Ascend to Oblivion

Quest Speciale

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    ~Bridges Burned

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    «You're like a ghost within me
    Who's draining my life
    It's like my soul is see through
    Right through my empty eyes


    C’era un motivo ben preciso se non aveva aperto bocca col vecchio, se non si era esposta lei per prima, svelando solo Noel, raccontandogli balle e verità, spesso mescolate le une con le altre –tanto, a lei cosa importava?- e restando sul vago quando, in un modo o nell'altro, lui aveva cercato di spostare l’attenzione su di lei. Will non era una stupida. Will non aveva intenzione di rovinare le sue opportunità per far avverare i sogni di Wren. O per scacciare le sue paranoie. O per aiutarlo a sopravvivere ancora a lungo.
    No. Lei era lì solo ed esclusivamente per crearsi una vita. Per strapparla a quella schifosa carcassa riversa a terra ed appropriarsene, nascendo, sbocciando e prendendo il suo posto nel mondo in quanto Volontà dell’Abisso.
    Non le importava di mettere a rischio la sopravvivenza dell’uomo, la buona riuscita di quello che aveva capito essere un tentativo di completo riacquisto dei poteri sul castello. Lei voleva solo distruggere tutto ciò che teneva in piedi la bionda, nient’altro. Perciò, aveva invitato più di una persona a banchettare sulle carni scoperte di Noel, a cibarsi di odio, di rabbia, di disprezzo, di rifiuto, nutrendola indirettamente. Forse nemmeno quella sarebbe stata la volta buona ma, ora che aveva la possibilità di mettere mano alla propria sorte, di plasmarla con le sue forze, non doveva avere incertezze né ripensamenti. Will lasciava la sua tribuna d’onore, scendeva sul campo di battaglia e cominciava a giocare la sua partita.
    Non appena Aqua aveva messo piede nel castello, varcando la soglia, superando gli scalini candidi, la fanciulla aveva cominciato a muovere le sue pedine. Non aveva bisogno di niente, di nessuno; memorie deboli, effimere, che l’Oblio stava divorando, affiorarono nella sue mente come corpi morti nell'acqua. Erano pochi, non avrebbe neanche dovuto lavorare. Era una fortuna che la bionda non fosse in grado di fare solide amicizie, ma solo sporadiche conoscenze superflue. A loro volò il suo pensiero, verso di loro si librò la sua magia, attinta direttamente dal buio, dal rancore e dalla negatività di secoli di storia dell’uomo. Dal baratro più nero emersero i fili del dubbio, della rimostranza e della necessità; erano richieste d’aiuto passive, chiamate alle armi, grida di speranza, carezzevoli promesse, dolci sussurri e miraggi, illusioni in grado di realizzare i sogni. Giocava con la psiche, giocava con i sentimenti. Giocava con le sensazioni, le debolezze.
    La sua forza, le sue capacità erano scorrette. Qualunque cosa la riguardasse era scorretta. Così com’era sbagliato che la principessa morente, volgare non solo nel sangue, ma in tutto ciò che la riguardava, si ostinasse ad aggrapparsi la vita.

    «È veramente umiliante, questo tuo attaccamento a cose che non hai mai posseduto.»
    Noel rimase immobile, rannicchiata su se stessa nel tentativo di proteggersi da tempeste interne, il viso spento, le labbra socchiuse e gli occhi che fissavano stancamente il vuoto nel bianco. Nell'incoscienza del coma indotto, non poteva rispondere, non poteva sentire. Lottava cercando di riacquistare coscienza, sparendo, al contrario, e dissolvendosi in polvere e cenere.
    «Per te, ovviamente. Da parte mia, è solo frustrante.»
    Mosse passi eleganti, soffici, in un turbinio di vesti bianche, osservando il suo nucleo di origine rimanere in uno stoico silenzio difensivo. Si passò una mano sul volto, inspirando con una smorfia infastidita, e la luce irradiò la stanza. Un flash di forza, un chiarore abbacinante di purezza incontaminata investì l’intero castello da cima a fondo. Il signore del Castello era ancora lì, forse dietro di lei, forse leggermente in disparte. Aveva più di un incarico da portare a termine e, dunque, più di un corpo da comandare. Una copia, per ora. La bionda era in piedi, in forze, graziosa, mentre si sistemava placidamente la gonna blu, i revolver nelle loro fodere. Gettò uno sguardo al tè versato. Rialzò il capo, gli occhi verdi impregnati di mille parole. Sorrise inclinando il capo. Sorrise a Will. E a Wren, salutandolo con un cenno. L’albina spostò il peso da una gamba all'altra, ora conscia di non essere da sola, osservando le movenze dell’uomo con la coda dell’occhio.
    Si congedò con un passo indietro, girando sui tacchi, imboccò la soglia e uscì dalla porta, sfondata dall'assalto al suo arrivo. Sotto le suole spesse, i frammenti iridescenti degli specchi infranti crocchiavano, annunciando lo sbriciolarsi di ogni sicurezza.
    Will si voltò verso l’anziano, un ghigno largo a deturparle il viso, gli occhi ridotti a due fessure ferine. Gli porse la mano.
    «Verrò con lei, Wren. Credo abbia bisogno di una spalla a cui appoggiarsi, con la sua gamba malata.»




    Inginocchiata nel corridoio, in mezzo ad un caleidoscopio monocromatico, Noel, o un burattino a lei simile, stringeva tra le dita un brandello di specchio sufficientemente grande da rimandarle indietro metà del viso. Si osservò a lungo, sorridendo a se stessa, tracciando sul vetro i suoi lineamenti, il contorno morbido delle guance, accarezzando la sua immagine. Baciò la sua replica fittizia dietro la lastra, salutandosi per l’ultima volta. Si era mai comportata così? Le era mai importato qualcosa di se stessa, al punto di salutarsi?

    Bolverk in mano e lo sparo, secco, raschiante, violento.


    Will11_zps64abf610


    Un’esplosione rossa si allargò dal foro nella sua fronte; il sangue si avvinghiò ai muri, scivolò sulle piastrelle, invase il soffitto e la stoffa, si riversò sotto il corpo accasciato sul pavimento, senza più vita. Ogni coccio scintillò scarlatto, assorbendo le lacrime della carne, plasmandosi lentamente in una nuova forma. Diverse altezze, diverse età, diverse funzioni, diverse condizioni: cento, mille di loro, tutte diverse. Si allinearono effimere, sorelle generatesi da un’unica madre, piangendo la bambola sacrificata e disperdendosi nell’aere, invadendo il castello. Ogni brandello riflettente era una copia, dotata di un corredo completo di emozioni, sensazioni, rimpianti, desideri. Ogni frammento era una spaccatura nell'anima dell’altra, immobile, annichilita, annientata. Più si muovevano, più agivano, più le crepe si facevano ampie, irreparabili. Presto si sarebbe rotta definitivamente e non avrebbe più avuto la forza di resistere al logoramento.
    Si era opposta per tanto. Si era opposta a tutto. Aveva portato avanti una strenua battaglia, privata di qualunque cosa, mentre altri tiravano i fili della sua esistenza. Poi, il burattino aveva smesso di danzare. La bambola aveva smesso di guardare il mondo con i suoi grandi occhi pieni di speranza. L’ovatta aveva forzato le cuciture e i confini che delimitavano il suo mondo interiore erano stati varcati: in loro difesa, non c’era nulla più di un esausto desiderio di sopravvivere.



    CITAZIONE
    Lo stavate aspettando. Lo stavamo tutti aspettando. E finalmente è giunto; è arrivato il momento di aprire questa benedetta quest che progetto da mesillenni. Non starò a spiegarvi COSA succede perché di cose ne accadranno molte. MOLTE.
    Parto subito col dire che è una quest da energia Verde in su. Aqua ha lasciato il Castello Disney con Maxwell e si è imbarcata verso il Castello dell'Oblio per salvare Ven, che'stacosaselavedanoAlexeFrenzichemisbarellanotutt'ipianilimortacci. Qualcuno si muove già per conto proprio, qualcuno, invece, viene richiamato. Come avete letto nel testo, Will richiama, tramite illusioni a vostro piacimento, i vostri PG all'Oblivion Castle. A voi la scelta, dunque, sempre ammesso che vogliate partecipare. Non c'è un limite di utenti e sono già d'accordo con il sommo don sulle eventuali spartizioni dei compiti tra me e lui. Potete creare un qualunque tipo di espediente: una voce calda, un sogno piacevole, un incubo, un corridoio, una botta in testa del vostro piggì o, perché no, qualcuno che vi ci porti, stando sempre e comunque nell'ordine di idee che quel qualcuno è fittizio. Non dovete avere specifici motivi per andarci.
    Will verte sulle paure, sui timori, sui piaceri, sui dubbi e le certezze delle vostre creature per richiamarvi a lei. E voi avete campo libero per dare una spinta e far fare, con la convocazione, un giro di boa alla caratterizzazione del vostro personaggio.
    Vi informo subito che i tempi di risposta saranno molto stretti. Massimo dieci/dodici giorni dal mio post (o dal post di Frenzi) a seconda di quanti utenti siete, e vi sarà concessa una sola proroga di tre giorni ogni mese; se non siete sicuri di poter rispettare la scadenza, non postate. Vi avviso subito che alla seconda infrazione di tempo, vi si aprirà una pedana sotto i piedi e verrete sbattuti fuori dalla quest. Bye bye, beautiful. E a mai più rivederci.
    Why, my lord? Perché sì e la struttura della quest lo richiede. Dobbiamo procedere tutti allo stesso ritmo, saranno quest singole portate avanti in parallelo e non si può lasciare indietro nessuno.
    Ricapitolando:
    °per partecipare, sarà sufficiente confermare la vostra partecipazione nell'apposito topic che verrà aperto in Area Quest e Ruolatori;
    °scadenza turno di post 10-12 giorni. Per il primo turno (vale a dire questo) avete cinque giorni per confermarmi nel suddetto topic in Area Quest e Ruolatori la vostra partecipazione; alla scadenza dei cinque, partirà il countdown dei primi 10-12 per il turno del post;
    °se non siete sicuri di rispettare le scadenze, che comunque, molto probabilmente, in gennaio/febbraio verranno leggermente dilatate per esigenze organizzative, iscrivetevi a vostro rischio e pericolo;
    Dovrebbe essere tutto.
    Prepare yourselves e ci vediamo bimbi belli. ♥

     
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    Le gote erano rosse, le gambe bruciavano per la fatica, ma lui continuava a correre. Fermarsi non era un’opzione. Voleva solo poterla raggiungere. Lei. La vedeva in cima alla collina chiamare il suo nome ridendo, agitando le braccia facendogli segno di avvicinarsi. E anche le sue labbra, nonostante la fatica, nonostante il sudore si allargavano in un sorriso raggiante. E correva, correva incontro alla ragazza in bianco, correva a verso quella figura bionda che, nonostante l’età, rimaneva sempre così infantile. Correva incontro a sua sorella. L’erba alta frusciava attorno a lui solleticandogli i palmi delle mani. E lui rideva, rideva piangendo per la gioia, per una gioia che non capiva da cosa fosse causata. La salita sembrava non avere mai fine. Le corde nel suo cuore vibravano di emozione di fronte alla possibilità di stringerle ancora la mano, di poterla riabbracciare, di poter nuovamente sentire quell’odore speziato, quel misto di cannella e arancia che tanto adorava. Sapeva di casa, sapeva di sicurezza, di pace. Continuando a ridere accelerò il passo. Era finito. Era tutto finito. Non doveva più soffrire, non doveva più combattere. Con un ultimo scatto si lanciò tra le braccia di Merenwen stringendola con quanta più forza avesse. Piangendo si abbracciarono. Gli era mancata. Gli era mancata più di quanto fosse immaginabile. Si staccò un secondo per guardarla negli occhi, in quegli occhi rossi così simili ai suoi. Impacciato si asciugò le lacrime con una manica mentre la sorella faceva lo stesso. Erano uguali. Beh, quasi.
    Quando lei era morta si era sentito svuotato, come se un pezzo della sua esistenza fosse stato improvvisamente strappato senza alcun ritegno. Si era sentito come se qualcosa dentro di lui avesse iniziato a decomporsi, frammento dopo frammento in un’agonia silenziosa. Ma adesso erano assieme ed era quello che contava. Nient’altro. Con un sorriso leggermente offuscato dai ricordi si staccò dalla figura esile di sua sorella. Era proprio come la ricordava. Forse giusto un po’ più bassa o era lui che era cresciuto in altezza? Probabile. Era semplicemente stupenda. Facendo un’espressione corrucciata Merenwen gli scosse i capelli. Era proprio come quando era piccolo, sbuffava persino adesso, c’era solo la piccola differenza che allora lei non doveva alzarsi in punta di piedi per potergli mettere in disordine la chioma.
    -Dai, smettitela!-
    -Ti preferivo con i capelli lunghi, sai?-
    Non riusciva proprio a smettere di sorridere e stavano iniziando a dolergli le guance. Certo, non che gli dispiacesse, ma, seriamente, doveva darsi un contegno. Solo che… Era tutto così bello, troppo bello. Sentiva la felicità traboccare dal petto invadendo con un tepore caldo il suo corpo fino agli arti. D’istinto l’abbracciò di nuovo. Era felice, sì, ma la nostalgia persisteva. Era una felicità dolorosa, ma non sgradita.
    -Sì, lo so…-
    Scioccamente non gli venne altro in mente se non rispondere alla sua precedente domanda. Naturalmente non gli importava il fatto che fosse retorica. Voleva farle capire quanto era preziosa per lui. Quanto avesse sofferto. Quanto le era grato che fosse tornata.
    -Mi sei mancata sorellona.-
    Mancava davvero poco a far sì che altre lacrime tornassero a sgorgare.
    -Questi anni sono stati un incubo. Prima tu, poi Rodrick ed infine Eresse.-
    Adesso sì che era tornato a piangere.
    -Ho perso tutto quello che amavo e mi sono sentito così solo… Sai, ho persino viaggiato in altri mondi, incredibile, vero?-
    Le braccia di Merenwen si strinsero con ancora più forza sulla sua schiena. A volte certi gesti valevano più di mille parole. A volte non bisognava parlare. A volte bisognava solo far sentire di essere vicini. Far sentire il proprio calore.
    -Ho… Ho visto cose orribili. Ho visto i Servi, qui li chiamano Heartless, fare cose orribili.-
    Aveva visto la morte. Aveva visto la distruzione della speranza più pura. Aveva visto lo spegnersi di ogni luce, il tremolare instabile e debole delle candele che, una ad una, andavano estinguendosi nel buio.
    -Tranquillo. Va tutto bene ora.-
    Sempre piangendo il ragazzo annuì. Non importava quanto fosse cresciuto negli ultimi tempi. Merenwen era e sarebbe sempre rimasta la più grande. Lentamente Ingwe si staccò dalla sorella. Sì, andava tutto bene. Smeraldo e Rubino si incontrarono. Erano identici. L’uno l’opposto dell’altro. La giovane sorrise tristemente. Erano diversi. Quegli occhi che erano sempre stati uguali erano cambiati. Erano freddi, scuri, sprezzanti. Non erano gli occhi di sua sorella. Non importava quanto le sue parole potessero essere dolci. Quella non era sua sorella. Ma lui non se ne rendeva conto. Non voleva rendersene conto. Non voleva. Non voleva. Non voleva. Quell’illusione era troppo bella, troppo perfetta per poter non essere la realtà. Eppure era proprio per quello che non poteva corrispondere al vero. Era proprio per quel prato verde sorto dalle macerie di Radiant Garden, per quei fiori nati dai resti del sangue sui muri. Era per quell’inferno camuffato che quel luogo non poteva corrispondere a realtà. Per la pelle della giovane che sempre più velocemente si stava sfaldando sotto lo sguardo dipinto di puro terrore del fratello. Per i bulbi oculari che si scioglievano, per i denti che marcivano, i capelli che secchi si disintegravano nell’aria. L’odore di arancia e cannella era scomparso. L’aria era malsana, mefitica, un misto di fiori marci e corpi in decomposizione. L’erba era cresciuta su un cimitero di membra tumefatte, i cadaveri che ancora si stavano disfacendo di tutti coloro che erano morti nella guerra. Le orbite vuote lo guardavano implacabili, accusandolo di non aver fatto abbastanza, accusandolo di aver pensato solo a scappare in quel tunnel quando in realtà sarebbe stato capace di aiutarli, di frapporsi tra loro e la morte. Nauseato indietreggiò, inciampando nei suoi stessi passi. I cadaveri gonfi di Rodrick ed Eresse erano lì, pronti ad accoglierlo, pronti a rinfacciargli ancora una volta ciò che gli aveva fatto. E sua sorella rideva. Quel corpo orripilante rideva. Gli occhi rossi lampeggiavano di disprezzo ed i capelli bianchi splendevano al di sopra della melma nella quale lui era finito. Superiore, immensamente superiore eppure allo stesso tempo più insudiciata di lui. Più sporca, più malata. Con lentezza angosciante il suo corpo iniziò ad affondare nei succhi viscidi scaturiti dai corpi dei morti. Voleva vomitare. Voleva fuggire da quell’incubo. Ma non ci riusciva. Ogni movimento, ogni gesto non aveva altro risultato se non quello di farlo affondare ulteriormente. Mani molli, squarciate, ricoperte di tagli in suppurazione andarono ad afferrargli le vesti, a spingerlo sempre più in basso, sempre più in profondità. Urlò. Spalancò le labbra in preda alla disperazione più totale, ma le dita entrarono anche lì. Anche lì il tocco viscido dei morti lo raggiunse. Il sapore dolciastro, nauseabondo di morte gli riempì la bocca. Un conato di vomito lo scosse mentre nel frattempo sentiva l’acido salirgli in gola e bruciargli il naso sostituendo per qualche istante l’odore putrescente con quello acre dei succhi gastrici.





    Vuoto.
    Solo il rumore di un vento gelido.

    Con lentezza, ancora tremante, tornò a respirare. Gli occhi chiusi, le braccia raccolte attorno alle ginocchia. Rannicchiato in posizione fetale. Sentiva ancora le mani scivolargli addosso, l’odore putrescente, il sapore dei cadaveri. Nessuna di quelle sensazioni sembrava anche solo iniziare a cessare. Aveva paura di riaprire gli occhi, di scoprire cosa gli si parava davanti. In quel momento non avrebbe voluto far altro che raggomitolarsi sotto le sue coperte nella sua stanza a Radiant Garden facendo finta di non esistere. Ma non si trovava a Radiant Garden. Non aveva mai sentito così tanto freddo là. L’aria stessa era quasi tangibilmente diversa. E non in senso positivo. Con timore alzò le palpebre.
    No, quello non era il giardino radioso.
    Si trovava su uno stretto passaggio di roccia sospeso nel vuoto più assoluto. Non c’era niente di fronte a lui. Solo il buio. Un buio interminabile. Piccole formazioni rocciose affioravano qua e là ai lati del terreno, ma, se non fosse stato per quelle l’intera lastra sarebbe stata liscia, priva di qualsiasi imperfezione superficiale. Lentamente si alzò in piedi. Finduilas tintinnò dolcemente nel suo fodero. Sentiva le proprie armi, ce le aveva ancora addosso. Non che facesse molta differenza in un luogo come quello. Tremando per il freddo si strinse quanto più poteva il cappotto troppo leggero sul corpo. Era vestito esattamente come la sera prima a Radiant Garden. O era quella sera? Non sapeva dirlo. In realtà non era nemmeno in grado di dire quando fosse iniziato l’incubo con sua sorella. O come fosse finito in quel luogo. Forse era morto e , sempre forse, quello era l’inferno. Nel suo mondo veniva descritto come un luogo caldo, rovente, pieno di fiamme che consumavano i peccatori e di demoni che li torturavano per l’eternità. Beh, di sicuro quella non sarebbe stata la prima volta che si sbagliavano. Sospirando si girò in modo da vedere se il sentiero di roccia proseguiva dall’altra parte. Ma non c’era un proseguo. Anche dietro di lui il sentiero finiva, ma non scomparendo nel nulla. No. Dietro di lui si ergeva imponente nella sua deformità un edificio grottesco. Niente sembrava essere sano in quella struttura. Un ammasso di torri che spuntava dalla stessa roccia e si allargava contorcendosi su se stesso. Ecco. Non trovava altro modo per descriverlo. Era impossibile. Era troppo caotico, troppo confuso. Era ben lontano dall’eleganza del Radiant Bastion e decisamente lontano dalle architetture tipiche del suo mondo. Quel luogo doveva essere obbligatoriamente magico in una sua qualche contorta maniera, già l’aspetto, già le torri che crescevano orizzontalmente e diagonalmente lo confermavano. Era un’isola di pazzia sospesa nel nulla più assoluto. Nulla che lui non aveva intenzione di sfidare tentando di volarci attraverso. Non vedeva una fine a questo e la prospettiva di cadere all’infinito nel caso non fosse riuscito ad atterrare prima di esaurire le energie non lo attirava per niente. Rimanevano solo due alternative; la prima consisteva nel restare là fuori al gelo aspettando che qualcuno o qualcosa lo portasse via. La seconda… La seconda consisteva nell’entrare in quel luogo. Era semplicemente assurdo. Però che altro avrebbe potuto fare? Circospetto iniziò a camminare verso quell’entrata a suo parere decisamente troppo grande rispetto al Castello. Quanto sarà stato alto? Ottanta, cento metri? Troppo per i suoi gusti. Chiunque o qualunque cosa viveva lì di sicuro non era un tipo modesto. A poco più di dieci metri di distanza dall’entrata si fermò titubante. Forse faceva ancora in tempo a tornare indietro. Forse, se si impegnava davvero sarebbe riuscito a oltrepassare l’abisso nero ed arrivare alla “terraferma”. Sì, e poi che avrebbe fatto? Era piuttosto sicuro che le Gummiship non facevano spola in quel pianeta e lui non sapeva ancora viaggiare da un mondo all’altro. No, non aveva altra scelta. Sospirando strinse la mano sull’elsa di Finduilas. Sarebbe entrato. C’era qualcosa in quel luogo che lo invitava ad entrare. Forse era solo la sua immaginazione oppure la paura di rimanere per sempre in quel luogo o di morire lì. Certo, se invece era già morto il discorso cambiava, tuttavia non gli sembrava proprio di aver già raggiunto l’aldilà. Beh, forse era un bene: quello non gli sembrava proprio il più bel posto dove trascorrere l’eternità. Si sarebbe fidato di sé stesso. Sbuffando spazientito per la propria stupidità eliminò gli ultimi metri che lo separavano dal portone con passo deciso. Tanto non aveva alternative.

     
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    La figura dell'UN-55, coperta dalla corazza che gli donava l'aspetto del Distruttore, sedeva su una roccia grigiastra con le spalle rivolte a un bastione, che sembrava essere stato costruito comprimendo a forza varie fortezze e torri. In altre parole, il Castello dell'Oblio, il luogo che rubava i ricordi e le identità di chi si avventurava tra le sue mura. Fino a quel momento, l'automa aveva visto quell'edificio solo sotto forma di schizzi, e visto da vicino era ancora più inquientante... ma mai quanto il fatto che una persona di sua conoscenza fosse entrata da sola in quella struttura malefica.

    -Non voglio suonare sarcastico, però... abbiamo dei seri problemi di comunicazione.-

    Maxwell non ebbe neanche la forza di sospirare a quelle parole. Ma, alla fine, come avrebbe potuto? La voce della sua metà elettronica non presentava alcun cenno di sarcasmo, solo una triste rassegnazione, e non aveva fatto altro che dire la verità. Se l'episodio della notte passata aveva fatto scendere il suo morale sotto al terreno, la testardaggine di Aqua lo aveva anche sepolto sotto a una slavina. La Maestra del Keyblade si era dedicata anima e corpo a seguire il suo istinto, e dopo la loro discussione non aveva perso tempo a intrufolarsi nell'hangar per rubare una gummiship, che ovviamente lui aveva dovuto pilotare, così che la donna potesse risparmiare energie per la loro spedizione. Eppure, per quanto qualcosa tra le sue tempie cercasse di biasimare a ogni costo la ragazza, l'automa avvertiva chiaramente una stretta al petto se pensava a cosa sarebbe successo se avesse tentato quell'impresa da sola. Era abbastanza certo che fosse riuscito a pilotare quella navetta senza incidenti per un puro colpo di fortuna, ma quel presentimento veniva messo completamente in ombra se provava a immaginare Aqua da sola, che vagava per i corridoi del castello mentre un nemico sconosciuto la guardava da lontano, pronto a colpirla senza che questa avesse alcun modo di chiedere o ricevere aiuto.
    A quel pensiero, l'uomo dovette portare ambo le mani artigliate sul proprio volto, coprendosi gli occhi mentre poggiava i gomiti sulle ginocchia: era stanco. Stanco di trovare così tanti individui simili a lui, di non riuscire a fare niente per fermare quella loro follia comune, e di non essere più in grado di distinguere tra il propro egoismo e il desiderio di aiutare sinceramente qualcuno. Non era neanche certo se quei dubbi nascessero dalla stanchezza o un sincero dubbio su tutto ciò che aveva fatto e, sfortunatamente, non era il suo problema peggiore in quel momento. Purtroppo, fu proprio in quell'attimo di rassegnazione che una voce metallica rimbombò nella sua testa.

    UN-30 Cannon Walker: La prima unità a venire dotata di un'intelligenza artificiale capace di evolversi spontaneamente col tempo, "maturando" come un essere umano. Si tratta anche della prima Unit Nova con armi da fuoco installate nel suo corpo, e utilizzavano un prototipo dell'Debris Collector System per ricaricare le proprie munizioni. La sua disattivazione è avvenuta dopo quattro mesi di attività, così che la serie "Fortezza Mobile" potesse continuare a essere sviluppata.



    Ecco che ricominciavano: ormai aveva perso il conto di quante volte quei dati gli fossero stati forniti a forza, di quante volte le immagini stilizzate di tutti i predecessori di Siegfried gli fossero passate davanti agli occhi. Nessuna delle due personalità dell'automa era certa di cosa stesse accadendo, soprattutto perché non sembravano esserci guasti nei loro sistemi, le informazioni venivano semplicemente richiamate direttamente dalla sua mente, e quelle che riguardavano la metà elettronica prendevano quella forma. In un certo senso, poteva ritenersi quasi fortunato, perché adesso sarebbe stato il turno della personalità umana.

    Credi davvero alle parole di Alan? Che riusciremo a cambiare l'esercito...?



    Se non avesse fatto altro che sentire le stesse cose per tutto il tempo che aveva passato fuori da quel portone, probabilmente l'uomo sarebbe sussultato per la sorpresa. La voce della sua amica era chiara, come se fosse proprio accanto a lei, e la sua visuale non faceva che aiutare tale illusione: nel buio creato dai suoi occhi chiusi, la figura di Susan gli appariva chiara come il giorno, e non come una semplica immagine. Per un attimo, gli sembrava quasi di poter sentire la fredda aria di quel corridoio dell'accademia, il silenzio opprimente che riempiva le sue orecchie, e la paura di essere colto in flagrante da uno dei suoi istruttori. Era quasi come se quella memoria avesse preso temporaneamente forma intorno a lui, e all'interno della sua mente... come se qualcosa volesse fargli rivivere con prepotenza quel momento.

    ... Voglio diventare il prossimo Gran Generale.



    La voce di Alan venne accompagnata da un brivido, che percorse tutta la schiena dell'automa e gli fece stringere la presa che le mani avevano sul suo volto. Maxwell non era certo se quello fosse uno degli effetti del Castello dell'Oblio, di sicuro non era scritto negli appunti di Ansem, ma questo non cambiava il tormento che gli stava causando. Siegfried sembrava essersi ormai arreso a quelle scene, forse perché non lo riguardavano, forse perché era già abituato a situazioni del genere, oppure stava solo cercando, molto più semplicemente, di rimanere sano di mente, e l'uomo avrebbe volentieri seguito il suo esempio. Non voleva dimenticare, non voleva che quei momenti gli scivolassero dalle dita, il solo pensiero gli faceva pesare almeno il doppio testa e spalle, che si inarcarono ulteriormente verso il terreno, ma non voleva più provare rimorso. Certo, la decisione che poteva avere a parole era una cosa, mentre eradicare la fonte dei suoi timori era un'altra... ma non riusciva a scrollarsi di dosso la netta impressione che qualcosa lo stesse trattenendo. Così come i suoi piedi erano affondati nella neve del monte Apex, in quel momento l'automa sentiva tutto il proprio corpo sprofondare nell'aria stessa, come se lo spazio intorno a lui cercasse di opprimerlo, ricordandogli tutti gli errori che aveva commesso quando non si era preso la briga di ragionare prima di agire.

    Basta...



    Un'oscurità più profonda accompagnò una voce che lo aveva accompagnato per tutta la vita, la sua: il buio e il freddo della cella d'isolamento si fecero strada tra le sue membra meccaniche, fino a raggiungere il generatore e la Roccia Divina al suo interno. Si era sempre lamentato di quanto il suo corpo potesse risultare gelido, ma in quel momento gli sembrava che addirittura la sua anima rischiasse di trasformarsi in un pezzo di ghiaccio. Per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quel supplizio?

    ... Vi prego...



    Aveva pagato i suoi sbagli con sette anni di tortura ancora in atto e il suo tradimento con la morte, ma quanto a lungo sarebbe durato? Quanto avrebbe dovuto attendere prima che riuscisse a essere sincero verso se stesso e gli altri, quando avrebbe smesso di rifugiarsi in quella personalità da "cavaliere"? Se fosse stato meno egoiste e predicatore, forse, sarebbe riuscito a far tornare indietro Aqua... e forse avrebbe potuto impedire a Noel di andarsene.

    ... Fatemi uscire...



    Perché, alla fine, a cosa serviva lui? Non riusciva a combattere con abbastanza decisione, la sua rabbia non era abbastanza intensa da consentirgli di sconfiggere i suoi avversari, e la sua gentilezza era sempre mascherata da una schifosa macchia di egoismo. Siegfried si era sempre sbagliato su di lui, sia quando lo insultava, sia quando lo elogiava: non era un moccioso, forse non si sarebbe dovuto considerare neanche un uomo, perché era praticamente un mezzo essere vivente in tutto cò che faceva. Era schietto perché si rifiutava di pensare, era iracondo perché controllare le sue emozioni era troppo faticoso...

    ... Cosa ho fatto...



    ... Probabilmente non aveva avuto tutti i torti a dubitare di essere un umano o una macchina. Se pensava al comportamento di Siegfried quando quest'ultimo era solo un programma molto basilare, quest'ultimo era decisamente più "emotivo" del suo. Almeno lui aveva un obiettivo, voleva sopravvivere nella speranza di poter eseguire i suoi ordini, per portare avanti l'eredità degli altri UN e dei suoi creatori, mentre Maxwell non aveva fatto altro che danzare al ritmo perverso del suo senso di colpa. Ma, d'altronde, cosa ci si poteva aspettare da un individuo che non faceva altro che desiderare una redenzione impossibile? Tutto ruotava intorno a lui, gli altri non erano che piccole "pietre miliari" su cui lasciare un segno del suo passaggio, testimoni che potessero ricordarlo come l'opposto di ciò che era diventato. Un lupo vestito da pecora, un folle e un assassino travestito da eroe. Eppure, proprio da questo nasceva il suo dilemma: non voleva dimenticare i momenti dolorosi, ma al contempo non voleva che questi gli martoriassero il cuore ogni volta che gli tornavano alla mente. Ma, in questo caso, quale sarebbe stata la soluzione, specie se lui non riusciva a liberarsi dei pesi del passato?

    ... Voglio morire.



