si era presentato come Azrael.
    Joh Doe -il soldato del Comitato e pilota del loro mezzo- era arrivato poco dopo. Aveva spiegato rapidamente e con evidente disagio il suo e il loro ruolo nella missione e proposto di partire il prima possibile, non appena anche gli altri fossero arrivati. Egeria era rimasta in silenzio, non essendo stata interpellata. John aveva mostrato loro la gummiship con la quale avrebbero viaggiato, così la giovane era salita per prima e si era scelta un posto appartato. Gli altri due dovevano essere arrivati poco dopo.
    La prima persona che Egeria vide entrare dal portellone fu una giovane donna dall’aspetto austero. Alta, portava i capelli castani corti e disordinati intorno al viso grazioso ma percorso da una cicatrice che aveva accecato uno dei due occhi azzurri. Nel guardare il suo abbigliamento, Egeria percepì un leggero ma distinto senso di inadeguatezza. Sopra la camicia bianca, la donna portava semplici ma efficienti protezioni in cuoio, che le davano un aspetto rassicurante e affidabile; Egeria, di contro, indossava abiti da tutti i giorni: stivaletti di cuoio, calze lunghe e pesanti, vestito corto con spalline, giacca e guanti entrambi neri, sciarpa bianca. Si domandò cosa avrebbero pensato di lei i mercenari. Non aveva nessun’armatura, nessun’arma in vista, né tantomeno la presenza o l’aspetto di un guerriero. Nello zaino nero che teneva in grembo c’era tutto ciò che aveva: un cambio d’abiti, qualche libro, un quaderno e la sfera di Kervion.
    Prese un profondo respiro, stringendo la stoffa delle calze tra le dita. Non doveva pensarci. Dubitava che il Comitato si sarebbe fatto domande simili sui pochi disposti a rischiare la vita e andare incontro all’ignoto.
    Quando riaprì gli occhi vide passarle vicino l’altro sconosciuto: un uomo ancora più alto di Azrael, ma che certo non condivideva con quest’ultimo la massa o il peso. Magro, dalla carnagione scura e i capelli neri, esibiva un trucco facciale quasi eccessivo, specialmente attorno agli occhi dorati. Era avvolto in abiti colorati ed esotici, come Egeria non ne aveva mai visti neanche durante la sua breve permanenza nella Città di Mezzo. Al fianco, teneva una spada che sembrava composta di un unico, arzigogolato pezzo d’ossidiana.
    Il senso d’inadeguatezza si tramutò in diffidenza, che Egeria dissimulò distogliendo lo sguardo. Il colore degli occhi di quell’uomo era identico a quello che gli occhi di sua madre avevano assunto quando aveva perso la memoria e l’aveva attaccata. Poteva essere un caso; poteva essere un colore comune, nel suo pianeta; ma la viva immagine di quel volto e di quelle iridi le impedirono di lasciar correre quel particolare. Quell’uomo andava tenuto d’occhio. Che le sue intenzioni fossero buone o meno, doveva capire se la sua condizione fosse in qualche modo simile a quella di sua madre: in quel caso, avrebbe avuto più di una domanda da porgli.
    La voce incerta di John richiamò la sua attenzione. Stava parlando a tutto il gruppo, seduto al posto di comando della nave, presentandosi per la seconda volta e armeggiando con i comandi al tempo stesso. Egeria si costrinse a distogliere lo sguardo dall’esterno e a rivolgerlo alla curiosa scena che si era andata formando nell’abitacolo: tutti i suoi “compagni” avevano preso posto sulle poltrone strette, ma la radicale e quasi alienante differenza nei loro aspetti e modi di fare le risultava quasi grottesca.
    Strinse a sé lo zaino.

    --------

    Non era certa di quanto a lungo avessero viaggiato. Poco, qualche ora al massimo, passata tra elucubrazioni interiori, falliti tentativi di lettura e passivi ascolti delle informazioni sciorinate da John. Per la maggior parte, informazioni delle quali era già a conoscenza, come il loro ruolo in quella “missione” e un approfondimento sullo sconosciuto fenomeno che avrebbero dovuto investigare.
    Egeria sospirò, lanciando un’occhiata al buio al di là dell’oblò. Più John andava nel dettaglio di quell’operazione, più le sue speranze di trovare qualcosa di effettivamente utile si affievolivano; sia perché il soldato era chiaramente ansioso di sbrigare velocemente un compito indesiderato, sia perché le “analisi” di cui aveva parlato non sembravano in alcun modo presupporre una loro partecipazione attiva. Più volte si era chiesta se la loro presenza su quella nave fosse davvero necessaria o una mera precauzione; ma una precauzione contro cosa?
    Fu di nuovo la voce del pilota a interrompere i suoi pensieri. «Siamo... siamo in arrivo.» disse, di nuovo a disagio «Occhi aperti e preparatevi: potrebbe succedere di tutto.»
    Sentì il rombo lontano dei motori affievolirsi, vide le stelle lontane rallentare la loro corsa. “Potrebbe succedere di tutto”, ripeté mentalmente. Lo sperava davvero.



    Primo post un po' "meh" per via della quantità di cose da dire e per la mia auto-diagnosticata inettitudine nello scrivere i primi post.


    Edited by Frenz; - 9/2/2016, 15:17
     
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    Svanito. Così. Tutt'ad un tratto.
    Il momento prima c'era, e poi, di punto in bianco, non aveva lasciato la benché minima traccia di sé, se non un apparente vuoto cosmico che riservava la stessa fine a qualsiasi cosa osasse avvicinarsi.
    Radiant Garden non c'era più: un intero mondo sparito.
    Letto il bando affisso su di una bacheca che si trovava nella periferia della città imperiale, Khan si era diretto all'aereoporto e si era imbarcato sul primo volo per la città di mezzo, in cui era stato stabilito il punto d'incontro per coloro che volessero prendere parte alla squadra di ricerca.
    A svegliare in lui l'urgenza di farsi carico di quel compito era stata principalmente una parola: scomparso.
    Per quanto terribile, il concetto di pianeti distrutti, divorati dall'oscurità o, si narrava in testi antichi, annientati dalla luce, era tutt'altro che alieno, ma che un mondo scomparisse? Stando sia a quanto scritto sul foglio che al ricordo immediato di quanto sapesse a riguardo, era se non una novità quantomeno una bizzarria, già interessante e degna di studio di per sé, senza contare che poteva implicare ( ma non necessariamente ) l'entrata in gioco di entità diverse da quelle che fino ad allora s'erano giocate il piatto del predominio sull'esistenza.
    E quel pensiero lo metteva a disagio, lo incuriosiva e allo stesso tempo lo allarmava, gli riempiva la testa di 'e se?' che voleva mettere quanto prima a tacere, ma che si facevano sempre più chiassosi, quasi volessero fare da eco al brusio della gente che gli passava accanto, chi per godersi una passeggiata per le vie lastricate di cotto, chi borbottando per la giornata di lavoro passata senza risultati ed all'insegna della noia e chi augurandosi; assieme ai civili per assicurarsi che non ci fosse traccia di potenziali pericoli - lavoro scadente, visto che da quando era arrivato lì continuava ad avanzare senza che nessuno lo fermasse per accertamenti di sorta, e anche nella sterminata varietà della brodaglia di vita che era l'universo Khan non era esattamente il tipo da passare inosservato, tant'è che intercettò le occhiate di sorpresa di più di un passante, ma niente di più.
    Niente sembrava essere cambiato, come se un avventimento di quel calibro non fosse niente per cui interrompere la tranquilla routine della popolazione.
    'Sempre che sappiano cosa sia successo...' d'altronde era normale che le autorità scegliessero di tenere all'oscuro la folla anziché allarmarla con il terrore di qualcosa di sconosciuto e per il quale non potevano ancora stabilire misure di sicurezza adeguata, non sapendo per certo cosa fosse successo a Radiant Garden né come prevenire che si ripetesse.
    Corrucciò la fronte, 'Non può essere morto così, sparendo nel nulla senza lasciare traccia', considerazioni sull'accaduto non smettevano di accavallarsi nella mente dell'Immortale, in un continuo, quasi monotono e ripetitivo dibattito interiore, scandito dal grattare dell'indice destro contro il pollice. Il gesto venne infranto dalla spalla di un bambino che arrivò a gran velocità su di lui, rimbalzò sul suo braccio, e riprendendo l'equilibrio continuò a correre all'inseguimento di un gruppetto di coetanei poco più avanti.
    Lo sguardo di Khan li seguì imboccare le scale per il secondo distretto: "A meno che..."
    A meno che Radiant Garden fosse stata non distrutto, bensì spostato.
    Non era un'opzione da escludere- d'altronde, lui stesso veniva da quella che non era sbagliato definire come un'altra dimensione. Come lui era stato scacciato dal suo dominio, così era possibile che qualcuno avesse divelto Radiant Garden dal proprio nido, e che quelle coordinate si fossero trasformate in un punto di transito per un altro piano.
    Ma spostato dove? E come?

