Contest: Save Private Moguin

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  1. Kyer
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    Agente Agrume
    Narratore
    «Moguin (detto)»
    "Moguin (pensato)"
    «Maggiore Scrant (detto)
    »
    «Soldato Billy (detto)»
    «Bambina (detto)»


    «Buongiorno signorine! Io sono il Maggiore Scrant e sono felice di darvi il benvenuto nel più schifoso buco dell'intero universo!» la prima cosa che videro, usciti dal capanno dove avevano passato la notte stipati come bestiame, fu il Maggiore Scrant. Era un uomo di età indefinibile, col fisico di un ventenne, il volto stanco di un quarantenne e i capelli grigi di un sessantenne. Ma la cosa di lui che più colpiva era il suo sorriso, simile ad un Qu magro... Avete mai visto un Qu magro? Appunto. «Voglio mettere in chiaro una cosa, sottospecie di molluschi!» continuò l'uomo che ci aveva così caldamente accolti, punteggiando il proprio discorso con secchi movimenti delle braccia «Se nelle vostre testoline, che ancora pensano alle tettine delle vostre fidanzatine» Un poeta. «è sorta la paura che la vostra situazione possa peggiorare, tranquillizzatevi!» Il Moguri si sentì rincuorato. Dietro all'aspetto rude e al modo di parlare un po' sboccato si nascondeva una persona sensi- «Tranquillizzatevi, perché siete già NELLA MERDA FINO AL COLLO! L'UNICA COSA IN CUI POTETE SPERARE È CHE NESSUNO FACCIA L'ONDA!» ... "Ritiro tutto, kupò" Le altre reclute si scambiarono delle veloci occhiate. Preoccupazione, paura, rabbia, rimpianto. Gli occhi, arrossati dalla mancanza di sonno, non esprimevano nessun tipo di emozione positiva. Anche Moguin cercava di unirsi a quello scambio, atto a creare un senso di unità, un 'Noi contro Lui', ma i suoi occhi si trovavano ad altezza inguine, e nessuno sembrava intenzionato a rischiare la rabbia dell'ufficiale che stava loro di fronte per guardare Moguin. «Ottimo, vedo che avete finito di guardare a destra e sinistra come un branco di ritardati ad una partita di tennis!» disse qualche attimo dopo il maggiore. Con passo pesante e deciso, facendo rimbombare gli anfibi sullo sterrato, voltò loro le spalle ed estrasse un foglio dalla tasca dell'uniforme. «Ora, ammasso di rifiuti in decomposizione, chiamerò il vostro numero di matricola. Voi farete un passo avanti e urlerete il vostro nome, preceduto e seguito da Signore, avete capito, branco di decerebrati!?» all'unisono, l'intera fila di reclute rispose «Signore, sissignore!» «Ah, mi raccomando,» aggiunse sbraitando «cercate di urlare come se le palle non vi fossero cadute a furia di menarvelo! Bene, recluta 153090!» chiamò infine, sempre voltando le spalle alla fila di reclute sull'attenti. Quasi in contemporanea, un ragazzino che avrà avuto non più di sedici anni, fece un passo avanti e, con tutta la forza che aveva in corpo, urlò «Signore, Billy Raegal, signore!» Scrant fischiò «Bravo, soldato Raegal, bell'urlo.» al commento, Billy accennò un sorriso «Sei quasi riuscito a convincermi di essere una bambina di 9 anni! Ora ritorna in fila e levati dal grugno quel sorriso idiota che sicuramente hai appena fatto!» neanche a dirlo, il sorriso si spense all'istante. Il ragazzo, mortificato, fece un passo indietro e si rimise sull'attenti. Così trascorsero i successivi dieci minuti, tra insulti, nomignoli e ogni forma di tortura psicologica che Scrant riuscisse a pensare. Rimaneva solo Moguin da chiamare e stava sudando freddo. Rapidamente guardò i propri compagni di sventura. Inizialmente, era convinto che l'avrebbero squadrato con sufficienza, mal celando una sorta di sadico divertimento nel vedere quell'esserino così strano nella fauci del maggiore, ma i suoi timori si