    Non appena quella memoria raggiunse la mente dell'automa, tutto sembrò diventare ancora più buio. I giri del generatore diminuirono, gli occhi bicromici posti dietro alle mani dell'automa persero buona parte della loro lucentezza, e il suo corpo si abbandonò in avanti. Avrebbe rischiato di cadere se non fosse stato per la sua posizione seduta, ma se aveva evitato di impattare fisicamente col terreno, qualcosa dentro di lui aveva già toccato il fondo di un abisso. Ogni volta che cercava di rialzarsi, la dura verità lo colpiva dritto alla schiena e lo spediva nuovamente con la faccia a terra, senza neanche dargli il tempo necessario per riprendersi dal colpo precedente. E lui era stanco di dover subire quel circolo vizioso senza alcuna possibilità di reagire, di ricevere solo problemi da ogni sua singola azione. L'altruismo veniva costantemente inquinato dai suoi sentimenti, e anche quando credeva di averne fatta una giusta, alla fine scopriva che non riusciva neanche più a sostenere una discussione decente. Per quanto gli venissero rinfacciati i suoi errori, o per quanto li vedesse anche in altri individui, non riusciva a superare quel muro che aveva costruito con le sue stesse mani. Che senso aveva continuare a vivere circondato da quel genere di illusioni, se non riusciva più ad andare avanti...?

    ... ere...!



    Un rumore estraneo si fece strada nei mormorii creati dal misto dei pensieri dell'automa e quei ricordi così nitidi, come se una voce cercasse di raggiungerlo dai meandri della sua mente. Ma che cosa poteva esserci da raggiungere? L'animo di un codardo, uno spirito che non era mai stato riempito da idee corrette, solo da sogni infantili che si infrangevano a contatto con la realtà.

    Non puoi... lasciarla vincere!



    Per qualche ragione, Maxwell non riuscì neanche a sentire le parole che sembravano venirgli gridate dalla sua stessa anima: tutto ciò che l'automa poté avvertire con chiarezza fu un'ondata di calore, che andò a sostituirsi al gelo che fino a quel momento aveva impregnato le sue membra, e lo fecero sobbalzare con forza. Il cyborg si ritrovò a fissare con gli occhi sgranati le proprie mani, senza emettere alcun suono, anzi, probabilmente gli era impossibile dire qualcosa dopo ciò che aveva provato. Non era sicuro di poterlo descrivere a parole, né di poter fare un paragone comprensibile, ma poteva essere certo che, nei minuti passati, gli era quasi sembrato di essere morto di nuovo.

    -M... Maxwell, tutto bene?-

    La voce della sua metà elettronica fu un piacevole cambio di tono nei suoi pensieri, per quanto breve. Avrebbe voluto tirare un sincero sospiro di sollievo, ma l'uomo non riuscì a fare altro che tremare, ancora in preda al panico. Non sapeva con certezza cosa continuasse a causare quella catena di pensieri, ma quella era almeno la terza volta che gli capitava, e i sintomi non facevano che peggiorare a ogni sessione di ricordi. Se doveva andare avanti così, non osava immaginare cosa sarebbe successo al giro successivo.


    -Sieg... lo hai sentito anche tu...?

    -Temo che il contrario fosse impossibile, purtroppo.-

    -Da quando siamo arrivati qui sta andando tutto a rotoli...

    Solo in quel momento l'automa riuscì a emulare un breve sospiro, più per rassegnazione che per altro, mentre riportava le mani sul proprio volto; sapeva quanto fosse magra quella speranza, ma avrebbe sinceramente preferito che quell'incubo fosse riservato solo a lui. In quei due giorni aveva già causato abbastanza problemi a Siegfried, e non voleva condividere pensieri del genere con la sua metà elettronica. Eppure, per quanto cercasse di incassare le conseguenze di quell'attimo di follia, era stato chiaro sin dal momento in cui avevano posto piede su quella landa desolata che qualcosa gli fosse decisamente antagonista; le allucinazioni erano solo l'ultima delle tristi conseguenze del loro arrivo. Era cominciato tutto da quando Aqua era entrata nel Castello dell'Oblio, e la porta si era chiusa a forza dietro di lei, impedendo l'accesso all'automa e separandoli forzatamente ancora prima che potessero cominciare la loro spedizione all'interno.

    -... Credi che stia succedendo qualcosa lì dentro?-

    Passarono dei lunghi attimi di silenzio prima che Siegfried riuscisse a porre quella domanda alla personalità attiva, soprattutto perché era conscio del peso che questa portava. Se Maxwell avesse dovuto rispondere con sincerità, non sarebbe riuscito a dire nulla: si era dovuto sforzare per sopprimere la sua paura dei fantasmi, soffocandola con la natura magica e quasi senziente di quel luogo, ma non poteva negare che qualcosa puzzava di bruciato. Si ricordava ancora piccoli frammenti della conversazione tra Aqua e Topolino, qualcosa su come la donna fosse in qualche modo legata al castello, come quest'ultimo fosse diventato la residenza di qualcuno capace di resistere ai suoi effetti... e questa informazione non poteva che portare cattive notizie. Purtroppo, più l'uomo ragionava su quei fatti, e più peggiorava i suoi presentimenti, perché per quanto si sforzasse di convincersi che la Maestra dl Keyblade non avesse bisogno di essere "salvata" da uno come lui, qualcosa gli diceva che si sarebbe dovuto sforzare, almeno, di agire come diversivo. Ma la domanda era: sarebbe riuscito a farlo senza rimetterci la pelle? Dopo altri svariati attimi di silenzio oppressivo, purtroppo, la risposta era una sola; l'automa si alzò con un grugnito, e si fece strada verso quel portone maledetto sussurrando una sola frase...


    -... Non so più cosa pensare, ormai.

    Edited by AlexMockushin - 7/1/2015, 22:27
     
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  4. misterious detective
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    80 Munny. Aveva speso molto più del solito, ma si era sentita in dovere di fare almeno ciò; dopotutto, le ultime missioni le avevano portato un lauto introito e persino dopo la guerra imperversata a Radiant Garden, sebbene vi avesse preso parte solo per difendere coloro che avevano bisogno di aiuto, era stata ricompensata, per mano del Comitato, nonostante avesse tentato gentilmente di declinare quella gentilezza eccessiva per una come lei. Shinan aveva viaggiato di mondo in mondo, aveva preso parte ad innumerevoli battaglie, aveva combattuto e si era ferita in nome di un sogno impossibile al quale aveva deciso di dedicare tutta la sua vita e, senza neanche accorgersene, settimane intere erano passate come una folata di vento freddo, insinuatosi tra le sue vesti, fin sotto alla sua pelle, un soffio discreto che graffiando il suo corpo le portò via le energie, il tempo... E anche i pensieri.
    Senza curarsi dell'abito che si impigliava tra i rovi nascosti nell'erba alta, la bambina puntò i piedi. Si morse il labbro decisa, corrugò la fronte e strinse al petto il mazzo di fiori così alto e grande da coprirle quasi la vista. Mosse un passo e poi un altro, con una nuova energia falciò il terreno sotto di lei. Il suo fiato era rapido e affaticato, ma continuò a camminare in mezzo agli alberi, senza curarsi del sentiero che si faceva lentamente più ripido, con i suoi occhi scarlatti fissi solo verso il raggio di luce che intravedeva distante davanti a sé.
    Pian piano la radura cominciò a diradarsi, le spalle della bambina si rilassarono in fretta, compiaciute che finalmente potesse muoversi senza temere di inciampare ad ogni passo. Oltre gli ultimi cespugli, al di là dei colori rinfrescanti delle bacche, dell'odore silvestre dei pini, là dove finiva il letto di pigne che scrocchiavano attorno a lei, già riusciva ad intravedere il blu del cielo, zaffiro infinito che si estendeva fin sotto la linea dell'orizzonte. A quel punto, Shinan titubò.
    La bambina unì i piedi, inspirò profondamente. Nel silenzio più assoluto solo il suo cuore batteva la sua marcia. I suoi rintocchi erano lenti, ma il rimbombo risuonava in tutta la sua testa ed ogni volta il suo stomaco si contorceva, come se una nuova scossa di terremoto lo ribaltasse ogni secondo. Si umettò veloce le labbra, ma le sembravano ugualmente fredde; solo dopo essersi fermata si rese conto di essere un poco sudata e le gocce lungo la sua schiena erano aghi di ghiaccio che la rendevano ancora più tesa.
    No, pensò fra sé e sé, tesa non era il termine più giusto. Non aveva motivo di sentirsi preoccupata o timorosa, non nel ripetere quell'insieme di piccoli gesti che ormai erano diventati parte della sua routine, non per niente era riuscita a navigare tra la vegetazione e raggiungere la meta senza nemmeno prestare attenzione al sentiero. Quello che provava era diverso e solo quando fu lì, ferma a pochi metri dalla meta con l'enorme composizione di fiori stretta goffamente al petto, capì davvero di cosa si trattasse: provava imbarazzo, vergogna e forse in fondo al suo spirito una punta di inadeguatezza. Era per quell'unica ragione che aveva speso tanti Munny, era per quell'unica ragione che aveva corso senza fermarsi una volta a riprendere fiato; e forse, si disse, avrebbe preferito non capirlo.
    Rimase immobile dimenticandosi di respirare. Attese per un po', senza che nemmeno lei sapesse cosa sperava accadesse. Ad ogni secondo che passava si faceva sempre più evidente la consapevolezza che nessuno sprizzo di coraggio sarebbe nato dentro di lei da un momento all'altro e, anzi, aspettare significava solo lasciar spazio ai dubbi, al senso di colpa, alle paure che albergavano in lei. Non si preparò, non aspettò d'aver inspirato un'ultima volta o di essere pronta, semplicemente portò un piede avanti, poi anche il secondo, e quando la luce del sole la accolse ella chiuse gli occhi accecata ed avanzò.
    Per un momento, i suoi timori svanirono. L'odore salmastro le cullò le narici, il vento trasportava il cinguettio di uccelli che volavano lontani, il cielo ed il mare la accolsero come due vecchi amici, con un enorme e brillante sorriso di zaffiro. I suoi piedi si mossero leggeri sul manto di erba chiara, il dolce letto verde attutiva ogni suono, come se la natura stessa non desiderasse che la presenza di Shinan incrinasse quella fragile armonia. Gli alberi si erano diradati e tutto ciò che era rimasto era un piccolo promontorio che si gettava in giù, appena qualche metro, verso un mare che agli occhi piccoli della bambina pareva infinito. Era un piccolo angolo di roccia, la costa sabbiosa proseguiva prima e dopo di esso, come se nemmeno esistesse e non valeva nemmeno la pena di faticare tanto per raggiungerlo quando sarebbe bastato camminare un po' lungo il bagnasciuga per trovare luoghi dalla vista altrettanto bella, ma molto più comodi. Shinan stessa la pensava in quel modo e proprio per tale motivo aveva scelto quel luogo tra tutti. Era un posto tranquillo, lontano dal mondo intero; solo lì l'Erica riusciva ad apprezzare la solitudine. Solo lì, ammirando le quattro croci rudimentali che aveva costruito in un'intera giornata di lavoro passata tra le lacrime, riusciva a sorridere di fronte al suo passato.
    Il suo viso affannato si distese un poco, gli angoli delle sue labbra si alzarono appena, deboli e malinconici. -Ciao... Ragazzi...-


    I suoi passi furono lenti ed incerti, ancorati a terra dai dubbi, eppure non si fermarono mai finché ella non fu davanti a quelle tombe rudimentali, con un sorriso mesto sul volto mentre sospirando accoglieva dentro di sé l'immagine di ognuna delle quattro croci, simboli di altrettante persone che avevano significato tutto per lei, che erano state la sua vita ed il suo mondo.
    Era buffo, quasi paradossale; un pensiero sopraggiunse nella sua mente, una riflessione che aveva compiuto tante, innumerevoli volte e, senza eccezione, era riuscita sempre a portare una lacrima all'angolo del suoi occhi. Per la prima volta, tuttavia, Shinan riuscì a sorridere, triste, e alzando gli occhi al cielo cercò il sole enorme che brillava nel più completo silenzio, chiedendosi se tutto non fosse uno scherzo di cattivo gusto orchestrato da qualcuno là sopra. Chihuai, Sanzha, tutti quanti avevano fatto tantissimo con lei, avevano allungato una mano per trascinarla fuori dall'abisso di solitudine e dolore nel quale stava soffocando senza nemmeno un gemito. Le avevano dato un nome, una casa, un obiettivo, erano stati amici e famiglia, erano stati tutto ciò che aveva e tutto quel che desiderava, un sogno durato solamente un istante. Eppure, nonostante le meraviglie di cui erano stati capaci, nessuno si sarebbe ricordato di loro, nessuno avrebbe mai anche solo notato la loro scomparsa. Non c'era gente che avrebbe sofferto, nessuno a cui poter dare in lascito i loro sogni. Non avevano lasciato traccia della loro esistenza e per questo non c'era un luogo in cui fosse loro concesso di riposare in pace; in realtà non c'era nemmeno una salma da compiangere, quella era svanita davanti agli occhi di Shinan ormai tanto tempo prima. Il dovere di ricordare, di portare il lutto, di ereditare le loro volontà, ogni cosa era gravato sulle spalle della Nesciens per sua stessa scelta, perché era l'unico modo che conosceva per far sì che quei brevi anni non svanissero come se non fossero mai esistiti. Poco importava che facesse male o che fosse difficile, la bambina non voleva dimenticare chi le aveva donato una vita, chi per la prima volta l'aveva resa felice. Aveva sigillato quelle volontà al sicuro dentro di lei, convinta che fossero voti indissolubili ai quali non sarebbe mai venuta meno ed ancora essi attendevano laggiù dentro di lei. Per quel motivo era ancora più difficile sopportare di vedere le tombe ridotte com'erano.
    Shinan si inginocchiò di fronte alla prima croce, prese un istante per sistemare la sua gonna ed appoggiò sul manto morbido il suo bouquet di fiori. Sospirò, si morse il labbro superiore e abbassò lo sguardo verso le sue stesse mani; strinse le dita attorno alle pieghe della stoffa, agguantò le sue cosce sotto di essa senza riuscire davvero a farsi male, e pian piano ammorbidì di nuovo la presa. Passò forse un minuto prima che, sospirando un'ultima volta, Shinan si allungasse in avanti, e prendesse il vaso nel quale riposavano i fiori portati nella sua ultima visita.
    La bambina portò le piante al petto, rigirò il contenitore tra le dita con fare afflitto, costretta ad affrontare un grave fallimento: i fiori erano appassiti, i loro gambi erano sottili fibre scure, qualche petalo marrone era ancora sparso tutto attorno, nonostante il vento avesse già provveduto a sbarazzarsi della maggior parte, e non restavano che gli scheletri delle meravigliose composizioni che Shinan aveva dedicato ad ognuno di loro.
    Come polvere, le piante ormai morte si sbriciolarono tra le sue dita. Veloce, la bambina le portò tutte nel suo palmo e le sfilò via, abbandonandole a terra con delicatezza: accumulò i resti tutti assieme, senza che sapesse nemmeno lei cosa ne avrebbe fatto. Solo quando il vaso di fronte a lei fu completamente vuoto un sorriso sottile tinse di una nuova luce il suo volto; si chinò sul grande mazzo che aveva adagiato a terra, scrutò con occhio attento i colori vivaci che si inseguivano al suo interno e con dita gentili e sicure sfilò ciò che le sembrava più bello.
    Achillee pure come neve punteggiate da caldi gelsomini, coreopsis brillanti come il sole circondati da un velo di orchidee, tulipani potenti addolciti dall'abbraccio dei gelsomini, uno sposalizio tra orchidee e rose. Passarono molti minuti rapidi come istanti fugaci e Shinan si poté rialzare in piedi, scrollando l'erba ed il terriccio che sporcavano le sue ginocchia. La bambina si fece un poco indietro ed ammirò il suo operato. Erano bellissime, più di quanto lo fossero mai state prima.
    -Ecco, così va meglio.- disse semplicemente, senza essere sicura nemmeno lei di cosa volesse dire con quelle parole. Rimase in silenzio di fronte ai baluardi del suo passato. Le onde scrosciavano poco distanti, ma sembrava un mondo completamente diverso, troppo lontano per poterla raggiungere. Il presente si dissolse, come polvere fu spinto via da un soffio della bambina, che si portò di nuovo a terra, con le gambe incrociate e le mani intrecciate sopra di esse, e cominciò a parlare.
    -Era tanto che non passavo a trovarvi, vero?- esordì imbarazzata, con una nota di malinconia nella sua voce che non riuscì a nascondere a se stessa. -È che sono successe così tante cose...-
    Chiuse gli occhi e sospirò. Il suo cuore batteva rilassato, il sangue fluiva caldo dentro di lei ed il solo ricordo di quei giorni bastava a generare dentro di lei un sentimento nuovo, ardente, ed una gioia che si sentiva quasi colpevole di provare.
    -C'è stata una guerra a Radiant Garden, lo sapete? È stato terribile, ho visto tanta gente morire.- Il suo sguardo si alzò al cielo, ma in realtà vedeva solamente i volti contratti nel dolore di tante persone per le quali non aveva potuto fare nulla. -Però...- riprese, cercando parole mentre parlava. -Mi sento quasi in colpa a pensare qualcosa del genere e non vorrei che fraintendesse, ma... Ho trovato qualcosa, in quella guerra. Ho salvato tante persone, sono stata impegnata ad aiutare nella ricostruzione della città e... Mi sono fatta dei nuovi amici.-
    I volti di Ingwe, di Vanessa, persino Noel, per un momento lì sentì tutti vicino a sé, come se fossero proprio alle sue spalle, come se le loro mani stessero cingendo le sue spalle per darle forza.
    Shinan annuì una volta, dischiuse le mani e portò la destra al collo, la affondò nel suo vestito e poi la portò di nuovo fuori. Stretta nel suo pugno c'era un pendente d'argento raffigurante un giglio. -Poi ho incontrato di nuovo Evelyne, vi avevo parlato di lei! Le ho potuto raccontare tutto quanto, le ho mostrato quanto sono cresciuta. E mi ha anche... Mi ha anche detto che mi vuole bene.-
    Si fermò, lasciò andare il gioiello, che cadde morbido al suo petto, e strinse gli occhi una volta, persa nei suoi pensieri. Erano passate appena due settimane, nient'altro che un mero istante di fronte ai mesi trascorsi chiusa in una stanza, accompagnata in ogni minuto da un dolore che minacciava di spezzarla, di distruggerla dall'interno, di divorarla come una tenia finché di lei non fosse rimasto che un guscio vuoto, destinato solo a ritornare al luogo da cui proveniva. Quando aveva visto i suoi amici perire, uno dopo l'altro, quando senza dire una parola aveva potuto solo fuggire, Shinan si era sentita senza fiato, morta come i suoi compagni. Allora non credeva sarebbe mai riuscita a rialzarsi in piedi, a raccogliere quei pochi cocci non dispersi della sua vita e costruire qualcosa di nuovo. Eppure, all'improvviso, era tutto cambiato e non credeva affatto che il merito fosse suo.
    -È passato tantissimo tempo, immagino vi avrò fatto preoccupare molto, ma... Ora sto bene, sto di nuovo bene. Ho tanti amici che sono sempre con me, finalmente riesco ad essere utile al prossimo, riesco ad essere come voi. Io sono... Felice.-
    Smise di parlare con un sorriso. Una per una, passò lo sguardo su tutte le croci. Deglutì e si strofinò gli occhi, tentando di nascondere goffamente una lacrima che si era affacciata al mondo. Li poteva vedere, lì accanto a lei, la bambina sapeva in qualche modo che i suoi amici erano lì accanto a lei ed i loro visi erano altrettanto sorridenti, soddisfatti e amorevoli. Poteva vederli, doveva solo sforzarsi un po', doveva solo...
    Un'altra lacrima, poi un'altra. Si coprì il volto con il braccio, premette la manica contro di sé, rimase immobile così e respirò sepolta nel vestito. Lentamente, riportò l'arto tremante al suo grembo. I suoi occhi titubanti si persero nel terreno mentre ella cominciava a boccheggiare silenziosa in cerca di parole. -Io ho deciso di combattere le ombre, proprio come facevate voi: voglio aiutare la gente, voglio proteggere gli altri, voglio rendermi utile; perché io amo la gente, io amo questa realtà in cui vi ho potuti incontrare, in cui ho trovato così tanti amici che mi vogliono bene, però... Però...-
    Provò a parlare, provò ad aprire ancora la bocca. Le sue labbra però sembravano congelate, la gola le bruciava e tutto il suo corpo tremava, come schiavo di un improvviso gelo.
    -Io... Io ho un po' paura.- ammise. Affondò il capo nelle spalle, i suoi capelli dorati la coprirono, come fronde di un salice, le croci e i suoi compagni che vedeva accanto ad esse scomparirono, scomparì ogni cosa dai suoi occhi. -Voglio ancora raggiungere Kingdom Hearts, voglio ancora trovare il modo di salvarvi, però...- sospirò, scuotendo il capo a destra e a sinistra. -Però più passa il tempo, più mi sembra che io stia perdendo di vista questo obiettivo. A volte... A volte mi sembra persino di dimenticare il vostro volto.-
    Le rispose solo il silenzio. Non c'era nessuno che potesse ammonirla, che potesse consolarla, che potesse anche solo capire quelle parole. Il vento che soffiava dolcemente era quanto le fosse concesso e, nel suo silenzio, sembrava la più dura delle punizioni.
    -Io... Non so se voglio essere felice se questo significa dimenticarvi. Non voglio sostituirvi, non voglio dover fingere che quegli anni, quei bellissimi anni, siano stati solo un sogno.-
    O forse, si domandò senza riuscire davvero a dirlo, forse era quello che stava vivendo in quel momento un sogno. Forse sarebbe tutto finito presto, forse Ingwe, Vanessa, Xisil, Noel, forse si sarebbero tutti dimenticati di lei, forse sarebbe tornata presto da sola, senza distrazioni, e avrebbe potuto di nuovo dedicarsi a ciò che era più importante per lei.
    -No...- mormorò tra le labbra. Scosse la testa e gridò: -Non è nemmeno questo che voglio!-
    Respirò, respirò affannata. Ogni volta che entrava altra aria, il suo cuore si rilassava, la sua folle danza diventava un calmo ritmo che scandiva un tempo apparentemente eterno. Si sentiva come se fosse tornata all'inizio del sentiero, come se tutti i passi avanti che aveva compiuto l'avessero condotta solo in un circolo vizioso senza soluzione, nel quale sarebbe stata costretta a girare in eterno, fino a dimenticarsi persino perché lo facesse.
    -Io... Forse io sono troppo piccola, ma queste cose non riesco a capirle...- ammise, passandosi imbarazzata le dita tra i capelli. -Secondo voi... È sbagliato che io desideri entrambe le cose? Sono egoista a voler essere felice... Del tutto felice?-
    Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere una risposta, ma sebbene fosse certa che, in qualche modo, i suoi compagni la stessero ascoltando, era altrettanto sicura che non fossero più in grado di darle una risposta. Probabilmente nessuno poteva.
    -Dopo tutte le disgrazie che hai sopportato, è incredibile che tu conservi ancora un'innocenza simile, bambina mia.-
    Gli occhi scarlatti della giovane si spalancarono increduli. Il suo corpo, il suo cuore e il mondo attorno a lei, ogni cosa si congelò. Qualcosa dentro di lei comprese prima che il cervello potesse realizzare. Non ci fu paura in lei, mentre con uno scatto rapidissimo si voltava: si spinse con le mani, rotolò sulle ginocchia e balzò in piedi a bocca aperta ed il viso sorridente ancor prima di capire lei stessa il motivo. Aveva riconosciuto la voce che le si era rivolta, le parole gentili che le erano state rivolte così tante volte ancora fluttuavano nella sua memoria, vecchi fiori nella sua memoria che aveva nutrito e compianto troppe volte. Non aveva bisogno di sapere la ragione, non aveva bisogno di porsi alcuna domanda. Sapeva solo che era stato Chiuhai a parlare, non poteva essere un errore. Lui era di nuovo lì, davanti a lei.
    Shinan lo guardò in volto e gridò. La sua voce acuta esplose disperata, forse per paura o forse per dolore. Mosse un passo indietro, scosse la testa tremante.
    -No... Cosa significa?!- Indietreggiò ancora, alzò le mani davanti al suo corpo per difendersi, per scacciare quella visione raccapricciante. Di fronte a lei vi erano quattro persone, tre uomini ed una donna, tutti così familiari da farle male al cuore. Gli abiti, i corpi, ogni dettaglio era lo stesso di allora, i suoi amici erano di nuovo di fronte a lei, reali, non più una mera illusione o un'ombra di ciò che furono. Ma quegli stessi ragazzi, quelle figure in piedi di fronte a lei erano strani, erano spaventosi. Quelle persone non avevano un volto.
    -Cosa sta succedendo? Chi siete voi?!- gridava più forte che poteva. Agitava le mani per scacciarli via, sbraitava tanto per superare con la sua voce i sussurri della sua mente; essa infatti le parlava maligna, le faceva notare ciò che non voleva accettare, che la Nesciens riusciva a stento a ricordare ciò che mancava da quei volti vuoti e piatti.
    -Perché hai paura di noi? Questo è soltanto il frutto delle tue scelte, tu hai deciso di sacrificare una fantasia irrealizzabile per la tua gioia personale, chi potrebbe biasimarti per questo?-
    -No, basta! Vi prego!- gridò ancora, mentre i suoi piedi la spingevano lontana, lontana da quelle figure uscite dai suoi incubi. La sua gamba urtò il bastone intagliato di una croce, cadde all'indietro con un grido. La piccola strinse gli occhi, serrò i denti per sopportare il dolore e continuò a scappare, spingendosi via con le mani.
    -Anche impegnandoti, non avresti mai potuto salvare quattro vite che se ne erano già andate. Rinunciando a loro, però, sei riuscita a proteggere tantissima gente, non ricordi?-
    Shinan continuò a gridare, ormai non le importava più comporre parole dal senso compiuto. Eppure, come se fossero state sempre lì, quando la piccola aprì gli occhi di nuovo davanti a lei scoprì uno spettacolo diverso. Accanto ai loro compagni c'erano altre persone: riconobbe Alicia, la bambina che aveva salvato nel tunnel a Radiant Garden, vide la principessa Chen che le sorrideva, trovò mille altri che aveva aiutato pretendendo come compenso solo la loro felicità. I loro sorrisi erano caldi, sinceri e lei non poteva rifiutarli.
    -Perché...- mormorò confusa. Portò la mano al petto, cercò di nuovo il pendente che Evelyne le aveva regalato. Lo strinse come fosse un'ancora di salvezza, come fosse l'unica arma che restava al suo spirito affinché non si spezzasse. -Perché vedo tutto questo? Chi c'è dietro queste illusioni?-
    Un verso soddisfatto si innalzò all'unisono da decine e decine di bocche diverse. Ognuno di loro strinse gli occhi allo stesso modo, portò una mano a coprirsi la bocca e cominciò a ridere. Una risata limpida, addirittura cristallina, che risuonò dalle bocche di ogni persona come il tintinnio di mille campanellini di cristallo. Un suono gelido e tagliente, letale come una pioggia di aghi. Presto la schiera si spezzò in due e tra gli astanti, con un sorriso indecifrabile a metà tra l'accomodante e il sadico, apparve una ragazza dai lungi capelli dorati e profondi occhi di smeraldo, specchi indistruttibili che riflettevano lo sguardo della bambina, senza permettere a nulla di scrutare quanto si nascondeva al di là di essi.
    -No... Noel?- mormorò Shinan. Lentamente si portò in piedi, guardinga e spaventata. Deglutì una volta, inspirò dalla bocca e sigillò le labbra, ma percepiva comunque tutto il suo corpo tremare, senza sapere se il suo ampio abito fosse sufficiente a nasconderlo. Confrontò con il suo sguardo quello della donna ancora una volta, qualcosa dentro di lei scattò. -No, non Noel. Tu sei... Sei la Volontà, non è vero?-
    Non aveva prove, non aveva ragioni. Aveva solo un senso di timore, di oppressione, un'aura malvagia premeva contro di lei come se volesse schiacciarla e soffocarla, un qualcosa che, se fosse stata la prima volta, avrebbe confuso con una semplice impressione. Tuttavia, Shinan aveva già incontrato quella donna una volta e certe cose non erano semplici da dimenticare.
    -Non mi sorprende la tua perspicacia, bambina mia. Lo avevo intuito quando ci siamo incontrate la prima volta: provi molta empatia verso gli altri, riesci a comprenderli ben più della gente comune, ma al contempo non riesci nemmeno a fare ordine tra i tuoi stessi pensieri.- la Volontà unì le mani in un singolo applauso e, compiaciuta, si mosse in avanti. Shinan divaricò appena le gambe per fissarsi salda sul terreno, ignara di cosa sarebbe mai potuto accadere.
    -Perché? Perché mi hai mostrato tutto questo?!- la piccola strinse gli occhi e aggrottò la fronte, la sua vista fu presto appannata dalle lacrime che si accumularono dentro di essi, ma che lei si rifiutava di lasciar andare. -Cosa diavolo vuoi da me?!-
    Lo vide. Fu solo un istante, ma la Volontà mostrò i denti in un macabro sorriso, predatrice pronta ad agguantare la preda.
    La ragazza fece solo un semplice gesto, allungò il braccio verso la bambina e aprì il palmo, come in un invito. -Volevo solo indicarti il sentiero e fare in modo che abbandonassi ogni altra distrazione.-
    -Distrazione? Secondo te il mio passato, la mia vita sono solo distrazioni?!- strinse i pugni e batté il piede a terra. La sua voce potente e acuta fece tremare le illusioni che circondavano le due.
    -Sto solo dicendo che devi accettare il tuo destino e compiere il tuo dovere fino in fondo. Noel sta soffrendo, non vorresti forse salvarla?-
    Qualcosa si mosse nella mente della giovane. Shinan udì quelle parole. Smise di gridare, lasciò che le mani si rilassassero, tornò a guardare l'interlocutrice con occhi spalancati e confusione nell'animo. -Cosa... Cosa vuoi dire?-
    Ancora una volta, la Volontà fece un gesto invitante con la mano aperta, rivolta alla giovane. -Noel sta soffrendo, sta sopportando più dolore di quanto qualsiasi persona potrebbe mai farsi carico e potrebbe crollare in qualsiasi momento. Vieni con me e vedrai tutto con i tuoi stessi occhi.-
    Shinan deglutì. I suoi occhi caddero su quel palmo ceruleo, che sembrava chiamarla con una voce tutta sua. Quelle dita sottili e deboli... Anche se colei che le parlava era un'altra, quello era senza dubbio il corpo di Noel, quel corpo che aveva già visto una volta scosso da convulsioni e macchiato da segni maledetti. Se la donna diceva il vero, allora quella ragazza, che pur avendo conosciuto per un solo pomeriggio voleva comunque considerare sua amica, era caduta vittima di una trappola ancora peggiore, qualcosa che non poteva resistere da sola. La sola idea che ciò potesse essere vero era raccapricciante.
    -Come... Come faccio a fidarmi di te?- rispose l'Erica con voce sommessa, affondando la testa nelle spalle e aggrappandosi al proprio ciondolo. -Come faccio a sapere che non stai mentendo.-
    L'espressione della Volontà si incupì, si fece più seria, quasi tinta di una nuova emozione, simile alla gentilezza. Shinan non riusciva a credere a quanto vedeva, ma se ne sentì subito attratta, troppo attratta.
    -Forse è vero che i Nesciens non hanno un proprio cuore a cui porre certe domande...- ammise, senza tentennare nemmeno per un istante nelle sue parole. -Ma guarda comunque dentro di te, interroga il tuo istinto. Quale credi che sia la verità? Quale pensi che sia il tuo dovere?-
    Shinan non rispose. Rimase immobile, lo sguardo perso rivolto ancora alla donna, ma che non guardava più lei, così concentrata su se stessa da dimenticarsi anche di respirare. Non servì cercare a fondo, perché fin da quando aveva messo in dubbio le parole della donna, fin da allora aveva capito che stava solo tentando di negare la realtà, una realtà troppo scomoda e troppo dolorosa per poterla accettare senza dire nulla. Una realtà in cui una sua amica soffriva, probabilmente più di quanto la bambina potesse immaginare; e questo era qualcosa che ella non poteva proprio accettare.
    Con passo titubante, Shinan si fece avanti. Lentamente alzò il braccio, la sua mano tremante si avvicinò all'altra. Sfiorò il palmo candido della Volontà, le sue dita solleticarono la sua pelle. Strinse la mano ed una morsa di gelo parve assalirla, proveniente da quel corpo freddo come un cadavere. Fu solo un istante, ma Shinan alzò gli occhi verso la Volontà e trasalì. Fu solo un istante, ma Shinan vide due occhi scarlatti, ed un ghigno distorto. Poi il mondo attorno a lei svanì ed ogni cosa fu inghiottita dall'Oscurità.