    Alla sede del Comitato di Sicurezza della Città di Mezzo, l'addetto alle mansioni burocratiche stette qualche secondo buono col naso in sù a fissarlo come un pesce lesso, il viso contratto in un'espressione a metà tra l'incredulo e il perplesso.
    "Squadra di indagine per Radiant Garden", proruppe telegrafico e con tono brusco, sbattendo il foglio sullo sterno del soldato, che indietreggiò di un passo per il contraccolpo, "Dove devo dirigermi?"
    Uscì dall'edificio ed inspirò a pieni polmoni l'aria salmastra di quell'eterna serata primaverile, rilasciandola in una nube di vapore chiaro che si tinse della luce giallastra delle insegne che costellavano la città, un tripudio di marrone e azzurro calce di ogni tonalità che squarciava il manto blu scuro del cielo con file irregolari di tetti percorsi da tegole lignee e consumate.
    Percepiva un lieve formicolio correre sotto la pelle e stimolare la carne, le dita che si agitavano e si strofinavano tra di loro, la vista che si acuiva ad ogni respiro, le orecchie che captavano i più sommessi sussurri dei passanti, odore acre di zenzero che si mischiava alla fragranza del muschio. La vicinanza di quel mondo all'oscurità lo rinvigoriva e lo faceva sentire come immerso in una vasca colma d'acqua tiepida, rilassandolo ed eccitandolo al tempo stesso.
    Quella rinnovata euforia lo guidò veloce tra le strade e i vicoli della Citta di Mezzo, mentre faceva ritorno all'hangar, dove, a quanto pareva, il briefing per la missione doveva essere già iniziato.
    Fortunatamente, non gli ci volle molto per farsi strada nella calca ma quando giunse in vista delle ante in legno color nocciola della porta dell'hangar, poco oltre di una breve scalinata, un accenno di dubbio fece rallentare il passo dell'Immortale fino a quando non si fu fermato: era una scelta saggia, quella di unirsi ad altre persone in un incarico del genere, anziché provare ad investigare per conto proprio? Tra le informazioni apprese dai viaggi che aveva fatto per quel vasto multiverso ricorreva spesso la paura e la diffidenza ( per niente dissimili da quelli che aveva incontrato nel proprio mondo ) nei confronti di coloro che si erano lasciati sedurre dal richiamo dell'oscurità- deboli in cerca di un potere troppo grande per loro, che li fagocitava e li rendeva schiavi, con conseguenze spesso disastrose.
    Certo, lui sapeva di essere in controllo.
    Si guardò il palmo teso della mano destra, e chiuse e riaprì e chiuse ancora le dita, lentamente: 'Che garanzie posso dare agli altri?'
    Gli bastò scuotere la testa per scacciare via quei pensieri poco opportuni- a farsi prendere da timori simili non sarebbe andato da nessuna parte. 'Tanto vale scavarsi un buco nel terreno, buttarvisi e marcire dentro per l'eternità, a questo punto.'Il passo tornò ad essere veloce.
    Era normale che non tutti lo accogliessero a braccia aperte. Anzi, era proprio quello il punto: era dimostrando agli altri di non essere succube di quella forza, ma di averla resa parte integrante e non dominante di sé e di cosa egli fosse capace che ne avrebbe guadagnato la fiducia, e quella fiducia sarebbe stata a sua volta conferma di come fosse ancora se stesso.
    Inoltre non era presuntuoso, sapeva che in solitaria sarebbe riuscito a raccattare giusto qualche notizia e nozione di seconda mano, mentre lì, sul campo, avrebbe potuto vedere con i propri e toccare con mano e capie molto, molto di più sulla questione; e nel caso qualche dettaglio fosse scappato a lui ci avrebbero pensato i suoi compagni a colmare l'occasionale lacuna.
    Spalancò con rinnovata determinazione i battenti del portone, che si aprirono velocemente e con un rumore sordo, impiegando diversi secondi a richiudersi mentre Khan procedeva spedito verso le tre figure che vedeva in piedi di fronte a una delle navette.
    Ad accoglierlo fu un membro del Comitato, un uomo in armatura a piastre e con stampata sul volto un'espressione che faceva trapelare che avrebbe voluto trovarsi in tutt'altra situazione in tutt'altro posto, impressione confermata dall'incerto tartagliare del soldato, che rispondeva al nome di John Doe.
    Inarcò un sopracciglio nel vedere come non si sforzasse di nascondere il proprio disagio, ma lasciò passare.
    Si abbassò la sciarpa sul collo, mostrando bene il volto - meglio non destare più sospetti di quanti non ne avrebbe già suscitati di suo - e si presentò lapidariamente: "Khan".
    Volse lo sguardo verso uno dei suoi compagni, un uomo poco più basso di lui che non aveva paura di esibire il fisico scultoreo, coperto solo dai mandala tatuati sulle braccia e dai lacci intrecciati sul torso; più bizzarro del vestiario, un paio di pantaloni viola scuro ed un paio di scarpe, era il colore dei capelli, di cui aveva truccato anche labbra e unghie: un fucsia intenso che s'accendeva ancora di più grazie al contrasto con le macchie verdastre. Gli Immortali sfoggiavano chiome dei più disparati colori, dal rosso al viola al blu all'indaco al verde uovo di pettirosso, ma raramente gli era capitato di vedere una tonalità così carica adornare la testa di qualcuno.
    Azrael, così si chiamava, lo salutò alzando indice e medio in una v, e Khan rispose con un cenno del capo, "Lieto.", per poi passare alla donna: se Azrael sembrava pronto a gettarsi nella mischia a muso duro, la giovane aveva fatto la scelta sensata di indossare una frugale armatura di cuoio corvino sopra la camicia bianca dalle maniche a sbuffo, concedendosi come unico vizio una gonna sopra i pantaloni; quando incrociarono lo sguardo, notò la cicatrice che attraversava il volto dai lineamenti delicati di lei, una traccia che partiva da poco sopra il sopracciglio sinistro e segnava il naso, lasciando un occhio cieco; l'azzurro penetrante di quello sano veniva messo in risalto dal caschetto di capelli ondulati che incorniciavano il viso della ragazza, la quale mise una mano sul petto e chinò il petto.
    Rispose alla riverenza della giovane, che si chiamava Xisil, e quando alzò la testa notò che la sua espressione si era indurita, mentre continuava a fissarlo dritto negli occhi. Non era disprezzo, quanto una distante diffidenza- e non gli ci volle che un momento per realizzare cosa avesse causato quella reazione. Digrignò impercettibilmente i denti: 'Basta davvero così poco?'
    Senza commentare la cosa Xisil si girò e si avvio verso la, come si chiamavano? Gummiship.
    Era non tanto dispiaciuto dall constatare come le sue previsioni si fossero rivelate non del tutto errate, quanto sorpreso dalla facilità con cui già una dei suoi compagni avesse intuito parte della sua natura.
    Seguì l'esempio della donna e salì la scaletta che portava all'interno della navetta, dove Xisil e, scoprì, un'altra ragazza avevano preso posto. Incuriosito da quella presenza, si sedette sul divanetto di fronte a quello che la sconosciuta aveva di fianco, accavallò le gambe e vi poggiò sopra la spada, tamburellando con le dita sull'elsa, un tic tic tic cadenzato e veloce che rompeva il silenzio da lei religiosamente osservato.
    In accordo col contegno riservato, la figura sinuosa era vestita di abiti semplici, una giacca nera che copriva l'abito bianco, le snelle gambe coperte solo da calze e stivaletti; se non avesse mosso il viso aggraziato e incorniciato da lunghi capelli corvini e da una sciarpa bianca a righe nere per guardarlo, non avrebbe fatto fatica a credere di star guardando una bambola di candida porcellana finemente scolpita.
    Fu qualche istante. Si scambiarono un'occhiata, e lei distolse lo sguardo. Khan arricciò il naso- dubitava che a una missione del genere avesse preso parte una persona tanto timida o insicura da non riuscire a stabilire un minimo di contatto fisico: adesso erano in due a sospettare di lui.
    Fece schioccare la lingua. Cominciava a sentirsi osservato, come davanti ad un vetro appannato, ma dietro il quale gli altri riuscivano a vederlo perfettamente 'Controlliamo un po', sì?', le dita raggiunsero un orecchino e ne urtarono i sottili componenti; assieme al tintinnìo cristallino, un impulso si propagò per l'area circostante, infrangendosi sui tre attorno a lui. Almeno avrebbe colmato un minimo il divario.
    Guardò quella di fronte a sé. Umana. Xisil. Umana.
    A risuonare in maniera diversa fu Azrael, rivelandosi come un costrutto di pulsioni e sensazioni frammentate, ricucite e tenute insieme da un'energia naturale ed ancestrale.
    Rimase interdetto: stava guardando una grande, grossa, colorata e viva roccia.
    Scosse la testa. Un elemento del genere si sarebbe potuto rivelare d'aiuto; tuttavia, ciò che l'animava non corrispondeva a nulla di ciò che conoscesse- non un umano, non un Heartless, non un Nessuno o simili. Era qualcos'altro.
    Sarebbe stato interessante scoprire cosa fosse esattamente e di cosa fosse capace, 'Almeno ci sarà modo di vedere qualcosa di divertente nel caso si dovesse passare all'azione.'
    "Non credo di aver avuto modo di conoscere il tuo nome", ruvido, ma non sgarbato, Khan cercò di sondare un minimo il terreno. Uno, due, tre, dieci secondi passarono prima che la giovane recepisse, girandosi e cercando di esprimersi con naturalezza, per dissimulare l'evidente disagio che le aveva procurato: "Egeria", rispose, riflettendo gli occhi dorati dell'uomo nei propri, due dischi color del vino le cui pupille non erano altro che cerchi di una gradazione più scura rispetto a quella dell'iride, la cui vacuità tingeva di disinteresse il suo sguardo.
    "E il tuo?", la voce con cui ricambiò la domanda, invece, tradiva un accenno di curiosità, che Khan soddisfò annuendo e portando indice e medio poco sotto il mento: "Khan. Piacere."