rivelarono infondati; lo guardavano con compassione, i loro occhi gli urlavano "Vai piccoletto, nessuno di noi è da solo". «Finalmente siamo arrivati alla fine di questa lista di disagiati e fenomeni da baraccone.» quelle parole mandarono un brivido gelido su per la spina dorsale del Moguri. Finora tutti le nuove reclute erano umani, come avrebbe reagito a lui? Nel modo più silenzioso possibile deglutì, e gli parve di aver fatto più rumore di un tuono. «Recluta 159999!» Moguin saltò letteralmente in avanti e urlò «Signore, Moguin, Signore!» "Kupò!" aggiunse mentalmente. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per trattenersi da urlare anche quello, ma probabilmente il così dolce e gentile Scrant gli avrebbe strappato le budella e ci avrebbe fatto un foulard, se avesse detto qualcosa prima o dopo di Signore. «E questo che cazzo era!?» esclamò il maggiore, dopo essersi ripreso dallo shock. Per la prima volta da quando era iniziato l'appello, l'uomo si girò e Moguin avrebbe preferito che fosse altrimenti; il volto più scuro della pece, si avvicinò a passi così grandi al Moguri che pareva stesse volando. Moguin stava tremando come una foglia quando il Maggiore Scrant si piegò in avanti, portando la sua faccia ad una decina di centimetri da quella del Moguri «E tu da che latrina sei scivolato fuori, stronzetto peloso!? Hai tre secondi per spiegarmi cosa diamine ci fai nella mia unità, prima che decida di scuoiarti e usarti come copri tavoletta!» Troppo vicino, troppo vicino, troppo vicino.

    «Signore, sono un Moguri, signore!» esclamò Moguin svegliandosi. Si guardò intorno. Il granaio nel quale aveva preso rifugio la sera prima era ancora in piedi: buon segno. La schiena gli faceva male, i muscoli erano tutti intirizziti e probabilmente aveva la febbre, ma almeno era ancora vivo. Lo stesso non si poteva dire degli altri: il Maggiore Scrant era stato il primo ad andarsene, dimostrando a tutta l'unità una cosa, ovvero che i gradi non fermano i proiettili. Moguin aveva vomitato - comprensibilmente, dato che era stata la prima volta che vedeva un cadavere. Ad uno ad uno, anche gli altri camerati se ne erano andati, chi per un proiettile, chi per una ferita infetta, chi tra un attacco e l'altro di dissenteria. Gli ultimi due che erano rimasti erano Moguin e Billy. E infine rimase solo Moguin. Solo al pensiero di ciò che era successo a Billy, il petto del Moguri si strinse: la sera prima, mentre stavano cercando un rifugio dove passare la notte, Billy si era fermato e si era seduto su un tronco. Moguin lo aveva guardato confuso. L'altro non aveva detto niente se non «Scusa Moguin, ti precedo.» Era accaduto tutto in un lampo. Prima che il Moguri potesse anche solo alzare un braccio, il ragazzo aveva estratto la pistola, con una mossa fluida aveva tolto la sicura - nella loro unità Billy era il più bravo con le armi da fuoco, a dispetto della sua giovane età - e si era sparato un colpo in bocca. Alla vista del corpo esanime, Moguin non aveva vomitato, stavolta. L'abitudine è una cosa tremenda. Ma aveva pianto, noncurante della possibilità di attirare il nemico su di sé. Per lungo tempo era rimasto lì, immobile, a fissare la pistola nella mano di Billy. La prospettiva di finire tutto con la semplice pressione di un dito gli era sembrata molto allettante. Ma infine si era rialzato, aveva seppellito come poteva il giovane Billy ed aveva ripreso la ricerca di un luogo dove passare la notte. E ancora si chiedeva perché non l'avesse fatta finita. «Kupò, probabilmente mi è solo mancato il coraggio di premere quel grilletto.» mormorò alla stanza vuota. Crick, crack Uno scricchiolio arrivò da sopra Moguin. Rapidamente, Moguin estrasse il suo