    Shinan gridava. La sua voce era sguaiata, strozzata, un verso rauco che proveniva dalle sue viscere. Lei non lo udiva, non riusciva a percepire nulla oltre al dolore. Gli occhi avevano smesso di vedere, le orecchie fischiavano, la testa le andava in fiamme. L'Oscurità attorno a lei era svanita, la sua coscienza di sé era frammentata, una forza a lei sconosciuta l'aveva presa, gettata a terra, frantumata in mille pezzi e poi pestata ancora e ancora, fino a lasciarne solo polvere. Rimaneva solo quel dolore, l'unica connessione rimasta con il mondo, l'unica cosa esistente per lei.
    La gola le bruciava, il petto le bruciava, gli occhi, le viscere, le fiamme stavano consumando il suo corpo. La pelle si squamava, si scioglieva, cadeva a pezzi come se fosse lebbrosa, i muscoli si rattrappivano e consumavano, ma il calore penetrava ancora più a fondo: raggiungeva le ossa, con milioni di aghi penetrava le sue ossa, perforava il midollo e freddo come il ghiaccio raschiava ogni cosa, scuotendola con brividi più forti di una scossa elettrica.
    La bambina non riusciva a respirare, non ne trovava il tempo tra le urla straziate. La sofferenza la divorava, era una bestia nata dentro di lei, alimentata dal suo stesso corpo. Come un feto premeva dall'interno, ma come un mostro spingeva violento: divorava i suoi visceri, piegava le sue ossa, martoriava tutto ciò che trovava come se fosse un gioco. Le strappò le corde vocali, la ragazza spalancò la bocca e uscì solo aria, aria che le grattò la gola come un fil di ferro.
    Tossì, sputò, vomitò sangue. Sangue scuro, grumoso, che si riversò su di lei come acido. La soffocava e come catrame la insozzava, aggrappandosi al suo corpo e stritolandola.
    Altro dolore, altro ancora. Mille e più sensazioni si aggiungevano, ma la donna già da tempo non era più capace di sopportarlo. Quel mondo inesistente si stava chiudendo su di lei, sempre più piccolo, sempre più piccolo, ormai lei era troppo grande. Pareti invisibili la schiacciarono, la accartocciarono come fosse un semplice foglio di carta. Tutte le vene nel suo corpo esplosero sotto la pressione disumana, le ossa si incrinarono e spezzandosi perforarono i suoi organi, ogni suo muscolo si deformò orribilmente.
    La sua mente gridava, perché era l'unica cosa ancora integra. Forse per caso, forse per volontà di chi le stava infliggendo quel tormento, ancora Noel riusciva a capire. Non ricordava più nulla, il dolore si era sparso come una macchia d'olio nei suoi ricordi e aveva oscurato ogni cosa. La donna riusciva solo a ricordare il proprio nome, Noel, e che quel supplizio, quella tortura senza fine, la conosceva già: qualcosa nel suo corpo, nella sua testa, nella coscienza o in una qualsiasi fottuta parte di lei lo conosceva, lo viveva come il ritorno di un'esperienza passata, le suggeriva ciò che doveva ancora venire e quanto male le avrebbe fatto. Quei ricordi confusi e frammentati si mischiarono al dolore presente, in una sinfonia più possente si riversarono su di lei, dandole un colpo ulteriore, che si perse tra tutti gli altri.
    “Fateli smettere” pregò “fateli smettere”. Non sapeva se qualcuno avrebbe potuto ascoltare la sua muta supplica, ma doveva provare comunque, era l'ultima speranza a cui poteva aggrapparsi. “Fateli smettere, o almeno uccidetemi”. Non le importava della vita, non le importava di nulla. Sapeva solo che la pazzia era un serpente che penetrava dalla sua bocca urlante e risaliva fin nel suo cervello, dove non poteva vedere. Sapeva che era vicina, sapeva che non sarebbe stata reversibile.
    La schiena di Noel si contorse all'indietro, innaturale, in un ultimo spasmo fuori controllo. Vestita del suo stesso sangue, delle lacrime, della saliva, la donna gridò ancora, ed accolse il nuovo dolore con una risata sguaiata, disperata e sincera.

    Ella spalancò gli occhi. Prima ancora di capire di essere cosciente, prima ancora di realizzare che il mondo attorno a lei era comparso di nuovo, prima di ogni altra cosa fu assalita dal desiderio di respirare. Spalancò la bocca, gettò le mani a terra, in ginocchio, gli occhi iniettati di sangue non fissavano niente, il suo petto si espanse più del normale, il rantolo della donna fu acuto e deforme, come un guaito ferino. Aprì braccia e gambe quasi solo per istinto, nemmeno tentò di alzare lo sguardo. Tremava, tremava da capo a piedi; le convulsioni scuotevano ogni suo muscolo, i comandi del suo cervello giungevano frammentati e imprecisi, come se i suoi ordini fossero sopraffatti da mille altre urla incontrollate che dettavano comandi contraddittori. I capelli dorati caddero di fronte a lei, diventando un velo che nascondeva i suoi lineamenti contorti e il terrore nelle sue pupille.
    Non sentiva più nulla, non c'era più dolore. Questo la terrorizzava, questo la terrorizzava. Presto, presto sarebbe cominciato di nuovo. La sua testa si mosse folle, scattò a sinistra poi a destra: non sapeva cosa cercare, nessuna immagine si impresse nella sua retina, ma sapeva, sapeva per certo che qualcosa stava per arrivare di nuovo. Forse sarebbe arsa di nuovo viva, forse l'oscurità avrebbe divorato le sue carni, forse il nulla l'avrebbe affogata. Non lo sapeva, non voleva saperlo, ma era questione di attimi.
    Però nulla, non succedeva nulla. Il suo fiato non si calmava, il cuore pompava sangue tanto da farle male, le doleva tanto da scoppiare; però non accadeva nulla, non c'era più altra sofferenza. Non capiva perché, l'unica certezza che aveva era scomparsa, ed i suoi nervi continuavano a gridare come pazzi per questo.
    -Shinan!-
    Un grido. Udì un grido. Questa volta, però, non era suo, non le apparteneva quella voce. C'era qualcun altro, lì, dovunque fosse non era da sola. Tentò di voltarsi, di scattare in piedi; le sue gambe cedettero, cadde a terra, le mani strisciarono contro il terreno e la pelle si arrossò, procurandole un piccolo dolore che accettò quasi con gioia. Un uomo le corse incontro, fu sopra di lei prima ancora che ella potesse osservarlo chiaramente. Le cinse le spalle, il suo cuore mancò un battito.
    -Shinan! Che cos'hai? Stai bene?-
    Ella lo fissò confusa. Il suo respiro era affannato, spaventato. Le sue braccia tremavano, lì dove lo sconosciuto l'aveva toccata, le labbra si muovevano insicure, non usciva nemmeno una parola.
    L'espressione dell'uomo era sconvolta, quasi quanto la sua. I suoi occhi smeraldini erano increduli, batteva le palpebre velocemente come nella speranza che l'immagine di fronte a lui potesse mutare in quel modo. L'istinto in lei ebbe la meglio, la donna provò a mettere insieme le sue parole.
    -Io... Shinan?- si bloccò subito, i suoi pensieri furono lavati via con un colpo di spugna e una nuova confusione la vinse. -Shinan... No, no io... Io sono... Noel?-
    Abbassò lo sguardo verso se stessa, verso il corpo che credeva di conoscere: trovò un ampio vestito, tinto di rosso e di nero, trovò un corpo di bambina che non le apparteneva.
    -Io... Io...- non riuscì a parlare, la testa le faceva male. Portò una mano alla fronte, si strinse i capelli e cercò di esorcizzare quel dolore, quella confusione.
    -Io... Io mi chiamo Noel. No... Will? No, io sono... Io sono...-
    Non lo sapeva, non lo ricordava. Il suo passato, il suo nome, ciò che le piaceva e ciò che odiava, non ricordava nulla. Solo il dolore, quell'infinito mare scuro di dolore nel quale aveva naufragato era tutto ciò che aveva, tutto ciò che poteva dire le appartenesse; eppure persino quello, persino quell'esperienza per un istante le apparve come una bugia. Quel dolore, il dolore di Noel...
    -Sì, è vero...- mormorò tra sé e sé, dimenticandosi di essere stretta tra le braccia di qualcuno. -Shinan... Shinan...- lo ripeté, ancora e ancora, come un mantra capace di tranquillizzarla. -Quello... È il mio nome? Io sono...- portò una mano al petto, salì verso il suo collo, per aiutarsi a respirare. Trovò qualcosa di freddo e duro, un pendaglio. Ne tastò la forma coi polpastrelli, studiò la sua fattura. Non riusciva a capire cosa fosse, ma lo conosceva, le sussurrava qualcosa. -Shinan, la Nesciens... Solitudine... Sì, io mi chiamo...-
    Subito credette di ricordare. Tuttavia, capì presto che non si trattava di un ricordo. No, non era la sua mente a conoscere quel nome. Era il suo cuore, o qualsiasi altra cosa pulsasse nel suo petto, qualcosa dentro di lei che non aveva dimenticato, qualcosa che riconosceva quel suono. Lei era Shinan, non c'era alcun dubbio. Noel invece... Un volto, vedeva un volto nella sua mente, dai lineamenti ancora oscurati e confusi. E quel dolore, tutto ciò che aveva provato, ora lo comprendeva meglio, in qualche modo sapeva a chi apparteneva veramente, alla ragazza che, per un istante breve quanto un sogno, aveva creduto di essere. Il perché di quell'esperienza, tuttavia, non era in grado di comprenderlo.
    -Però... Tu... Tu chi sei?- le parole uscirono quasi come un sussurro, le sue iridi confuse si fermarono di nuovo sul giovane che l'aveva aiutata, la cui stretta era quasi naturale, ormai. Alla ricerca di aria e di spazio, però, chiese uno sforzo alle game, si appoggiò a lui come appiglio e si portò in piedi. Osservò ciò che le stava attorno: un lungo sentiero, una strana di sabbia bianca che sembrava affondare, lontano, nella più totale Oscurità. Non c'era un inizio, oppure una fine, Shinan non riusciva a cogliere la differenza, e in quello spazio infinito nel quale avrebbe potuto abbandonarsi a riposare, libera, solo una cosa colse l'attenzione della giovane: alle sue spalle, ella scoprì un enorme edificio. Un castello, o almeno tale le sembrava: era altissimo, pieno di torri acuminate, puntavano verso il cielo buio in cui vorticavano le nubi, o a volte si ribaltavano verso il terreno e altre ancora giacevano distese orizzontalmente. Non c'era continuità, non c'era un senso. La sua stessa forma sembrava voler gettare in confusione chi vi posasse lo sguardo e il bagliore dorato delle finestre ricordava mille occhi ferini che spiavano fin dentro all'animo della bambina. La Nesciens si sentì timorata, persa di fronte a quell'immensità di cui non sapeva nulla, di cui non ricordava nulla. Perché si trovava lì? Che luogo era? Era possibile che avesse qualche significato che non ricordava?
    Il suo cuore riprese a battere agitato, le sue gote persero il pallore che il dolore aveva donato loro e arrossirono d'improvviso, un brivido salì lungo la sua schiena sudata. Un'altra sensazione, diversa questa volta. Un presentimento, un istinto primordiale, una voce che sembrava venire dal castello stesso, da quei portoni sigillati ai quali sfuggiva solo un sottile raggio di luce malsana.
    -Noel... è là dentro...- mormorò a se stessa, dando voce a ciò che dentro di sé aveva già capito. Là dentro c'era quella donna, c'era una sconosciuta di cui non conosceva nulla, se non la sofferenza che aveva patito. Là dentro c'era qualcuno che aveva bisogno di aiuto. Istintivamente, senza comprenderne davvero la ragione, portò entrambe le mani alla collana che pendeva dal suo collo. Strinse il pendente, lo strinse tra le sue dita chiuse, intrecciate come se stesse pregando. Guardò in alto, tra le torri del palazzo, tra le innumerevoli pareti minacciose. Avrebbe trovato Noel, l'avrebbe salvata senza alcun dubbio. Non sapeva chi fosse il ragazzo che l'aveva aiutata, non sapeva nemmeno chi fosse Noel stessa, ma conosceva ciò che ella stava passando meglio di chiunque altro. Una esperienza del genere era troppo per chiunque, il solo pensiero che qualcuno fosse abbandonato per sempre in quell'incubo le faceva piangere il cuore. Voleva che lei potesse sorridere, voleva che potesse sospirare sollevata quando le nubi sopra di loro si sarebbero diradate e il sole l'avrebbe accarezzata di nuovo. Voleva dare tutta se stessa per portare un po' di felicità in chi, molto più di lei, ne aveva bisogno.
    Sorrise appena, ancora debole dall'enorme sforzo. Per qualche motivo, era felice di quella decisione che aveva preso: era come se fosse stata la scelta più naturale del mondo, come se quella fosse la ragione stessa della sua vita.
    Scosse la testa. “No, non è come” si disse, stringendo i pugni e affilando la sua risolutezza. “Sono certa che questa sia davvero la mia ragione di vita... Che aiutare gli altri sia il mio obiettivo, la cosa più importante per me.”
    Lontano, da qualche parte dove Shinan non poteva sentirlo, un demonio rise di lei.




    Post "provvisorio". Sarà presto aggiornato con l'aggiunta di un basilare abbellimento grafico, aggiunta di colori al parlato e correzione di eventuali refusi.
     
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  5. Vanessa Galatea
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    Tempo.
    Tempo al tempo.
    Ogni secondo che passa è un granello di sabbia nella parte inferiore della clessidra.
    La fresca morbidezza di un cuscino
    Provo ad immaginarmi senza di te...
    Provo a respirare...
    ...ma non posso

    Che sta succedendo? Possibile che se ne siano andati tutti?
    Possibile che sia rimasta solo tu?!

    Mi dici di sì. So che è un inganno. Da te non mi aspetto altro. Distruggi la mia vita una volta... Ed ora vuoi rifarlo. Hai portato il tuo mondo nelle rovine del mio, hai confuso i pezzi del puzzle proprio ora, proprio mentre li stavo riallineando.
    Brami la mia carne... No. Brami le mie labbra. Forse. Sei tu l'artefice di tutto questo. Io lo so, ormai ti conosco. Ti conosco eppure sono caduta nel tranello.
    Sai qual è il mio obbiettivo. Lo sai e mi hai posto d'innanzi quello di cui non posso fare a meno, per farmi cadere nella tua trappola.
    Mi era stato detto che il mio tempo nel Deep Dive era scaduto... Allora perché sei qui?
    Perché SONO qui? Dal mio mondo mi ritrovo in questo luogo confuso e vuoto...
    L'aria è fredda, è sempre più difficile respirare. Non posso andarmene.
    Non voglio andarmene. Lì, proprio lì davanti... Lì c'è Ingwe.
    In quel castello in lontananza; in quel castello che non...
    ...che non riesco a vedere bene. Non capisco.
    Sembra quasi un errore. Qualcosa che non
    dovrebbe essere lì. Un ammasso di torri
    nauseabonde, aggrovigliate fra loro.
    Tengo lo stocco in pugno. So che
    ne avrò bisogno: se c'è lei, c'è
    battaglia... C'è morte...
    E lei mi ha detto che
    Ingwe è lì dentro.
    Devo entrare e
    cercare lei:
    Archaya.
    Mi ha fatto
    visita al risveglio.
    Mi sono svegliata
    in una realtà diversa.
    Una realtà congelata e
    ferma... Mi ha detto che ha
    preso Ingwe e che non l'avrei
    mai potuto rivedere. Quando è
    sparita in un portale, l'ho inseguita.
    Mi sono ritrovata in un mondo diverso.
    Sto camminando verso uno strano castello.
    È una struttura imponente. Lo stocco fa luce.
    I miei passi si fanno più veloci, devo sbrigarmi.
    La passerella di roccia sotto di me pare non finire
    mai, sotto di me c'è solo il nero assoluto e null'altro.
    Sono arrivata davanti alla porta, pochi passi mi separano
    dall'entrata. Una volta dentro, non so cosa succederà... Ma
    se lui è lì dentro, allora sono pronta a tutto quello che potrebbe
    assalirmi. È il momento della verità. La devo affrontare! È ora!

    Solo un ultimo respiro, potrebbe essere l'ultimo...
    E sono pronta ad entrare.






    No, non è vero niente. Vanessa non vi ha liquidati scrivendo questa schifezzuola e dandole una forma strana solo per evitare di far vedere che è corta :v:
    Ma soprattutto, Vanessa non sta fuggendo in Messico ben consapevole del fatto che s'è dimenticata di rispondere fino ad ora e se n'è ricordata solo perché la Marsh l'ha scritto in tag. È solo una vostra impressione :v:
    Ok, un po' di serietà: sono seriamente in preda alla vergogna per questa... roba. Mi spiace, darò di più durante la quest.
     
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    ~Bridges Burned

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    «The bride will lure you,
    Cook you,
    Eat you
    Your dear innocence
    Boiled to feed the evil in need of fear.



    I suoi occhi rossi avevano seguito i nuovi arrivati con un misto di interesse e disprezzo. Così quelli erano i cavalieri che erano riusciti a raggiungerla. Quelle erano le persone che era riuscita a richiamare, su cui aveva poggiato le sue grinfie, spacciando una riunione omicida per una chiamata alle armi contro un nemico comune. Rise. Rise finché il vecchio vicino a lei non la squadrò chiedendole il motivo di tanta ilarità. Rise fino a star male, finché una lunga lacrima non si affacciò all’angolo degli occhi. Quindi loro erano le persone su cui la bionda aveva fatto affidamento fino ad allora? Loro erano le persone che l’avrebbero uccisa? Loro erano le persone a cui la Volontà avrebbe dovuto essere grata? Umiliante. Che vergogna. Era vergognoso e demoralizzante persino per Noel. Si trattava di semplici scarafaggi, di piccoli, microscopici insettini. Formichine, che pensavano di rovinarle la festa invadendo la tovaglia del suo picnic col vecchio.
    Che si adoperassero, che si dessero pure da fare. Il loro destino era già stato scritto, da un pugno che tracciava la sorte di ognuno di loro con l’inchiostro indelebile.

    Il portone si era richiuso alle sue spalle e Aqua aveva mosso qualche passo incerto, senza capire. Quello schiocco secco delle ante non era stato causato da uno spiffero. Aveva tirato verso di sé, forzato nella direzione opposta, ma la soglia sembrava non volerne sapere di aprirsi di nuovo. Né per far entrare qualcuno, né per farlo uscire. Era rimasta senza compagno di disavventure. Si ritrovò a pensare che, forse, fosse meglio così; il Castello dell’Oblio era un luogo molto ostile per gli estranei, non per forza al luogo, ma anche solo al concetto. E malgrado Maxwell le avesse detto che già sapeva quali fossero i rischi e le sue peculiarità, in un certo senso la custode era contenta che fosse rimasto fuori. Aveva notato le potenzialità dell’uomo, aveva percepito anche una certa sicurezza nelle sue parole ma… no. Era meglio così. Non voleva che nessun altro fosse coinvolto nelle sue missioni, negli incarichi che il suo stesso cuore le imponeva. Gettò uno sguardo attorno a sé, guardinga, controllando che non ci fosse nessuno, più per scrupolo che nella speranza di trarre sicurezza dalla solitudine. Le ombre, il male, il suo avversario potevano nascondersi ovunque. Avanzò con la guardia alzata, in allerta, pronta a recepire qualunque suono, qualunque segno di attacco imminente. Quel luogo era ostile anche per lei.
    «Non corre, Maestra Aqua? Non vuole raggiungere il suo amico Ventus il prima possibile?»
    Si voltò di scattò e il bianco opprimente dei colonnati la salutò con un silenzio beffardo. Era una donna, una flessione femminile, un tono sarcastico e divertito. Non le sembrava di averlo già sentito. Con un gesto secco della mano impugnò il Keyblade del Maestro. Tese le orecchie e trattenne il respiro, alla ricerca di qualche traccia che le indicasse la posizione della proprietaria di quella voce. E quella rise piano, dolcemente, come se provasse pietà e la compatisse.
    «Cos’è tutta questa violenza? Questa voglia di combattere? Maestra, lei è troppo forte per me. Non mi permetterei mai di attaccarla.»
    “…direttamente.”, aggiunse consapevolmente la Keyblader, al suo posto. Sapeva come si muovevano le pedine più deboli, che ammettevano l’altrui superiorità. Subdole vipere che si nascondevano nell’erba per avvelenarla in più punti e poi finirla. Aqua non era stupida, assolutamente. E aveva abbastanza esperienza sulle spalle da riconoscere quando qualcuno si stava prendendo gioco di lei.
    «Non ho bisogno di correre.» rispose, ferrea, sicura.
    «Mi fa piacere che lei la pensi così.» la punzecchiò di nuovo, quella voce, con tono di scherno. «Ma forse è il caso che lei riveda questa necessità.»
    Dieci sagome putrescenti, grondanti sangue, dalle forme e le dimensioni impossibili emersero dal terreno. Aqua sbarrò gli occhi, le labbra si schiusero in un gesto involontario. Agglomerati di carne morta e interiora infestate dai vermi si mossero strisciando; otto pelose zampe di ragno sollevarono ciascuno di quei viscidi grumi vomitati dall’inferno, grattando contro le lastre sotto di loro, prendendo conoscenza del campo di gioco. Dieci crani diversi, anneriti, contratti, sfondati si affacciarono facendo breccia in ogni palla di resti umani compatti, le cervella e i fluidi che si riversavano sul pavimento dalle crepe scavate nel volto. Cento occhi vitrei la fissarono per un lungo istante, battendo altrettante palpebre grinzose all'unisono. Immensi, raggiungevano quasi il soffitto. L’aria era pesante, stagnante, acida, in grado di far rigettare anche lo stomaco più resistente. Era puzza di zolfo, di palude, di cadavere. Di morte. Si muovevano piano, goffamente. Come per circondarla.
    Aqua sussultò quando una di quelle zampe si sollevò a mezz'aria, avvicinandosi con cautela, tentando di sfiorarla. Deglutì a vuoto, il suo Keyblade sparì in un lampo luminoso e cominciò a correre.

    Le porte si aprirono con un cigolio sinistro, lasciando uscire solo un lungo spiraglio di luce. Maxwell, Ingwe, Shinan e Vanessa. Erano tutti lì fuori. Tutti pronti per il giudizio finale. I loro visi, i loro corpi si camuffarono con l’ambiente, sparendo all’improvviso. Nessuno di loro udiva più le voci altrui. Nessuno di loro vedeva l’altro. Esisteva solo il singolo, in una solitudine avvolgente, magica, quasi piacevole. Per ognuno di loro, l’altro, gli altri si erano volatilizzati. Furono invitati ad entrare da una carezza, il gesto caldo di una mano invisibile li attirò uno ad uno. L’uscio si spalancò e una fila di luci fatue rischiarò un rettilineo bianco. I piccoli lumi restarono immobili a mezz’aria come spiriti condensati e attesero che tutti fossero entrati, prima di svanire con un'esalazione fumosa e lasciarli nell’oscurità più assoluta. Anche l’ultima fonte di luce, la lama brillante irradiata dalla porta che, lentamente, si chiudeva alle loro spalle, fu ben presto annientata. Il tonfo sordo delle ante che collimavano nuovamente. Poi, più nulla. Calò il silenzio. Vivido, opprimente. Stagnante. Non c’erano odori, non c’erano profumi. Solo un forte senso di estraneità.
    Will si leccò le labbra e sorrise, più che soddisfatta.

    Benvenuti, vermi insignificanti.


    Sapeva che qualcuno l’avrebbe riconosciuta. Quelli che avevano avuto modo di avere a che fare con lei in prima persona avrebbero notato l’inflessione nel parlato, il tono fermo e, soprattutto, la calata leggera della bionda. Tuttavia, nessuno di loro aveva mai sentito il suo nucleo d’origine esprimersi con voce ferma, perentoria, sarcastica. E la Volontà sapeva perfettamente come giocare con le cadenze e i toni, modificando leggermente il timbro. Il suo nome, il nome dell’altra, era stato censurato. Chiunque avesse provato a nominarla, avrebbe solo ed esclusivamente mosso le labbra a vuoto, senza emettere più alcun suono.
    La stanza era buia, nera come la pece. Il soffitto basso e le mura spesse e ampie intrappolavano quella voce argentina e ammaliante, facendola echeggiare con tono angelico, dissonante con le parole pronunciate. Erano in quattro, ma probabilmente non riuscivano nemmeno a guardarsi in faccia l’uno con l’altro, immersi nel torpore dello sguardo soggiogato dall’oscurità. Un cigolio, un mormorio metallico, schiocchi leggeri e rintocchi vacui; e poi voci, voci diverse. Maschili, femminili, acute, grevi, sofferenti, felici, unite in un sottofondo disarmonico in lieve e continuo crescendo. Lentamente, la stanza si fece appena più chiara, rendendo visibili sagome di corpi appesi, impiccati, pendenti dal soffitto. Bocche disarticolate, arti molli verso il basso, il crepitare di insetti su quei cadaveri e il ticchettare di liquido sul pavimento. Si tendevano e si allungavano per raggiungerli, per prenderli e portarli con loro verso l’alto, sul soffitto e inchiodarli a fine certa. Tutti loro lo meritavano, tutti e quattro dovevano soffrire, subire, soccombere. Come lei aveva sofferto. Il respiro affannoso di quegli esseri inspiegabilmente vivi mandava esalazioni dolciastre e putrescenti, appestando l’aria di un veleno micidiale. Dita come artigli e luci gelide e incandescenti nelle orbite vuote degli occhi. Li bramavano, li volevano. Le prede erano in trappola. Con uno stridio e un cigolio assordanti, i defunti decisero di tornare a vivere. Urlarono tutti assieme, in strepiti infernali, gemiti strozzati e preghiere ossessive. I loro arti si allargarono verso il basso; come mille ragni di dimensioni titaniche, i cadaveri piovvero su di loro in un susseguirsi frenetico di tonfi sordi, mentre le dita scheletriche grattavano le mattonelle per raggiungerli e divorarli. Strepiti, grida, ansimi, strilli, ululati agonizzanti e rantoli secchi coprivano ogni altro suono. Dove la vista era inutile, l’udito e il tatto facevano da padroni. I morti volevano vivere, i morti volevano esistere: morsi, graffi, tagli, ferite, carezze, baci e strette letali. Nessuno si sarebbe salvato. Dovevano soffrire come aveva sofferto lei. Dovevano sentirsi in trappola, in gabbia; dovevano essere scuoiati vivi, privati degli occhi, sventrati mentre erano ancora coscienti, bagnarsi del sangue delle loro stesse interiora. E urlare. Dovevano urlare come maiali al macello. Dovevano soffrire di lente e mortali torture. Dovevano avvertire tutti, indistintamente, la mano scendere giù per la loro gola, rompere la cartilagine, scardinare mascella e mandibola e farsi strada fino al cuore, fino a stritolarlo tra le dita di lame. Dovevano morire. Tutti.
    Poi, la luce interruppe il concerto cacofonico di esseri mai vissuti, e le carcasse si rivelarono per ciò che realmente erano: marionette. Marionette incomplete. Chi senza occhi, chi senza volto, chi senza mani, senza gambe, senza braccia, senza l’intero torso. Teste aperte, costruzioni frammentate simili ad ossa legnose, volti sfigurati. E, in mezzo, qualche cadavere vero e proprio. Per lo più, abomini di natura. Bambine siamesi unite per il busto, uomini sformati nella pelle rigonfia, mezzi maschi e mezze femmine, transessuali e asessuati, feti strozzatisi prima di nascere e agglomerati di tessuti e muscoli, carni scoperte. Rantolavano ancora, alla fine della loro esistenza, trascinandosi verso di loro, con in volto dipinto il desiderio di vendicarsi del mondo e, allo stesso tempo, di smettere di soffrire.

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    E voi? Cosa siete venuti a perdere?
    Un arto? Uno dei cinque sensi?
    Il senno? La speranza? I ricordi?
    O, forse, la vita?


    Will non si era mai divertita tanto. Poteva fare ancora, molto altro, molto di più. Poteva rivoltarli l’uno contro l’altro, fargli credere di avere dei parassiti in bocca e nel sangue, convincerli di avere addosso ferite che non avevano, fargli credere di non avere più una parte del corpo. Poteva fare qualunque cosa. Ma, mettere in atto quelle e mille altre idee tutte assieme, non sarebbe stato altrettanto divertente. Prima avrebbero dovuto vedere, avrebbero dovuto vivere ciò che aveva vissuto lei –chi?-, per filo e per segno.

    Vanessa, come stanno mamma e papà?
    Proteggono la loro bambina, vero?
    Lei non ha mai avuto una mamma e un papà.
    Sarebbe un peccato se quello stocco, per un qualsiasi motivo, finisse in pezzi, che ne dici?


    E polvere. Polvere di diamante, schegge larghe di metallo affilato a riempire la fodera della spada della giovane. Un cumulo di detriti, l’elsa crepata per tutta la sua lunghezza, il filo irrimediabilmente corrotto. Con un ultimo, agonizzante sfrigolio di sicurezze infrante, la farfalla perse le ali.

    Maxwell, il grande campione che difende gli innocenti.
    Che si fa prendere dalla rabbia, che non riesce a difendere nemmeno la propria famiglia.
    A tal proposito, non credo che la tua Catherine e la sua adorabile sorellina torneranno a casa tutte intere.
    Sempre ammesso che possano tornare a casa.

    Maxwell! Ti prego… no… Maxwell!


    La voce femminile proruppe in un urlo graffiante, coprendo la voce candida che li aveva accolti; echeggiò a lungo, rimbombando contro le pareti, interrompendosi con un gemito strozzato. Era il gioco delle parti, la sfida delle voci, dell’improvvisazione.

    Shinan, bambina mia.
    Ancora in cerca della luce in fondo alla sporcizia?
    E dentro di te?
    Hai deluso i tuoi amici, li hai umiliati.
    Ti sei dimenticata di loro. Li hai lasciati da parte.
    E sei qui per qualcuno che a malapena sa che esisti.


    Eccoli lì, i suoi vecchi compagni, le persone che l’avevano salvata. Sfortunatamente per la bambina, questa volta, avevano un volto. Una maschera di tristezza, di rassegnazione, di sconforto e diniego. Sui loro volti erano dipinte le conseguenze del tradimento e dell’altrui oblio.
    Emise una risata bassa, non più in grado di trattenersi oltre. Erano topolini in trappola. Avrebbero fatto qualunque cosa lei gli avesse ordinato di fare. Altrimenti, sarebbero morti lì dentro. In fondo, era una regnante, una signorina molto educata: gli lasciava addirittura la possibilità di scegliere. Poveri piccoli animaletti. Persone come giocattoli, pronti ad essere buttati via quando si fosse stancata.