    John Doe iniziò a fornire i dettagli sull'incarico- o, almeno, provò a farlo, incespicando tra un sospiro e l'altro: "La nostra missione consiste principalmente nel recarci sul luogo, studiare con i sistemi radar e di intercettazione della Gummiship l'area circostante... beh, i fatti. Non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando, va bene qualsiasi cosa.", pausa, di nuovo un sospiro, mentre la convinzione con cui Khan era arrivato fin lì lasciava pian piano il posto all'insofferenza, quando finalmente l'altro si decise ad arrivare alla parte interessante della questione: "Per ora, tutto ciò che siamo riusciti ad ottenere è stato di perdere, letteralmente, altri uomini e... osservare l'evento. Non l'ho visto con i miei occhi, ma a quanto pare si verificano due eventi: una forte turbolenza, come una tempesta magnetica, ma senza scariche elettriche o cose del genere, poi...", l'uomo chiuse la mano, "La nave viene come risucchiata da qualcosa, il buio si stringe tutt'attorno e poi... puff, non c'è nulla, nulla."
    Ignorò l'ennesimo sbuffo da parte del loro anfitrione e il tono melodrammatico che aveva assunto per concentrarsi su quanto appena spiegato, l'indice destro che grattava con forza il sopracciglio e la mano sinistra che massaggiava il gomito. Parte della dinamica dell'incidente sembrava confermare l'ipotesi che si era fatta strada nella sua mente: da come era stata descritta la scena, non gli risultava difficile immaginare che Radiant Garden e le aeronavi in perlustrazione avessero attraversato qualche passaggio per chissà dove.
    L'indice passò a tormentare lo zigomo sinistro: "Ma un varco tanto grande da inghiottire un intero mondo...?", mormorò, rallentando l'andamento del dito. Non aveva basi concrete per quell'idea, a cui era giunto andando per esclusione, e si sarebbe potuto trattare di chissà cos'altro, ma una cosa era certa: chiunque fosse dietro a quella sparizione non era da prendere sottogamba neanche per un momento.
    La voce di John interruppe il ragionamento: "-Insomma, dobbiamo andare là e cercare di capire cosa sia questo evento, cosa lo causi e, che il cielo ce ne scampi, cercare di non finirci in mezzo nel processo."
    Incapace di appellarsi ulteriormente alla propria pazienza, Khan inspirò a fondo, incrociò le braccia e lasciò che fosse una breve nota di disappunto a chiudere il discorso: "Svegli, attenti, minuziosi e soprattutto impavidi, i protettori dei mondi.", e senza gettare altro inutile fiele chiuse gli occhi, il volto contratto in una maschera di lieve sdegno.
    Non che lo giudicasse più di tanto, era normale avere paura, specie considerata la situazione e le perdite ( erano davvero tali? ), ma agitarsi come un bambino incontinente e assolvere quasi controvoglia ai propri doveri non avrebbe risolto nulla- al contrario, era debilitante per la riuscita della missione. 'Avresti dovuto pensarci due volte prima di prenderti questa responsabilità', due schegge dorate fissarono lo schienale del seggio del pilota. Avrebbe fatto meglio a tenerlo d'occhio.
    Passò il resto della traversata a fissare il manto traforato di minuscoli lumi scorrere davanti a sé, buttando di quando in quando l'occhio su Egeria, che di quando in quando prendeva un libro dalla borsa che portava con sé per poi richiuderlo dopo aver sfogliato un paio di pagine, e tendendo l'orecchio a quello che gli altri avevano da dire.
    Fece roteare il collo per sgranchirne le vertebre quando i motori iniziarono a diminuire la potenza con cui spingevano il veicolo, mentre John Doe annunciava il capolinea: "Siamo... siamo in arrivo. Occhi aperti e preparatevi: potrebbe succedere di tutto.", e Khan gli lanciò un'occhiata in tralice- aveva perfettamente ragione, ma come prima cosa avrebbe fatto meglio a dirlo davanti ad uno specchio, se non altro per risultare convincente.
    Tornò con lo sguardo verso il vuoto dello spazio per dare un'ultima, lunga occhiata alle stelle, chiedendosi quale segreto gli stessero tenendo le sue madrine, e, soprattutto, se in quel momento stessero sorridendo per lui o di lui.
    "Muurand togloom, hulganad ukhel."