coltello, l'unica arma rimastagli - aveva perso il fucile guadando un fiume due giorni prima e aveva sotterrato la pistola con Billy, in quello che il Maggiore Scrant avrebbe coloritamente definito 'uno stupido eccesso di sentimentalismo da ragazzina mestruata' - e nervosamente squadrò la stanza. La sera prima si era sentito talmente stanco e scosso da addormentarsi in un angolino, senza nemmeno controllare se il granaio fosse davvero disabitato. Stupido, stupido, stupido. Crick crack Di nuovo quegli scricchiolii. Sembravano provenire da una specie di soppalco che si trovava direttamente sopra il Moguri. Respirando il più piano possibile, si avvicinò alle scale che conducevano al soppalco e cominciò a salire, stringendo in maniera quasi folle il coltello. "O loro o me, o loro o me." recitò mentalmente Moguin. Quel mantra gli aveva permesso di non impazzire dopo la sua prima uccisione in combattimento. Ora che riusciva a vedere meglio il soppalco, notò solo una figura, abbastanza minuta. Probabilmente era rannicchiata: la domanda era una però. Era rannicchiata perché stava tendendo un agguato a Moguin o perché stava dormendo? "Kupò, se non uccido loro, loro uccideranno me, se non uccido loro, loro uccideranno me, se non uccido loro, «LORO UCCIDERANNO ME!» urlò infine, lanciandosi sul soppalco in un singolo balzo, deciso a non dare all'altro neanche la possibilità di alzare la testa. Stava per abbassare con forza il coltello, quando un raggio di sole filtrò dalla finestrella dietro alla figura rannicchiata, illuminandola. «Una... bambina!?» sotto di lui, con gli occhi gonfi di lacrime e il viso sporco, c'era una bambina che avrà avuto si e no sette anni. Subito Moguin si tolse da sopra la piccola e fece alcuni passi indietro. Lei lo fissava terrorizzata, e come darle torto? Era uscito all'improvviso con un coltello in mano e urlando. Il Moguri si accorse di avere ancora il coltello in mano e quindi, lentamente, lo face cadere e lo calciò via da sé. «Mi dispiace, piccolina, kupò.» disse, tenendo le mani alte e parlando lentamente col tono più rassicurante possibile. «Non ho alcuna intenzione di farti male, ok?» continuò, conscio del fatto che solo un idiota totale gli avrebbe creduto in un frangente del genere. E la bambina aveva uno sguardo sveglio. Era chiaramente nativa di questo mondo, si notava dalla pelle leggermente scura e dagli occhi a mandorla, e lui indossava un'uniforme militare; che lei si fidasse di lui sembrava impossibile. Un freddo refolo di vento s'infiltrò da un buco nella parete dietro la bambina, la quale fu attraversata da un brivido di freddo; aveva solo un vestitino addosso, che per di più era stracciato e logoro. «Hai freddo, kupò?» chiese il Moguri, cercando di stabilire una connessione con la piccola. Come se colpita da una frustata, lei fece un passo indietro. Moguin sospirò. Non aveva nessuno se non sé stesso da incolpare per averla terrorizzata, quindi doveva fare qualcosa. Piano piano, si tolse la giacca dell'uniforme e la fece cadere vicino, ma non troppo, alla bambina. «Mettitela addosso, kupò. Tanto io ho una pelliccia!» disse, passandosi una mano sul petto e cercando di far almeno sorridere l'altra. Invano. Tesa e sospettosa come un cerbiatto, la piccola fece un passo avanti, raccolse la giacca e, senza mai togliere gli occhi di dosso al Moguri, se la mise. «Come ti chiami, kupò?» ancora ci provava a far parlare la bambina e non capiva il perché. Le aveva dato la sua giacca, poteva anche andarsene e lasciarla lì. Cosa gliene importava a lui di lei? Non la conosceva e anche se l'avesse conosciuta non poteva aiutarla. Poteva a malapena prendersi cura di sé stesso, da solo in quell'inferno. Ciononostante, non se n'era