    E Ingwe.
    Caro, stupido, inutile, insignificante, lurido pezzo di sterco animale marcio.
    Hai qualche altro insulto da rivolgermi?
    Volevi uccidermi, no? Volevi spaccarmi la testa, o qualcosa di simile.
    Quanta eleganza, complimenti. Contro una ragazzina indifesa.
    Avresti anche voluti strozzarmi, credo.


    Aggiunse l'ultima frase qualche secondo dopo, variando il tono da sarcastico e pungente al dubbioso beffardo, quasi supponente. E la mano con cui avrebbe voluto strangolare la bionda, risalì lungo il corpo del ragazzo, a partire dalle sue interiora, sotto forma di grinfie scheletriche, pensate per ostruirgli la gola e non permettergli più di respirare. Fino a soffocarlo. Sarebbe stato bellissimo. Ma non era così senza cuore. L’avrebbe distrutto lei, personalmente. Non si sarebbe goduta il piacere attraverso gli effetti di una semplice illusione.

    Che marmocchio vergognoso.
    E l'incantesimo si annullò, la mano scomparve.
    Cosa direbbero Merenwen, Roderick, Failariel se fossero qui a guardarti?
    Ma anche tutti gli altri intorno a te, piccolo insetto.

    Chissà cosa pensano di te.


    Un manichino si mosse, tremò, reggendosi sulle braccia e sulle ginocchia di legno. Scricchiolò piano, voltando la testa pesante verso ciascuno di loro. Cigolò, arrancando verso di lui, allungando gli artigli come lame. Gli occhi di vetro ruotarono a vuoto, impazziti, e la bocca squadrata rigurgitò olio, dopo qualche verso strozzato. Poi, in un istante, esplose in mille pezzi, lasciando sotto di sé solo una chiazza scura e resti vuoti.

    Davanti a loro, dietro il cumulo di pupazzi morti, tante porte, piccole soglie luminose che non permettevano di vedere al loro interno. Erano senza serratura, colorate di un pacifico azzurro, sagome rettangolari che si stagliavano nitide nel bianco candido immacolato dell’androne del castello dell’Oblio. Più del loro numero, una dozzina. Diverse vie per diversi modi di soccombere. Il risultato sarebbe stato sempre e comunque lo stesso.

    Il gioco è semplice, miei amati ospiti.
    Dovete solo arrivare in fondo al castello.
    Non si torna indietro in nessun caso. Scegliete la vostra porta e cominciate la scalata.
    Se volete salvare chi vi è caro. O salvare la pelle.


    Le marionette si alzarono tutte assieme, guidate dalle abili mani della burattinaia. Rimasero sospese a mezz’aria, cozzando le une con le altre fino a trovare la quiete. Si inchinarono tutte in segno di saluto, piegandosi in un rozzo movimento in avanti che spezzò la giuntura principale dei bacini, e tornarono sul soffitto, venendo inghiottite l’istante dopo.
    Ormai era fatta. Di lì a poco sarebbe cominciata l’autodistruzione. E lei ne sarebbe finalmente uscita vittoriosa. Era finita l’epoca del corpo solo, della mente maestra. Ci sarebbe stata solo lei. E più nulla avrebbe potuto ostacolarla. La Volontà dell’Abisso sarebbe tornata a regnare, a tessere le fila della vita degli altri, a toccare con mano le loro storie e il loro passato. L’avrebbero rispettata.

    Ah, lasciate che vi dia un ultimo consiglio spassionato:
    a meno che non vogliate attaccarvi l’un con l’altro,
    è meglio per voi che avanziate da soli.


    Will soppesò le sue stesse parole: quante erano le probabilità che le credessero, che diedero retta ad una voce che fino a quel momento li aveva ingannati? Oh, be’, a lei non importava. Era il loro destino. E vedere due persone distruggersi inconsapevolmente era uno tanto bello quanto grottesco.

    Ma, alla fine, la scelta è vostra.
    Buona fortuna, carne da macello.




    CITAZIONE
    Scusate l'impaginazione ma negli ultimi tempi la mia abilità con i Font scarseggia. Dunque, Salve bimba bella e bimbi brutti ♥ Vi dico subito che questo è l'ultimo post che vedrete e farete in questo topic ♥ Eh già, poi si va di individuali.
    Dunque, non mi perdo in chiacchiere e vi spiego due cosine.
    °Nel momento in cui si apre lo spiraglio del portone, qualunque cosa voi e i vostri compagni stiate facendo, rimarrete soli, isolati. Io parlo con pincopallino. Il portone si apre. PUFF, pincopallino è sparito. Perché, come mai, chi sia stato non si sa. Forse quelli della mala forse la pubblicità.
    °Entrate, perché fidatevi che entrate ♥ Nel corridoio luminoso siete ancora invisibbbòl gli uni agli altri, siete irrimediabilmente soli.
    °Cala l'oscurità. Ora, a meno che voi non abbiate la vista a raggi X (all'aura Radar arrivo poi, don't you worry children) o qualcosa che rileva calore corporeo, i vostri piggì non sanno di essere quattro allegri compagni di combriccola.
    °Arriva la luce. DEAR LORD, siete in quattro. Alcune vostre abilità sono di-sa-bi-li-ta-te. Sono cattiva lo so ♥ Le suddette sono: Aura Radar, Volo in tutte le sue forme e, ultima ma non meno importante, Quattro Fiori di Shinan. Non odiarmi, MD, ma visto il post, comprendi che se Shinan evoca i suoi amichetti, well, sono chiaramente delle copie. Quest'ultima abilità sarà disattivata solo per questo turno. Tutte le altre, forever and ever, per tutta la durata della quest.
    °Veniamo alle illusioni. Più sotto, in spoiler, vi metterò la suddetta tecnica. Siccome sono una fanciulla previdente, non vi metto i parametri e tutte le abilità di Will perché non voglio vedere misteriosi power up in misteriose statistiche. Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio ♥ Oltretutto, le statistiche non le ho ancora decise, quindi no problemo.
    °Passo avanti con le illusioni: come vedrete più sotto, quella zocccola bisessuale dolce fanciulla di Will è in grado di rendere temporaneamente vero quello che dice. E perfetto. Tutti voi sentirete/vedrete quello che vedono/sentono (a livello uditivo) gli altri personaggi. Dunque vedete la mano che esce dalla bocca di Ingwe, la voce di Catherine che chiama, gli spiriti di Shinan e ultimo, ma non ultimo, lo stocco di Vanessa che si spezza. (Tranquilla Vani, è tutto programmato. Non ti preoccupare, per un po' non ti serverà. Non ti lascio senza arma in battaglia :3)
    °Avete presente la cara, vecchia parola "foto" in KH2 che era stata "rubata"? Succederà più o meno la stessa cosa se proverete a dire "Noel". Ah, l'amour ~
    ° Infine, non mi sono dimenticata della passiva del Castello. Ma, cito Frenz, il Castello non si è ancora totalmente liberato dal potere di contrasto di Olson; (il castello) per ora si sta concentrando sul fottere il cervello a lui. Quindi non perderete ricordi. Per ora. Magari poi mi verrà voglia di farvi un lavaggio del cervello. Ma per ora basta così.
    Dunque dovrei aver detto tutto. Avete dodici porte: scegliete pure a caso. Al prossimo vi farò avere una mappa delle porte. Ah, Will dice cose vere ♥
    Ah, bimbe mie innamorate follemente di Ingwe. Fatemi il favore di trovare il modo di non seguirlo. Ve lo dico per voi.
    Per le domande, sapete dove trovarmi e come. :3
    Avete13 giorni (mi rendo conto che ci sono molte cose da dire/fare/pensare). In caso mi fossi dimenticata qualcosa, ve lo scrivo in Area Quest e Ruolatori, oki? :3
    Buon post :3

    Feel Free to Go Mad
    Esattamente come può intrufolarsi nella mente di Noel, in quanto parte di lei, e giostrarsi con sentimenti e ricordi per arrecarle dolore, Will può fare la stessa cosa con tutti gli altri, seppur in maniera ridotta. Infatti lei può istantaneamente venire a conoscenza di fatti legati al passato del suo interlocutore; non importa se costui abbia dimenticato tutto del suo passato, se non abbia mai rivelato nulla a nessuno o conosca eventi falsi. Lei attinge la sua conoscenza dalla verità. La Volontà chiede all’Abisso, l’Abisso risponde. In un brevissimo istante, la fanciulla sarà a conoscenza di tutto quello che riguarda la storia del personaggio, comprese le opinioni su ogni singola persona lui abbia incontrato. Amore, odio, affetto, disprezzo, fiducia, paura, vendetta celate nel cuore non sono al sicuro dal suo occhio indagatore. Tuttavia, Will non può prevedere le mosse del suo avversario, in quanto a tattiche per lo scontro e per il combattimento; non guarda nel futuro, ma nel presente e nel passato. Sonda le lunghezze d’onda emotive e tutto quello che ha a che vedere con i sentimenti e le emozioni, non ciò che produce il cervello razionale nel momento di difficoltà. Malgrado tutto ciò sia passabile di componente emotiva e, quindi, in teoria, da lei conoscibile, l’Abisso le preclude di conoscere le altrui decisioni, in modo da non darle alcun vantaggio in battaglia. (Passiva Superiore) In combinata con questa sconfinata forma di sapere, Will ha in repertorio la straordinaria e pericolosissima capacità di rendere temporaneamente reale tutto ciò che evoca a parole. Da sola può creare allucinazioni mentali alle persone, facendo, per esempio, credere loro di soffrire ferite che in realtà non hanno, fornendo anche la lucida e pungente sensazione del dolore annesso. Può rendere vere sensazioni letali, può far credere alla persona che le sta di fronte di avere deformazioni fisiche o, al contrario, convincere chiunque di essere rimasto indenne ad un attacco che, in realtà, è risultato molto pesante. Con il suo potere, può fare praticamente qualunque cosa. Di per sé, Will non potrebbe influenzare l’ambiente, ma solo la persona e, anche per quest’ultimo punto, sarebbe previsto un dispendio più o meno notevole di energie. Tuttavia, il Castello dell’Oblio è il territorio perfetto per lei. Le mura spesse e lo straordinario potere magico che vi regna le permettono di influenzare le percezioni di chi le sta di fronte senza la minima fatica e, inoltre, di evocare immagini corporee, vere, di dar vita a qualunque prodotto malsano della sua mente, senza alcun limite. Il Castello è il luogo perfetto per Will: è il regno che ha sempre desiderato di possedere, in cui può esibirsi senza sforzarsi, in cui regnare indisturbata, senza pericoli di ritorsioni dato che persino il territorio la ama e fa in modo che non possa essere spodestata. Ovviamente, si tratterà sempre e comunque di un’illusione, di qualcosa che, in realtà, non c’è. Ma è praticamente impossibile che le sue vittime si rendano conto di ciò, rimanendo inevitabilmente convinte che i loro occhi mostrino solo il vero, che il loro corpo stia rivelando la pura e semplice realtà. (Variabile Illusoria Passiva Superiore Illusoria + Passiva Speciale: Perfect Tenant)

     
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    Altro che diversivo... da quando era arrivato laggiù, apparentemente, non era stato nient'altro che una preda. Avrebbe dovuto rendersene conto prima, si sarebbe dovuto fidare del brivido che aveva percorso la sua schiena quando il portone si era socchiuso, ma aveva deciso di rischiare, di non lasciare Aqua a sé, e ne stava pagando le conseguenze. L'automa aveva salito rapidamente le scale che conducevano a quella soglia smisurata, e non appena frenò la sua avanzata, una strana luce proveniente dal corridoio posto dietro a quel portone lo aveva come risucchiato; non era la stessa sensazione che aveva provato durante il salto Warp di Marilù, ma fu quasi peggiore. Quello strano senso di oppressione, come se tante mani lo stessero afferrando, affondando nella sua corazza e trascinandolo in direzione della porta, era decisamente sgradevole, e facevano crescere una punta di panico che si era insinuata in fondo alla sua nuca. Quella piccola scintilla di coscienza voleva combattere conto quell'invito, come se il suo istinto gli dicesse di voltarsi e scappare, ma le sue gambe andarono spontaneamente nella direzione opposta, verso quel bagliore che lo stava accecando, sia fisicamente che mentalmente. Erano sensazioni troppo familiari, troppo spaventose. E, sfortunatamente, il suo presentimento si rivelò fondato quando la stanza venne immersa in un'oscurità opprimente, fin troppo simile a quella che lo aveva accolto nella cella d'isolamento, e così come quella prigione, anche l'anticamera del castello non fece che aumentare le sue emozioni. La calda stretta che Maxwell aveva sentito fino a pochi attimi prima si trasformò improvvisamente in una stretta gelida, e per un momento gli sembrò quasi che i suoi componenti volessero staccarsi spontaneamente dal suo corpo. I fili che sostituivano i suoi muscoli volevano strisciare a forza dalle giunture dei suoi arti come serpi impaurite, il suo scheletro metallico sembrò irrigidirsi per diventare più simile al vetro, così da spezzarsi sotto il peso degli altri componenti e liberarsi della sua responsabilità. In altre parole, se prima era solo la sua mente a dirgli quanto errata fosse stata quella scelta, ora tutto il suo essere gli gridava contro, e gli eventi successivi gli diedero più che ragione.

    -Benvenuti, vermi insignificanti.

    Non appena quella voce femminile si fece strada nel mezzo di quel silenzio così pesante, l'automa non poté fare altro che sobbalzare dalla sorpresa, piegando le ginocchia e mettendosi in una posizione difensiva, nonostante il panico gli rendesse difficile i movimenti. Da una parte, non si aspettava di venire accolto da qualcuno, credere che Aqua lo avrebbe aspettato dopo essere entrata sarebbe stato stupido, ma allo stesso tempo non poteva immaginare che si sarebbe cacciato in un guaio simile. Né che quest'ultimo sarebbe uscito direttamente da un incubo. Maxwell non ebbe neanche il tempo di richiamare la sua fobia, poiché non appena il suo sguardo cercò la fonte di quel suono con l'aiuto della Sieg Sight, riuscì a vedere sopra di sé uno spettacolo che, se avesse ancora avuto uno stomaco, gli sarebbe seriamente venuto un conato di vomito. Gli anni di accademia non lo avevano aiutato a digerire la vista di un cadavere, soprattutto quando questo non poteva essere più neanche definito tale: accompagnati dal tintinnio di svariate catene, una marea di ammassi di carne putrescente dalla forma vagamente umana si calò dal soffitto, ansimando come se fossero a un passo dalla morte.

    -Che cosa diavolo...?!-

    Le parole di Siegfried si persero in mezzo ai versi delle creature intrappolate sopra alla loro testa, ma sarebbe stata una domanda più che legittima. Che cosa significava quello spettacolo di cattivo gusto? Avevano letto con una certa attenzione gli appunti sul Castello dell'Oblio: un luogo misterioso, capace di controllare e rubare le memorie altrui, di creare illusioni estremamente realistiche basate su queste ultime, ma da nessuna parte le note di Ansem parlavano di una... cosa del genere! Era abbastanza sicuro che uno spettacolo simile non fosse tra le sue memorie, nonostante la violenza con cui aveva ucciso gli scienziati del progetto UN, quindi da dove uscivano quelle marionette di carne?
    L'automa non riuscì a trovare una risposta a quelle domande, nate da un panico crescente, che gli riempiva la testa come dell'aria estremamente pesante, poiché il motivo delle sue preoccupazioni gli cadde letteralmente addosso. Il suo corpo si era già fatto pesante, le gambe si rifiutavano di muovere un singolo passo, e nonostante gli mancasse una parte del corpo fondamentale, era certo che l'aria fosse pregna del fetore emanato da quei corpi: lo poteva sentire praticamente a pelle, come se l'odore di decomposizione si stesse facendo strada sul suo corpo e sotto la sua corazza, intenzionato a perforare il suo corpo come milioni di piccoli spilli. Anzi, se fosse stato così, probabilmente il cyborg si sarebbe potuto ritenere fortunato, perché pochi secondi dopo la domanda di Siegfried, i corpi che prima erano ancorati al soffitto si lanciarono addosso a loro, e tutto ciò che seguì fu puro caos. Alcuni gli caddero addosso, altri si fecero strada verso il loro corpo strisciando verso il terreno, e in mezzo alla malata melodia dei loro respiri morenti si unirono i sinistri rumori dei denti e delle dita che cercavano di strappare il metallo dal corpo dell'automa. Se prima sembrava che le sue membra desiderassero fuggire singolarmente, ora entrambe le personalità del cyborg potevano sentire chiaramente pezzi del loro corpo venire staccati dalla loro base metallica, e la loro visuale venne completamente ricoperta da una miriade di avvisi che sottolineavano ogni frammento che veniva divorato dai loro assalitori. Maxwell non riuscì nemmeno a gridare, perché a ogni colpo la sua mente riceveva una violenta scossa di dolore, che per un attimo interrompeva completamente ogni pensiero, e gli soffocavano la voce prima ancora che questa riuscisse a raggiungere il simulatore vocale. Le braccia, le gambe, il torso... nulla veniva risparmiato, ogni volta che quelle creature infierivano sulle sue membra, il cyborg poteva avvertire chiaramente un pezzo del suo essere che veniva a mancare, e non poteva neanche desiderare che finisse, perché la sua mente era invasa dagli avvisi del suo sistema, che infierivano comunicandogli quale parte del suo corpo era stata danneggiata. Ancora e ancora, sempre di più, ogni singola volta. La Roccia Divina nel suo petto sembrava fremere, come se anche quel componente desiderasse fuggire da quel caos, facendo tremare l'intero corpo dell'automa, e la fine di quell'illusione non migliorò molto le cose. Quando la luce tornò nella visuale di Maxwell, quest'ultimo era in ginocchio, poggiandosi a fatica sulla gamba sinistra e sulla mano destra; ci volle qualche attimo prima che il dolore causato da quel miraggio lasciasse le sue membra, ma non riuscì a muovere un muscolo per diversi secondi.


    -Nel nome di Asura, cos'era quello...?!

    La voce dell'automa tremò leggermente mentre pronunciava quelle parole, che servivano più ad assicurarsi che fosse ancora cosciente e capace di parlare, ma neanche quel gesto riuscì a rassicurarlo. Per quanto i suoi sistemi si fossero effettivamente stabilizzati, non appena il cyborg portò il suo sguardo sull'area intorno a sé, poté vedere quanto ciò che aveva subito non fosse altro che il gioco di un burattinaio estremamente sadico. Non c'era più alcuna traccia dei cadaveri putrescenti che lo avevano assalito pochi attimi prima, ma al loro posto c'erano una marea di strane bambole a grandezza naturale, di ambo i sessi, e tutte stranamente deformate in qualche modo. Quelle che gli avevano cinto i piedi erano accasciate senza vita sul pavimento, mentre quelle che gli erano cadute direttamente addosso si appoggiavano pigramente sulle sporgenze di Destroyer's Heritage, come se anche loro fossero stanche di mettere in piedi quella scenata. Eppure, per quanto quelle figure fossero pietose, la sorpresa peggiore doveva ancora arrivare. Infatti, non appena gli occhi bicromici dell'automa cercarono di controllare meglio l'area intorno a sé, un forte brivido gli percorse la schiena, bloccandolo sul posto per un attimo interminabile: in mezzo a quei pupazzi deformi, purtroppo, erano visibili altri tre individui che, come lui, erano chiaramente estranei a quel luogo. Un ragazzo coi capelli di un biondo sporco rannicchiato sul pavimento, una ragazzina coi capelli argentei e una bambina vestita come una bambola di porcellana che sembravano aver subito un assalto molto simile al suo, e non osava immaginare che cosa avessero provato con un corpo di carne e ossa a quella vista. Ma la domanda principale era un'altra: cosa diamine stava succedendo?

    -...! Maxwell... sono stati disattivati!-


    -Come...?

    -I sistemi di volo della corazza e l'Aura Radar... sono stati come sigillati!-

    A quella notizia, l'uomo non riuscì a emettere altro che un grugnito nato da un misto di tensione e rassegnazione. Non tanto perché non avesse motivi per dubitare delle parole della sua metà elettronica: anche lui poteva chiaramente sentire che qualcosa mancava, anzi, era possibile che ciò che avevano subito fosse stato un espediente per indebolirli, ma questo non rispondeva alla sua domanda. Perché? Perché erano stati accolti da una tortura del genere in quel luogo? Perché improvvisamente si trovava in compagnia di tre ragazzini? Ma, soprattutto, chi o cosa aveva causato quella grottesca mutazione nel Castello dell'Oblio? Forse quelle erano domande che servivano più a diminuire la paura che ancora gli impregnava le membra, per esorcizzare i brividi che continuavano a passargli lungo i muscoli, ma porsi tali quesiti era tutto ciò che riusciva a fare in quel momento. E, sfortunatamente, quei suoi dubbi ricevettero quella che poteva essere, novanta su cento, la risposta peggiore di tutta la sua vita.


    -E voi? Cosa siete venuti a perdere? Un arto? Uno dei cinque sensi? Il senno? La speranza? I ricordi? O, forse, la vita?

    Di nuovo quella voce femminile, che sembrava voler imitare Evelyne, ma era tutt'altro che materna e confortevole. Maxwell alzò la nuca, cercando la fonte di quel rumore con uno strano gelo alla base del collo, causato più dall'irritazione che altro: la sua mente era ancora scombussolata da quella tortura psicologica precedente, ma anche in quel momento poteva chiaramente sentire una strana punta di euforia nel tono della loro osservatrice. Qualcosa di molto simile a ciò che il Settimo gli aveva rivolto all’inizio della loro conversazione, ma nascosto viscidamente da parole sibilline, e questo non faceva che peggiorare le sue condizioni. Ormai non riusciva neanche più a distinguere i postumi di quel falso dolore dalla paura o la rabbia, ma la loro interlocutrice sembrava essere intenzionata a definire chiaramente quella sottile linea rossa.

    -Vanessa, come stanno mamma e papà? Proteggono la loro bambina, vero? Lei non ha mai avuto una mamma e un papà. Sarebbe un peccato se quello stocco, per un qualsiasi motivo, finisse in pezzi, che ne dici?

    All'inizio l'uomo non riuscì a capire con chi stesse parlando quella voce, ma uno strano rumore metallico raggiunse le sue orecchie, seguito rapidamente da un grido disperato proveniente dalla ragazza coi capelli argentei, che ne confermò l'identità come "Vanessa". Il cyborg sobbalzò a quel suono, voltando la propria testa con sincera sorpresa, mentre la giovane teneva tra le mani ciò che sembravano essere i frammenti di un'arma che le apparteneva, o qualcosa di simile. Doveva essere molto importante per lei apparentemente, poiché la ragazza sembrò più distrutta dell'oggetto che teneva tra le mani, e l'automa non riuscì a guardare quello spettacolo pietoso. Quella vista gli causava uno strano nodo allo stomaco, facendogli sentire chiaramente una stretta sotto collare della corazza, come se quella scena fosse qualcosa di stranamente familiare... anzi, lo era. Anche lui aveva lanciato un urlo simile, una sola volta: quando si era reso conto di avere il sangue di tutti quegli scienziati sulle mani. Così come quella ragazza sentiva di aver perso qualcosa di prezioso, in quel momento Maxwell aveva sentito chiaramente la sua umanità scivolargli tra le dita come sabbia, e il ricordo di quella sensazione gli causava di provare un profondo brivido viscido lungo tutto il corpo. Tuttavia, le emozioni che percorsero le sue membra quando la loro sadica ospite si concentrò su di lui furono decisamente differenti.

    -Maxwell, il grande campione che difende gli innocenti. Che si fa prendere dalla rabbia, che non riesce a difendere nemmeno la propria famiglia. A tal proposito, non credo che la tua Catherine e la sua adorabile sorellina torneranno a casa tutte intere. Sempre ammesso che possano tornare a casa.

    -Maxwell! Ti prego… no… Maxwell!

    All'inizio, i suoi brividi si fermarono solo per la sorpresa: sfortunatamente, le prime due frasi della voce non portavano nuove notizie. Non era un "campione" o roba del genere, per quanto avesse cercato di nasconderlo era solo uno stupido, capace solo di andare avanti... e sapeva che tutte le sue sventure erano venute quando era scappato di casa. Ma quando quella donna senza corpo continuò menzionando Catherine e Milly, qualcosa cominciò a salire nella sua mente, un singolo brivido che si espanse, causandogli una strana sensazione di vuoto in tutto il corpo. Era come se tutta la sua massa corporea fosse evaporata, lasciandosi dietro solo la corazza e un sentimento che ancora non riusciva a definire. Tutto ciò che sapeva era che, involontariamente, le sue mani si strinsero, e il suo volto si alzò verso l'alto, cercando la persona su cui sfogare quell'emozione che sembrava voler esplodere fuori dalle sue membra. Tuttavia, fu il grido di Catherine che fece esplodere la polveriera. A quel suono, la sensazione che Maxwell stava provando si trasformò istantaneamente in una furia intensa, talmente potente da fargli sentire dolore fisico, come se migliaia di piccoli coltelli stessero tagliando con cura i suoi muscoli artificiali. Non sapeva se fosse reale o un'altra illusione che, anziché il suo corpo, doveva minare il suo cuore, ma chiunque avesse messo in atto quella messinscena aveva toccato il tasto sbagliato: se voleva sottolineare che fosse facile farlo arrabbiare quando si toccavano le persone a cui teneva, allora aveva scelto il modo peggiore per sottolinearlo. Non tanto per Maxwell, quanto per se stessa. Per diversi secondi, l'automa non riuscì a sentire altro che la propria rabbia che gli saliva lungo la testa, spingendo contro le proprie tempie e i suoi occhi, come se il suo cranio si dovesse spaccare da un momento all'altro per la sola pressione causata dalla sua furia, mentre il suo corpo si alzava, ignorando qualsiasi altro suono o evento. Il dolore causato dall'illusione precedente venne completamente sostituito da alcuni caldi e potenti brividi, che facevano stridere le sue giunture per lo sforzo, e rischiò di espandere a forza le sue ali. Non gli importava se con quel gesto gli altri tre lo avrebbero considerato spaventoso, non gli importava di assumere un aspetto più demoniaco: non voleva concedere a nessun altro individuo di giocare con i suoi sentimenti. Il suo occhio sinistro si colorò di un rosso sempre più luminoso, dando allo stesso automa l'impressione che fosse incandescente e rischiasse di sciogliere la sua cavità oculare da un momento all'altro, ma era una prospettiva decisamente migliore rispetto a ciò che aveva in serbo per quella stronza.
    Tuttavia, il muro eretto dalla sua furia venne penetrato improvvisamente da alcuni versi soffocati, che fecero voltare l'automa con una foga furiosa, intenzionato a vedere chi osasse distrarlo dai suoi pensieri... ma lo spettacolo che si presentò di fronte ai suoi occhi animaleschi fu abbastanza da sopprimere la sua sete di vendetta. L'unico altro membro maschile presente in quella sala stava venendo strangolato da un paio di mani che, apparentemente, erano uscite direttamente dal suo collo, e se quel gesto doveva contenere una qualche forma di ironia, l'uomo non riusciva a vedere altro che cattivo gusto. La sua rabbia venne temporaneamente repressa da un profondo disgusto, oltre che a una certa preoccupazione per quell'individuo, e poteva solo ringraziare gli dei che quelle membra metalliche non potessero provare la sensazione acida che si sarebbe fatta strada dal suo stomaco alla gola in quel frangente, altrimenti avrebbe vomitato anche l'anima.


    -Che marmocchio vergognoso. Cosa direbbero Merenwen, Roderick, Failariel se fossero qui a guardarti? Ma anche tutti gli altri intorno a te, piccolo insetto. Chissà cosa pensano di te.

    Altre parole avvelenate, altri conati che la sua conformazione fisica bloccava sul nascere, ma che l'uomo avvertiva chiaramente nella propria testa. Le sue tempie vennero trapassate da una leggera scossa, e Maxwell dovette distogliere lo sguardo quando quel biondino si riversò a terra, ansimante, ma finalmente libero dalla presa di quelle mani. Tuttavia, ora che la rabbia non riempiva più la sua mente, l'automa si ritrovò a porsi una singola domanda: per quale motivo stava... "giocando" con loro in quel modo?

    -... Aspetta... tu questo lo definisci un gioco?!-


    -Il gioco è semplice, miei amati ospiti. Dovete solo arrivare in fondo al castello. Non si torna indietro in nessun caso. Scegliete la vostra porta e cominciate la scalata. Se volete salvare chi vi è caro. O salvare la pelle.

    Entrambe le personalità presenti in quel corpo si zittirono in quel momento, interrompendo ogni possibile linea di pensiero stessero cercando di costruire in precedenza. Sfortunatamente, così come aveva immaginato Maxwell, quello era proprio il sadico gioco di qualcuno con troppo tempo libero, le parole di quella voce non lasciavano alcun dubbio. Così come l'intera accademia militare cercava di trasformare le reclute in burattini, anche in quel momento la loro ospite tentava di spezzare e plasmare le loro menti, sia fisicamente che mentalmente, ma non dava il colpo di grazia apposta. D'altronde, se poteva strangolare un individuo in quella maniera, cosa le impediva di finirli subito, o di farli uccidere l'un l'altro seduta stante? Forse qualche regola intrinseca del castello, forse il suo stesso sadismo, ma indipendentemente dalle ragioni, l'uomo non riuscì a sentire altro che una forte stretta in tutto il torso. Non sarebbero bastati tutti i conati del mondo, né tutta la sua rabbia per descrivere ciò che provava nei confronti di quella loro carceriera, ma più guardava le porte che lei aveva "gentilmente" fatto apparire per loro, e più si convinceva di una cosa: non avevano altro modo di uscirne vivi se non andando avanti. E, ironicamente, la voce ribadì quel concetto lei stessa.

    -Ah, lasciate che vi dia un ultimo consiglio spassionato: a meno che non vogliate attaccarvi l’un con l’altro, è meglio per voi che avanziate da soli.

    Con quelle parole e un ultimo sussurro che scivolò via lungo i recettori uditivi di Maxwell, la presenza della burattinaia svanì nell'aria, ma non senza mettere su un ultimo spettacolino solo per loro. Le marionette che aveva usato per torturarli all'inizio, infatti, si alzarono dal terreno, dirigendosi nuovamente verso il soffitto dopo aver effettuato un inchino non poco doloroso, considerando che finì per spezzare la giuntura che teneva uniti torso e bacino. Inquietante fino alla fine. L'uomo dovette attendere qualche attimo, sia per soppesare la situazione, sia per cercare di reprimere il più possibile quell'agglomerato di emozioni negative che si era fatto strada nel suo petto. La rabbia andava placata, quella nausea diffusa in tutto il corpo trattenuta, e il disgusto soppresso a forza, perché altrimenti non sarebbe riuscito ad andare in nessun'altra direzione se non all'indietro... perché anche lui aveva una certa paura, in quel momento. Non era sicuro se fosse dovuto alla sua fobia per i fantasmi, anche perché non poteva sapere se quella voce avesse un corpo o meno, ma qualcosa gli gridava istintivamente di girare i tacchi e tornarsene a casa. Poteva lasciare indietro quei tre marmocchi, e magari anche mandare al diavolo Aqua, per quanto ne sapeva lei poteva essere benissimo al corrente di quell'effetto collaterale, e se in caso contrario lo avesse subito a sua volta, tanto meglio!
    ... Ma quelli non erano proprio pensieri che riusciva a fare. L'uomo chiuse gli occhi con un sospiro, rassegnato ai fatti: era finito nell'ennesima trappola, l'ennesima situazione che metteva quella sua seconda vita in pericolo, e per quanto la sua mente gli dicesse di non farsi coinvolgere, lui non riusciva a tirarsi indietro. Tuttavia, almeno in quel momento, aveva più di un buon motivo per essere tanto testardo. L'automa riaprì gli occhi, racimolando tutta la forza d'animo che gli era rimasta, e cominciò ad avanzare in direzione della porta più a sinistra di tutte, ma una voce, ancora provata dagli eventi passati, bloccò i suoi passi.