    Note:

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    CITAZIONE
    Evil Eye

    Quello che caratterizza i guerrieri che hanno accettato dentro di loro che l'oscurità prendesse possesso del loro cuore, è la capacità di questi ultimi di percepire, con poco più che un'occhiata, accompagnata da una silenziosa concentrazione, per capire che genere di creatura si trovano davanti. Avendo infatti essi accettato che le tenebre li corrodessero, ricordandosi tuttavia come erano prima di lasciarsi andare, essi hanno una specie di sesto senso nel percepire le "aure" dei vari personaggi che si trovano ad incontrare durante il loro cammino. In termini di gioco quest'abilità permetterà al possessore di determinare, con una chiarezza da lasciarsi alla lealtà di ogni singolo, l'allineamento della persona che si trovano davanti, potendo anticipare con relativa facilità se l'oscurità alberga nel loro cuore, se vi risiede invece la luce o se un cuore non l'hanno affatto. Questo, assieme ad un'appropriata conoscenza dei trattati distintivi di ogni razza, potrebbe permettergli di anticipare alcuni comportamenti che prenderebbero altri totalmente alla sprovvista.

    - Privilegio razziale 'Perspicacia', Abilità Passiva Inferiore.

    Chiedo scusa per il post da rotolone Regina Q_Q"
     
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  4. AzraelParanoia
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    The Catastrophe





    -Un intero mondo... scomparso?-

    Quella pigra serata a Crepuscopoli, segnata da un cielo limpido e da un fresco levante che scivolava dolcemente tra la mia chioma, doveva essere destinata ad una serie di svaghi e passatempi relativamente semplici, come alcolici, videogiochi, ed un misto delle due cose, si rivelò improvvisamente agghiacciante nel momento in cui, passeggiando lungo l'area della stazione, potei notare con la coda dell'occhio un inusuale flusso di persone che sbraitavano e scalciavano, tutte accumulate attorno alla parete del negozio verso il quale ero diretto, per l'appunto, con lo scopo di acquistare qualche leccornia per me e per la mia apatica coinquilina. Eppure, nonostante in genere fossi disinteressato alle folle, non potei fare a meno di avvicinarmi, approfittando della mia altezza per sbirciare l'oggetto di interesse. Apparentemente, ciò che causava tanto scompiglio non era altro che un semplicissimo manifesto, di cui varie copie parevano star venendo appese in giro da una ragazzina affannata e nervosa, le cui mani tremanti fecero cadere una decina di fogli, subito trasportati dal vento nella mia direzione. Senza lasciarmi prendere alla sprovvista, mi flettei in avanti, allungando le braccia per afferrare al volo quelle cartacce fuggitive. Fatto questo, potei ritenermi soddisfatto, avvicinandomi dunque alla giovane. Da vicino, potei notare meglio i suoi tratti, le lunghe trecce castane, il corpo acerbo, non troppo dissimile da quello della mia silenziosa compagna di stanza, le lentiggini che caratterizzavano il suo volto, ed un'aria senza dubbio stressata. Mi sarebbe dispiaciuto lasciarla lì, con un lavoro tanto stressante, dunque, senza dire nulla, presi una parte dei manifesti e feci dietrofront, borbottando distrattamente un -Volevo leggerne uno, in ogni caso. Posso farlo mentre attacco questi.-.
    Guardandomi indietro, notai come all'inizio fosse pronta ad obiettare, tra la confusione e forse il timore di essere stata avvicinata da uno sconosciuto possibilmente pericoloso. Poi, rapidamente, distratta da chissà cos'altro, decise di non dare troppo peso alla cosa, tornando alle sue mansioni.
    -Eppure, giurerei di aver visto qualcosa nel suo sguardo...-
    Qualcosa. Un qualcosa che avevo già visto da qualche altra parte. Tra i monaci della Terra dei Dragoni, tra gli abitanti della Città di Mezzo... quel pallido alone invisibile da vedere, ma pesante alla percezione. Che questa empatia fosse una cosa Nesciens? Senza mai tentare di confutare quel dubbio, abbassai lo sguardo, arrivando all'esclamazione che feci all'inizio.


    Feci cadere il manifesto, fermandolo di scatto con il piede e rischiando di scivolare in avanti, nauseato. L'idea che un intero mondo fosse scomparso nel nulla era l'orrore assoluto, per le emozioni contenute in me dopo aver assunto questa forma. Battei più volte il pugno sul petto, fortemente convinto del fatto che avrei vomitato, pur consapevole del fatto di esserne incapace, e finendo solo per produrre dei rumorosi boati. Ecco il perché dello sbraitare, dell'urlare e dello stridere delle persone. Probabilmente avevano parenti ed amici a Radiant Garden. La testa mi girava come non aveva mai fatto prima, ed un senso di profondo timore riempì il mio cuore immediatamente. Qualunque cosa fosse successa, la scomparsa di un mondo è una terrificante ferita inferta all'equilibrio dell'universo come lo conosciamo. Dovevo assolutamente saperne di più. Facendomi forza, continuai a leggere, arrivando alla chiamata alle armi, insomma, alla richiesta di mercenari per aiutare il Comitato a scoprire cosa fosse successo. Ghignai soddisfatto al pezzo di carta, riprendendomi leggermente dalla nausea che sino a pochi istanti prima spezzò in due il mio corpo. Ancora una volta il mio lavoro come mercenario mi stava portando esattamente dove volevo. Un professionista come me non poteva mancare ad una chiamata simile.





    Cosa poteva aver causato un simile disastro? Un intero mondo scomparso non è cosa da niente. Esistono delle evidenti conseguenze a ciò, nell'equilibrio dei mondi. A tutti gli effetti, pensai, Radiant Garden non poteva essere davvero scomparsa. La distruzione di un mondo avrebbe avuto conseguenze, possibilmente gravi, anche negli altri. In fondo, tra portali e strade che si possono aprire tra i vari mondi, l'"evento" causa della fine di Radiant Garden avrebbe dovuto causare ripercussioni anche negli altri mondi. Doveva essere successo qualcosa di straordinario, o almeno così pensai. L'unico modo per scoprirlo sarebbe stato investigare personalmente, e così difatti feci. Presi giusto un paio d'ore per tornare a casa, spiegare l'accaduto, afferrare distrattamente lo stretto necessario, ed acquistare in biglietteria un passaggio per la prima Gummiship diretta alla Città di Mezzo. Il viaggio fu breve, come al solito, ma quel lasso di tempo bastò per farmi riflettere sugli avvenimenti più recenti. Ero già stato lì, ed avevo incontrato quegli Heartless capaci di moltiplicare il loro corpo. Gli Heartless, eh... che ci fossero loro dietro alla scomparsa del Mondo, in qualche modo? No, impossibile. Lavoro troppo complicato, per loro. Forse dei Nessuno di qualche tipo? No, anche quella era da escludere. In fondo, che guadagno avrebbero tratto dal far scomparire un pianeta? Immerso nei pensieri, lasciai che quegli attimi scorressero rapidamente, ignorando le vibrazioni del veicolo interplanetario, il chiacchiericcio degli altri diretti verso la mia stessa destinazione, ed il costante rimbombare degli oggetti contenuti all'interno della stiva, che continuavano a sbattere gli uni sugli altri. Evidentemente il pilota aveva fretta di raggiungere la destinazione.

