Twisted Flower

Autoconclusiva

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    Twisted Flower

    Un nuovo ricordo, una nuova vita. Sorrisi, gioia, felicità. Lacrime, dolore, rimpianti, tristezza. Un carosello di immagini e sensazioni invase la sua mente. Sentiva, vedeva, capiva. Con una cautela a cui non era avvezza, assaporò il sapore di quel primo bacio che non le apparteneva, la sensazione calda, travolgente che premeva nel petto, con così tanto ardore che le sembrava di poter essere spezzata da un momento all'altro. Ogni secondo, ogni istante di quel ricordo, di quell'emozione era prezioso per colui che una volta le aveva provate, per quell'uomo che una volta aveva vissuto. Ed era per questo che non era prezioso solo per lui, ma anche per lei. Per lei che ogni giorno che passava sentiva di star scomparendo sempre di più, sentiva di starsi confondendo in tutte le anime che aveva incontrato, in tutte le vite che aveva vissuto. Per lei che, se doveva scomparire per quello, in fondo, non ne sarebbe stata dispiaciuta. Scomparire in quei sentimenti pieni di gioia, di affetto, non le avrebbe fatto male, sarebbe stata felice di venire contaminata, di essere distrutta da quei ricordi. Sarebbe riuscita a provare ciò che le mancava così tanto, si sarebbe sentita finalmente piena, viva. Una fine così… sarebbe stata perfetta. Nessun rimpianto, nessuna lacrima, nessun dolore. Solo un bagno eterno di gioia. Quella era la più grande benedizione che avrebbe mai potuto ricevere. Quando ci pensava, si sentiva quasi come se stesse accadendo, si sentiva quasi “felice”.
    Con un ronzio fastidioso di fondo, l'immagine, dopo essere andata fuori fuoco, mutò. Il contatto della carne scomparve, rimpiazzato da un'agonia lancinante, da una fitta tremenda al petto. Tutto quello che c'era stato prima, tutto quello che era esistito non aveva più senso. C'erano solo paura e dolore. Niente poteva più esistere. Niente doveva più esistere. Qualcosa scavava dentro di lui, qualcosa di marcio, di malato, di famelico. Lo sentiva scuotergli le viscere, perforarle, strappare lembi di carne con una ferocia rivoltante. Sentiva la sua stessa esistenza scomparire. Il terrore era paralizzante: voleva fuggire, ma non riusciva a muovere i muscoli del corpo, non riusciva a fare niente.
    Era quella la fine? Quel dolore, quell'angoscia? Tutto quello era ciò che lo aspettava, ciò che avrebbe vissuto in eterno? Con un lamento si rannicchiò in se stesso, tentando di aggrapparsi a quell'ultimo barlume di lucidità e luce che lo manteneva ancora in vita. Non voleva. Non voleva dover convivere per sempre con quella solitudine, con quel rimpianto. Era impossibile da tollerare. Solo l'idea era capace di portarlo alla follia, solo il pensiero che potesse essere davvero così.
    A cosa gli era servito? A cosa gli era servito vivere se alla fine era quello ciò che lo aspettava? Se alla fine non avrebbe avuto altro che oscurità, che quello? Non riusciva nemmeno a descriverlo. Era qualcosa di troppo grande per poter anche solo essere concepibile, qualcosa di troppo rivoltante. Stava impazzendo. Lentamente sentiva gli ultimi brandelli della sua sanità mentale scivolare via, mentre la consapevolezza ed il rifiuto prendevano sempre più piede dentro di lui. Non voleva. Non voleva. Perché era successo tutto quello? Perché non poteva tornare ad essere felice, perché non poteva ritornare alla sua vita? Voleva tornare a prima, a quello che, sebbene non se ne stesse rendendo conto che in quell'ultimo momento, aveva amato essere. Voleva tornare a quella felicità, a quel qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Preghiera, desiderio, terrore. Una nausea senza limiti imperversava nel suo animo, un malinconico dolore così profondo che ne sarebbe morto.
    La sua coscienza si stava spegnendo: la vita era odiosa. Il mondo non era fatto di gioia ed energia e bellezza, ma di sporcizia, rancore, tradimento e stanchezza. Vivere era orribile e morire lo era altrettanto. Quella era l'unica verità.