    -NO! Ti fidi davvero di quello che ...dice?! Non puoi andare da solo…

    Maxwell si voltò lentamente a quelle parole, rivolgendo al ragazzo dai capelli biondi uno sguardo privo di alcuna emozione. L'obiettivo dell'occhio destro fissò la figura di quel giovane per qualche attimo, cercando di capire perché fosse effettivamente così preoccupato per lui. Certo, il tentativo di strangolamento appena subito poteva essere un motivo valido, ma così come sottolineò la ragazza chiamata "Vanessa", proprio quel ragazzo sembrava essere nella condizione peggiore per avanzare da solo. Anzi, forse sarebbe stato più corretto dire che lo shock provato da quell'assalto poteva aver fatto perdere di vista il vero problema e, sorprendentemente, una buona analisi della loro situazione arrivò dalla ragazza più giovane.

    -Non... Cambierebbe nulla. La Volontà... Lei non ha alcun motivo di mentire: non le interessa nulla di noi, né di quello che siamo venuti a fare. Vuole solo vederci soffrire. Lo ha detto, non è vero? Questo... è solo un gioco. Un gioco che lei ha vinto fin dall'inizio.

    Parole tristi e pesanti, ma che non potevano essere più vere. Purtroppo, l'uomo non poteva consolarsi col solo pensiero di non essere l'unico ad aver notato quel fatto, perché il loro problema non cambiava: erano dentro il Castello dell'Oblio, alla mercé di una persona che voleva vederli danzare al ritmo dettato dal proprio sadismo, e se non facevano qualcosa oltre che a restare fermi lì come dei fessi, non sarebbero arrivati da nessuna parte. Tuttavia, fu proprio quella frase a far nascere un pensiero ben peggiore nella mente dell'automa, ossia che chiunque fosse quella persona che li stava "guidando" nel castello... questa sembrava conoscerli stranamente bene, e apparentemente neanche il biondino e la bambina erano dei completi estranei per quella presenza. Maxwell decise di ignorare temporaneamente quel fatto, altrimenti avrebbe seriamente rischiato di guardare quei due con gli occhi di un possibile avversario, ma dovette tirare l'ennesimo sospiro quando anche Vanessa lo pregò di non andare avanti da solo. Quanto poteva essere ingenua la gioventù? Credevano sul serio che lui non avesse alcuna obiezione di fronte a quella scelta che gli veniva imposta? Che fosse talmente incline al suicidio da saltare senza alcuna esitazione in quella porta? Se fosse stato così, non si sarebbe neanche fermato alla prima frase del biondino, né avrebbe deciso di ascoltare quelle due ragazzine. Eppure, per quanto non sapesse come gli altri avessero già incontrato la fonte di quella voce, di una cosa poteva essere certo: restare lì a tremare come una foglia per rabbia o paura non gli sarebbe servito a un bel niente.
    Intanto, mentre questi pensieri si facevano strada nella mente dell'automa, i suoi tre compagni di sventure sembrarono più intenzionati a discutere tra di loro dei propri problemi, anziché continuare a rimuginare sul da farsi. "So a cosa farà appiglio, so quali sono le mie debolezze", "Non voglio che vediate come sono veramente", la ragazza più giovane si dilungò in un discorso che sembrava essere fin troppo personale per la situazione in cui si trovavano, e a quelle parole l'uomo dovette trattenere un sospiro nato dal fastidio. Era orribile sentire parole che erano uscite dalla sua bocca e dai suoi pensieri pronunciate da un'altra persona, soprattutto in quel frangente. E non tanto per il proprio senso di colpa, né per il profondo disgusto che provava verso se stesso e lo faceva tremare dalla vergogna, quanto per il semplice fatto che quelle parole provavano quanto il discorso della burattinaia fosse finito sotto alla pelle dei presenti. La rabbia che ancora stava cercando di trattenere per ciò che aveva detto riguardo a Catherine ne era la prova, ma dovevano trattenere quei sentimenti, farsi forza, senza che quei pensieri potessero radicarsi nei loro cuori. Un concetto che, purtroppo, sembrava essere completamente sconosciuto al biondo. "Non mi importa di cosa tu possa essere veramente", "Io ti voglio bene", "Non andare da sola"... in quel momento credeva di capire fin troppo bene che cosa avesse provato Siegfried nei suoi primi mesi di vita. Quelle potevano essere parole rassicuranti, dolci, e forse ciò che serviva a quella bambina per superare i suoi dubbi, ma non sarebbe durato per molto. Maxwell emise un grugnito sommesso al pensiero, ma se il Settimo era riuscito a farlo esplodere con qualche parola ben piazzata, cosa avrebbe potuto fare un'entità puramente malevola come la "Volontà", dopo quel bel discorsetto? Si sarebbe solo divertita a strappare quei bendaggi di fortuna dal cuore di quella ragazzina, che sarebbe stata una preda facile se davvero aveva tanti segreti e sensi di colpa come affermava. Subito dopo lo stesso automa, ovviamente. Purtroppo, fu proprio da quel punto del discorso che l'uomo cominciò a provare un senso di oppressione sempre peggiore, perché anche la giovane dai capelli argentei si mise a fare un discorso molto bello su carta, ma che non sarebbe durato cinque secondi di fronte alla realtà della loro situazione! "Voglio restarvi accanto", "Voglio proteggere ciò che amo"... perché? Perché tutti e tre insieme dovevano portare a galla la parte più infantile del suo carattere?
    Purtroppo, quella domanda rimase senza risposta, perché tutto ciò che l'automa si limitò a fare fu... ridere. Un'amara risata carica di pietà e rassegnazione, che l'uomo riuscì a trattenere solo richiamando tutta la forza e la decenza che aveva in corpo, altrimenti non sarebbe riuscito a fermarsi per un minuto buono. La sua sola consolazione fu la consapevolezza che quella sua reazione fosse più rivolta a se stesso e ai suoi errori passati che ai suoi interlocutori, probabilmente ancora troppo giovani per aver sentito appieno quanto la vita potesse far male, e quanto quei ragionamenti così innocenti fossero un'arma a doppio taglio.


    -Commovente... ma per me non è una questione di rivelare chi sono o roba del genere, al momento.

    L'automa pronunciò quella frase con la morte nel cuore, conscio della punta d'ipocrisia contenuta nelle sue parole, ma intenzionato a separarsi dai suoi interlocutori con un po' di dignità. Alla fine, non stava mentendo, e non li stava liquidando fingendosi più saggio di quanto non fosse... era solo consapevole del vero pericolo che quei tre avrebbero corso se non si fossero separati.

    -Non sono uno facile da gestire sotto pressione. Voi fate come volete.

    Avevano già stabilito che la burattinaia possedeva un certo controllo su ciò che vedevano e provavano in quel luogo. Quella bambina con l'abito elegante lo aveva sottolineato più volte durante il loro discorso, quindi cosa avrebbero fatto se, al posto delle marionette, si fosse improvvisamente decisa a usare uno di loro come mezzo per una delle sue illusioni? L'uomo non voleva correre il rischio di indirizzare la propria rabbia contro delle persone così giovani, aveva già provato sulla propria pelle quanto le sue emozioni potessero mandarlo fuori controllo, e non avrebbe mai dimenticato i livelli di brutalità che poteva raggiungere in quei momenti di furia incontrollabile. Si sarebbe aggrappato volentieri a un discorso del genere, se fosse stato ancora innocente come a vent'anni si sarebbe volentieri offerto di accompagnarli, avrebbe supportato la loro idea, ma non poteva più giocare a fare l'eroe, non quando poteva mettere a rischio tre vite. Soffrire da solo, pur coinvolgendo Siegfried, era la sola scelta sensata che poteva fare in quel momento.

    -... Sai di aver raggiunto i miei livelli di cinismo, vero?-


    -Lo so.

    E, una volta dette queste parole con un filo di voce, l'uomo si sarebbe diretto con passo deciso in direzione di una della porta che aveva scelto in precedenza, ignorando qualsiasi altro discorso dei suoi interlocutori. Forse quella sarebbe stata la sua prima azione priva di egoismo dopo quei sette anni di follia...
     
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    Aveva appena appoggiato la mano sulla superficie liscia del portone quando un rantolo acuto gli trafisse le orecchie. Di scatto, impaurito da quel rumore così inaspettato in quel luogo completamente vuoto, si voltò. Senza più curarsi di nulla, corse verso la figura della bambina inginocchiata per terra. Quello era un incubo, doveva essere un incubo. Gli occhi sgranati, continuava a scuotere leggermente la testa in cenno di diniego. Non avrebbe accettato nessun’altra spiegazione, la sua mente si rifiutava di credere che ci potesse essere un’altra spiegazione. Arrancando, inciampando nei suoi stessi passi raggiunse la bambina. Tremava, tremava in modo orribile, troppo orribile. La sua mente tornò istintivamente a Noel, al loro incontro, alle macchie nere che si allargavano sulla pelle della giovane, alle convulsioni. No, si rifiutava. Rifiutava di credere che una cosa simile potesse accadere anche a Shinan. Di colpo, senza alcun preavviso, gli spasmi si fermarono. Non era un bene. Non era affatto un bene. Era troppo lontano per aiutarla, per poter in qualunque modo impedire che la sua vita si spezzasse. Perché era quello ciò che il ragazzo vedeva. Nell’istante stesso in cui la bambina si era accasciata su se stessa, nell’istante in cui quel corpo si ara accartocciato, come se fosse stato improvvisamente privato di consistenza, aveva temuto il peggio. Senza accorgersene aveva urlato il suo nome. Aveva il fiato corto, ma non era per la corsa, no, quei pochi metri, sebbene fossero sembrati centinaia di chilometri, non sarebbero mai riusciti a farlo faticare così tanto. No, l’ansimare, il cuore che andava a mille, la testa che pulsava, quelle sensazioni erano dovute alla paura. La morsa alla bocca dello stomaco. Il tremore delle mani. Paura. Pura e semplice paura. In preda ad una crescente isteria la vide tentare di rialzarsi in piedi solo per stramazzare nuovamente a terra. Oppresso da un enorme senso di nausea, si fermò di fianco al corpo della ragazza, cadendo sul terreno troppo liscio, una gamba fuori dal sentiero di roccia, penzolante nel vuoto. Di scatto si allontanò dal baratro e appoggiò le proprie braccia sul corpo di Shinan. Era ancora viva. Respirava. Ancora in preda al panico la scosse leggermente.
    -Shinan! Che cos'hai? Stai bene?-
    Che domanda stupida. Come poteva stare bene? Ansimava, tremava, lo guardava in preda ad un delirio che non le aveva mai visto sul volto. Continuava ad osservarla con gli occhi sbarrati in preda ad un’angoscia che minacciava di sommergerlo ad ogni secondo. La sentiva. Sentiva quel terrore premere contro la sua mente, cercare di sfondare le barriere che si era creato, tentare di trovare una breccia e di soffocarlo. Però non poteva lasciare che vincesse. Non in quel momento. Shinan stava male e non poteva permettersi di abbandonarsi alla paura. Doveva aiutarla. In qualche modo. In qualunque modo doveva aiutarla.
    -Io... Shinan?-
    Titubante la piccola parlò.
    -Shinan... No, no io... Io sono... Noel?-
    Terrorizzato spalancò gli occhi. Quello non era possibile. Lentamente staccò le mani dal corpo della bambina e si afferrò la testa. No. Non riusciva a pensare ad altro. No. Quella singola parola continuava a ripetersi nella sua mente, come una nota stonata replicata all’infinito da un disco rotto. Perché sentiva che gli argini della diga che aveva creato contro il terrore stavano cedendo. Sentiva l’angoscia salire lungo il suo corpo, imprimersi nel suo petto, stringere la gola, afferrare il cuore. Quello non poteva essere vero. All’improvviso si rese conto che aveva iniziato a respirare più velocemente. Non riusciva a fermarsi. Non riusciva a pensare. C’era solo quel no infinito che si ripeteva e si ripeteva e si ripeteva. Voleva vomitare. Voleva sentirsi male. Voleva che quelle sensazioni, che quell’orrore venisse espulso dal suo corpo. Voleva liberarsene fisicamente. Perché non ce la faceva più. Si sentiva soffocare. Sentiva il panico soffocarlo.
    -Io... Io… Io... Io mi chiamo Noel. No... Will? No, io sono... Io sono…-
    No. Lei era Shinan. Lei era Shinan. LEI ERA SHINAN. Non poteva essere Noel. La vedeva. Era Shinan. Era la bambina negli abiti troppo grandi, il piccolo fragile fiore che in realtà era mille volte più forte di lui. Era la sua amica, la sua alleata, una delle luci che lo aveva aiutato a superare la notte a Radiant Garden. Era la ragazza con cui non era riuscito a scusarsi per quello che era successo a Crepuscopoli. Era Shinan. Non poteva essere altrimenti. Non era Noel. Non era Will. Lei era Shinan. Ancora tremante levò le mani dagli occhi.
    -Sì, è vero… Shinan... Shinan…-
    Con uno sfarfallio titubante la speranza tornò a vivere nel suo cuore. Si stava riprendendo, stava uscendo dalla follia che l’aveva attanagliata. Sospirando di sollievo annuì al vuoto, consapevole che lei in quel momento non lo stesse guardando, ma indifferente a ciò.
    -Quello… È il mio nome? Io sono… Shinan, la Nesciens... Solitudine... Sì, io mi chiamo…-
    Per un istante il volto di entrambi si illuminò. Non era successo nulla. Era solo confusa, niente di che. Sorrise mentre la paura veniva scacciata nuovamente dal sollievo. Era tutto a posto. Quelle parole senza senso, Nesciens, Solitudine, quello parole non avevano assolutamente alcun valore. Erano solo i deliri di una bambina che stava male. Ma adesso era tutto a posto. Adesso lei stava bene. Adesso che erano assieme avrebbero di sicuro trovato una via d’uscita. Sarebbero di sicuro tornati a Radiant Garden, lei si sarebbe riposata e avrebbero riso di quell’orribile momento. Basta. Nient’altro.
    -Però... Tu... Tu chi sei?-
    Per un’istante la terra scomparve da sotto i piedi del giovane ed uno sgradevole senso di vertigine lo accolse tra le sue spire. Però non doveva lasciarsi sopraffare. Era solo confusa. Niente di più. Fino a pochi istanti prima non si ricordava nemmeno il proprio nome quella ragazza, quindi perché avrebbe dovuto ricordarsi di qualcuno conosciuto da poco meno di una settimana? Era tutto normale. Tutto normale. Tutto perfettamente normale, anche il fatto che si stesse prendendo in giro. Anche il fatto che quelle parole che si ripeteva erano prive di senso e significato. Tutto perfettamente normale. Sarebbe bastata una bella dormita. Perché era normale che entrambi si ritrovassero senza nemmeno sapere come di fronte ad un castello partorito dalla mente malata di qualche schizofrenico. Così come era normale che Shinan credesse di essere la donna che pochi giorni (o era il giorno prima?) l’aveva torturato mentalmente. Perché lui voleva che tutto quello fosse normale, che tutto quello non fosse altro che un brutto sogno dal quale presto si sarebbe svegliato.
    -Noel... è là dentro...-
    Perché era normale che in quel momento non volesse far altro che mollare un ceffone alla bambina per farla tornare in sé. Perché era normale che lui volesse accasciarsi a terra e piangere. Perché era normale che a lui, che a loro, capitasse tutto quello. Furioso si voltò verso il Castello. Quello era troppo. Digrignando i denti si lasciò sfuggire un ringhio dalle labbra. Quello era troppo. Voleva distruggere quell’ammasso di pietra fino alle fondamenta. Voleva trovare Noel ed ucciderla. Voleva tante cose, tante cose violente. Voleva tanto poter sfogare la propria rabbia, la propria frustrazione, la propria impotenza ed incapacità. Voleva che qualcuno capisse quello che stava provando, quello che stava patendo a causa del destino. Già. Perché quello che stava accadendo non poteva essere una bizzarra sequenza di casi. No, sarebbe stato troppo bello. Era sinceramente tentato di buttarsi nel baratro che costeggiava il sentiero, quantomeno per porre fine a quell’atroce sfilza di orrori che sembrava seguirlo da una vita ormai. Però non poteva. Probabilmente era soltanto un’idiota, ma voleva arrivare fino in fondo a quella tortura. Voleva vedere cosa lo attendeva, cosa sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Voleva piangere, urlare, ribellarsi contro il mondo stesso e chiunque dietro le quinte stesse tirando le redini di quell’universo marcio. E voleva aiutare Shinan.
    Perché non poteva abbandonarsi alla sua disperazione. Non poteva. Doveva essere forte per lei. Doveva essere di nuovo abbastanza forte da aiutarla. Doveva. 
Con delicatezza cinse di nuovo le spalle della bambina. Doveva aiutarla in qualche modo. Doveva farle capire che lei era Shinan, nessun altro. 
-No, Ingwe, non devi…-
    -Shinan!-
    Aveva ricordato il suo nome. Aveva davvero ricordato il suo nome! Sorridendo la strinse con più forza a sé. Era così sollevato. Non era successo niente. Shinan stava bene. Stava bene. Però, cosa le era successo? Perché era così confusa inizialmente? Doveva capire. Doveva capire cosa stava succedendo lì, doveva capire perché si trovavano lì. Ma non fece in tempo. Accadde tutto in un istante. Non avrebbe mai potuto fare in tempo. Vide la piccola perdere ogni colore, la pelle ingrigirsi e seccarsi mentre diventava ruvida pergamena. Non riusciva ad emettere alcun suono se non un rantolo strozzato. Quello non poteva esser vero. Non poteva. Non poteva. Non poteva. Come foglie morte al vento, la sua felicità venne spazzata via in pochi istanti. All’improvviso urlò. Disperato scosse Shinan per le spalle, tentò di farla tornare com’era prima. La strinse al petto, strinse al petto quello che oramai non era altro che uno scheletro di bambino. La pelle, la carne, gli organi erano evaporati. Non rimaneva niente, solo il vestito troppo grande. Solo quel vestito così ingombrante, così inadatto al corpo che fino a pochi istanti prima aveva coperto. Di Shinan rimaneva solo quello. Un vestito. Un vestito sporco di polvere e cenere, sporco dei resti della piccola. Ed anche quello stava iniziando a disintegrarsi. Anche quello, come se fosse stato inghiottito dalle sabbie del tempo, aveva iniziato ad invecchiare, a consumarsi, a lacerarsi e svanire sotto i suoi occhi. Anche quello era evaporato nel nulla. 
Lacrime calde scendevano lungo le sue guance lasciando dietro di loro una scia salata. No. Quello non poteva accadere. Lui non avrebbe dovuto essere in grado di piangere. Lui non avrebbe dovuto essere capace di versare quelle lacrime, di sentire quel dolore nel petto. Lui non poteva.
    Un cigolio sinistro attirò il suo sguardo. 
Di fronte ai suoi occhi, le porte del castello si erano spalancate alzando il sipario su un corridoio bianchissimo, asettico, freddo.
    E lui era lì. Le ginocchia incastrate sotto il corpo, gli stinchi appoggiati sulla lastra fredda.
    Le lacrime continuavano a scendergli lungo le guance, gli occhi erano ancora spalancati, persi nel nulla, indifferenti alla luce che calda lo invitava ad entrare in quel corridoio gelido.
    Era la fine.
    Shinan era scomparsa lì, sotto i suoi occhi, tra le sue braccia impotenti. Era scomparsa senza che lui potesse fare niente.
    E tutto per cosa? Perché erano finiti in quel luogo?! Perché lei era dovuta morire di fronte ai suoi occhi?
    Doveva entrare. Doveva scoprire il perché di tutto quello. Doveva scoprire perché proprio Shinan avesse dovuto scomparire in quel modo di fronte a lui.
    Doveva. Per sé. Per Shinan.
    Doveva.
    Con lentezza, trascinandosi una gamba dietro l’altra, entrò. Le lacrime ancora scendevano lungo le sue guance.
    Aveva compiuto appena pochi passi che le luci sospese ad illuminare l’ambiente si spensero con in sibilo fumoso. Dietro di lui sentì i cardini della doppia porta cigolare mentre le ante di questa graffiavano il pavimento marmoreo. E poi nulla. Il buio. Teso, Ingwe deglutì a vuoto un paio di volte. Le mani gli tremavano. No, il suo intero corpo tremava. Nella sua mente continuava a ripetersi la scomparsa di Shinan. Aveva pura. Era furioso. Non l’avrebbe perdonato. Qualunque cosa si annidasse in quel luogo, qualunque cosa avesse ucciso Shinan non l’avrebbe mai perdonato. Mai.

    Benvenuti, vermi insignificanti.





    Gli dispiaceva dover già contraddire il suo ospite, ma lì di verme insignificante ce n’era solo uno. L’avrebbe uccisa. L’avrebbe uccisa e non solo per Shinan. Chiunque lei fosse. Chiunque fosse la proprietaria di quella voce, lui l’avrebbe uccisa. Però… Sentiva dei respiri vicino a sé. Sentiva che c’era qualcun’altra oltre a lui ed all’eco della voce che ormai si perdeva in lontananza. Forse si era sbagliato. Non riusciva a vedere niente, ma riusciva a sentire. Lentamente in alto sopra la sua, le loro teste qualcosa iniziò a muoversi; istintivamente, teso, si preparò a sguainare Finduilas. Non poteva negare di avere paura. Non poteva negare di avere le mani sudate e le gambe tremanti. Ma, fortunatamente per lui e sfortunatamente per i suoi nemici, non gli serviva nessun arto per maneggiare la propria spada. Doveva solo calmarsi un po’. Ma non poté. In una cacofonia discordante da sopra di lui iniziarono a provenire delle voci. Acute, basse, infantili. Voci diverse, voci appartenenti a decine, centinaia di persone. Con gli occhi spalancati tentava di guardare verso l’alto, di penetrare l’oscurità col proprio sguardo, ma era tutto inutile. Il buio era troppo denso, troppo scuro. Non riusciva a vedere nulla. Eppure, lentamente, assieme al volume delle voci iniziò ad aumentare anche la luminosità dell’ambiente. Ere poca, troppo poca. Non riusciva a capire cosa fosse appeso sul soffitto. Perché c’era qualcosa sul soffitto, di questo era sicuro, ma le sagome erano troppo poco definite per poter capire di cosa si trattasse. All’improvviso qualche goccia calda cadde sul volto del ragazzo facendolo sussultare. Con le mani più tremanti che mai, Ingwe si portò il medio della destra allo zigomo, dove era caduto il liquido. Sospettoso si bagnò il dito e lo avvicinò al naso, cercando di capire di cosa si trattasse. Però era strano. Aveva un odore ferroso, ma non poteva essere… Di scatto si portò la sostanza alla bocca per sputarla subito dopo. Era sangue. Dal soffitto colava sangue! Con orrore riportò lo sguardo sulle sagome oramai fin troppo chiaramente visibili. Cadaveri. Centinaia di cadaveri appesi. Vedeva le bocche spalancate in grida d’agonia, gli arti smembrati, gli spuntoni di ossa che uscivano dalla carne molle, le orbite vuote, gli organi esposti all’aria. Vedeva gli insetti banchettare su di loro, dentro di loro. Vedeva i segni dei morsi di coloro che, in preda alla pazzia, avevano tentato di divorarsi da soli. Vedeva le loro mani, i loro artigli protendersi verso di lui. Li sentiva bisbigliare, pregare, piangere, gemere. Sentiva il loro odore, l’odore della carne morta. E sentiva il sangue. Sentiva il sangue dei cadaveri continuare a gocciolargli addosso, a sporcarlo. E caddero. Come se fossero stati sganciati dal soffitto, caddero su di lui, artigliando i suoi vestiti, urlando, gemendo, sorridendo. Era come prima. Era come prima. Era come quando si era risvegliato fuori, come quando era stato sommerso dai cadaveri. Le mani putrefatte, ricoperte di tagli e ferite infette; gli arti molli, decomposti, scavati da insetti e tempo. E l’odore. L’odore di morte. Quell’odore dolciastro, nauseabondo. Non ce la faceva. Le gambe cedettero sotto il peso dei cadaveri mentre un urlo strozzato faceva fatica ad uscire dalle sue labbra ben chiuse per timore che, esattamente com’era successo prima, qualcuno di quegli esseri avesse l’idea di infilarci dentro le proprie dita. Per la seconda volta in pochi minuti non voleva far altro che vomitare, per la seconda volta in pochi minuti voleva che quello non fosse altro che un brutto sogno e che lui stesse ancora nel suo letto, nascosto sotto le coperte. Incapace di mantenere la propria lucidità mentale, si rannicchiò su se stesso proteggendo la testa sotto le braccia. Voleva che tutto quello finisse, voleva svegliarsi da quell’incubo. Voleva, ma non poteva. Il suo urlo finalmente libero si unì a quello dei non-morti.
    Di colpo, così come se ne era andata prima, tornò la luce. Tutto taceva. Le urla, il tintinnio di catene, lo stridere del ferro. Era tutto scomparso. Lentamente, timoroso di cosa lo aspettasse, alzò lo sguardo. Marionette. Bambole. Sopra di lui, di cadaveri nemmeno l’ombra. Solo imitazioni grottesche di corpi, solo illusioni partorite da quel castello completamente folle. Mostri di una mente malata. Pupazzi privi di arti, altri, invece, con troppe braccia, gambe o teste. Incubi deformi, ma solo incubi. Niente che potesse fargli del male. Con lentezza, ancora tremante, spostò alcuni di quei pupazzi accasciatiglisi sopra, cercando di togliersene almeno un paio di dosso.

    E voi? Cosa siete venuti a perdere?
    Un arto? Uno dei cinque sensi?
    Il senno? La speranza? I ricordi?
    O, forse, la vita?


    Subito, sentendo nuovamente la voce di prima, riparò nuovamente la testa sotto le braccia. Non voleva che iniziasse tutto da capo. Non importava cosa avrebbero pensato di lui gli altri ospiti di quell’incubo. Voleva solo scappare. Perché lui aveva già parlato con la donna che li stava “accogliendo”… Aveva già sentito quel timbro, quella malvagità. Però non riusciva a ricordare. Era troppo scosso, troppo terrorizzato per poter mettere in fila dei pensieri coerenti. Sentiva solo una cosa, una sgradevole sensazione sotterranea di pericolo, come se degli insetti gli stessero scavando sottopelle.

    Vanessa,

    Vanessa. Il nome penetrò la sua mente come una scheggia. Di scatto rialzò il volto. No. Quello non poteva essere vero. Non era solo: Vanessa era lì. Vanessa, la ragazza che si era ripromesso di proteggere. La ragazza a cui teneva più di ogni altra cosa. La ragazza a cui aveva insegnato a volare. Ma non c’era solo lei. No, anche uno strano individuo in armatura si trovava lì. Imponente, altissimo e massiccio, si stagliava in mezzo al corridoio, risaltando contro il bianco accecante delle pareti. E poi lei. Shinan. Per un istante sorrise tra sé e sé, conscio di aver finalmente perso il lume della ragione. Shinan, la bambina che aveva visto dissolversi tra le sue braccia, la bambina che per pochi terribili istanti aveva creduto di essere Noel. Il piccolo fiorellino così forte nonostante l’apparente fragilità. Shinan. E poi, lontani dal piccolo gruppo di ospiti della voce, cadaveri. Veri cadaveri. Gemelli siamesi, abomini gobbi, deformi, mutilati. Mostri che si contorcevano in silenzio a terra protendendosi con un leggero ghigno verso di loro. Tremando riportò la propria attenzione sulle sue compagne. Shinan…

    come stanno mamma e papà?

    Forse, forse, quella non era un’illusione. Forse la Shinan di fronte a lui era vera. Forse Shinan era ancora viva. Lentamente il suo cuore rallentò i battiti. Sì, il suo cuore. Se lo sentiva lì, nel petto, un sussurro debole che gli suggeriva che la Shinan che si trovava lì nel corridoio era vera. Pulsava. Pulsava lentamente. Anche se non era possibile, anche se non poteva crederci fino in fondo, sentiva che qualcosa lì gli stava suggerendo la verità. Ancora scosso si alzò in piedi, evitando di posare lo sguardo sui fantocci privi di vita attorno a loro.

    Proteggono la loro bambina, vero?
    Lei non ha mai avuto una mamma e un papà.
    Sarebbe un peccato se quello stocco, per un qualsiasi motivo, finisse in pezzi, che ne dici?


    Un rumore stridulo riempì l’aria. Era come se qualcuno stesse graffiando con delle unghie su una lastra di ardesia. Sussultando per il dolore acuto alle orecchie si guardò intorno, cercando l’origine di quell’orribile suono. Cosa stava accadendo lì? Cosa voleva fare la loro ospite ai genitori di Vanessa? Cosa c’entravano loro in tutto quello? Un urlo di disperazione lo fece voltare verso sinistra, verso Vanessa. Vanessa che teneva tra le mani il proprio stocco irrimediabilmente frantumato. Vanessa i cui palmi erano stati feriti dalle schegge della propria arma, facendola sanguinare. Vanessa che si era appena accasciata a terra in preda alle lacrime. No. Non l’avrebbe mai perdonata. Mai. Mai. Con uno scatto si avvicinò alla ragazza, aggirando le marionette ancora accasciate attorno a loro. Quella stronza. Perché? Cosa voleva da Vanessa? Perché la stava torturando, perché le aveva distrutto lo stocco? Però, tutto quello non importava. Non in quel momento. Per ora c’era solo la ragazza che, ferita, piangeva. Insicuro, impotente di fronte a tutto quello, non poté far altro che stringerla a sé, incurante del sangue caldo che lo stava inzuppando. Un tocco tiepido raggiunse il suo braccio. Shinan. Anche la bambina si era avvicinata ed ora stava abbracciando Vanessa. Grato per quel gesto, guardò tristemente la bambina negli occhi prima di sillabare, usando solo le labbra, un grazie silenzioso. Forse, se fossero stati uniti, forse, sarebbero sopravvissuti a tutto quello.

    Maxwell, il grande campione che difende gli innocenti.
    Che si fa prendere dalla rabbia, che non riesce a difendere nemmeno la propria famiglia.
    A tal proposito, non credo che la tua Catherine e la sua adorabile sorellina torneranno a casa tutte intere.
    Sempre ammesso che possano tornare a casa.

    Maxwell! Ti prego… no… Maxwell!
    Per la seconda volta la loro ospite si rivolse ad uno di loro. Per la seconda volta minacce risuonarono per l’aria con tono dolce, per spezzarsi alla fine con un urlo disperato. In quel momento, nonostante non conoscesse l’uomo in armatura, perché, dopotutto, di lui si doveva trattare considerando che era l’unico di cui non sapesse il nome, si sentì in pena per lui. Quella donna doveva aver preso in ostaggio la sua famiglia, era stata proprio lei a dirlo. Era stata proprio lei a minacciare, nemmeno troppo velatamente, per giunta, che la moglie e la cognata dell’uomo non sarebbero sopravvissute al Castello. Doveva essere orribile. Non poter fare niente per i propri cari, saperli in pericolo e non poter salvarli. Gli dispiaceva per Maxwell. Tristemente scostò lo sguardo dall’uomo, da quel gigante che sembrava sul punto di scoppiare, e affondò il volto nei capelli di Vanessa. Lo capiva. Era come quando lui aveva perso Rodrick. Era stata colpa sua, colpa della sua stupidità e della sua egoistica fuga. Capiva cosa quell’uomo stesse pensando in quel momento e non lo biasimava. Non sarebbe mai riuscito a biasimarlo per la voglia che aveva di mettere le mani al collo della loro ospite, non lo biasimava per l’odio che stava provando. Non ne aveva il diritto perché anche lui era stato così. Anche lui odiava quel mostro che li aveva portati lì, quell’essere che li stava torturando, così come aveva odiato sé stesso.
    In silenzio versò una lacrima per quell’uomo e la sua famiglia. Tutto quello era orribile. Tutto quello era troppo orribile.