ancora andato. «Oh, che sbadato che sono!» aggiunse, deciso a far aprire la bambina. «Prima di chiedere il nome di una signorina, bisogna dare il proprio, kupò!» con molta calma fece un paio di passettini indietro e s'inchinò nella maniera più buffa che gli riuscisse «Io mi chiamo Moguin, e sono un Moguri!» Moguin alzò leggermente gli occhi. Non stava sorridendo, questo è certo, ma almeno non aveva fatto un passo indietro come prima! «Kupò! Ma tu sai cosa sono i Moguri, piccolina?» la bambina scosse la testa, suo malgrado. Una cosa accomunava tutti i bambini, la curiosità. 1-0 per Moguin, palla al centro. «Hohohoho» ridacchiò Moguin «noi Moguri siamo esseri magici! Ogni volta che nasce una stella, nasce anche un Moguri, kupò!» era una palese bugia, ma di solito i bambini così piccoli credono a tutto. Poi, agli occhi della piccola, Moguin doveva essere abbastanza strano da sembrare una creatura magica. E infatti lei iniziò a fissarlo con la bocca leggermente aperta. "Kupò, è il momento di sfoderare le armi pesanti!" «Ora ti faccio vedere una magia, kupò!» esclamò Moguin, portando le due mani avanti, con la bambina che lo fissava quasi meravigliata. Unì le dita della mano destra e fece spuntare leggermente metà del pollice. Con gesti esageratamente ampi, avvicinò il pollice sinistro, che era semicoperto dall'indice della stessa mano, a quello destro. Ora era arrivato il momento della formula magica «Abra Kupàdra!» e cominciò a muovere la mano sinistra, dando l'impressione che il pollice destro fosse stato separato in due parti. Passarono alcuni lunghissimi attimi. Se anche quest'approccio fosse fallito, Moguin si sarebbe detto sconfitto. «Pft... Hahahahahahaha!» improvvisamente la bimba, che fino a quel momento era rimasta stoica, scoppiò a ridere. Il suono che uscì dalla bambina parve a Moguin più simile ad un coro angelico che ad una risata, cristallina e pura come l'acqua di un ruscello; probabilmente, l'effetto che la risata ebbe sul Moguri fu centuplicato dal fatto che sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che aveva sentito una risata spontanea. «Sei tanto buffo, Signor Moguri!» affermò la bambina, sorridendo timidamente. «Davvero, kupò? Avevo paura di spaventarti coi miei fenomenali poteri magici!» la piccola non disse nulla, ma annuì con forza. «Ottimo!» esclamò il Moguri «E tu come ti chiami, signorina?» L'altra si guardò intorno leggermente imbarazzata e sussurrò «Mi chiamo Tuyen.» «Che bel nome, kupò!» rispose il Moguri, trattenendosi dal saltellare allegramente per la vittoria. Ci aveva messo così tanto a guadagnarsi la fiducia della bambina, non voleva mandare tutto a monte proprio ora! Proprio ora che poteva... Poteva... "Kupò!" finalmente Moguin si accorse in una grande falla nel suo piano. «E adesso che faccio, kupò!?» esclamò, facendosi cadere pesantemente (per quanto un esserino della sua stazza possa essere pesante) a terra. Il tonfo improvviso fece sobbalzare Tuyen, la quale però si calmò quasi subito, e per questo Moguin ringraziò la propria buona stella. Sospirando, il Moguri si appoggiò dolcemente al polveroso e lercio pavimento e si mise a guardare il soffitto, che non era da meno. "Meglio non guardare" si disse, chiudendo stancamente gli occhi. Tip Tip Tip Un rumore improvviso glieli fece riaprire di scatto. La bambina, che prima si trovava ad alcuni metri, era ora accanto a lui e, senza dire una parola, si raggomitolò accanto al Moguri, che era letteralmente paralizzato allo stupore, abbracciandolo e, mormorando in maniera quasi impercettibile «Morbido...», si addormentò profondamente, come la principessa colpita dall'ago di una delle fiabe che sua madre gli leggeva da piccolo prima di andare a letto.