    Voleva quella luce. Ne aveva bisogno, la necessitava per continuare a vivere, per continuare ad esistere. Cacciava. Cacciava sempre, con tenacia continuava ad andare avanti, indipendentemente da ciò che lo aspettava.
    Non gli interessava.
    Eppure la sua fame non si placava. Non importava quanta Luce riuscisse a prendere, quanta Luce riuscisse a divorare. Non bastava. La odiava. La odiava, odiava il fatto che non potesse mai essere sazio, il fatto che non bastasse mai. Odiava quella radiosità, quel calore, quel qualcosa che sembrava permeare tutto ciò che lo circondava.
    Le lunghe antenne fremettero, mentre un odore delizioso lo attirava a sé. Aveva fame e quella luce sembrava così bella, così viva, così diversa da dargli fastidio, da provocargli un dolore che nessuna ferita fisica sarebbe stata capace di donargli.
    Distruggere. La doveva distruggere, uccidere, spezzare, mangiare.
    Fame… aveva tanta fame.

    Con un ultimo strattone, Lily riuscì a separarsi da quella coscienza, ad uscire da quell'incubo vivente. Ansimava. Il respiro era accelerato, mentre il petto si alzava ed abbassava con dei singulti sinistri e l'aria umida di pioggia tornava a riempirle i polmoni. Si era quasi persa. Aveva fatto un errore, un errore che le sarebbe potuto costare molto caro. Lentamente si allontanò dalla massa scura immobile sul terreno. Le membra le tremavano, preda di spasmi incontrollabili. Con cautela, cercando di stabilizzare i movimenti delle braccia, si asciugò le lacrime sul volto. Ancora una volta non era riuscita a limitare gli effetti che quelle memorie avevano su di lei. La carne scottava, mentre la pelle pallida era secca, tesa sopra le vene e le ossa sottostanti. L'aria della sera perenne di Crepuscopoli era gelida contro il suo corpo.
    Era come se avesse una febbre alta; probabilmente era così, in effetti.
    Non importava, sarebbe passata con le ore.
    Ciò che le interessava adesso era l'Heartless che aveva davanti a sé. Questa volta si era preparata in maniera adeguata, niente graffi o ferite causate da un'improvvisa quanto inaspettata ripresa dell'essere.
    Perché, poi, continuava a tentare? Curiosità, forse.
    Dipendenza, più probabile.
    C'era qualcosa di malsano, di marcio dentro di lei, dietro quel desiderio a tratti morboso di vivere la vita attraverso gli altri, attraverso i ricordi altrui. Voleva sentire di nuovo quella scintilla, quel calore, quell'energia che li spingeva ad andare avanti.
    Ed allora si immergeva. Sprofondava in un abisso di memorie, di vite nelle quali lei scompariva, unendosi ad esse. Sempre troppo tardi si rendeva conto del disastro, dell'angoscia in cui quegli esseri erano caduti, sempre troppo tardi riusciva a staccarsi.
    Quello che faceva non era sano. Quello che lei tentava di recuperare tramite quelle creature che avevano perso tutto…
    Forse li invidiava. Forse invidiava l'unione che avevano all'interno di quella disperazione, di quel dolore. Forse invidiava il loro desiderio, il fatto che avessero qualcosa che li spingesse ad andare avanti persino quando avevano cessato di esistere del tutto. Invidiava il fatto che fossero così differenti da lei, che, per quanto potesse sembrare ipocrita quel pensiero, a lei sembrassero essere più vivi.
    Dopotutto, lei cosa aveva? Cosa era lei?
    Niente. Lei non aveva niente, lei non era niente. L'unica cosa che possedeva era l'odio per quelle creature, l'odio per quelle emozioni, per quel dolore che le facevano provare.
    No, non si trattava nemmeno di odio. Era qualcosa di meno, qualcosa di inferiore, qualcosa di più simile a una sorta di “istinto di sopravvivenza”.
    Lei era sola. Nonostante tutte le vite che aveva vissuto, tutte le esperienze che aveva provato, le emozioni, le sensazioni, il dolore, la gioia, nonostante tutto quello, lei era la più sola di tutti. Gli esseri umani erano soli, vivevano da soli e morivano da soli, privi del conforto di chiunque. Voleva credere questo, lei. Voleva credere che nessuno potesse aspirare ad essere un uno con qualcun altro, nessuno potesse aspirare a sconfiggere quella solitudine. Ma lei, lei che riusciva, invece, a cadere all'interno delle anime altrui, lei che sentiva, che vedeva ciò che avevano passato, ciò che avevano vissuto, lei era quella che si rendeva conto meglio di tutti gli altri esseri viventi di quanto quel divario che esisteva tra di loro fosse solo un'illusione, quanto poco bastasse per superarlo, quanto tutti, almeno una volta nella loro esistenza, avevano trovato qualcuno simile a loro, qualcuno in grado di comprenderli.
    Lei, invece, era sola.
    Non importava quante vite osservasse, quante vite vivesse, nessuna poteva darle indietro quelle emozioni che un tempo aveva provato, nessuna poteva darle quei legami che vedeva vibrare pieni di energia in quei ricordi, nessuna poteva farla tornare completa. Non la sua, non quelle altrui.