    Sceso nell'hangar sbattei nervosamente il tacco più volte sul pavimento metallico, realizzando il mio esorbitante anticipo di due ore ed ascoltando passivamente i discorsi preoccupati dei vari membri del Comitato della città. Era una sensazione davvero stressante, e l'unica cosa che mi avrebbe aiutato a sfogarmi veramente sarebbe stato colpire qualcosa, possibilmente con violenza cieca, ma onestamente parlando, fare confusione e danneggiare l'ambiente circostante non è una buona idea in un luogo ricolmo di taniche di benzina.
    Nonostante la mia forma non mi permettesse di sentire gli effetti degli alcolici, per questione di tradizioni, decisi dunque di fare due passi per la città e prendere un paio di birre, sperando fortemente che l'effetto placebo si applicasse anche agli elementali della terra.




    Dopo aver bevuto il tanto necessario per essere costretto ad espellere tutti i liquidi, decretai la pausa come soddisfacente, alzandomi dal tavolo e dirigendomi nuovamente al Distretto dell'hangar, dove avrei potuto aspettare una mezz'ora buona che gli altri arrivassero. La prima su cui posai lo sguardo fu una giovane donna dai capelli corvini, il cui abbigliamento non stupì particolarmente. Non sembrava indossare un'armatura, apparentemente, dunque diedi per scontato che fosse un incantatrice o qualcuno di capace nel combattimento a distanza, in ogni caso. Era di bell'aspetto, per quanto il volto paresse costantemente corrucciato, un'eterna smorfia di commiserazione, il cui bersaglio non ci era dato conoscere. Per quanto quell'inespressività mi lasciò perplesso, avevo un Nessuno in casa che mangiava il mio cibo, quindi, beh... Nessuno può sembrarmi più apatico di così. Santa madre Terra, chi ha dato un nome simile a quei senza cuore doveva avere un'orrenda fissazione per i giochi di parole. Decisi dunque di salutare la ragazza, puntandole l'indice contro e salutando amichevolmente con l'altra mano.
    -Ehilà! Anche tu diretta verso l'ignoto? Heh, ammirevole.-. Schioccai le dita. -Il mio nome è Azrael. Incantato.-, dissi scherzosamente, in una parvenza di scimmiottata formalità. In fondo, stavo parlando con una persona con la quale avrei potuto nuotare nel sangue nel giro di poche ore, dunque meglio iniziare amichevolmente.
    A seguire la ragazza arrivò un uomo in armatura dai tratti anonimi che si presentò come John Doe. Prima che potesse dire altro, diedi per scontato che fosse il membro del Comitato, rivelazione che fu tutto fuorché stupefacente. Dallo sguardo torvo e dalle labbra piegate in un broncio nervoso, intuii che non desiderava con particolare ardore la posizione che gli era stata assegnata. Beh, mi spiace, zuccherino, ma quando si sta in un'organizzazione del genere, ci sono ordini da rispettare. Ecco perché mi s'addice tanto fare il freelancer. Salutai anche lui, attendendo gli altri miei compagni.
    Si presentò successivamente una ragazza dai capelli corti e castani, dall'aspetto molto più combattivo della precedente. Teneva addosso una pratica armatura di cuoio che sovrastava una camicia bianca ed una gonna, entrambe dall'aspetto impeccabile. Era davvero un bel tipino, a prima vista. Notai dopo pochi istanti di osservazione come uno dei suoi occhi fosse azzurro, sì, ma l'altro, oltre ad essere segnato da una cicatrice, mostrava quella candidezza lattiginosa portata dalla cecità. Ferite di guerra? Pareva avere un buon equilibrio ed una consapevolezza decente di ciò che le stava attorno, dunque diedi per scontato che la sua situazione fisica non fosse un problema troppo grave per lei. La salutai facendole lo stesso cenno riservato alla collega precedente.
    -Piacere di conoscerti. Mi chiamo Azrael. Pare che lavoreremo insieme, oggi, eh?-, dissi alla ragazza, che si presentò come Xisil.
    Poco prima che iniziasse il briefing, comparve un uomo che mi stupì. Prima di tutto, era più alto di me. Certo, più magro e slanciato, ma era pur sempre stupefacente. Era un vero e proprio gigante. Nonostante questo tratto fisico, il ragazzo aveva una carnagione leggermente scura, dei capelli neri leggermente lunghi, e tratti facciali eleganti accentuati da una serie di pitture esotiche, tanto quanto lo erano gli abiti colorati che indossava. Insomma, aveva l'aria di una persona ben distinta ed elegante, per quanto misteriosa ed aliena. Notai in lui gli occhi gialli che vidi anche in Rashan e che adocchio costantemente negli Heartless. Eppure non pareva avere lo stesso tumulto interiore della donna drago, e neanche l'aspetto predatore dei divoratori di cuori. Che fosse... no, non era di mio interesse saperlo. Era lì per lavorare, come potei evincere dall'assurda spada di pietra nera che portava al fodero. Non seppi dire se fosse più arzigogolata la lama o l'elsa, ma una cosa era certa. Quella non era certo un'arma data in dotazione all'ultimo dei soldati semplici.
    Salutai lo straniero con un cenno delle dita, presentandomi energicamente. -Beh, ecco un altro buon collega. Piacere di conoscerti. Il mio nome è Azrael.-. Quel tipo, Khan, mi incuriosiva. Rischiava di rubarmi la scena come persona più eccentrica, accidenti!
    Eventualmente misi le gambe in spalla, salendo le scalette metalliche della Gummiship assegnata e cercando posto a sedere.




    Accavallai le gambe, stendendomi senza troppi complimenti sul sedile ed osservando i miei compagni di squadra con interesse mentre ticchettavo le dita tra di loro, fischiettando un motivetto il più silenziosamente possibile. Khan, Egeria e Xisil. Avrei dovuto collaborare con quelle persone. Sarebbero stati compagni di qualità come i precedenti? Beh, nessuno di loro era certamente un piccolo moguri peloso, e ciò sarebbe potuto diventare un grave danno al morale. Scherzi a parte, avere Moguin a coprirmi le spalle non mi sarebbe dispiaciuto, ma queste quattro persone erano sicuramente altrettanto capaci. Una cosa era certa, però. Non potevo permettere rischi, dunque dissi subito ciò che c'era da dire.
    -Vi voglio avvisare tutti di una cosa. Se vedrete vicino a me un uomo in rosso con due volti, non attaccatelo. Se vorrete, poi vi spiegherò. Fatto sta che mettereste la mia vita a repentaglio.-. Avevo già accettato la possibilità di morire, ma che succedesse per fuoco amico... beh, l'avrei evitato volentieri.
    L'inusuale Caronte che stava ai comandi del nostro traghetto ci parlò della missione, spiegando nervosamente come delle forti turbolenze avessero già fatto scomparire chissà dove delle altre navi, e come noi saremmo dovuti andare a scoprire qualcosa su tale processo, rischiando di essere assorbiti da chissà quale stretto pertugio dell'universo. Beh, se non c'è rischio, non ci si diverte. Senza dubbio però il nostro prode soldato non era della stessa opinione, a vedere come stesse descrivendo la missione, cosa che gli fece guadagnare un commento non poco sprezzante di Khan, che guardai sornione, consapevole di come non avesse per nulla torto. Quell'uomo dai tratti nobili sembrava azzeccarle tutte.
    -Suvvia, suvvia! Troveremo una spiegazione. Un mondo che scompare nel nulla? Un processo eccessivamente improbabile, posso dirlo come esperto. Ci sarà sicuramente una giustificazione. Ed anche non fosse così, un soldato non deve certo lasciarsi abbattere da un nemico che non ha ancora neanche visto.-. Un nemico invisibile, quello che avvolgeva Radiant Garden. Non vedevo l'ora di scoprire di cosa si trattasse. Rimasi in attesa che qualcosa succedesse limitandomi a generare dal palmo della mia mano una piccola cote diamantata, che utilizzai per affilare gli artigli sino a che non udii la fatidica frase.
    -Siamo... siamo in arrivo. Occhi aperti e preparatevi: potrebbe succedere di tutto.-. Detto questo, rimisi i guanti al loro posto, fissando lo spazio aperto con viva curiosità. Poteva davvero succedere di tutto. Ed io volevo davvero vedere quel tutto. Qualsiasi cosa mi avesse scatenato quell'agghiacciante spavento facendo scomparire nel nulla un intero mondo, in quel momento doveva essere consapevole del fatto che Azrael non l'aveva presa per niente bene. E farmi infuriare è stato il suo primo ed ultimo errore.
     