    Shinan, bambina mia.
    Ancora in cerca della luce in fondo alla sporcizia?
    E dentro di te?


    Improvvisamente attorno a loro comparvero gli spiriti della ragazza, gli stessi che aveva visto nel tunnel. Tristi li guardavano pieni di risentimento. Stavano piangendo anche loro, sebbene non versassero lacrime. Anche loro stavano provando una tristezza indicibile, una dolore capace di lacerare il cuore in più frammenti. Qualcosa capace di struggere una persona dall’interno. Con gli occhi spalancati Shinan si staccò da lui e da Vanessa. Ingwe non riusciva a capire, dopotutto quelli non erano i suoi spiriti? Non li aveva evocati in battaglia per aiutarla?

    Hai deluso i tuoi amici, li hai umiliati.

    -NO!- Shinan urlò coprendosi le orecchie con le mani.

    Ti sei dimenticata di loro.

    -No… Non è vero!- La bambina respirava velocemente, in preda al terrore.

    Li hai lasciati da parte.

    -…Basta, zitta…- Lacrime iniziarono a scendere lungo le guance dell’erica.

    E sei qui per qualcuno che a malapena sa che esisti.

    -…Basta…- Non poteva. Non avrebbe tollerato quello spettacolo un secondo di più. Non lui. Non mentre la donna faceva così male alla sua amica. Quello era qualcosa che semplicemente non riusciva a tollerare. Furioso si alzò in piedi, sciogliendo l’abbraccio di Vanessa. Quello era troppo. Come osava?! Come osava fare quello?! Nemmeno se fosse stata una dea scesa in terra, nemmeno se fosse stata la creatrice dell’universo ne avrebbe avuto il diritto. Quelle parole, quelle mostruosità che continuava a vomitare erano insopportabili. Arrabbiato ed allo stesso tempo terrorizzato digrignò i denti, pronto a rispondere a quell’entità. Ma non fece in tempo: era arrivato il suo turno.

    E Ingwe.
    Caro, stupido, inutile, insignificante, lurido pezzo di sterco animale marcio.
    Hai qualche altro insulto da rivolgermi?
    Volevi uccidermi, no? Volevi spaccarmi la testa, o qualcosa di simile.


    Oh, sì. Aveva davvero tanti insulti da rivolgerle e sì, voleva davvero ucciderla, voleva spaccarle la testa. Voleva farle male. Quella era la terza volta che si sentiva così in tutta la sua vita. Voleva fare del male alla proprietaria della voce, così come voleva farne all’assassino di sua sorella e a… Noel. All’improvviso il ricordo di insetti striscianti lo investì in pieno. Lui… Aveva capito dove avesse già sentito quella voce. E aveva paura. Se quella era la verità, allora… No, non poteva essere. Noel non poteva essere lì, non poteva essere lei la proprietaria della voce. Però tutti i pezzi combaciavano. Le illusioni all’entrata, quell’umorismo macabro, il sarcasmo, la supponenza. Tutto sembrava riportare ad una sola conclusione. Era così ovvio, perché si sarebbe trovato lì, altrimenti? Perché lui e Shinan sarebbero stati lì se non fosse stato per il piacere di Noel. Li avrebbe torturati. Quello era un incubo.

    Quanta eleganza, complimenti. Contro una ragazzina indifesa.
    Avresti anche voluti strozzarmi, credo.


    Dubitava seriamente che Noel si potesse considerare indifesa a quel punto. Tremava, la bocca socchiusa le braccia molli, abbandonate sui fianchi.
    Voleva implorare pietà. Doveva. Ma non per lui. Per loro. Per Shinan, Vanessa, l’uomo e la sua famiglia. Se davvero voleva qualcuno da torturare, che avesse lui, allora, ma non loro. Loro dovevano restarne fuori. Improvvisamente sentì una stretta alla gola, come se qualcuno lo stesse soffocando. Sentiva qualcosa risalire da dentro, farsi strada nel suo corpo, qualcosa di sporco, di malato, di morto. In preda ai conati ed alla mancanza d’aria si accasciò a terra. In quel momento non esisteva più nulla se non la nausea. Voleva morire. Era orribile. Era davvero orribile. Il volto stava velocemente assumendo una sfumatura paonazza mentre il ragazzo, disperato, si era portato le mani al collo, tentando di rimuovere qualunque cosa stesse bloccando l’aria. Ma non poteva. Era dentro. Non importava quello che facesse. Era tutto inutile. Tutto. E nel frattempo l’incubo continuava la sua ascesa, lo sentiva arrampicarsi nella trachea, farsi strada in bocca, graffiargli le guance. Sentiva il sapore di decomposizione e di sangue marcio. L’acido tornò ad inondargli la gola fino a raggiungere l’ospite indesiderato che, disturbato, si scosse leggermente, causando altri conati. Non sentiva più nulla. Vanessa, Shinan, l’uomo in armatura. Nessuno di loro esisteva più. Finalmente dalla sua bocca, contratta, uscì, assieme ad un po’ di vomito e sangue, una mano. Alla vista di quel mostro raggomitolato su se stesso come un ragno morto, gli venne da espellere nuovamente ciò che aveva nello stomaco. Anche se, grazie al periodo di convivenza con Failariel, era abituato a vedere mutilazioni e cadaveri, quello era semplicemente orribile. Quel mostro era stato staccato brutalmente all’altezza del polso lasciando brandelli di pelle ed osso a penzolare dalla ferita. Vomitò di nuovo. Stringendosi le mani attorno allo stomaco, vomitò di nuovo.

    Che marmocchio vergognoso.

    La mano scomparve nel nulla, dissolvendosi in sangue e vomito. Ingwe, stremato, si accasciò tremante accanto alla pozza di liquidi che si era creata davanti a lui.

    Cosa direbbero Merenwen, Roderick, Failariel sefossero qui a guardarti?
    Ma anche tutti gli altri intorno a te, piccolo insetto.
    Chissà cosa pensano di te.


    Non gliene importava nulla. Voleva solo andarsene. Voleva solo scappare, rintanarsi sotto le coperte a Radiant Garden e piangere. Voleva piangere finché non si fosse disidratato. Ma non ne aveva la forza. Attorno a lui non c’era altro che vomito scarlatto e un fischio attutito. Un rivolo di sangue continuava a colare fuori dalle labbra a causa dalle ferite create dalle unghie di quel mostro nella sua bocca. Di fronte ai suoi occhi un manichino si alzò in piedi, vomitando olio e tendendo la mano verso di lui. Non erano così dissimili, anche di statura più o meno dovevano essere uguali. Sorridendo lo vide esplodere in mille pezzi. Schegge affilate rimbalzarono sul suo volto senza però ferirlo.

    Il gioco è semplice, miei amati ospiti.
    Dovete solo arrivare in fondo al castello.
    Non si torna indietro in nessun caso. Scegliete la vostra porta e cominciate la scalata.
    Se volete salvare chi vi è caro. O salvare la pelle.


    Lui non voleva salvare la propria, voleva solo aiutare Shinan e Vanessa. Voleva solo che la famiglia di quell’uomo non venisse uccisa. Voleva che non capitasse niente a coloro a cui teneva. Era egoista da parte sua desiderare di non perdere nessun altro? Lentamente, lo sguardo ancora vacuo si mise a sedere. Gli girava la testa, se la sentiva pesante, troppo piena. Attorno al suo corpo sentiva i tocchi leggeri delle sue amiche.

    Ah, lasciate che vi dia un ultimo consiglio spassionato: a meno che non vogliate attaccarvi l’un con l’altro, è meglio per voi che avanziate da soli.

    Non si era nemmeno accorto della comparsa delle porte. Era totalmente devastato, aveva sentito solo lei, solo Noel. Non che in quel momento stesse molte meglio. Con un certo sollievo sentì la presenza della voce affievolirsi, non si era reso conto di quell’ansia impressa nell’aria, di quella paura sottile che aleggiava attorno a quartetto. Di scatto tutti i manichini ed i cadaveri grotteschi si alzarono in piedi, inchinandosi di fronte a loro. Le schiene delle bambole si spezzarono mentre quelle dei viventi, sempre che così si potessero chiamare, vennero lacerate in più punti, rendendo ben visibile la carne marcia sotto alla pelle rossa di sangue. Per un secondo, un conato lo scosse dalla testa ai piedi. Non si sarebbe mai abituato quello. Non ce l’avrebbe mai fatta. Mai. Attutito, come se provenisse da un luogo molto lontano, il rumore di metallo contro il pavimento lo costrinse a girarsi. Per un’istante aveva temuto si trattasse di una nuova tortura, ma non era niente di tutto ciò: l’uomo in armatura aveva iniziato a dirigersi verso una delle porte. 
Stupido. Non capiva che era una trappola, che non ci si poteva fidare di quello che diceva? Sì, consiglio spassionato un corno, li voleva separare per evitare che potessero essere una seria minaccia per lei. Voleva separarli per farli sobbollire nel dubbio e nel timore di quello che stava succedendo agli altri. Come poteva essere così ingenuo?!
-NO!- Senza accorgersene aveva urlato. -Ti fidi davvero di quello che ____!- Cosa… era quello? Sputacchiando tossì nuovamente mentre la sensazione di avere qualcosa che gli risaliva per la gola gli impedì di pronunciare il nome di Noel. Impaurito si portò una mano al collo, come per controllare che non stesse accadendo di nuovo, ma già nel momento stesso di compiere quell’atto la sensazione era passata. Titubante concluse la frase -...dice?! Non puoi andare da solo…-
    Preoccupato e seriamente in pena per l’uomo, alzò lo sguardo su di lui. Non poteva vedere niente. Non capiva niente. Sotto quell’armatura così particolare non si vedeva nemmeno il volto. Solo una fredda lastra di metallo.
    -Non... Cambierebbe nulla.-
    Sorpreso da quella presa di posizione Ingwe si voltò verso la vittima più giovane.
    -La Volontà…-
Da quand’era che Noel si chiamava Volontà?! Leggermente alterato da quella presa di posizione della bambina la guardò socchiudendo leggermente gli occhi. Non capiva quanto fosse importante restare uniti in una situazione simile?
-Lei non ha alcun motivo di mentire: non le interessa nulla di noi, né di quello che siamo venuti a fare. Vuole solo vederci soffrire.-
    Certo, il fatto che li volesse vedere soffrire era senz’ombra di dubbio vero, tuttavia… Non potevano essere sicuri che stesse dicendo la verità. Dopotutto chi gli garantiva che non li volesse dividere solo per farli stare in ansia per i propri compagni, per usare timore che fosse successo loro qualcosa come un ulteriore tortura?
    -Lo ha detto, non è vero? Questo... è solo un gioco. Un gioco che lei ha vinto fin dall’inizio.-
    -Shinan…-
    Non le aveva mai sentito uscire di bocca parole così disperate… Certo, non era mai stata una bambina solare o allegra, ma così era troppo. Sembrava davvero aver abbandonato ogni speranza, come se davvero non ci fosse più alcuna via d’uscita da quell’incubo…
    -Non… Non dovreste andare da soli…-
    Come se si fosse improvvisamente destata, Vanessa si rivolse all’uomo in armatura. Avrebbe dovuto ringraziarla per quelle parole, per starlo sostenendo nella sua “battaglia”. Girandosi verso di lei le sorrise grato. Almeno la ragazza sembrava essere ancora dotata di buon senso…
    -Io... Io ho paura.-
    Ma Shinan non sembrava intenzionata a cedere. Era… triste sentirla parlare in quel modo. Era come se ad ogni parola uscita dalla sua bocca un macigno pesante andasse a schiacciargli il petto. Ed il peso si stava facendo troppo pesante.
    -So a cosa farà appiglio, so quali sono le mie debolezze. Mi farà molto male, più di tutto quello che ha già fatto. Vorrei restarmene ferma qui, scappare di nuovo a casa, però... Anche ora, il ricordo è solo vago, come se fosse un sogno, gli anni in cui non sono stata da sola, i più felici della mia vita. Tutto quello che mi è rimasto di quei tempi... è il desiderio di aiutare gli altri.- Determinata la bambina si alzò in piedi, stringendo la mano su una pendente adagiato sul petto. -____ è qui, da qualche parte, ne sono sicura, e ha bisogno di aiuto. La Volontà potrà farmi del male, potrà far leva sulle mie peggiori debolezze, ma nulla sarebbe peggio della consapevolezza di aver abbandonato "lei". Ingwe, Vanessa, so che a voi sembrerà stupido e suicida, ma questo è l'unico modo di vivere che conosco. Per questo voglio andare da sola, non voglio trascinarvi per la mia testardaggine e... e soprattutto, non voglio che vediate come sono veramente…-
    Odiava quei discorsi. Li odiava dal più profondo del proprio cuore e la cosa ridicola era che anche lui ne aveva fatti, anche lui, quella sera a Radiant Garden, aveva tentato di tenerle fuori dai guai, lontane dalla guerra. Per pochi frammenti di secondo l’immagine del tunnel si sovrappose a quella del corridoio bianco. Il Biofago, le urla, la marea di persone che scappavano, scappavano, scappavano e non pensavano che a se stesse. L’egoismo dei suoi simili, di persone esattamente come lui. E la battaglia. Il suo crollo, la paura, il senso di colpa. Li odiava. Li odiava quei discorsi. Non avrebbe mai permesso che Shinan temesse che loro cambiassero idea su di lei. Perché si fidava così poco di loro? Perché continuava ostinata a credere che l’avrebbero giudicata? Ridicolo.
    -No… Non mi importa di cosa tu possa essere veramente, non m’importa nulla di tutto quello. Tu sei tu.- Con un gesto affettuoso le accarezzò la guancia, tentando di rassicurarla, di farle capire che quello che diceva era vero e non una stronzata inventata lì per lì per farla restare con loro. -Niente potrà farmi cambiare idea… Io ti voglio bene, come, come ne vorrei ad una…-
    Una sorella. Cercando di trattenere le lacrime interruppe un secondo il suo discorso. Stava proprio andando a rivangare quei ricordi, quelli che aveva cercato di seppellire con così tanta tenacia. I gesti, il profumo, la parlata spiccia eppure gentile. Si sentiva ridicolo, si sentiva come se la stesse imitando. Anche lo sfiorare la guancia con le dita era una caratteristica di Merenwen. Che cosa buffa. -Tu lo sai, vero? Niente potrebbe farmi cambiare idea su di te, tu non sei malvagia, anzi, sei la persona più altruista che i conosca, quindi ti prego, ti prego, non farmi questo. Non andartene da sola incontro a… Lei. Non potrei mai perdonarmelo. Ti prego.- Certo che era raro riuscire ad estorcergli discorsi così sinceri. Shinan doveva proprio aver fatto breccia nel suo cuore.
    Shinan, Vanessa. Quanto doveva a loro? Cosa si era creato durante quella notte, durate quei pochissimi giorni trascorsi da quando si erano conosciuti? Un sorriso umido si creò sulle sue labbra mentre, lente, delle gocce salate scendevano dai suoi occhi. E lui avrebbe dovuto far loro da pilastro, avrebbe dovuto aiutarle, sostenerle? Non era adatto a quel ruolo.
    -…Credimi Shinan, vorrei fuggire da qui.- Con lo sguardo ancora sfocato alzò gli occhi verso la ragazza di fronte a lui. Le voleva bene. Le voleva bene in un modo diverso da Shinan, in un modo più tenero eppure più impetuoso. Il volto giovane, fresco, i capelli argentati, le labbra rosee, gli occhi chiarissimi. Conosceva quasi ogni dettaglio di quel viso alla perfezione. Non sapeva il perché. Sapeva solo che non si sarebbe mai stancato di osservarla. Di guardare la morbida curva delle labbra, le guance rosee, le ciglia lunghe e chiarissime che solo in controluce si riuscivano a distinguere bene… Era qualcosa di cui si era accorto solo poco tempo prima, solo dopo averle insegnato a volare. -Girarmi e correre via da quel portone. Ma non abbandonerò le uniche persone che mi sono rimaste al mondo... Ho paura, ma voglio risposte e voglio proteggere chi amo.- La ragazza abbassò il capo, affranta, triste come qualche giorno prima, come quella mattina… -fin’ora, non ho fatto un buon lavoro…- Per un istante i loro occhi si incontrarono. Smeraldo ed Acquamarina. Un abisso in cui sarebbe potuto cadere per sempre. -Non voglio perdere anche voi! Voglio starvi affianco!-
    Senza nemmeno rendersene conto Ingwe si ritrovò stretto alle due compagne. Nemmeno lui voleva perderle. Lui, così come Vanessa, voleva restare loro affianco, voleva sorridere e scherzare, voleva vivere con loro, crescere, fare una vita normale, superare quegli incubi che si erano ritrovati a condividere. Non voleva che loro tre morissero. Non lì, non in quel momento. Voleva godere della tranquillità quotidiana, voleva essere normale. Voleva che gli Heartless non fossero mai esistiti, che Noel non fosse mai esistita. Voleva questo. Era egoista per caso? Era davvero un caso così disperato da non capire che quello era sbagliato? No, non credeva, perché quello che desiderava non era sbagliato, quello che desiderava era giusto. Cosa avevano fatto loro per meritarsi tutto quello? Voleva sapere il crimine che avevano commesso.
    -Commovente... ma per me non è una questione di rivelare chi sono o roba del genere, al momento.-
    Per la prima volta Ingwe sentì la voce dell’uomo. Era bassa, triste, rassegnata. Non poteva fare nulla per lui. Non lo conosceva e non poteva costringerlo con la forza a non proseguire… Un conto era tentare di fermare due ragazzine, un altro era tentare di bloccare un gigante di più di due metri capace di sopportare il peso di un’armatura completa. -Non sono uno facile da gestire sotto pressione. Voi fate come volete.-
    Naturalmente. Impassibile il ragazzo annuì. Non poteva fare nient’altro che augurargli tutta la fortuna del mondo. Sperava davvero che quell’uomo sarebbe stato capace di salvare la sua famiglia. Lo sperava dal profondo del cuore.
    -Ingwe, sono felice, felicissima di sentirlo, ma ti prego, non dire altro: io ho deciso... No, è l'unica scelta che mi è stata data, e non voglio che tu la renda ancora più difficile.- Sospirando si voltò nuovamente verso Shinan, non voleva ricominciare da capo. Perché nonostante tutto le sue parole non riuscivano realmente a raggiungerla? Perché si ostinava a percorrere quel sentiero dell’autodistruzione? -Posso contare su di te, vero? Posso contare... Che qualunque cosa succeda... Voi due sarete felici assieme, vero?-
    Cosa significava quel discorso adesso? cosa intendeva dire con “Felici assieme”?! Imbarazzato e rosso in volto abbassò lo sguardo verso il terreno.
-N… Non è come… Pensi…-
    Stava fraintendendo tutto.
    Ancora rosso in volto, alzò lo sguardo in modo da risponderle per le rime, ma lei non c’era più. La bambina si era fatta strada verso una delle porte. Reprimendo un ringhio il giovane si alzò in piedi, seriamente innervosito da ciò che Shinan voleva fare. Non glielo avrebbe permesso, non lì, non in quel momento. Non l’avrebbe lasciata da sola. Con gesti nervosi, in modo da fermarla prima che raggiungesse una delle porte, si affrettò ad alzarsi in volo ottenendo, però, l’unico risultato di inciampare e cadere in avanti. Non ci riusciva. Non riusciva a volare. In un misto di terrore, sorpresa e nervosismo si rialzò in piedi facendo perno sulle braccia. Ma era troppo tardi: Shinan era già scomparsa dietro ad una delle porte…
Perché?! Perché doveva fare così ogni volta?! Anche a Radiant Garden, anche lì, nonostante l’intervento della keyblader, aveva continuato a fare di testa sua, a mettere gli altri prima di sé. Ma non capiva? Non capiva che se lei fosse morta lui ne sarebbe stato distrutto? Se davvero teneva più agli altri che alla propria incolumità perché allora faceva così con lui? Con un sorriso triste si voltò verso Vanessa. Almeno loro due stavano ancora assieme. La dovevano raggiungere. Non potevano lasciarla sola.
    -Andiamo-
    Privo di insicurezze e dubbi le prese la mano. Dovevano restare uniti. Un sussulto interruppe il filo dei suoi pensieri. Allarmato si voltò verso Vanessa per capire cosa avesse, ma la risposta era tra le sue mani. Senza volerlo le aveva stretto il palmo proprio sulle ferite lasciate dallo stocco. Triste per la sua mancanza, letterale, di tatto, lasciò la presa. Era stato uno stupido indelicato. Lei era stata la prima vittima di Noel, la prima a venire torturata in quel Castello. Doveva fare una cosa. Facendo attenzione a non farlo strofinare per terra, sfilò il destro dalla manica del cappotto. Per fortuna non era caduto nel suo stesso vomito, quindi i suoi vestiti non si erano sporcati troppo, anche se, ad essere sinceri, la giacca era intrisa del sangue lasciato da Vanessa quando si erano abbracciati e da quello finto, o almeno così sperava, delle marionette. Lentamente, cercando di essere più preciso possibile, prese le misure. Quelle ferite non erano proprio bruttissime, ma era sempre un bene evitare le perdite di sangue ed una possibile infezione. Con mano ferma, facendo uso della magia, tagliò la manica della sua maglietta poco più in alto del suo gomito per poi ridurre il pezzo di stoffa ottenuto in due striscione più minute.
    -È tutto apposto, non c'è bisogno che badi a me... L'importante è che tu stia bene… -
    Tenendosi una delle bende rudimentali appena create in bocca, imbarazzato e leggermente rosso in volto, rispose con tranquillità.
    -Sto bene, sto bene, ma tu sei ferita e voglio fare quello che posso, anche se non sono Shinan. Comunque non ti preoccupare di questi, dopotutto sono solo vestiti. -
    Lentamente, stando attento a non far male a Vanessa, fasciò le piaghe sulle mani della giovane. La stoffa si tinse quasi immediatamente di rosso, ma almeno il sangue colava meno di prima. Soddisfatto osservò il proprio lavoro, ma, prima ancora che potesse chiedere se le bende erano troppo strette, la ragazza gli si gettò addosso. Timidi si abbracciarono nuovamente. Era calda e profumava di fiori e di primavera. Forse quell’odore era solo frutto della sua immaginazione, ma non importava. Era piacevole, molto.
    Con lentezza si sciolse dalla presa della giovane. Dovevano andare. 
Mano nella mano si incamminarono verso la porta dov’era entrata Shinan. Dovevano raggiungerla e, sebbene quei momenti fossero stati piacevoli, a causa di questi lei probabilmente li aveva già distanziati di molto. Con la sinistra il giovane spinse sulle doppie ante in modo da spalancarle e raggiungere la loro amica, ma queste non si aprivano. Leggermente innervosito provò a spingere con più forza, ma, testarde, quelle non accennavano a muoversi. La porta era chiusa. Non potevano entrare. Il dubbio s’insinuò nel petto del giovane. Se non potevano entrare, come l’avrebbero raggiunta? Forse, anche se non ne era sicuro, c’era un altro modo. Sospirando guardò le aperture ai suoi alti. Forse, se erano fortunati, in dietro ad una delle porte si trovava un bivio che li avrebbe riportati dove stava Shinan. Doveva solo scegliere. Destra o sinistra? Non poteva sapere cosa si trovava dietro a quelle porte, la scelta era totalmente casuale. Sospirando, incerto, volse lo sguardo nervosamente su entrambe le aperture. E sinistra fu. La destra non lo ispirava, era come se dentro di sé qualcosa gli stesse suggerendo che quella non era la direzione giusta… Sospirando stancamente s’incamminò verso la porta scelta. Con una leggera spinta le ante azzurre si aprirono davanti a loro. Un corridoio bianco si estendeva fin dove l’occhio poteva arrivare. Nessun segno distintivo, nessun fregio, nessun dettaglio, nessuna crepa. Solo una luce fredda e troppo luminosa.
    -Andiamo… -
    Deciso a trovare Shinan quanto prima, superò la soglia. Però non aveva fatto nemmeno un passo quando cadde in avanti sbattendo violentemente contro il suolo. Qualcosa lo aveva spinto, qualcosa lo aveva fatto cadere, lo stesso qualcosa si era inserito tra lui e Vanessa e li aveva separati. Era stato un lampo, come se una stretta fredda si fosse generata tra le loro dita e le avesse allontanate con forza. Non aveva nemmeno opposto resistenza a causa della sorpresa e della velocità con cui si era compiuto il fatto. Di scatto, temendo il peggio, si voltò dietro, ma le porte, più veloci di quanto si sarebbe mai potuto aspettare, si erano già chiuse. Ebbe solo un ultimo scorcio di capelli argentati e poi più nulla. Era in trappola, da solo, separato da Vanessa e da Shinan. Poteva solo avanzare. Terrorizzato, si voltò in avanti verso il fondo del corridoio che, all’improvviso, non era più così tanto luminoso.


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    In a torrent of destruction
    keep your head above the mayhem
    Clarity will be your weapon
    As the blinded falter and die.




    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima. [Passiva inferiore.Fateful - Autoconclusiva]
    Usato dominio elementare a costo nullo.
    EDIT: Correzione font, grammatica ed immagine.




    Edited by pagos - 13/1/2015, 22:43
     
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  9. Vanessa Galatea
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    In quel limbo nero, sembrava che il tempo non scorresse. Come se il castello che osservavo fosse stato lì da sempre, come se la strada di roccia esistesse e basta, senza nessuno sviluppo possibile, senza alcun futuro o passato. Un luogo bloccato in un'istantanea: il castello stava crollando, il sentiero si sgretolava, ma nulla sarebbe mai andato avanti. Un fotogramma unico, isolato dal resto della sequenza, destinato a rimanere lì per sempre. Il grande portone chiuso del maniero non si sarebbe aperto facilmente, ma ci avrei messo ogni singola scintilla di forza che il mio corpo aveva. Lo avrei spinto, tirato, scardinato dai cardini, se necessario... Sapevo bene perché lo facevo, la mia mente era proiettata solo verso di lui. Solo verso quel ragazzo che non avrei mai potuto dimenticare. Solo verso il mio maestro di volo dagli occhi smeraldini. Solo verso Ingwe. Quel sentimento, quello strano calore che mi aveva conquistata a Radiant Garden, quella felicità che solo con lui avevo provato... Avrei fatto di tutto per lui, persino radere al suolo quel castello, se ce ne fosse stato il bisogno. Feci qualche passo. Non avrei perso anche lui... Appoggiai una mano sul portone. Nell'esatto istante in cui lo feci, una forte luce mi abbagliò, costringendomi a portare la mano sugli occhi, tenendo lo stocco saldo nell'altra: era una luce strana, abbagliante, bianchissima. Sembrava trascinarmi verso l'interno del castello, quasi afferrandomi con una potente presa invisibile, legandomi con delle catene d'aria. Questa forza innaturale era strana, la sentivo calda, quasi accogliente sulla pelle, ma al contempo percepivo una strana freddezza fasulla. Le mie gambe quasi si mossero da sole, andando verso il portone ora spalancato. La luce mi accecò per un po', riuscivo a vedere solo il bianco. Poi, tutto d'un tratto, un tonfo. Sbam. Il portone s'era chiuso dietro di me, lasciandomi immersa in un'oscurità innaturale, quasi come la luce provenisse dall'esterno ed avesse smesso di entrare con la chiusura della soglia... Ma come era possibile? Fino a pochi secondi prima la luce sembrava uscire dall'interno del castello... Ero confusa, ma di certo non potevo pensare a quello. Non in quel momento. Non quando una voce echeggiante cominciò a parlare.

    Benvenuti, vermi insignificanti.

    Vermi insignificanti? Stava parlando di me? Al plurale... Forse c'era qualcun'altro, lì, ma l'oscurità era praticamente impenetrabile. La mia vista, ancora lesa dall'abbagliante flash di luce bianca, non riusciva comunque a mettere a fuoco nulla. Ed, anche se ci fosse riuscita, non avrebbe scrutato altro che buio pesto. Mi girai sul posto, fallendo anche a riprendere visione sul portone, ormai inglobato dall'oscurità più totale. Nel girarmi, persi completamente il senso dell'orientamento... Non avrei saputo dire in che direzione ero rivolta. Le uniche direzioni che riuscivo a riconoscere erano l'alto ed il basso, perché la sensazione di avere un pavimento sotto i piedi era rimasta... E da sopra la mia testa, sentivo delle voci. Giusto il tempo di rendermene conto e fui sommersa. Dalla mia gola uscì un urletto strozzato, mentre quelli che ancora non riuscivo ad identificare come cadaveri mi crollavano addosso, da appesi al soffitto che erano. Erano viscidi, umidi, vomitevoli. Sentivo l'odore di morte, il sapore acre della putrefazione sin nelle papille gustative. Mi afferravano per le braccia, mi strappavano i vestiti, mi tiravano i capelli con le loro grinfie sanguinolente. Non riuscivo ad urlare, ma se avessi potuto l'avrei fatto. Tutto ad un tratto, avevo perso anche l'orientamento riguardo l'alto ed il basso: annaspavo nella direzione che pensavo fosse l'alto, immersa nella fossa comune, sperando di uscirne. Ma quel dedalo di carni marce sembrava infinito. Mi tappai gli occhi, sperando che finisse. Poi, tutto ad un tratto, l'inferno cessò. I cadaveri smisero di contorcersi, smisero di bramare le mie carni e giacquero immobili. Mi ritrovai sommersa da fantocci senza vita, marionette grottesche e mostruose. Rimasi lì raggomitolata, paralizzata dallo spavento, poi timidamente tentai di emergere dal mucchio di burattini orridi che mi aveva coperta. Erano orribili, sembravano usciti da un incubo febbricitante. Esseri ambigui, mezzi donne e mezzi uomini, gemelli siamesi. Un conato di vomito mi vinse, mentre provavo a rimettermi in equilibrio sulle gambe tremanti. Ma non potevo dare di stomaco, non dopo essere venuta a conoscenza che con me c'erano altre persone... Forse gli altri "vermi insignificanti"... Tra tutti, un uomo enorme dall'armatura imponente, che però passò in secondo piano: per me, vedere sia Shinan, che Ingwe in quella situazione fu terribile. Ingwe era davvero lì, anche se una piccola parte della mia coscienza sperava che quella di Archaya fosse una menzogna... Ma Shinan, cosa ci faceva la piccola Shinan lì? Perché erano stati tirati in una cosa simile? Volevo urlargli, avvertirli, ma le parole non vollero uscire. Non dopo quell'esperienza.

    E voi? Cosa siete venuti a perdere?
    Un arto? Uno dei cinque sensi?
    Il senno? La speranza? I ricordi?
    O, forse, la vita?


    No. Non poteva voler fare del male ad Ingwe e a Shinan. Ed anche all'uomo in armatura, no. Che le marionette fossero un monito? Sarebbero finiti tutti come quei fantocci mostruosi? Pensieri che neanche volevo contemplare, ma che si insinuarono nella mia mente come i vermi che abitavano le carni di quei cadaveri che poi, tutto ad un tratto, erano diventati marionette. Non volevo pensarci, ma più mi imponevo di non visualizzare quelle immagini nella mia mente, più quelle diventavano nitide... Ed, in qualche modo, sembravano reali.

    Vanessa, come stanno mamma e papà?
    Proteggono la loro bambina, vero?
    Lei non ha mai avuto una mamma e un papà.