    Eppure quelle degli Heartless le sembravano così vivide, così vere. Era come se solo in quello stato, solo in quella condizione i ricordi che lei era capace di catturare si facessero abbastanza intensi, le loro vecchie emozioni abbastanza vivide da poterla intaccare, da poter farle sentire qualcosa.
    Ogni volta che si immergeva in quegli abomini, sentiva un pezzo di sé frammentarsi, rompersi e, nello stesso istante ricostruirsi, nuovo, intatto, luminoso.
    Era quello ciò che sentiva, era quello ciò che provava. Le sue memorie erano opache, grigie, un velo di nebbia sembrava renderle distanti, lontane. Le sembrava paradossale il fatto che, al contrario, quelle altrui fossero così vivide, così piene di colori e vita, così piene di sentimento.
    Ognuna di esse aveva un sapore diverso, una sensazione diversa: le melodie si alternavano, alcune simili, alcune completamente differenti, tutte meravigliose.
    Si trattava di brani luminosi, scintillanti, pieni di un entusiasmo che lei, dentro di sé, non riusciva a trovare.
    La tragedia in cui si concludevano non faceva altro che aumentarne la bellezza.
    Un gesto normale, quotidiano, in visione del dramma che ne avrebbe cancellato l'esistenza assumeva un sapore differente, un sapore nostalgico ed intenso.
    Questo era ciò che lei viveva, questo ciò che lei provava, ciò che desiderava. Il risuonare di un'altra anima all'interno di sé, il poter provare ciò che le era stato precluso. Il poter vivere.
    Ma lei era sola. Lei era priva di quel piacere, di quelle sensazioni.
    Lei era un abominio, un qualcosa di differente da tutti gli altri.
    Nessuno l'avrebbe mai capita. Nessuno poteva.
    Lei annaspava alla ricerca di qualcosa, di un'emozione, qualunque essa fosse.
    Persino la sua invidia era frutto di ricordi altrui, di esperienze e pensieri che non aveva.
    Lei voleva scatenare quel qualcosa che le avrebbe permesso di tornare indietro nel tempo, di tornare a quei giorni in cui poteva sentire la gioia di essere viva.
    Era un desiderio, un'aspirazione, era l'unica cosa che volesse, l'unica cosa che la riuscisse a muovere.
    Perché le stesse esperienze che lei aveva compiuto, se assimilate attraverso un altro, le donavano tutto quello? Perché i suoi ricordi, ciò che aveva caratterizzato ciò che era, ciò che l'aveva formata non avevano lo stesso effetto?
    Voleva possederli di nuovo, voleva poter sentire di nuovo quella melodia.
    Voleva potersi emozionare...
    Voleva eliminare quell'indifferenza che provava persino nei propri confronti, voleva renderla qualcosa di più, voleva riempire quel buco che qualcosa le aveva scavato nel petto, strappandolo con degli artigli affilati.
    No… Se ne era resa conto da tempo, oramai: non voleva che i ricordi, che le emozioni risuonassero nella sua anima, la rendessero nuovamente ciò che era prima. Lei voleva un'anima. Lei voleva essere indipendente da quell'invidia, da quegli esseri. Voleva essere se stessa, riuscire a smettere di non provare. Anche si fosse trattato di odio, di disperazione, di invidia, lei voleva tornare a provare tutto quello, lei voleva tornare a sentirne le note.
    Aveva perso la capacità di udire la propria musica. Ora, per lei, non c'era altro che quella altrui.
    Era diventata sorda, si era persa nelle profondità di un abisso marino.
    Forse era per quello che ci riusciva. Forse era per quello che per lei le melodie altrui risuonavano con una limpidezza ed una luminosità cristalline.
    Forse era perché lei aveva perso la capacità di ascoltare il proprio animo, di sentire ciò che risuonava in esso.
    Forse perché il proprio animo aveva smesso di suonare, era scomparso.
    Nessuno lo avrebbe mai più sentito, nessuno sarebbe stato mai più in grado di comprenderla.
    I suoi sentimenti erano morti, essiccatisi come dei fiori strappati alla terra a cui appartenevano.
    Non c'era più niente dentro di lei, solo un vuoto dal silenzio opprimente, solo un deserto ghiacciato, privo della benché minima scintilla di vita.
    In alcuni imperversavano furiose tempeste, in altri immensi campi fioriti vibravano accarezzati da una brezza gentile e dalla luce del sole, in altri ancora il mare mormorava placidamente, nascondendo, però, sotto la superficie, il movimento impetuoso delle correnti.
    Tutti avevano un qualcosa capace di smuoverli, di donargli la vita.
    Tutti, tranne lei.
    Delicatamente, come se la stesse accarezzando, afferrò la Longinus, premendola maggiormente contro il collo dell'essere. Sangue nero continuava a colare dalle numerose ferite, mentre le membra faticavano persino a tremare per la quantità di tagli di cui erano cosparse. Quella era l'unica cosa che poteva fare per lui dopo avergli causato quella sofferenza, quella era la sua scusa, per quanto ipocrita potesse sembrare, quella era il qualcosa con cui tentava di trovare la propria vita. Con un gesto secco affondò del tutto la doppia punta nel terreno umido, decapitando la creatura. Un istante dopo non rimaneva altro che sabbia nera.