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  5. Xisil
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    Era partita non appena la notizia era giunta alle sue orecchie. Non aveva nemmeno tenuto il conto del tempo trascorso da quando aveva lasciato la sua precedente dimora, che era già giunto il momento di prendere il primo mezzo in partenza da Crepuscopoli per tornare indietro. Sedette per l'ennesima volta sul sedile di una navetta, il capo chino e incappucciato, le braccia conserte e la mente assorta nei suoi cupi pensieri. Un altro mondo era scomparso, e se non fosse partita tempo prima lo sarebbe stata lei stessa assieme al pianeta, c’era mancato poco perché la storia si ripetesse esattamente come un tempo era già avvenuto. E pensare che evitare che la sua stessa sorte - perdere il proprio pianeta natale - toccasse ad altri era il motivo principale dietro tutto quello che stava facendo... Serrò i pugni con rabbia, fremendo per il desiderio di raggiungere il punto d’incontro stabilito e fare qualcosa di diverso dallo stare seduta a rimuginare sulla propria inutilità. Di nuovo non aveva potuto fare nulla, ma era ben conscia del fatto che avrebbe potuto fare ancor meno se non avesse deciso di trasferirsi a Crepuscopoli: di certo, pensava, se fosse rimasta a Radiant Garden sarebbe stata ancor più inutile di quanto lo era in quel momento, e ora non sarebbe stata lì seduta con una sgradevole sensazione di sapere già che genere di conclusioni avrebbero tratto di lì a poco riguardo quel terribile evento, oltre a tutte quelle parole scontate riguardo a quanto, ormai, non avrebero più potuto fare. Magra consolazione, restare a guardare anziché essere dispersi chissà dove un’altra volta.

    Xisil si affrettò ad attraversare la piazza del Primo distretto, dopo essersi recata alla sede del Comitato di Sicurezza a dare la propria disponibilità per la missione, e a tornare all’hangar dove la navetta di linea l’aveva appena scaricata. Cosa a cui al suo arrivo non aveva prestato attenzione, un paio di persone e quello che doveva essere il soldato mandato dal Comitato in quel momento erano in attendevano davanti alla Gummyship. Xisil accelerò per poi fermarsi poco in disparte rispetto alle due persone arrivate prima di lei, cui riuscì comunque a dare una fugace occhiata mentre cercava di sentire quanto il soldato semplice Doe aveva da dire ai presenti. Dei due componenti della squadra, una donna dai capelli lunghi e di un nero profondo avrà avuto forse la stessa età di Xisil, oltre a un uomo dal fisico imponente, il petto vestito solo dai suoi tatuaggi e i capelli di un rosa accecante, dettaglio a cui la guerriera preferì non prestare eccessiva attenzione onde evitare di giudicare l’individuo con troppa fretta e superficialità. Xisil si presentò come suo solito – il proprio nome, una mano sul petto chinato in avanti in segno di reverenza – guardando sia il soldato, l’uomo tatuato che si presentò come Azrael, e l’ultimo arrivato, un uomo dall'aspetto insolito ma austero al tempo stesso: ella notò ben più del trucco vivace dell'individuo quanto più questo si avvicinava, e Xisil finì per fissare il suo occhio azzurro negli occhi dorati e luminosi dell’uomo, due segni inconfondibili che già prima di allora aveva riscontrato in tante persone tramutatesi in qualcosa che di umano avevano, oramai, solo l’aspetto fisico. Rimase immobile per pochi secondi, il volto teso e lo sguardo fattosi d’un tratto freddo e distaccato, fisso in quello della creatura delle tenebre, per poi voltarsi senza aggiungere altro e salire sulla navetta, come se nulla fosse.

    Il suo volto smunto e dall’espressione tutt’altro che rilassata fece capolino nell’abitacolo, e subito la sua attenzione ricadde sulla ragazza dai capelli neri che la stava osservando con apparente disagio. Era quasi certa di averla vista recarsi a bordo della navetta prima di aver avuto occasione di presentarsi alla coetanea, eppure Xisil in quel momento era troppo presa dai suoi pensieri per porsi domande, per questo si limitò a salutare la ragazza con un pacato cenno del capo, raccogliendo qualunque parvenza di calma e gentilezza le fosse rimasta, per poi prendere un posto accanto a lei sul fondo della navicella. Inspirò profondamente, espirò, riprendendo il controllo di sé: non avrebbe pensato che, proprio ora che aveva deciso di prendere le distanze dal proprio passato per ricominciare, questo si sarebbe ripresentato a lei in maniera così subdola: da quando i membri della sua squadra, i suoi superiori, il suo mentore, avevano ceduto al potere delle tenebre, lei non aveva mai dimenticato i segni che un tale potere portava con sé, le ripercussioni sulle persone che aveva avuto attorno, e proprio lei che continuava a ripetere a se stessa come la luce e le tenebre fossero parte imprescindibile dell’equilibrio di ogni cosa, proprio lei in quel momento aveva inconsciamente giudicato chi aveva preso una posizione diametralmente opposta alla sua, come se quella singola persona potesse avere un qualche legame con tutte le altre cui era toccata la stessa sorte. Come se non bastasse, in tutta questa situazione pensava ancora alle tenebre come ad una malattia, un virus che si diffonde nell’aria infettando persone ignare, innocenti, quando sapeva benissimo che le cose non stavano affatto così: tutte quelle persone, partendo dall’individuo appena incontrato risalendo il fiume delle sue memorie fino al Maggiore, avevano scelto la loro strada da soli, accettato l’oscurità e coltivato in loro quel terribile potere, consapevoli delle conseguenze che sarebbero derivate. Non poteva biasimare alcun destino avverso, e forse era questo a ferirla più d’ogni altra cosa.

    L’attesa prima del decollo fu breve, in poco tempo la zona di attracco sparì dalla loro vista. Fuori dagli oblò, come sempre, l’oscurità vellutata, lo spazio inerte. Difficile immaginare un evento così imponente quale la sparizione di un pianeta da una prospettiva esterna: tutto ciò che Xisil riusciva ad immaginare era il silenzio, assoluto e irreale. Le grida e il caos della distruzione che lei invece aveva sperimentato non sarebbero mai giunte alle loro orecchie attraverso il vuoto dello spazio. Ma il silenzio era tale tanto fuori quando dentro l’abitacolo, rotto solo dagli sbrigativi racconti del loro pilota, che era evidente avrebbe desiderato essere ovunque, in quel momento, tranne che alla guida della loro nave. Xisil era infastidita dalla superficialità del soldato, ma fintanto che questi eventi non lo avessero toccato da vicino, finché sapeva che la sua famiglia era a casa ad attenderlo, sapendo che al suo ritorno l’avrebbe trovata esattamente dove l’aveva lasciata, allora per lui non sarebbe mai valsa la pena rischiare la vita. Come poteva biasimarlo? Non le sfuggirono nemmeno i commenti degli altri membri dell’equipaggio. Le sue labbra si contrassero in una smorfia di ironia in risposta al commento di Khan: davvero per una creatura delle tenebre avrebbe avuto importanza proteggere i mondi, o semplicemente non poteva astenersi dal fare batture ironiche? Tuttavia preferì tacere, non senza una buona dose di autocontrollo, piuttosto che rischiare di compromettere in qualche modo il successo di una prossima collaborazione fra i presenti. Finse di ignorare anche il commento di Azrael, il suo apparente ottimismo e il suo definirsi esperto di quella particolare fenomenologia. Sospirò, poi volse lo sguardo altrove, immersa nei suoi mesti ricordi.