    Stava parlando con me? La voce che sembrava artefice di tutto quello? Come sapeva il mio nome? I miei genitori, poi... Come poteva essere? Spiazzata, mi alzai in piedi, le gambe tremanti, lo stocco stretto nella destra...

    Sarebbe un peccato se quello stocco, per un qualsiasi motivo, finisse in pezzi, che ne dici?

    No.
    Sentii l'arma vibrare sempre di più. Urlai. La fissai, inorridita, scoprendo che l'elsa si stava riempiendo di larghe schegge di metallo. Apparivano dal nulla, conficcandosi anche nella mia carne, provocandomi un dolore acuto. Ma non potevo provare dolore in quel momento, non potevo allentare la presa! La spada... La spada si stava frantumando. Vibrava e si scheggiava sempre di più, finché, con uno stridio metallico innaturale ed orrendo, si spezzò in milioni di schegge, che si riversarono sul pavimento. Insieme a loro, io sulle ginocchia, in preda ad una crisi di pianto. L'avevo persi, tutti e due. Mamma e Papà. Tutti e due in un colpo solo, erano bastate poche parole di quella voce per ucciderli di nuovo. Non avevo potuto nulla, avevo lasciato la presa sulla spada solo quando ormai non si poteva più definire tale. La mia mano destra sanguinava, lambita da tagli netti generati da schegge ora scomparse nel nulla, anche se fino a pochi secondi prima erano ben conficcate nella carne. Le mie lacrime bagnavano i detriti dell'arma, mescolandosi al mio passato che, in un solo orribile istante, s'era frantumato in polvere metallica. Ingwe e Shinan mi raggiunsero,il ragazzo mi strinse a se. Era inzaccherato di sangue. Non sapevo veramente cosa fare, l'unica cosa che facevo era continuare a piangere, osservando i frammenti dello stocco sul pavimento. Era la fine di quello di bello che mi rimaneva del suo passato.
    Piansi a dirotto per quella che sembrò un'eternità... La voce parlava, ma io non riuscivo più ad ascoltarla. Era semplicemente finita, non avrei mai potuto concepire una vita da lì in avanti. Riuscii a sentire il nome di Shinan: la piccola urlava disperata. Stavano soffrendo tutti ed io ero lì a piangere. Ingwe sciolse l'abbraccio in cui mi cingeva e si alzò al sentire Shinan soffrire in quel modo. Rimasi ancora un po' in quello stato, incapace di fare nulla: la mia esistenza stava per autodistruggersi...
    Quando sentii Ingwe rantolare. Alzai lo sguardo e non lo vidi, dovetti riabbassarlo per trovarlo accasciato per terra, incapace di respirare. Qualcosa si mosse dentro di me, riuscii a gattonare verso di lui, non riuscendo ad emettere alcun suono per la paura. Lo vidi sputare una mano morta, assieme a succhi gastrici e sangue. Una mano amputata di netto, ancora grondante sangue e dai brandelli di carne penzolanti. Il povero Ingwe era in preda ad un convulso rigurgito, ridotto malissimo. Aveva bisogno di una mano, un aiuto che io non potevo dargli. Ero disperata, stava per dissolversi anche lui come i miei genitori ed io non potevo fare nulla! "Shinan! Ti prego! Aiutalo!". La mano morta che s'era fatta strada tra le viscere di Ingwe si dissolse. Ricordavo bene come Shinan fosse stata capace a Radiant Garden di strabilianti magie curative. Ingwe ne aveva bisogno, in quel momento... Io avevo bisogno che lo curasse, la supplicai in lacrime.

    Che marmocchio vergognoso.

    Lascialo stare. Lascialo stare subito. Un manichino esplose poco distante, ma la mia mente era solo incentrata su di lui.

    Cosa direbbero Merenwen, Roderick, Failariel sefossero qui a guardarti?
    Ma anche tutti gli altri intorno a te, piccolo insetto.
    Chissà cosa pensano di te.


    Stava parlando della famiglia di Ingwe? Cosa avremmo dovuto pensare di lui noi presenti? La mia mente non riusciva ad ottenere più risposte, neanche le lacrime sembravano voler ricominciare a scendere lungo le mie guance. Ero completamente inibita, incapace di reagire. Internamente, nel mio profondo, mi stavo prendendo a schiaffi da sola. Perché non riuscivo a reagire?! Sapevo bene il motivo ma... Perché. Perché mamma e papà s'erano dissolti come lo stocco, ecco perché. Le loro memorie persistenti s'erano sgretolate. La voce stava davvero facendo tutto questo ad ognuno dei presenti? Perché far soffrire tutti in quel modo? Tante domande, nessuna risposta.

    Il gioco è semplice, miei amati ospiti.
    Dovete solo arrivare in fondo al castello.
    Non si torna indietro in nessun caso. Scegliete la vostra porta e cominciate la scalata.
    Se volete salvare chi vi è caro. O salvare la pelle.


    E quindi era un gioco? Un'insulsa partitina al gioco dell'oca? Come poteva dire una cosa simile? Quella voce non aveva nulla di umano, ormai mi era chiaro. Era un'entità malvagia, cattiva, se era stata capace di quello che aveva fatto fino a quel momento. Li aveva messi tutti in ginocchio. Ci aveva messi tutti in ginocchio. In pochi secondi, era riuscita a ridurmi ad una crisalide vuota ed abbandonata, priva d'ogni contenuto. Era così che mi sentivo in quel momento... Ingwe e Shinan ridotti in quello stato, lo stocco in mille pezzi. Se disfai i pezzi di un puzzle, sarà sempre possibile in qualche modo ricostruire l'immagine completa, ma se dai fuoco ai componenti e lasci che non rimangano ceneri a terra... Scegliere una porta? Delle porte erano comparse davanti a noi, erano dodici. Le notai solo per un istante, perché all'improvviso le marionette si alzarono di nuovo, inchinandosi in maniera innaturale e grottesca, per poi ripartire verso il soffitto. Quell'inquietante teatrino mi spaventò di nuovo: temevo che potessero arrivare altre torture.

    Ah, lasciate che vi dia un ultimo consiglio spassionato:
    a meno che non vogliate attaccarvi l’un con l’altro,
    è meglio per voi che avanziate da soli.

    Da soli.

    Avanzare da soli. Una cosa che mi terrorizzava... Dopo aver perso anche il più debole ricordo di quelli che erano i miei genitori, andare avanti da sola mi spaventava a morte. Trovare altri orrori e doverli affrontare da sola. Terribile...

    Ma, alla fine, la scelta è vostra.
    Buona fortuna, carne da macello.


    Avrei potuto scegliere come morire? Ponderai seriamente la scelta, volevo morire al fianco di Ingwe e di Shinan. Sarei entrata in una di quelle porte con loro, avrei vissuto i miei ultimi attimi con le ultime persone che mi rimanevano al mondo. In fondo, la vita cominciava quasi a perdere significato... Dei passi, accompagnati da suoni metallici, si mossero distanti da me. L'uomo in armatura, quello che era passato inosservato alla mia attenzione, nonostante il suo aspetto peculiare. Stava camminando verso le porte. Davvero voleva andare da solo? Lo ammiravo, riuscire a prendere di petto da solo una situazione simile... Io non ci sarei mai riuscita. "NO! Ti fidi davvero di quello che ____ dice?"
    Ingwe stava parlando all'uomo in armatura, ma verso la fine della frase sembrava aver avuto un brutto conato di vomito. Preoccupata per lui, preoccupata che regurgitasse un'altra mano, gli chiesi: "Ingwe... Stai male?" Ma lui sembrava star bene... Per quanto può star bene una persona in quelle condizioni. E continuava: "Non puoi andare da solo…". "Non... Cambierebbe nulla. La Volontà... Lei non ha alcun motivo di mentire: non le interessa nulla di noi, né di quello che siamo venuti a fare. Vuole solo vederci soffrire. Lo ha detto, non è vero? Questo... è solo un gioco. Un gioco che lei ha vinto fin dall'inizio."
    "Shinan..." Sussurrò Ingwe alla piccola Shinan, che nel frattempo aveva preso la parola, pronunciando frasi che io non riuscivo a comprendere... La Volontà? Era la voce?
    "Non... Non dovresti andare da solo...". Quell'uomo... Maxwell. Nonostante sembrasse il più forte tra tutti quelli che si trovavano lì, sentivo di doverlo avvertire. La solitudine spesso uccide. Shinan prese di nuovo la parola: "Io... Io ho paura. So a cosa farà appiglio, so quali sono le mie debolezze. Mi farà molto male, più di tutto quello che ha già fatto. Vorrei restarmene ferma qui, scappare di nuovo a casa, però... Anche ora, il ricordo è solo vago, come se fosse un sogno, gli anni in cui non sono stata da sola, i più felici della mia vita. Tutto quello che mi è rimasto di quei tempi... è il desiderio di aiutare gli altri" Stringeva forte nel pugno un monile, una specie di pendente. "____ è qui, da qualche parte, ne sono sicura, e ha bisogno di aiuto. La Volontà potrà farmi del male, potrà far leva sulle mie peggiori debolezze, ma nulla sarebbe peggio della consapevolezza di aver abbandonato "lei". Ingwe, Vanessa, so che a voi sembrerà stupido e suicida, ma questo è l'unico modo di vivere che conosco. Per questo voglio andare da sola, non voglio trascinarvi per la mia testardaggine e... e soprattutto, non voglio che vediate come sono veramente...". Un'altra specie di conato... Che cosa significava quel discorso, poi? Chi era la Volontà? Chi diamine era "lei"? Ed ora, anche Shinan voleva andare da sola. Perché voleva abbandonarci ed abbandonarsi?La piccola erica si fece avanti, come a richiedere un abbraccio. Come avrei potuto rifiutarlo?
    "No… Non mi importa di cosa tu possa essere veramente, non m’importa nulla di tutto quello. Tu sei tu. Niente potrà farmi cambiare idea… Io ti voglio bene, come, come ne vorrei ad una… Tu lo sai, vero? Niente potrebbe farmi cambiare idea su di te, tu non sei malvagia, anzi, sei la persona più altruista che i conosca, quindi ti prego, ti prego, non farmi questo. Non andartene da sola incontro a… Lei. Non potrei mai perdonarmelo. Ti prego."
    Ancora "lei". C'era qualcosa che non sapevo... E non ero sicura di volerlo sapere. In quel momento, l'importante era soddisfare il mio pensiero egoista: volevo che Shinan rimanesse con me. "...Credimi Shinan, vorrei fuggire da qui. Girarmi e correre via da quel portone. Ma non abbandonerò le uniche persone che mi sono rimaste al mondo... Ho paura, ma voglio risposte e voglio proteggere chi amo.". Pessima scelta di parole, le lacrime tornarono a velarmi gli occhi. Guardai malinconica i frammenti della spada. "fin'ora, non ho fatto un buon lavoro...". Alzai nuovamente lo sguardo, fissando negli occhi prima Ingwe e poi Shinan. "Non voglio perdere anche voi! Voglio starvi vicina!". Eravamo abbracciati. Sarei rimasta così per sempre, anche se avrei effettivamente preferito uno scenario di contorno più piacevole.
    "Commovente... ma per me non è una questione di rivelare chi sono o roba del genere, al momento." Una nuova voce era scaturita dall'armatura dell'uomo di nome Maxwell, di cui non sapevo davvero nulla. "Non sono uno facile da gestire sotto pressione. Voi fate come volete." Alludeva al fatto che ce lo saremmo potuto ritrovare contro? Era davvero così potente? Forse ero io a fraintendere... L'omone entrò in una porta, che gli si chiuse alle spalle. Gli augurai silenziosamente tutto il bene che potessi, aveva fatto la sua decisione... "Ingwe, sono felice, felicissima di sentirlo, ma ti prego, non dire altro: io ho deciso... No, è l'unica scelta che mi è stata data, e non voglio che tu la renda ancora più difficile.". Per Shinan era diverso: IO volevo rimanere con lei e con Ingwe. Era un mio desiderio, del tutto egoistico. "Posso contare su di te, vero? Posso contare... Che qualunque cosa succeda... Voi due sarete felici assieme, vero?". Non era momento di imbarazzarsi, eppure divenni rossa in viso comunque. Mentre Ingwe balbettava una risposta, io lo fissai per un secondo e poi mi concentrai sul pavimento: sembravamo una coppia? N-Non che io non avessi voluto, anzi, ma...
    "Io... Vorrei che fossi felice anche tu, Shinan. Vorrei che tu rimanessi con noi... con me.". Con voce lieve e tentennante, avevo risposto, ancora guidata da quell'egoismo.
    "Mi basta questo. Mi basta sapere questo... Per essere felice."
    Shinan era corsa via.
    Aveva approfittato di quel secondo di distrazione per correre verso una delle porte. Ingwe provò a recuperarla, ma inciampò e non riuscì a correrle dietro. La porta si chiuse, con l'erica all'interno. Era stato troppo veloce perché riuscissi a reagire, in quel momento i miei tempi di reazione erano drasticamente sfasati per colpa del turbinio di emozioni diverse, tutte negative, che provavo. Sapevo solo di volerla raggiungere. Una delle altre porte avrebbe anche potuto condurre allo stesso luogo, no? Ingwe si girò verso di me e sorrise malinconico. Mi prese la mano ferita, quindi sobbalzai e cacciai un urletto: le ferite erano più profonde di quello che pensavo. Non l'aveva fatto apposta, in fondo era un gesto... normale, il prendersi per mano. Ingwe stava tagliuzzando la propria maglia per farne delle bende... Non doveva, non ce n'era bisogno. La persona importante lì era lui, non ero io. "È tutto apposto, non c'è bisogno che badi a me... L'importante è che tu stia bene…"
    "Sto bene, sto bene, ma tu sei ferita e voglio fare quello che posso, anche se non sono Shinan. Comunque non ti preoccupare di questi, dopotutto sono solo vestiti.". Non erano tanto i vestiti. Semplicemente non volevo che sprecasse delle attenzioni per me... Ah, ma a chi voglio mentire: volevo le sue attenzioni più di ogni altra cosa al mondo. Solo che... Solo che non volevo che fossero quel tipo di attenzioni, ecco. Rossa in viso mi lasciai medicare dalle sue mani capaci. E poi lo abbracciai. Era quello il tipo di attenzioni che volevo. Ci staccammo lentamente e ci prendemmo per mano, cominciando a camminare verso la porta presa da Shinan. Dovevamo raggiungerla. Non si apriva. Un po' me lo aspettavo, ma comunque ci rimasi male. La porta vicina a quella presa da Shinan, quella sulla sinistra... Forse quella ci avrebbe condotto da lei? Valeva la pena tentare, se io ed Ingwe rimanevamo insieme. La porta brillava della stessa luce di cui splendeva il portone prima che io entrassi: era una specie di simbolo per indicare il non-ritorno? Probabilmente. "Andiamo...". Annuii ad Ingwe, e mi feci avanti verso la porta.
    Qualcosa impattò forte contro di me, facendomi cadere all'indietro. Persi la presa sulla mano di Ingwe, che vidi, da terra, allontanarsi nella luce della porta.
    "Nooo!"
    Le ante della porta sbatterono violentemente, proprio nell'istante in cui mi alzai. Spinsi la porta, la percossi, la picchiai forte con il pugno sinistro, quello della mano sana... Nulla, tutto inutile. "No... Ti prego... Ingwe!". Ci aveva presi in giro di nuovo. La Volontà, o quello che era, ci aveva separati. Frustrata, incazzata nera e disperata mi portai le mani al viso, senza riuscire a piangere, emettendo urli frustrati, strozzati dalle dita che premevano contro la mia faccia. Non volevo crederci. Ero separata da Ingwe e da Shinan. Presa dall'ira, mi diressi verso la porta alla destra rispetto a quella che aveva preso Shinan. Li avrei rincontrati, dovevo farlo. Un ultimo sguardo ai resti dello stocco, abbandonati nel mezzo del salone bianco ed aprii la porta, entrandovi subito e senza guardarmi più indietro. Dovevo trovare Ingwe, dovevo trovare Shinan... Dovevo capire il motivo per cui mi trovavo lì, dovevo venire a conoscenza di quello che non sapevo. Ora ero sicura di volerlo.



    Edited by Vanessa Galatea - 2/2/2015, 14:56
     
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  10. misterious detective
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    Da quando si era risvegliata, la bambina aveva solo conosciuto la paura. Temeva che nulla fosse finito, che gli artigli delle tenebre la agguantassero di nuovo, incidessero le sue carni e, come tenaglie infrangibili, la trascinassero di nuovo in basso, nell'abisso di dolore e disperazione. Aveva paura a causa della sua ignoranza: faticava a ricordare chi fosse, non capiva dove si trovasse, non capiva il perché di tutto quello che era accaduto. Una faccia mai vista si era presentata di fronte a lei, distorta da un simile terrore, aveva gridato parole che per lei a stento avevano significato, Shinan non era capace di rispondere. Uno sconosciuto l'aveva cinta per le spalle, l'aveva chiamata con un nome che risuonava a stento come un lontano ricordo, aveva rigettato contro di lei tutta la sua apprensione e l'inquietudine. Shinan aveva percepito ogni cosa, aveva sentito come se il terrore che pervadeva l'uomo fosse suo e, come uno specchio capace solo di riflettere tutto ciò che scorgeva, il suo spirito si era angustiato ancora di più, tingendosi dei colori più cupi. Con occhi sgranati e labbra tremanti la bambina fu costretta a fissare il ragazzo allontanarsi un pelo, come se la temesse quanto ella temeva lui; lo vide stringersi i capelli, scuotere la testa incredulo, lo vide mordersi le labbra addolorato e mormorare parole incredule, mentre affrontava una realtà pesante come un macigno che lo schiacciava crudele. Allora, nella confusione di quello sguardo, nel turbine di sentimenti che si scontravano dentro di lui, vide delle nuove scintille, scorse una nuovo fuoco che prima non esisteva, una fiamma viva alimentata dal suo cuore: era il fuoco della rabbia, un'energia distruttiva che impestava le sue vene, che bruciava incapace di rimanere confinata in quel corpo che tremava pronto a scoppiare. Fu quella vista a risvegliare qualcosa dentro di lei, furono quei lineamenti distorti dall'odio a gettare lontano il velo che copriva i suoi occhi, che attanagliava la sua mente, affinché la bambina potesse di nuovo vedere. Come iridi accecate dalla luce, incapaci di distinguere le sagome davanti a loro, così la giovane non comprese subito ciò che una parte lontana di se stessa le bisbigliava: provò un dolce calore che le accarezzò le spalle ed un gelo pesante che le affondò, la sua bocca si aprì prima che ella se ne accorgesse, ma nessuna parola ne fuoriuscì.
    Non capiva, non aveva senso. Non aveva mai visto quella persona prima, non aveva alcuna ragione per preoccuparsi di lui, le sarebbe bastato alzarsi in piedi e voltargli le spalle per chiudersi in un piccolo guscio di cristallo, per chiudere i petali e nascondersi dal resto del mondo in un alveo sicuro, dove nulla l'avrebbe più potuta ferire, dove nulla l'avrebbe più raggiunta.
    Non poteva farlo. La soluzione, la più semplice e spianata delle strade era di fronte a lei, le bastava compiere un passo, ma non ne era capace. Non sapeva, o forse non ricordava il perché, ma il solo pensiero di ignorare quel dolore, di permettere che la rabbia germogliasse ed infettasse quel ragazzo era inaccettabile. Voleva proteggerlo, voleva fermarlo... Voleva vederlo sorridere e trovare la pace attraverso quella del ragazzo. Solo per quella ragione era riuscita a ritrovare se stessa e ricordare il suo nome, solo per allentare il peso stretto come una pesante catena al collo del giovane.
    Ma per quanto lo desiderasse, per quanto il suo spirito gridasse quella volontà, per quanto il suo corpo fremesse, come se fili invisibili tirassero debolmente i suoi arti e piccole scosse la attraversassero ad ogni battito del suo cuore, le sue mani erano pietrificate dal dubbio, e le labbra secche non emettevano un solo sospiro.
    Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare; sapeva solo che ogni istante che passava, lui si allontanava sempre di più, giù in un abisso di odio che presto si sarebbe riversato su qualcuno... Qualcuno che non meritava nulla del genere. No, non poteva lasciare che accadesse, non poteva permettere a due sue amici, come Ingwe e Noel, di ferirsi ancora a vicenda. Allungò la mano, la strinse attorno al suo braccio, alzò lo sguardo serio e triste verso di lui e prima ancora di poter pensare, parole sussurrate sfuggirono alla sua bocca: -No... Ingwe, non devi...-
    -Shinan!-
    La bambina trasalì. Sorpresa strinse ancora di più le sue flebili dita su di lui, sobbalzò come colpita da un singhiozzo e inspirò rapida dalla bocca con un piccolo verso sconfortato. -Co... Cosa c'è, In...gwe?-
    Lo realizzò persino lei stessa. Si interruppe a metà della parola, abbassò lo sguardo e portò una mano al viso. Si sentì avvampare, le sue gote arrossarono in un solo istante per mille ragioni diverse che la sua mente non ebbe nemmeno il tempo di riconoscere. I polpastrelli sfiorarono le sue stesse labbra, lo sguardo cadde a terra perso, lontano da qualsiasi cosa riempisse il mondo reale. Annullò la vista, l'udito, il tatto, concentrò ogni fibra del suo corpo e del suo spirito su quella singola parola, su quei suoni che, come un'antica musica, si rincorreva ancora e ancora dentro di lei, pulsante al ritmo dei suoi organi, che diventava sempre più grande e bella. La ripeté, ripeté quel suono, si beò della sua beltà. Alzò lo sguardo illuminata ed incontrò di nuovo quello di lui, di Ingwe. Sorrise senza vergognarsi, lasciando che le sue guance color pesca impreziosissero ancora di più il suo volto gioioso.
    -Ingwe!- esultò ancora, più sicura di prima. Lo disse in un solo istante, stringendo i pugni, annuendo con il capo. Lui le rispose, la chiamò per nome, per quel nome che era appena tornato a lei. Si gettò contro di lei, a braccia aperte, e questa volta Shinan capì subito che cosa significasse. Distese i suoi arti, si lasciò affondare nel petto del ragazzo. Chiuse impacciatamente le dita attorno a quella grossa schiena con i suoi arti troppo corti, affondò la testa nel suo petto e sospirò. Il calore le tornò indietro ancora più forte e, come se lo vivesse per la prima volta, strofinò il naso contro il maglione del ragazzo, senza permettere che nulla le sfuggisse.
    -Ingwe, io ti conosco.- ripeté ancora, battendo più volte la testa contro il busto del giovane, mentre i suoi lunghi capelli biondi svolazzavano scompigliati avanti e indietro, tentando malamente di tenere il passo con l'esuberanza che aveva conquistato la piccola. -Ricordo tutto! Ricordo... Ricordo...-
    I momenti più felici che avevano passato assieme si connetterono l'un l'altro, intessendo una ragnatela intricata, dove fili di ricordi, spessi e chiari o sottili e annebbiati allo stesso modo, si intrecciavano in un disegno che ripercorreva giorni che Shinan riscopriva come per la prima volta; vide i laboriosi giorni della ricostruzione di Radiant Garden, vide il calmo pomeriggio trascorso al fianco del ragazzo sul colle dal tramonto eterno. Vide la guerra, vide il doloroso incontro tra lui e Noel, vide i sacrifici e le lacrime che aveva offerto a cause astratte come la pace e la felicità, nonostante non avesse alcuna vera ragione per dedicarsi con tanto sprezzo del suo stesso benessere. E, assieme ai ricordi, tornò anche la comprensione. Quello che prima era stato solo uno strano presentimento in fondo al cuore si fissò in lei come orribile certezza: come veleno mortale, l'odio per Noel si era infiltrato dentro di lui, consumando la sua ragione; se lei non fosse stata in grado di fermarlo, nulla avrebbe potuto evitare lo scontro, una guerra che avrebbe solo portato tristezza a tutti quanti.
    Allora Shinan si aggrappò a lui ancora di più, in quel tenero abbraccio che stavano condividendo. Lo strinse come se non volesse mai lasciarlo andare, quasi da questo dipendesse la sua stessa vita, con dolcezza e decisione al tempo stesso, con bontà ed incrollabile fermezza. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo andare, sapeva che non sarebbe bastato di certo quello per fargli comprendere i conflitti che imperversavano dentro di lei, ma anche solo in modo egoistico la bambina avrebbe desiderato restare lì, immobili, anche solo un'istante di più. Tuttavia, un rumore misterioso la costrinse a voltarsi di nuovo alla realtà, e quel piccolo momento idilliaco ebbe fine.
    Un suono la sorprese alle sue spalle, uno scricchiolio discreto, ma che rimbombò come una sentenza, come il martelletto di un giudice, sulle loro teste. Shinan si voltò, rimase a bocca aperta di fronte alla semplice vista che si mostrò di fronte a lei: i cancelli del castello si aprirono, come fauci pronte a divorarli si mossero lente, come se in qualche modo potessero assaporare quel momento. Uno spiraglio di luce irradiò dall'interno, accarezzando il suo volto, riconoscendola come amica. Un sussurro senza voce risuonò nella sua mente, un invito silente, un richiamo alla realtà, come i primi raggi del sole che la svegliavano ogni mattina. Allo stesso modo, sentì mille mani eteree spingere il suo corpo, una forza che non conosceva muoveva i suoi arti, piegava la sua volontà. I ricordi erano ancora confusi, ma non erano necessari: qualcosa dentro di lei sapeva che doveva andare, sapeva che ciò che più di ogni altra cosa lei stava cercando si trovava senza dubbio tra quelle mura cupe. Il calore di quella luce era ciò che l'aspettava alla fine, la gentilezza di una carezza altrettanto leggera, forse qualche parola di gratitudine; toccata da quel bagliore, la bambina poteva percepire le stesse emozioni, sentiva il suo cuore battere forte e caldo, sentiva il peso del rimorso che gravava su di lei, togliendole il respiro, sollevarsi e abbandonarla, anche se solo per un istante, dandole una felicità che da sola non sarebbe mai stata capace di ottenere. Sapeva che Noel era là dentro da qualche parte, sapeva che avrebbe potuto portare di nuovo il sorriso sul suo volto, quel sorriso di cui chiunque, nessuno escluso, aveva un grandissimo bisogno.
    Shinan strinse così la mano, rinforzò la presa attorno all'avambraccio di Ingwe, come per condividere con lui quella sicurezza, come a non permettergli di abbandonarla nemmeno per un istante. Allora i suoi occhi si spalancarono confusi e le sue labbra si dischiusero, senza riuscire tuttavia a emettere alcun suono. I suoi occhi fissarono persi lo spazio vuoto affianco a lei, le dita si chiusero e riaprirono più volte attorno all'aria, nonostante fino a pochi istanti prima la piccola fosse aggrappata con quanta forza avesse all'amico. Gridò il nome del suo compagno, urlò con forza e l'aria grattò la sua voce mandandola in fiamme, ma il suo sforzo non diede risultati: solo la sua voce tornò indietro come un'eco, senza portare con sé alcuna risposta. Allora, non appena la bambina poté percepire, portando una mano al petto, il primo sussulto del suo cuore, una scheggia di luce ferì il suo viso, luce bianca e pura, così mistica e irreale da sembrare falsa. Shinan alzò una mano, nascose i suoi occhi scarlatti dietro alle dita affusolate e affrontò nascosta dietro alla loro ombra la nuova realtà che si palesò di fronte a lei: dove prima non c'era nulla, solo il buio più profondo, era apparso un varco, uno spiraglio luccicante dal quale sfuggivano striscianti mille spire luminose, sibilando parole che la giovane non riusciva a comprendere, ma riconosceva come invitanti e sincere.
    Le sue gambe tremavano, il cuore palpitava doloroso nel suo petto, come se fosse stato trafitto da un pugnale. Le braccia erano cadute lungo i suoi fianchi e le dita si erano strette convulsamente attorno alle pieghe della gonna, senza che riuscisse nemmeno a pensare di rovinare il tessuto di quell'abito a cui era tanto affezionata; sebbene sapesse quanto ciò fosse inutile, continuava a guardarsi febbrilmente attorno, alla ricerca di un segno, di una sagoma, qualsiasi cosa che le indicasse che Ingwe era lì, da qualche parte, che non era costretta a fare il primo passo da solo, verso una realtà ignota nella quale non sapeva più se credere o meno. Deglutì una volta e, lentamente, fece scivolare in avanti il piede destro, sfiorando appena il pavimento scuro sotto di lei. Strinse i pugni e mosse la gamba sinistra, la luce si fece più vicina. Senza nemmeno voltarsi, Shinan sapeva bene che dietro di lei non c'era nulla, non esisteva nessuna via da percorrere all'indietro, rifuggendo ciò che non conosceva, e ancora più di quel che l'aspettava era proprio lo stare ferma lì, lontana da tutto ciò a cui teneva, ciò che più di ogni cosa la spaventava. Avanzò di un passo e poi di un altro e prima che se ne potesse accorgere aveva cominciato a correre. Gettò le braccia in avanti, come per spalancare un grossa finestra, per affacciarsi di nuovo al mondo che serbava tutte le risposte. Chiuse le palpebre, investita dal potente bagliore, e strinse il giglio appeso al suo collo.