    Looking into the Emptyness: Curiosità. Quanto ha condizionato la vita degli uomini nel corso delle ere? Quanti danni, quanto bene ha fatto? Quanto ha influito sulla catena del fato? Lily non è esente da questa benevola maledizione. Beata ignoranza spesso so trova a pensare. Perché lei non prova curiosità verso le cose, ma verso coloro che la circondano. Lei è lo spirito curioso per eccellenza. E non può farci niente. E’ la sua stessa anima che ricerca maggiore conoscenza. E lei non può farci niente. Il flusso di emozioni, di ricordi altrui che la assalgono quando incontra qualcuno è qualcosa di terribile e, allo stesso tempo, grandioso. E’ la vita stessa, l’anima stessa delle persone quella che riesce a percepire. Il loro dolore, la loro disperazione, le loro gioie, i loro amori, le loro sconfitte. Tutto. Anche di coloro che oramai non esistono più. Anche degli Heartless. Perché, nonostante tutto, anche questi erano esseri umani un tempo. Anche questi avevano provato vissuto qualcosa. E adesso soffrono. Fame e disperazione. Non sono nient’altro. Un’esistenza terribile, angosciante, un’esistenza che Lily si è sempre ripromessa di terminare. Perché loro soffrono e questa è l’unica cosa che la ragazza non riesce a sopportare. In termini di gioco questa passiva superiore agisce come una passiva di metagame che permette alla Nessuno, a meno che non vi siano abilità passive a contrastarla, di cogliere frammenti del BG e delle emozioni attuali dei Pg, Png, Png comparsa e creature (Negli ultimi due casi si tratterà di poco più che immagini fugaci e sensazioni non troppo uniche o particolari) oltre a stabilirne con quasi assoluta certezza l’appartenenza ad una determinata razza. [Passiva Superiore]