    Per quanto tempo rimase fermo, immobile, ad ascoltare il respiro sommesso dalla bambina? Ancora non ne era sicuro ma, a giudicare dalle profonde occhiaie che appesantivano gli occhietti a mandorla della piccola, non era abbastanza per risanare le notti da incubo che doveva aver passato. "Dove sono i suoi genitori, kupò?" si chiese Moguin, temendo la risposta. Forse li aveva già incontrati, in un luogo dove molti di loro venivano riuniti. No, non dove si riunivano, dove venivano riuniti: le fosse comuni. Il fetore dei cadaveri, i visi contratti in fotografie di dolore e paura e, più di tutto, l'espressione compiaciuta di alcuni soldati mentre ci facevano, senza troppe cerimonie, cadere dentro dei corpi. Queste immagini erano marchiate a fuoco nella sua mente, lo torturavano, lo sbeffeggiavano dicendogli "tu eri lì, tu eri lì". Voleva urlare. Ma non poteva, la piccola dormiva. Poteva fare almeno questo per lei, poteva lasciarle qualche ora di riposo. Perlomeno adesso capiva perché fosse rimasto con lei fino a quel momento: per rimorso, per desiderio di riscatto, per paura di rimanere nuovamente solo, per aiutarla. Ora che aveva avuto un po' di tempo (ancora, quanto?) per riflettere, era riuscito a individuare svariate ragioni per cui non aveva abbandonato la piccola al proprio destino. E, con una punta di nausea, notò che il benessere di Tuyen era l'ultima della lista. Moguin avvertì improvvisamente un tremolio provenire dal suo fianco, seguito da un quasi istantaneo irrigidimento; con cautela, girò lo sguardo verso la fonte, vedendo la bambina che, con le lacrime agli occhi, si faceva sempre più piccola, probabilmente in preda a qualche incubo. Il Moguri non sapeva come reagire, non si era mai trovato in una situazione simile! Doveva svegliarla? Aspettare che passasse? Rannicchiandosi ulteriormente, la bambina singhiozzò sommessamente e Moguin, prima di accorgersene, la strinse a sé. «Sssh, adesso passa, kupò.» sussurrò lievemente, cercando di ricordarsi come lo tranquillizzavano i suoi genitori quando lui aveva degli incubi da piccolo. «Adesso passa.» ripeté, quasi più a voler convincere sé stesso che l'altra. Tuyen, ancora addormentata, si girò verso Moguin e, con il piccolo corpicino scosso da singhiozzi, affondò il viso nel soffice petto del Moguri. Con gesti molto cauti, quasi come se la bambina fosse fatta di porcellana, lui le accarezzò lievemente la testa, e a bassa voce cominciò a cantare la sua ninnananna preferita. Non ricordava più le parole ormai da anni, ma la melodia non se la sarebbe mai scordata; immagini di sé stesso più giovane, accoccolato nel suo caldo lettino che a poco a poco si addormentava, accompagnato dolcemente da quelle note, lo assalirono, rendendogli la realtà in cui si trovava mille volte più insopportabile. Ma per ora non doveva preoccuparsi di sé stesso, aveva qualcuno che dipendeva da lui. I singhiozzi si erano, fortunatamente, calmati, e il respiro era tornato normale. "Ottimo, kupò!" pensò, sciogliendo pian piano l'abbraccio. Dopo quegli incubi, Tuyen dormì come un angelo. Moguin, invece, entrò e uscì dal dormiveglia continuamente, finché alcuni rumori provenienti dall'esterno del granaio non lo svegliarono completamente. A passi leggeri, per evitare lo scricchiolio che aveva tradito Tuyen non molto tempo prima, si diresse verso la finestra, appiattendosi sul muro accanto ad essa. Muovendosi con una lentezza quasi snervante, Moguin si mise a guardare di sbieco fuori, vedendo cinque uomini con la sua stessa uniforme. Normalmente, avrebbe urlato di gioia e sarebbe corso