    Passarono ore prima che il pilota parlasse di nuovo riaccendendo l’attenzione dei presenti. Il disagio nella sua voce era evidente mentre annunciava il loro arrivo. Xisil si mise a sedere correttamente sul suo sedile, volgendo il capo verso ogni finestrino che poteva raggiungere con lo sguardo. Poteva succedere di tutto, Doe aveva ragione, ma qualunque cosa fosse, ella si domandava con un misto di speranza e repulsione al tempo stesso se le avrebbe fatto dimenticare il suo proposito di voltare pagina e pensare al futuro. Era davvero quello che voleva, rischiare una nuova delusione, proprio ora che aveva deciso di andare avanti?



     
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  6. misterious detective
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    John non poteva biasimare i compagni di quella missione per la brutta impressione che poteva aver instillato in loro, né aveva intenzione di biasimarli: loro avevano scelto volontariamente di presentarsi di fronte a lui per intraprendere quel viaggio, loro sapevano a cosa andavano incontro (o, per lo meno, ne erano convinti, proprio come lo era stato lui solo pochi giorni prima) ed erano mossi da ideali ed obiettivi forti che uno come lui non sarebbe mai stato capace di comprendere veramente. Perché il più grande desiderio che il soldato della Città di Mezzo coltivava dentro di sé era quello di poter dimenticare il terrore del nulla che li attendeva, di poter osservare la situazione risolversi lontano da lui, che si sarebbe limitato a pregare in attesa che qualcuno più folle decodificasse i misteri di quegli eventi senza diventare l'ennesima vittima ad esserne rimasta coinvolta.
    Il primo a rispondere con scetticismo alle sue parole fu il misterioso uomo di nome Khan. Criticò poco velatamente il suo atteggiamento e, limitandosi solo a suggerirlo con parole circostanziali, lo additò come codardo. John Doe sospirò solamente, piegandosi un poco di più sul piano di comando. Non aveva parole con cui rispondere, non poteva negare la verità: tuttavia, era convinto che non gliene si potesse fare una colpa e che non c'era una sola ragione per cui lui, trovatosi lì in mezzo un po' per caso e un po' per dovere, dovesse condividere l'entusiasmo dissennato con cui alcuni di loro e molti degli altri mercenari, che egli aveva visto andare e venire dalla base del Comitato nell'ultima giornata, si erano approcciati alla questione.
    Azrael fu il secondo a parlare, ma al contrario con la sua voce potente cercò di mediare tra i due mostrandosi rassicurante e sicuro di sé: il soldato digrignò appena i denti, gettandogli uno sguardo dalla coda dell'occhio, senza voltarsi del tutto e rimanendo concentrato sulla guida. Un brivido lo attraversò da capo a piedi e, in qualche modo, quelle sue parole riuscirono ad infastidirlo quasi altrettanto: perché appariva chiaro come il sole che i suoi sforzi per riconciliarli erano inutili, dopotutto John non aveva nemmeno mai preso in considerazione la possibilità di fare amicizia o di stringere un rapporto di fiducia particolare con nessuno dei presenti e, anzi, sperava non sarebbe mai stato necessario. Non era per cattiveria, né per negligenza, era qualcosa di molto più semplice, quasi mera scaramanzia.
    “E in ogni caso” pensò, stringendo con più forza la cloche per sfogare il turbine di sentimenti che minacciava di farlo ributtare. “Che un mondo scompaia del nulla lo capiscono anche i bambini che non sia normale. È scoprire a quale sorte sia davvero andato incontro che dovrebbe scoraggiarvi almeno un po'.”
    Le due donne, invece, non proferirono alcuna parola: le aveva osservate, durante l'imbarco e con brevi occhiate nel mentre del lungo viaggio, e se la guerriera dai capelli castani di nome Xisil poteva credere stesse dando prova dello stoicismo del guerriero, sul conto di Egeria non era sicuro di poter dire lo stesso: non dubitava, non molto almeno, della sua forza, non quando aveva visto più volte come i poteri magici e mentali della gente potessero risolvere i conflitti quanto e meglio di una spada. In ogni caso, si ripeté per l'ennesima volta, convinto che se l'avesse reso un mantra allora si sarebbe realizzato, doveva sperare che non sarebbe mai servito mettere alla prova le loro abilità.
    Portò lo sguardo sul radar, la meta e il pallino rosso che simboleggiava la nave erano sovrapposti; i motori cominciarono a borbottare, mentre la Gummiship si fermava, sospesa in mezzo al nulla. Stendendo la schiena contro lo schienale, John portò le mani intrecciate alla fronte, prese un profondo respiro e si gettò in avanti sui controlli.
    -Attenersi alle procedure...- borbottò infastidito. Si mosse verso il sistema radio, premette le serie di tasti che ormai le sue stesse dita avevano imparato al posto suo. Inviò segnali tutt'attorno a loro, cercò un contatto con il porto delle Gummiship di Radiant Garden, cercò di mettersi in contatto con il Comitato, tentò di recepire qualsiasi tipo di segnale: l'unico segno di vita che riusciva ad identificare però, come pronosticato, erano le altre navi della Città di Mezzo in esplorazione in quello stesso momento. -Non che mi aspettassi altro...- commentò con un mezzo sorriso, che si premurò di nascondere tenendosi di spalle rispetto agli altri: era la seconda volta che si trovava là fuori e, anche grazie ai vari racconti dei colleghi che tornavano vivi e vegeti, era già al corrente di come non si riuscisse mai a carpire un indizio od un elemento fuori posto: ogni cosa era nella norma, così come avrebbe dovuto essere, finché una forza al di là della loro comprensione, che l'uomo riusciva solo ad immaginare essere il fato, decideva di attirare qualcuno nel suo baratro buio.
    -Vediamo invece i valori energetici.- continuò con più zelo di quanto non avrebbe voluto impiegare: non c'era nessuna massa estranea da individuare, nessun evento meteorologico caotico, lo spazio era più calmo e spettrale che mai.
    -Date un'occhiata fuori.- li invitò, puntando con un gesto della mano alla cupola trasparente che li circondava, oltre la quale si poteva osservare con chiarezza quale fosse la loro situazione. -Non c'è nulla di nulla. Stanno semplicemente mandando navi su navi a fare le stesse, identiche analisi che non hanno mai dato mezzo risultato e che continueranno a non darne, nella speranza che forse qualcuno riesca a vivere personalmente il fenomeno della “sparizione” e tornare indietro per raccontarlo. È da folli.-
    Sospirò e premette con l'indice un pulsante sulla console per passare all'analisi successiva. -Sul retro della Gummiship ci sono i portelloni d'accesso alle navette ausiliarie: in teoria i dati raccolti da qui dovrebbero essere precisi, ma se non otteniamo niente, ci divideremo nelle navette monoposto per scandagliare meglio tutta l'area, con un raggio di azione anche più vasto.-
    Deglutì, afflitto da sentimenti contrastanti: la parte che stava per arrivare era quella che temeva maggiormente: in realtà la quantità di persone non faceva certo la differenza in una situazione di quel genere, ma l'idea di doversi separare lo faceva sentire comunque più vulnerabile. Sarebbe rimasto l'unico sulla nave madre, dato che non poteva essere abbandonata lì sul luogo come un relitto, ma un mezzo grosso e pesante come quello, senza in realtà una vera e propria ragione, gli dava l'idea di essere preda molto più facile di buchi neri, distorsioni spazio-temporale o qualsiasi impossibile fenomeno fosse causa di tutte quelle disgrazie.
    Il soldato si mosse rapido verso il fondo del mezzo, verso una delle cinque di pesante ferro che erano rimaste sigillate per tutto il viaggio. -Anzitutto la sbloccate così...- sollevò con un grugnito una leva sul fondo per poi, con altrettanta fatica, ruotare la valvola: oltre la soglia vi era un minuscolo stanzino ovoidale, un sedile, un largo vetro trasparente ed una console di comandi che appariva come una versione estremamente semplificata di quella della Gummiship stessa. -Adesso cercherò di spiegarvi come si pilotano le navicelle ausiliarie: farle andare dove volete non è difficile e, finché non ci sarà da combattere, non dovreste avere troppe difficoltà. Se è la vostra prima volta, però, potrebbe volerci un po' a...-
    John sbatté le palpebre un paio di volte di seguito. Per un attimo aveva avuto l'impressione che si fosse fatto tutto buio, eppure non aveva chiuso gli occhi. Mosse una mano per grattarsi la testa e scacciare un brivido che gli aveva percorso il collo, ma fermò il movimento a metà: un altro baluginio, i neon della nave si spensero e riaccesero nel corso di un secondo. Il respiro dell'uomo si fermò. Tutto il suo corpo prese a tremare, il peso invisibile del terrore stritolò tutti i suoi organi tanto che fu sicuro di sentirli scoppiare uno ad uno. Prima un lieve ronzio titillò i suoi timpani, poi il suo corpo tremante fu scosso da un vibrare ancora più possente: il pavimento sotto ai loro piedi cominciò a sussultare, scintille d'elettricità esplosero con lo scoppiettare delle fiamme dai controlli e dalle luci, l'aria parve farsi più densa e soffocante.
    -Correte tutti alle navicelle, veloci!- La sua bocca si mosse senza che la controllasse davvero, mentre il suo corpo riuscì ad essere ancora più veloce: si tuffò in avanti, agguantò il sedile dentro l'abitacolo e ci si sedette impacciato. Premette un pulsante, la porta alle sue spalle si sigillò da sola, separandolo con un pesante strato di metallo da tutti gli altri. Rimase immobile per qualche istante: occhi chiusi, mani che stringevano il piano di fronte a lui convulsamente, denti serrati e un unico pensiero in mente: “ti prego, fallo smettere!” non sapeva a chi dirigere quella supplica, ma proveniva dal profondo della sua anima. Una nuova scossa e spalancò di colpo le palpebre: tendendo i muscoli per cercare di frenare i suoi tremori, strinse una maniglia alla sua sinistra. -Tirate la manopola per l'eiezione della navicella!- gridò, un po' nella speranza di poter aiutare i quattro mercenari, un po' per ripeterlo a se stesso e cercare di ricordare quello che, nel panico più totale, sembrava essersi sbiancato dalla sua mente. Dalla Gummiship giungeva il trillo assordante di una sirena. -Il pulsante rosso a destra accende i motori, quello sopra la cloche è per accelerare. Scappate il più lontano possibile!-
    Tirò la leva per l'eiezione, accese i motori, diede fondo a tutto il carburante per volare quanto più veloce poteva. Non si guardò indietro, non cercò di capire cosa ci fosse alle sue spalle, quale misterioso potere avesse tentato di azzannarlo e consumarlo, abbandonandolo all'Oscurità. La navicella con un singhiozzo schizzò fuori dalla Gummiship, i motori tossirono un paio di volte e poi esplosero di potenza. Le fiamme ruggirono nel vuoto cosmico, trasportandola lontano e solo un vago pensiero, lontano oltre le mille preoccupazioni della sua mente, riportò a lui i suoi compagni di missione: si sarebbe presto messo in contatto radio con loro, avrebbe cercato di radunarli ed assicurarsi che fossero stati tutti abbastanza veloci da mettersi in salvo, nella speranza che solo la Gummiship fosse stata portata via da... qualunque cosa l'avesse presa con sé. Tuttavia non si voltò, non ancora. Continuò a volare, scappando più dalle sue paure che non da un nemico che non sapeva nemmeno se fosse ancora sulle sue tracce o meno.
    Anche se John Doe fosse stato più coraggioso, tuttavia, ben poco sarebbe cambiato: avrebbe solo potuto osservare da lontano la sorte dei quattro mercenari che, assieme alle loro navicelle e alla Gummiship stessa, scomparivano nel buio della notte eterna, quasi che l'obiettivo fossero state le loro vite fin dal primo istante.
    Proprio come nei racconti che aveva udito in caserma, l'Oscurità si sarebbe infatti chiusa attorno a loro, soffocando ogni suono e divorando ogni sagoma. Le luci si sarebbero spente e ogni cosa sarebbe scomparsa in silenzio. I quattro non avrebbero sofferto, avrebbero percepito al massimo un senso di oppressione, mancanza d'aria ed uno scricchiolio, come se tutte le ossa si fossero mosse in un solo istante e, con esso, un improvviso senso di stanchezza. E, quando fossero riusciti a riaprire gli occhi, non sarebbero stati il buio dello spazio profondo ed il grigio metallico delle navicelle ad accoglierli, ma un cielo completamente diverso, un cielo chiaro e dipinto di nuvole. Il cielo di Radiant Garden.