    Note
    Credo che per chi non conosce Lily una piccola spiegazione sia d'obbligo: la "prima parte" dell'autoconclusiva si ambienta all'interno dei ricordi/del cuore di un Heartless, a causa degli effetti della passiva di Lily che le consentono di "entrare" all'interno delle "anime" (si, lo so, troppe virgolette) di chiunque incontri, indipendentemente dalla loro razza e di estrapolarne informazioni e ricordi. In poche parole si tratta di questo: di Lily che osserva, si immedesima nell'Heartless e poi, nel momento in cui esce dalle memorie, riflette su di esse e su ciò che sta facendo. Tutto qua Detto ciò, se serve qualcosa, contattatemi via MP.

     
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    Valutazione: ~Twisted Flower




    L'aria della sera perenne di Crepuscopoli --> WTF, SERA? Crepuscolo = Sera? Vabè.

    Non so come pormi nei confronti dell’elaborato, che all’anagrafe (lol) suona molto pretenzioso e vedendo i tuoi lavori con Ingwe ad uno verrebbe da pensare immediatamente “piece of cake”. Ma alla fine, dopo essermi scervellata sul brano, aver sottolineato parti, frasi, riferimenti, strutture ripetute che hanno sempre conferito un ritmo particolare ai testi, mi sono ritrovata con in mano un pugno di niente, l’obbligo di scrivere una valutazione e le idee piuttosto confuse a riguardo. Premessa: nessuno verrà mai a dirti che è scritto male. Che tu sappia scrivere in italiano corrente e corretto, accenti dei nomi propri a parte, è risaputo e non mi sogno neanche di dirti di aprire un dizionario di sinonimi e contrari e farti una ricerchina sulle terminologie corrette. No, questo mai. Anche l’uso di metafore, nell’etere piuttosto efficaci –la melodia, il suono, il canto, il tintinnare delle memorie, dei sentimenti, delle anime che si chiamano etc.- non è criticabile e assolutamente buono. Forse un po’ esagerato per il brano, ma sempre e comunque buono. Il vero problema sta nella resa effettiva su carta: perché se è vero che nell’immaginario cocco e nocciola sono una favola, fidati che mischiare gli yogurt a ‘sti due gusti viene un… boh che non rende merito né all’uno né all’altro. Lo stesso vale per quello che mi hai combinato qui. Io vedo il potenziale: minchia, cocco e nocciola, sti cazzi, robba bona. Ma nel gelato mi sta bene, in una torta è un tripudio, ma di yogurt, no, mi spiace. Quello che sto cercando di dirti, con questi esempi piuttosto stupidi, è che qualcosa non quadra a monte. E la non riuscita -non fa mica schifo eh, continuo a ripeterlo che poi ti viene il magone e “Marsh non mi vuole più bene”-, di cui immagino tu stesso ti sarai in parte reso conto, è dipesa più da come è stato gestito che da ciò che hai voluto discutere in sé. Poteva funzionare, poteva essere d’impatto, anche con un nessuno. I Nessuno non pensano a colori, i nessuno pensano in grigio. Sono razionali. E anche sbilanciata da tutto quello che ha provato, Lily tende, come tende anche in molti altri elaborati, ma in quelli non metto bocca, a pensare a sfumature di colore, sbiadite, certo, ma non è grigio (FIFTY SHADES OF LILY MOTHERFUCKERS).
    Non so nemmeno io come mettertelo giù diversamente: è l’approccio al problema esposto in quest che non funziona. Non saprei nemmeno io dirti quale sarebbe stato quello più corretto, ma questo è debole. Passo a mettere in luce i problemi che ho riscontrato e le osservazioni che mi sento in grado di farti. Magari ne trarrai qualcosa tu, quel qualcosa che non riesco bene ad esporti.