giù per unirsi alla loro unità, ma un elemento dell'equazione era cambiato. Istintivamente, si rigirò verso Tuyen che aveva addirittura cominciato a russare un attimino. Era una bambina così piccola, non rischiava nulla. O? Aveva visto cose orribile succedere negli accampamenti, donne e ragazze che, magicamente, sparivano nelle tende degli ufficiali, alcune non tanto più grandi di lei. Ovviamente, non tutti nell'esercito erano così, ma se la sentiva di prendere questo rischio? "No, kupò." si rispose quasi all'istante. L'unica opzione rimasta era la fuga. Ma verso dove... Sospirando, decise che ci avrebbe pensato quando avrebbe messo un paio di miglia tra sé stesso, Tuyen in particolare, e quei soldati. Si avvicinò, con passo felpato, alla bambina e, con tutta la gentilezza possibile, la scosse. «Tuyen, svegliati, kupò.» mormorò, convinto che quello che stava facendo era paragonabile ad un crimine. La piccola aprì gli occhi e, ancora confusa, disse «Mamma, sei tu?» A Moguin si strinse il cuore. «No, sono io, Moguin.» rispose e l'altra, dopo essersi stropicciata gli occhi, si tirò su. «Buon giorno, signor Moguin.» biascicò, ancora assonnata. «... Hai dormito bene, kupò?» Ancora non sapeva come spiegarle la situazione. Perché dovevano fuggire, perché Moguin avesse paura di quei soldati anche se erano, tecnicamente, dalla sua parte. Forse era meglio non spiegarle tutto. La piccola, nel frattempo, si stava fissando i piedi, leggermente in imbarazzo e, con una vocina poco più forte del ronzio di una zanzara, rispose «Si... Grazie per la giacca.» tracciando con le sue sottili dita la cerniera dell'uniforme che Moguin le aveva dato. «Non c'è di che, piccola.» la ringraziò, cercando di non dare a vedere quanto fosse preoccupato. Il silenzio si frappose tra i due. «Ho sognato che mamma e papà se n'erano andati senza di me.» disse infine Tuyen, rompendo il silenzio. «Ed ero rimasta tutta da sola.» "È probabile che non sia solo un sogno." pensò Moguin con amarezza. «Avevo paura.» continuò, senza togliere gli occhi dai propri piedi. "E chi non ne avrebbe avuta, kupò." si limitò a commentare mentalmente, sedendosi però accanto a lei. «Ma» seguitò Tuyen tutt'a un tratto «quando stavo per mettermi a piangere, due piccole braccia pelose mi hanno circondato.» a quelle parole, Moguin alzò la testa e guardò in direzione della piccola, con il principio di un groppo in gola. «E una voce che ho sentito oggi per la prima volta mi ha detto "Adesso passa, kupò".» concluse, alzando lo sguardo verso il Moguri, che ora aveva gli occhi leggermente gonfi per la commozione. La piccola non disse niente, gettò le proprie braccia intorno al piccolo collo di Moguin e gli diede un bacio sulla guancia. «Gr-Grazie, signor Moguin.» balbettò infine, alzandosi in piedi e girandosi dall'altra parte, con le guance appena appena arrossate. Moguin sentiva qualcosa crescere dentro di sé, una sensazione dolce che mai prima d'allora aveva provato: una specie di misto tra gioia e orgoglio, con giusto sopra un pizzico di apprensione. Doveva essere così che si sentiva un padre. Cercando di riguadagnare un po' di contegno, Moguin si schiarì la gola e, nel tono più normale possibile, disse «Eh, prego, Tuyen, prego, kupò!» Si rialzò, si rassettò distrattamente i pantaloni e, dopo essersi preparato mentalmente, chiese alla piccola «Senti, kupò. Ti fidi di me?» La bambina si girò verso di lui e, guardandolo confusa, pose a sua volte una domanda al Moguri «Come?» Moguin inspirò profondamente «Sarò sincero. Mentre dormivi delle persone si sono fermate di fronte al