    Il brusio e la vitalità del borgo avrebbe risvegliato i quattro mercenari. Nemmeno loro, probabilmente, erano in grado di comprenderne la ragione, ma in un modo o nell'altro avevano raggiunto il mondo scomparso, erano divenuti parte del tremendo mistero: le chiacchiere e le risate giungevano serene dal viavai di persone sotto di loro, e sporgendosi dal terrazzamento solitario sul quale si erano ritrovati, i quattro avrebbero potuto scoprire la ridente cittadina che, tornata a risplendere da poco più di due anni, viveva in tranquillità la propria vita, come se nulla fosse mai accaduto. La gente si salutava solare, correva in ritardo da un lato all'altro della città, i bambini giocavano spensierati, la vita continuava in ogni sua forma. Nessuno sarebbe accorso a loro, nessuno avrebbe trovato strano il loro arrivo perché, probabilmente, nessuno lo aveva nemmeno notato: attorno a loro non vi era traccia delle navette ausiliarie, la Gummiship a sua volta era scomparsa nel nulla. Non avevano un mezzo per tornare indietro né una spiegazione da portare a chiunque avesse chiesto loro cosa fosse successo, erano prigionieri del mondo che avrebbero dovuto salvare: un mondo che sembrava completamente ignaro al panico che si era sollevato attorno ad esso nelle ultime ore.
    Il futuro era nelle mani dei quattro ragazzi e, senza più John Doe a tenerli informati dei piani del Comitato, non avevano più una pista o un progetto da seguire che non fossero i loro. Dimenticare i problemi, indagare sull'accaduto, come muoversi, ogni cosa dipendeva da loro, anche se nessuno poteva sapere se, risucchiati oramai in quella realtà così bizzarra nella sua normalità da apparire quasi fantastica, non fosse già troppo tardi.


    Non credo ci sia bisogno di fare molti chiarimenti: sta a voi accordarvi su come comportarvi, come agire e dove andare (sì, Az, volendo sei libero di prendere a pugni cose, anche se non so quanto sarà d'aiuto :v: ). Tenetemi aggiornato sulle vostre intenzioni così, in base al caso, potrò darvi informazioni per questo giro di post oppure vi interromperò per poi far avanzare le cose con il mio post ^^ buon lavoro!

    PS: In quanto primo del prossimo turno a rispondere, Frenz può aprire il continuo della quest a Radiant Garden. Fortuna vuole che sia il nostro Don preferito, quindi può mettere da solo il colore al titolo :v:
     
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5 replies since 6/2/2016, 22:46   309 views
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