    Mi sono resa conto di una cosa in particolare, mentre rileggevo –per la terza volta-: le frasi, se prese singolarmente, hanno un loro senso, un loro significato forte e sono da considerare come spazi chiusi. La cosa è lì e deve finire lì. Poi se ne discute, si argomenta, si fa il giro intorno, cercando di visionare la cosa da più angolazioni (a sprazzi, ‘sta cosa l’ho vista). Se invece si guarda tutto il testo nel suo insieme, ogni concetto perde la sua forza e diventa blando, diluito, trito e ritrito. Ho capito qual è il problema, almeno in superficie: preso il brano in toto, i concetti si assomigliano tutti, mancano di nessi logici efficaci, probabilmente per una questione di impostazione, e anche a fronte di una –o più, nel mio caso- lettura attenta, non si riesce a mantenere il focus su quello che è l’obiettivo dell’autoconclusiva. Sostanzialmente Lily è diventata dipendente da ciò che sente attraverso la sua passiva, vuole ritornare ad avere ciò che tutti gli altri esseri viventi hanno: un appiglio, un’emozione, quella che tu chiami anima forse con l’intento di definirla “personalità”. Ma è tutto annacquato, buttato lì, intrecciato con considerazioni che hai fatto due righe sopra, che hai fatto nel primo paragrafo nel testo e che ripresenti dopo, stoico, come a volerle rafforzare. Peccato tu ottenga l’effetto contrario. Mi hai sviato più di una volta.
    Lily è sola, sente le emozioni altrui, ha vissuto molte vite; anche gli umani sono soli ma è un “solo” diverso; tutte le emozioni che Lily vive sono riflesse, non sue, ma le piacciono, lei quindi è come se fosse molte persone; però Lily è sola non come tutti gli umani a cui in realtà basta un niente e puff, una persona si è avvicinata, bff; sentendo le emozioni altrui, Lily si sente temporaneamente viva, ma quella non è vita perché lei è sola e lei non può vivere così, a metà, perché non ha i ricordi; in realtà non vuole quelli, vuole *inserire qui nome diverso da anima che non implichi avere dei ricordi*. Riassunto efficace, nevvero? Anche l’ordine in cui hai esposto, più o meno, ci si avvicina. Visto così, qualcosa che non va c’è.
    Io non voglio in alcun modo smontarti. Voglio spronarti a rivedere un attimo il modo in cui è stata eseguita. Invece che dare un ritmo i “forse” seguiti da “probabilmente” davano quasi fastidio. Lily sa benissimo qual è il suo problema, se ne rende conto poco dopo l’inizio dell’ultimo blocco. Allora perché continuare con il “forse“ e il “probabilmente”? Non è stato efficace, insomma. Sembra un tema di quarta superiore. Dove si propende ad una cosa, ma la si discute diffusamente e a più riprese, raggiungendo un punto che sì, chiude il tutto ed è in linea con l’inizio, ma lo svolgimento è alla rinfusa.
    Non so nemmeno io in che posizione pormi. Posso solo dirti che non tutto è andato meh, che nel loro piccolo alcune cose, alcune forme descrittive e piccole gemme ci sono state. E le ho apprezzate. Mi spiace un po’ poteva andare molto meglio :/

    Voto: 7.3

    Lily:
    Ap totali ottenuti: 9
    Munny totali ottenuti: 365

    A me vanno 4 AP e 200 Munny; per domande, sai dove trovarmi.
     
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