granaio a riposare e sono ancora lì.» disse, cercando di trasmetterle più sicurezza possibile «Se fossi da solo, scenderei subito e andrei con loro.» puntualizzò, sottolineando il 'solo'. "Questo è il miglior approccio possibile." si disse, mentre organizzava i suoi pensieri. Tuyen gli sembrava una ragazzina sveglia, se avesse provato a ingannarla o a nasconderle qualcosa, se ne sarebbe sicuramente accorta e allora avrebbe perso ogni possibilità di convincerla a fidarsi di lui. «Purtroppo, non conosco nessuna di queste persone» continuò, sperando di aver fatto la scelta giusta «quindi non so se tra loro ci siano o meno persone cattive, kupò. In tal caso, non potrei proteggerti da loro.» "E so cosa potrebbe accaderti." aggiunse mentalmente. «In conclusione, io vorrei andarmene da questo granaio, non visto se possibile» riprese, fissando i propri occhi in quelli di Tuyen «e, quando saremo distanti, ci dirigeremo verso la città più vicina.» Sempre che il suo senso dell'orientamento non li mandasse fuori strada. «Perciò, te lo chiedo di nuovo, Tuyen.» adesso la sua voce, che fino a quel momento era stata gentile e apprensiva, divenne un attimo più dura «Ti fidi di me, kupò?» Ora, tutto era rimesso nelle mani della bambina che si mise a guardare nervosamente in direzione della finestra. La paura di aver fatto la scelta peggiore mandò una scarica su per la spina dorsale del Moguri che, di conseguenza, si pietrificò. Tuyen si voltò nuovamente in direzione di Moguin e, giocherellando con un ciuffetto di capelli, rispose «Io... Io... Mi fido di te, signor Moguin» Onestamente parlando, Moguin non si aspettava che sarebbe andata così bene. «Ottimo, kupò!» esclamò «Prepariamoci ad andare, allora.»

    Il bruciante abbraccio del piombo gli attanagliava la spalla destra. Un liquido caldo, rossastro e dall'odore metallico fuoriusciva da un piccolo buchetto sulla scapola, tingendo il pelo del Moguri. "Ah, è sangue. Kupò." pensò, con i metaforici ingranaggi del suo cervello che rallentavano sempre più, a causa della perdita di carburante (il sangue, per l'appunto). Dove si trovava? Piano, una cosa alla volta. Com'era? "Sdraiato" concluse Moguin, sentendo che la propria schiena era semi-sommersa da melma acquitrinosa. Un passo alla volta. Si trovava nella melma acquitrinosa perché erano scappati verso sud, dopo essere scivolati fuori da un buco in uno dei pericolanti muri del granaio. "Okay, ho almeno una vaga idea del perché sono qua, kupò." si disse compiaciuto. Ora "perché sto sanguinando dalla spalla destra, kupò?" Ah, avevano incontrato un sesto di loro, appostato dietro l'edificio. Lui aveva intimato loro di fermarsi, loro non si erano fermati. Via all'inseguimento. Dopo alcune urla, avevano aperto il fuoco. «Meno male, hanno preso me e non Tuyen, kupò.» mormorò, mentre la sua vista si stava via via sfocando sempre di più. E allora qualcosa catturò il suo sguardo. Davanti a lui si pararono i sei soldati di prima, fucili spianati. E tra lui e le sei canne di ferro pronte a vomitare pallettoni di piombo su di lui, si ergeva una piccola figura, con un'uniforme e le braccia aperte «L-Lasciate in pace il signor Moguin!» urlò quella piccola e poco resistente barriera che si parava tra lui e morte certa. "Kupò, è Tuyen!" capì, avendo la sua mente riguadagnato un attimo di coscienza a causa dello shock «Scappa, Tuy-» provò a dire, ma lo sforzo di articolare una frase lo fece svenire. Mentre scivolava nell'oblio, Moguin si maledì e un unico pensiero riecheggiò violentemente nel suo cervello, ormai privo di ogni altro stimolo.



    Ho fallito. Non l'ho protetta. Ho fallito.


    Moguin Sr. riaprì gli occhi. «Un sogno, eh?» Un pomeriggio abbastanza noioso si era messo in combutta con una oltremodo comoda poltrona per mandarlo in un mondo fatto di sogni e ricordi. Ricordi non molto piacevoli. Con gesti studiati, l'attempato Moguri prese la sua pipa, che era appoggiata su un tavolino lì a fianco, la riempì con del tabacco e l'accese. Puff puff Due piccole zaffate di fumo si alzarono verso il soffitto del soggiorno. «Quanti anni saranno passati da allora? Venti, venticinque, kupò?» chiese a nessuno in particolare. Subito dopo quell'incidente, Moguin Sr. era stato congedato a causa sia della ferita alla spalla, sia del trauma che aveva subito. Al suo risveglio era in un ospedale militare e nessuno sapeva dirgli che fine avesse fatto Tuyen. Si era sposato con Mogunadìa due anni dopo e Moguin Jr. era nato un anno dopo ancora, quindi in tutto erano... Ventiquattro lunghissimi anni. Ricordi come quelli fanno fatica a sparire. Toc Toc Bussò qualcuno all'improvviso. Solitamente, Moguin Sr. si sarebbe alzato tutto pimpante per andare a vedere di chi si trattasse, ma non era dell'umore adatto, dopo quel sogno. «Tesoro!» chiamò sua moglie che era nell'altra stanza «potresti andare tu, per cortesia?» la richiesta prese così tanto alla sprovvista l'altra che fece capolino nel soggiorno «È tutto a posto, caro?» chiese preoccupata; il Moguri fece un gesto con la mano come per dire "non ti preoccupare, assecondami per stavolta" e Mogunadìa, con l'espressione che diceva "dopo ne riparliamo", cedette e andò ad aprire la porta. Appena l'ebbe aperta, una voce di donna disse «Salve, signora, sto cercando un Moguri di nome Moguin.» Moguin Sr. l'ascoltò con scarso interesse, più interessato alla sua pipa. «Kupò! In questa casa ce ne sono due di Moguin, uno è mio marito e l'altro è mio figlio.» rispose la Moguri. «Sono convinta sia suo marito, il Moguin che cerco!» esclamò la donna. Moguin Sr. continuò ad ascoltare, più interessato alle strane forme che le nuvolette di fumo che fuoriuscivano dalla sua pipa «Perché lo sta cercando, se mi posso permettere, signorina ...?» chiese Mogunadìa con fare un po' inquisitorio «Mi perdoni, non mi sono ancora presentata!» si scusò la donna, tutta trafelata «Mi chiamo Tuyen.» disse, presentandosi «Tra un paio di mesi avrà luogo il battesimo di mio figlio e, visto che devo molto a suo marito, vorrei che gli facesse da padrino.» Appena sentì il nome Tuyen, Moguin Sr. si pietrificò. "N-Non può essere, kupò!" «L'ultima volta che io e suo marito c'incontrammo, io ero poco più che una bambina, e il signor Moguin mi salvò la vita.» A quelle parole, Moguin Sr. si alzò di scatto dalla poltrona, facendola quasi cadere all'indietro. Con gli occhi abbastanza lucidi, si schiarì la gola un paio di volte ed urlò, con la voce abbastanza tremante «Non ti preoccupare, cara! La conosco, kupò. Arrivo subito!» Poggiò la sua pipa sul tavolino. Si sistemò due secondi il pon-pon e aprì un armadio pieno di chincaglierie e ricordi vari. A colpo sicuro, prese una vecchia fotografia sbiadita, rappresentante un gruppo di reclute giovani che ridevano assieme, seppur con occhi stanchi. «Avete sentito, ragazzi?» chiese guardando la foto «Sarò il padrino del figlio della piccola Tuyen.» Lacrime rigarono il suo volto stanco.
     
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