    Fu il suo corpo a percepire per primo la nuova realtà in cui Shinan era stata condotta. Un brivido la attraversò dalla punta dei piedi risalendo fino al collo, stringendosi attorno ad esso come una morsa d'acciaio. Subito, seguendo un riflesso che non sottostava al suo controllo, incrociò le braccia e si strinse in un abbraccio disperato. Sentiva freddo, come se il gelo della notte più cupa avesse cominciato a penetrare la sua pelle, danzando macabro dentro di lei. Aprì gli occhi, ma ancora macchie di luce grigiastre li oscuravano, incapaci di abituarsi abbastanza in fretta al cambio di luminosità. Inspirò ed espirò, il suo fiato si condensò in piccole nubi grigiastre, che brillavano per qualche istante prima di essere rapite dall'oscurità. Il cuore della Nesciens accelerò il suo battito, le sue labbra cominciarono a tremare; forse aveva freddo, o forse era paura cristallina che stuzzicava il suo corpo con la sua carezza affilata. Non riuscì a trovare risposta, perché un suono potente e limpido rimbombò tra le mura che, seppur invisibili, la rinchiudevano in quella cupa prigione.
    -Benvenuti, vermi insignificanti.-
    Shinan trasalì. Divaricò le gambe, alzò le mani per proteggersi, strinse gli occhi e risvegliò il corso placido di potere magico nelle sue vene. -Will...- mormorò, con la paura e riverenza di chi nomina una divinità; non era necessario urlare, non aveva bisogno di voltarsi a cercarla: Shinan lo aveva capito al piccolo cimitero da lei creato, la Volontà non aveva bisogno di orecchie o di un corpo per interagire con lei e che, anzi, per udire quel freddo saluto sarebbe bastato scrutare a malapena dentro la mente della bambina.
    L'Erica strinse un poco le palpebre, analizzò lo spazio attorno a lei: il marmo bianco del terreno la circondava completamente e si estendeva fin dove il suo occhio non riusciva più a distinguerlo, un soffitto scuro incombeva sopra la sua testa, suscitando in lei un fastidioso senso di oppressione, la morsa del freddo sembrava farsi più crudele ogni secondo che passava.
    -Non hai bisogno di nasconderti, non è vero? Mostrati, ti prego, sai già perché sono qui.-
    Le sue parole furono un mormorio strozzato: nessuno si celava alle sue spalle, eppure avvertiva una forte stretta cingerle il collo in un abbraccio mortale. Era la Volontà, era ovunque, Shinan sapeva che nulla di tutto ciò era frutto della sua immaginazione.
    “No, ho già vissuto qualcosa del genere... Un'oppressione tale da farti mancare il fiato.”
    Si strinse nelle spalle, tentando di nascondersi coperta dalla sua folta chioma bionda, immobile attese qualche istante. Non accadde nulla: non ci fu risposta, non un suono. La bambina deglutì e mosse un altro passo avanti, per disperazione e non per coraggio. Le dita assassine scavarono la sua pelle, in cerca della carotide e, come intrappolata in un sogno, la giovane poteva solo osservare se stessa rimanere immobile, senza avere alcun potere sul suo stesso corpo. Allora, come ignare della sua presenza in quel luogo, mille voci si levarono discrete assieme. Risate digrignate, parole crudeli pronunciate a mezza bocca, un brusio incessante come lo scrosciare di pesanti gocce d'acqua che picchiavano la ragazza, tantissimi suoni la circondarono, la raggiunsero da ogni direzione, riempiendole la testa di paura: Shinan non capiva cosa stesse succedendo, non capiva che razza di scherzi la sua testa le stesse giocando, quasi sicuramente secondo i capricci della Volontà che già le aveva dimostrato ciò di cui era capace.
    Inquietata, inspirò espandendo il torace; non appena lo fece Shinan si piegò in due e si grattò il busto con le unghie, vinta da una potente attacco di tosse. L'aria era appestata, era velenosa: sapeva di rancido, era tinta dell'odore del sangue e della morte. La giovane portò le mani al viso, lo nascose tra i suoi palmi, si rannicchiò in ginocchio in un disperato tentativo di fuga, ma come un boia crudele il fetore non si arrese e parve quasi formare una nube venefica tutt'attorno a lei, nutrendo il senso di nausea ad ogni respiro. Deglutì e boccheggiò più volte, trasformò la sua volontà in acciaio e, lentamente, inspirò col naso, sforzandosi di ignorare la crescente nausea che risaliva dal suo stomaco come a voler uscire in uno grosso rigetto acido; e quando era ormai convinta di aver sconfitto l'orrore attorno a lei, riuscì ad alzare lo sguardo e scoprì ciò che le tenebre le avevano celato, forse in un ultimo atto di pietà.
    Si muovevano ancora, pendevano scontrandosi gli uni con gli altri, placidi come onde in un mare di carne. Decine, forse centinaia di corpi, era quasi impossibile capire quali fossero cadaveri e chi di loro possedesse ancora un alito di vita. Pendevano dal soffitto, appesi e abbandonati senza alcun riguardo e rispetto: molti erano impiccati, i loro colli si piegavano innaturali, lasciando le mascelle a pendere scioccamente, grumi di sangue secco ben visibili nella loro gola. Quella era solo una minima parte, tuttavia: molti pendevano per un braccio, altri ancora erano capovolti, con una fune legata attorno alla caviglia per tenerli sospesi. Uomini, donne, bambini, masse di carne indistinguibili che impalate con crudeltà, una follia che non risparmiava nessuno e che non sembrava avere alcuno scopo. Ogni volto era contratto nella stessa identica espressione di terrore: alcuni volti erano ancora chiari specchi dei loro ultimi momenti di vita, negli occhi strabuzzati si leggeva la più profonda delle paura, altri non erano più altro che teschi o figure divorate dalla decomposizione. Shinan incontrò lo sguardo di un bambino al quale era stata divorata mezza guancia: un nugolo di scarafaggi neri strisciava dentro e fuori muovendo le antenne confusi mentre camminavano placidi lungo la pelle ingiallita. La bambina fuggì quella vista, si voltò solo per incontrare una donna squartata, le cui interiora erano esplose, come un'opera d'arte, dalla sua pancia e come un fiore violaceo pendevano scendendo fino ai suoi piedi, mentre uno sciame di mosche volteggiava tutto attorno. L'Erica si tappò le orecchie e gridò con quanto fiato aveva in gola, ma il ronzio degli insetti sembrava impresso nel suo cervello, come se fossero dentro di lei, come se navigassero nel suo sangue, come se divorassero la sua mente.
    “No, no!” scrollò la testa, pestò i piedi a terra per cacciare via ogni pensiero malsano. Stava rivivendo la stessa esperienza, era lo stesso orrore che aveva già vissuto una volta. Gridò, suoni senza senso dettati solo dalla disperazione, e chiuse gli occhi per cancellare tutto ciò che le stava attorno. Sapeva già cosa sarebbe accaduto e, soprattutto, sapeva che non c'era via di fuga.
    Mille mani cinsero il suo corpo. Dita fredde come la morte, dure e ruvide come pietre si strinsero a lei, in un abbraccio infernale. Shinan strinse le braccia attorno a sé, si buttò a terra e strinse la testa contro il petto. Si morse il labbro pur di allontanare da sé quella sensazione, accolse con piacere il sapore del sangue nella sua bocca. Ma quelle persone, quegli innocenti non si fermarono. Avvertì vere tenaglie aggrapparsi ai suoi arti e stenderli brutalmente. Poteva sentire il fiato di uomini e donne, respiri fetidi e gelidi che consumavano la sua pelle come acido. Si scoprì sollevata da terra, circondata da marionette prive di vita che bramavano la sua. Chiuse gli occhi, cercando come poteva di estraniarsi dalla sofferenza che emanavano i loro sguardi, e abbandonò la sua resistenza. Ogni fibra del suo corpo era in tensione, il suo cuore pulsava come impazzito.
    Era la stessa situazione, perfettamente identica: era un abisso oscuro come quello in cui era affondata dopo il suo incontro con la Volontà, erano lo stesso dolore e la stessa disperazione.
    “Benvenuti” aveva detto lei, al loro arrivo nel castello. Shinan capiva bene cosa significasse quella parola, non era un invito pronunciato per caso: quello era l'unico sentiero che la attendeva, che attendeva chiunque lei avesse ritenuto abbastanza interessante. C'era solo dolore, perché questo era quanto di più divertente esistesse agli occhi di Will, perché l'unico uso che aveva per lei il prossimo era quello di giocattolo, di fragile balocco da maltrattare a suo piacimento, solamente per il gusto di scoprire quanto fosse in grado di resistere prima di raggiungere il limite. Solo per quell'unica ragione la Volontà l'aveva agguantata e trascinata fuori dall'incubo di prima solo per rigettarla in uno ancora peggiore.
    Quello era l'inferno riservato a loro da Will. Quello era l'inferno di Noel.
    Un uomo si avvicinò alla sua spalla, la lecco con la sua lingua ruvida, la percorse fino all'incavo del collo e vi affondò il viso: chiuse le fauci attorno alle sue membra e strappò un morso.
    “NOEL!” Shinan si divorò il labbro, ma non gridò. Pensò, pensò con forza alla sua amica, alla sua compagna. Poteva sopportarlo, doveva sopportarlo. Shinan aveva già vissuto quel dolore, era in grado di affrontarlo di nuovo, forse era l'unica che potesse farlo.
    Due bambini si aggrapparono come animali alla sua gamba e presero a grattar via la pelle con i loro denti affilati, come se cercassero di scuoiarla più per gioco che per fame.
    “NOEL!” gridò ancora la giovane, muta come prima. Doveva ripetere quel nome, perché era l'unica cosa che non poteva permettersi di dimenticare di nuovo: Shinan stessa aveva deciso di varcare le soglie di quel castello, si era preparata ad affrontare ogni ostacolo solamente in vista della meta finale, di un futuro dove Noel avrebbe potuto trovare la felicità che meritava più di qualunque altra persona.
    Una donna dalle lunghe unghie nere come carbone si avvicinò a lei, le accarezzò i capelli e le lunghe chiome bionde, stringendole rapita tra le sue dita. Nel suo sguardo privo di vita, simile all'espressione di un pesce, non c'era nulla, nemmeno il dolore. Shinan aprì gli occhi per un istante e la sua figura rimase impressa nella sua mente: gli occhi vitrei scrutavano i suoi, sembravano leggere la paura primordiale che cresceva dentro di lei. La bambina deglutì e sentì la sua gola chiudersi. Quelle lunghissime dita accarezzarono la sua fronte, perle di sudore cominciarono a scendere spaventate lungo le sue tempie, velocissime a toccare terra. Le unghie scesero seguendo l'arcata del suo nasino, le labbra della bambina furono scosse da un tremito pavido. Sfiorarono gli angoli dei suoi occhi, l'Erica sigillò le palpebre. Le dita si chiusero tra le sue ciglia, tirarono verso l'alto scoprendo il suo rubino. Lentamente, la creatura avvicinò i suoi artigli, sfiorò la sclera e spinse all'interno. Shinan ululò pari ad una bestia, il sangue esplose dal suo occhio come una fiamma ed investì le dita della donna, già tinte da sangue rappreso.
    La bambina non riusciva più a vedere, seppe soltanto che nuove dita penetrarono la sua sclera, anche l'altro occhio che le era rimasto fu strappato dalla sua cavità, i legamenti si recisero sotto la grande forza di quei corpi morti e decadenti, lasciando dietro di loro solo una voragine rosso scuro.
    Gridò a bocca spalancata. Il suo corpo andava in fiamme, la sua testa esplodeva ancora e ancora ad ogni battito del suo cuore, il cervello si scioglieva in una massa informe di alcuna importanza. Gridò e mille mani tesero le sue guance, tirarono i lati della sua bocca. La sua voce distorta, si mischiò ai singhiozzi, ma dita lunghe e scheletriche si ammassarono come lombrichi nella sua bocca. Discesero la gola, si spinsero attraverso il suo corpo lacerando organi e strappando muscoli. Scesero e scesero, mozzando il fiato alla bambina. Grosse lacrime cominciarono a formarsi ai bordi dei suoi occhi e come fiumi in piena presero a fluire, ma i corpi dei morti che si strusciavano contro di lei cancellarono ogni loro traccia. Le mani arrivarono sempre più in fondo, fino al suo cuore. Shinan lo sentiva anche senza vederlo, anche se tutto ciò era troppo per lei. Lo aveva già provato, l'orrore di vedere la propria vita scivolare via, rubata da sottili dita conficcate nella sua gola. Lo aveva già vissuto, proprio come Noel. Ma non era qualcosa a cui nessuno avrebbe mai potuto abituarsi.
    “No...el...” pensò ancora, mentre i suoi occhi si chiudevano e i suoi polmoni, privi d'aria, si arrendevano alla forza di quelle creature. Poteva riposare, chiudere gli occhi, senza più preoccuparsi di riaprili o sforzarsi ancora di raggiungere l'impossibile.
    -No...No...- rantolò debolmente, in uno sforzo immane di mantenere gli occhi aperti. Non le importava che fosse inutile, non le importava che ad aspettarla ci fosse solo il fallimento. Noel la stava aspettando, Noel aveva bisogno di lei. Quella era una ragione sufficiente, quella era la luce che brillava ancora per lei, anche quando non era più in grado di vedere nulla.
    “La... Luce...”
    Shinan non riuscì a capire. Ogni cosa accadde rapidamente, troppo perché la sua mente annebbiata potesse capre. Vide una luce con i suoi due occhi, quelli che le erano stati strappati. Sentì un caldo abbraccio stringersi attorno a lei e scacciare ogni nemico e ogni ombra. L'oscurità si dissolse, come fumo salì verso il cielo e scomparve in silenzio. La bambina era al centro di tutto, immobile, incapace persino di respirare ancora.
    -Ah... Ah...-
    Cadde in avanti, le dita aperte fermarono la sua caduta. Boccheggiò una volta, due volte. Batté le palpebre e scoprì di vedere di fronte a sé il pavimento bianco del castello e la pelle pallida delle sue mani. Shinan sospirò e l'aria uscì tremante dalla sua bocca, ma nonostante tutto la Nesciens riuscì comunque ad abbozzare un sorriso.
    “Noel, Noel, Noel...” ripeté quel nome nella sua mente ancora e ancora, come un mantra salvatore che potesse proteggerla da ogni male. Non lo aveva dimenticato, si era aggrappata a quella meta come se fosse l'ultimo straccio di umanità che le fosse restato, aveva posto quel ricordo più in alto della sua stessa vita. Shinan ricordava chi era, ricordava cosa doveva fare. Ricordava che non era sola, non del tutto, e da qualche parte c'era ancora una persona che l'avrebbe sostenuta, qualsiasi cosa fosse mai accaduta. Quei ricordi erano la sua speranza nel futuro.
    -E voi? Cosa siete venuti a perdere? Un arto? Uno dei cinque sensi? Il senno? La speranza? I ricordi? O, forse, la vita?-
    La bambina strinse i pugni fino sbiancare le proprie nocche ed una nuova scintilla di energia si accese nel suo corpo, dandole la forza di alzare il capo ancora una volta: vide i fantasmi che l'avevano assalita, macabri pupazzi dai volti vacui e immobili, come se toccati dalla morte. Le giunture dei loro visi parevano lacrime scure, così profonde da scavare la loro pelle. Altri erano stati privati persino di quella grazia e, chi senza il capo o con un arto mancante, o chi ancora con il torace sfasciato e lo scheletro ligneo a pezzi. Aborti della natura, creature deformi piegate da gobbe, pustole e infiniti segni di un'esistenza segnata dalla disgrazia; e in mezzo a tutti quei paurosi falsi, Shinan scorse anche qualche cadavere vero, scorse ossa bianche e candide sputate fuori da larghi squarci nei loro corpi. Riposavano a terra, appese al soffitto, ovunque, e abbandonate così a loro stessi non sembravano valere di più di quelle marionette, come se imitazione e reale fossero una ed una sola cosa, meritevoli della stessa pena.
    Sopraffatta dalla vista, la bambina si obbligò a stringere gli occhi e ricacciare via quelle immagini ormai impresse dentro di lei con un marchio a fuoco, quindi portò la mano destra alla bocca. Il conato risalì bruciante la sua gola, come se un grasso verme stesse percorrendo il suo stomaco al contrario. Si morse le dita, placò la nausea con il dolore, ma presto quella sensazione sgradevole passò, come se non fosse successo nulla, e lavò via ogni dubbio e sensazione, lasciando dietro di sé solo un velo di tristezza.
    -Non sono venuta per rinunciare a nulla, non questa volta...- rispose la piccola, con voce rauca e balbettante, alla voce che non desiderava altro che provocarli, totalmente disinteressata alle loro fatiche. -Voglio solo restituire a lei quello che le hai tolto...-
    Lo promise, a se stessa e alla Volontà. Poteva apparire uno sforzo comico alla donna che presiedeva quel castello, che li manovrava come pedine per il suo divertimento, ma era l'unico modo che conosceva per essere felice e non odiare se stessa e la sua debolezza.

    Shinan tentò di rimettersi in piedi: era difficile, le sue gambe tremavano in difficoltà nel reggere il suo peso, ma ignorò i loro sussurri stanchi e si alzò, portando le mani alle guance e cominciando a massaggiarle, per convincersi che lo spettacolo attorno a lei fosse semplicemente un brutto sogno, un incubo dal quale si sarebbe presto svegliata per scoprire che ad aspettarla c'era un sole meraviglioso, caldo come una dolce carezza. Fu in quel momento che, costretta da se stessa ad essere forte, la bambina si accorse, guardandosi attorno, di non essere la sola a camminare in quella palude di morti e pupazzi.
    Il suo viso si illuminò, la piccola portò le mani alla bocca incredula e nascose il largo sorriso di sollievo che attraversò le sue labbra: alle sue spalle c'erano due persone che conosceva bene: come lei, si stavano rialzando, confuse e affaticate, mormoravano versi sconnessi alla ricerca di loro stessi, e Shinan ricordava benissimo entrambi.
    -Ingwe! Vanessa!- gridò quasi in lacrime. Portò inconsciamente le mani al petto e scoprì che il suo cuore batteva più potente di prima, più coraggioso e forte di quanto non fosse mai stato. Era già pronta a correre loro incontro, ad abbracciarli, a confessare tutte le sue paure e i suoi tormenti, sapendo che avrebbe ricevuto solo parole di conforto dai due amici e compagni che l'avevano sostenuta nel momento più difficile per lei. Tuttavia, un'altra voce fu più rapida a risuonare tra quelle mura, una voce ironica e sardonica che la piccola aveva imparato a temere e che, lei ne era certa, poteva distruggere anche la più solida delle volontà. Il passo di Shinan rallentò, anche se lei avrebbe voluto correre ancora più veloce; la bambina alzò un braccio verso l'amica, ma era troppo lontana per raggiungerla, troppo lontana per proteggerla tra le sue braccia.
    -Vanessa, come stanno mamma e papà? Proteggono la loro bambina, vero?-
    Lentamente, come se il tempo fosse prossimo a fermarsi, come se i suoi piedi si fossero tramutati in marmo, Shinan continuò ad avanzare scuotendo la testa. No, Vanessa non doveva ascoltare, non doveva dare retta ad una sola parola della Volontà. Quello che ella voleva era solamente provocarla, stringere tra le sue dita le corde più sottili del suo cuore e tagliuzzarlo come meglio credeva: la Volontà desiderava soltanto vedere quando sarebbe giunta la fine per mezzo delle loro stesse mani, nell'istante in cui ogni speranza fosse morta ed il mondo buio di Noel si fosse sostituito alla realtà.
    -Lei non ha mai avuto una mamma e un papà.- commentò la voce, troppo allegra e solare per una disgrazia simile, quasi fosse una cosa naturale. No, non lo era affatto: Shinan lo sapeva meglio di chiunque altri, perché nemmeno lei aveva mai avuto nessuno che si prendesse cura di lei, una famiglia della quale sentirsi parte; e proprio perché conosceva il dolore della solitudine la Nesciens non voleva che nessun altro fosse costretto a viverlo, non in quel modo.
    -Sarebbe un peccato se quello stocco, per un qualsiasi motivo, finisse in pezzi, che ne dici?-
    Un brivido percorse la schiena della bambina. Shinan non era in grado di capire che cosa significassero quelle parole, non era in grado di comprendere l'espressione terrorizzata della sua amica, pallida e immobile come se la vita stessa le fosse stata portata via: poté solo osservare le conseguenze che si realizzarono in pochi, lentissimi istanti. Lo stocco che la spadaccina teneva nella sua mano brillò di un bagliore grigiastro, come se la luce, anziché essere riflessa, finisse intrappolata nel metallo. Un leggero scricchiolio e, come coperta da una sottile ragnatela, la lama fu ricoperta da mille crepe, che come vene pulsanti fino all'esplosione si estesero per tutto il suo corpo, facendosi più profondo ad ogni attimo che sfuggiva via. La punta oscillò e cadde a terra senza alcun suono, il fine acciaio si ridusse a sabbia. Come fatta di vetro fragilissimo, l'arma crollò in frantumi, schegge fini come polvere si dispersero a terra, la mano della ragazza rimase a stringere il vuoto. La sabbia scivolò via, creando una pila di ceneri a terra impossibile da raccogliere, e lasciarono dietro di loro un solo segno dell'accaduto: la mano destra di Vanessa fu ricoperta da segni rosso vivo, tagli che cominciarono a piangere sangue prima ancora di lei.
    Solo allora, Shinan fu costretta ad accettare la realtà che voleva rifiutare ad ogni costo: Vanessa nascondeva in sé le stesse debolezze, le stesse incertezze che albergavano nella Nesciens, sfruttarle per la Volontà non era nemmeno un gioco. E forse era quella la ragione per cui la giovane non era stata in grado di correre dall'amica, di fare qualcosa per sostenerla: perché in realtà sapeva fin dall'inizio che, qualsiasi cosa avesse tentato, non esisteva salvezza, perché Will li conosceva meglio di loro stessi.
    Vide Ingwe raggiungere la ragazza, si aggrappò a lei come se nei suoi occhi fosse riflessa la stessa disperazione, Shinan poteva affermarlo perché era anche ciò che provava lei. Titubante, come se non ne fosse degna, si avvicinò ai due, vide il ragazzo voltarsi verso di lei e sorriderle debolmente, come a dirle che poteva farlo, che Vanessa aveva bisogno di lei. Incerta, come per sfiorare un piccolo fiore, appoggiò una mano sulla sua spalla e la sentì sussultare, scossa da un singhiozzo. Allora le accarezzò la testa, chiuse gli occhi e si avvicinò a lei, strofinando la sua guancia contro i capelli candidi dell'amica, cullandola in silenzio.
    -Maxwell, il grande campione che difende gli innocenti.-
    Quando udì di nuovo quella voce, l'abbraccio della bambina all'amica si fece più forte, più teso. Si immobilizzò, tendendo le orecchie, e ascoltò con attenzione quelle parole che non comprendeva.
    -Che si fa prendere dalla rabbia, che non riesce a difendere nemmeno la propria famiglia.-
    Si voltò, si guardò attorno febbrilmente. Strinse gli occhi e allontanò da sé i cadaveri, i corpi informi, le marionette sanguinanti. In piedi poco lontano, scoprì un quarto guerriero, rivestito di metallo da capo a piedi. Shinan lo ammirò con la bocca semiaperta, incapace di proferire parola, e subito un brivido risalì il suo collo, facendola sussultare: lui era il Maxwell nominato dalla voce, qualcosa dentro di lei le diceva che non poteva sbagliarsi. E questo significava solo una cosa, che il gioco della Volontà non era ancora finito e presto sarebbe arrivato il loro turno.
    La bambina osservò lo sconosciuto, aveva gli occhi puntati su di lui mentre la sua armatura emetteva un cigolio sinistro e il metallo strideva contro altro metallo, come se fosse prossimo all'esplosione, eppure non lo stava davvero guardando: guardava oltre, guardava la voce che stava per discendere su di loro una terza volta, che era già pronti ad attaccarli un'altra volta, conscia delle conseguenze che avrebbe avuto, conscia di quello che avrebbe detto.
    -Shinan, bambina mia.-
    Quando le era tornato il ricordo? La piccola non avrebbe saputo rispondere, troppo rapita dai terribili eventi che si erano susseguiti fino a quell'istante senza darle un attimo di tregua. Tuttavia, quelle poche parole sibilate con un sussurro al suo orecchio, dolci tanto da essere stomachevoli, avevano toccato qualcosa in lei, avevano gettato un soffio di luce su delle ombre lontane dentro di lei.
    -Ancora in cerca della luce in fondo alla sporcizia?-
    Si strinse la testa fra le mani, passò le dita tra i capelli, tirò come se volesse strapparli, ma il dolore non bastava, non riusciva a chiudere di nuovo lo scrigno dei ricordi che si era aperto in lei.
    -E dentro di te?-
    Non voleva vedere, non voleva affrontare i suoi errori, non un'altra volta. La verità, tuttavia, era che era tutto già tornato a galla da tempo, da qualche parte nel suo inconscio, e Shinan non poteva più scappare da quella colpa.
    Una fiamma, un alito di vento, una goccia d'acqua che cadde solitaria a terra, ed infine un corpo freddo che si formò dal marmo bianco sotto ai loro piedi. Quattro spiriti apparvero di fronte a lei, quattro sagome le cui fattezze erano vive nella sua mente, limpide come il più cristallino dei cieli. E i loro volti erano esattamente come li aveva immaginati: erano contorti in un'espressione addolorata e delusa, le loro fronti erano corrugate nel diniego. Stavano fermi lontani da lei, immobili e silenti come statue.
    -Perché...- mormorò, incapace di distogliere lo sguardo. “Perché mi guardano con quei volti?”
    Non riuscì a pronunciare quella domanda, perché già conosceva la risposta: il disprezzo, la tristezza, tutto quello che riusciva a leggere nei dolci lineamenti delle persone a lei più care era ciò che proveniva dai più profondi reconditi del suo cuore, era ciò che credeva di meritare.
    -Hai deluso i tuoi amici, li hai umiliati.-
    -No...- non era vero. Lei si stava sforzando in tutti i modi di rimediare alla sua debolezza di allora, stava compiendo l'impossibile pur di ridar loro la vita che avevano perso a causa sua.
    -Ti sei dimenticata di loro.-
    -No... Non è vero!- gridò più forte. Chiuse gli occhi, si sgolò senza vergogna, si tappò le orecchie, cadde in ginocchio e sfiorò il pavimento con la fronte, rannicchiandosi come un neonato.
    -Li hai lasciati da parte.-
    -Basta, zitta...- la sua voce perse tutta l'energia che possedeva, il grido si trasformò in supplica. Lacrime grosse e bollenti cominciarono a rigare le sue guance, segnandola come ferite indelebili. Non era vero che li aveva lasciati da parte, non avrebbe mai potuto farlo. Era solo confusa, era solo indecisa sul da farsi, ma non poteva... Non poteva...
    -E sei qui per qualcuno che a malapena sa che esisti.-
    -Basta... Ti prego...- Singhiozzò, tremando da capo a piedi. Non voleva sentire quelle parole, non lo voleva per nulla al mondo. Perché finché era il suo cuore a sussurrarle malizioso, Shinan poteva scappare, poteva perdere se stessa nel compito che si era prefissata, fingere che ancora la memoria fosse perduta da qualche parte nella sua mente. La voce della Volontà, tuttavia, era potente, raggiungeva il suo cervello anche se gridava, anche se si tappava le orecchie, anche se si fosse ferita pur di fuggire a lei, le sue parole l'avrebbero raggiunta comunque. Ed erano la verità che più temeva di ammettere.
    Shinan crollò lì, inginocchiata a terra, il volto calato come a genuflettersi di fronte alla forza della Volontà, il corpo pesante e freddo quasi quanto un cadavere,uno dei tanti abbandonati in quella stanza, senza più senno, desideri o sogno alcuno.
    La voce riprese a parlare, ma Shinan non riusciva a sentirla. Era come una di quelle tante bambole accasciate a terra, schiacciata dal rimorso. Avrebbe voluto dare la colpa a Will, avrebbe voluto dare la colpa a tutte le disgrazie di cui era stata vittima, avrebbe voluto dare la colpa a una cosa qualsiasi, pur di liberarsi della commiserazione che provava verso se stessa: perché aveva commesso il più grande crimine che potesse compiere, dopo aver promesso davanti alle loro tombe che mai avrebbe dimenticato il suo debito e che avrebbe vissuto solo per loro, così come i suoi amici avevano perso la vita per salvare la sua.
    Si sentiva sporca, si sentiva sbagliata. I buchi nella sua memoria si stavano lentamente riempiendo, il ricordo della sua prima vita, di quello che fu il periodo più felice della sua vita, stavano tornando tra le nebbie della memoria, ferendola con la loro dolcezza come pugnali dalle lame roventi. Ogni sorriso dimenticato, ogni carezza rimossa erano come un nuovo schiaffo al suo cuore, pugni nello stomaco che la privavano dell'aria e lasciavano dentro di lei un senso di vuoto che non aveva mai provato prima. Sì, era vuota, aveva perso l'ideale per cui aveva lottato così a lungo, aveva cancellato tutto quello che era stata, tradendo la fiducia della gente che amava e soprattutto ingannando se stessa. La Volontà l'aveva costretta ad affrontare quella verità, ma l'unica colpevole era proprio l'Erica. Nulla sarebbe mai cambiato: avrebbe fallito ancora e ancora, non c'era motivo di credere il contrario. E poi anche Ingwe, Vanessa e tutti gli altri l'avrebbero abbandonata, sarebbero spariti dai suoi ricordi come una temporanea macchia lavata via dalla tela e di nuovo la sua unica compagna sarebbe stata la solitudine. Non voleva ammetterlo e faceva male, ma non vedeva una via d'uscita a quel maledetto circolo, ideato solo per spingerla sempre più in basso.
    -Shinan!-
    Una voce la chiamò. Lentamente, come se il peso di tale azione fosse insopportabile, la bambina sollevò il capo, i suoi occhi vacui e arrossati si posarono su Vanessa, che riusciva appena a distinguere tra le lacrime.
    -Devi fare qualcosa, o Ingwe...!-
    A bocca aperta, Shinan scrutò confusa l'amica, poi guardò al fianco di ella: trasalì, il pavimento crollò sotto ai suoi piedi e subito scattò in piedi sulle sue gambe incerte. Ingwe stava soffrendo, le sue stesse mani stavano affondando nella sua gola, nel disperato tentativo di estrarre un altro arto che tentava di soffocarlo dall'interno. Come le zampe di una grossa tarantola, le dita premevano dure contro le pareti della sua gola, tentavano di risalire fino in superficie, non per desiderio di vita ma per provocare ancora più dolore nel ragazzo.
    Shinan lo fissò confusa e spaventata. Mormorò il suo nome, ma non riuscì a muovere un solo muscolo. Guardò Vanessa che lo sorreggeva, che gli stava accanto nel tentativo di alleviare le sue pene, guardò la sua schiena che si piegava innaturale in preda a continui spasmi. E subito la domanda balenò nella sua mente: non c'era davvero nulla che lei potesse fare?
    Forse avrebbe potuto usare la sua magia curativa, ma già una volta era stata solo capace di peggiorare la situazione, con Noel, e non voleva rischiare che ciò si ripetesse. In più, poteva davvero combattere gli incantesimi della Volontà? Poteva la sua magia prevalere su quelle illusioni tanto reali da ucciderli? Non ne era sicura, non era più sicura di nulla.
    -Shinan, aiutalo... Ti prego...-
    Shinan provò ad aprire bocca, a balbettare che non ne era in grado. Ma non uscirono parole, solo aria gelida sputata dai suoi polmoni. E intanto il cuore batteva sempre più forte, pulsando per un solo motivo: per il bene di quel ragazzo.
    Prima che potesse fare una qualsiasi cosa, Ingwe vomitò. Sputò grumi rossi e pelle tumefatta, tossì a lungo piegato sopra ai suoi stessi conati, ma lentamente il suo respiro cominciò a regolarsi e le anomalie ebbero fine.
    La Volontà riprese a parlare, ma nemmeno questa volta Shinan ebbe la prontezza di ascoltarla. Il suo sguardo era fisso su Ingwe, stava a distanza, incapace di avvicinarsi, di chiederli come si sentisse. Non era stata capace di fare nulla se non guardare, aveva avuto paura di sbagliare, paura di non essere all'altezza della situazione. Per un solo secondo, ma... Aveva rinunciato persino a quello, non poteva perdonarselo in nessun modo.
    -Il gioco è semplice, miei amati ospiti. Dovete solo arrivare in fondo al castello. Non si torna indietro in nessun caso. Scegliete la vostra porta e cominciate la scalata. Se volete salvare chi vi è caro. O salvare la pelle.-
    Shinan alzò lo sguardo. Di fronte a lei, poco distanti, apparvero dodici porte diverse, irriconoscibili l'una dalle altre, tutte identiche nelle fattezze e nel colore. Si chiese se una di quelle l'avrebbe portata a Noel, se una di quelle le permettesse di realizzare l'impossibile. Si scoprì a sorridere mestamente, con una lacrima che ancora percorreva la sua guancia. Era ovvio, dopotutto la Volontà aveva già dimostrato cosa fosse capace di fare, non aveva bisogno di presentar loro una strada senza uscita per impedirgli di vincere. Era strano, ma in maniera distorta sentiva di potersi fidare di lei, e forse capiva anche la ragione: Will desiderava solo la sofferenza, non le importava di nient'altro, mentre Shinan, dall'altro lato, era disposta a sopportare qualunque cosa pur di difendere la causa in cui credeva.
    Con un movimento affaticato, Shinan si alzò in piedi. Scuoté distrattamente il suo abito dalla polvere e dal sangue chiuse gli occhi ed inspirò. Un fremito risuonò da tutte le parti, come lo scrosciare della pioggia, e le mille marionette si animarono tutte assieme. Si levarono da terra come spiriti e, lasciate a loro stesse, di colpo ognuna di loro si piegò su se stessa, la spina dorsale o ciò che la sostituiva rotta a metà e gli occhi vacui abbandonati verso terra. Ogni cosa scomparve velocemente per lasciare ai quattro tutto lo spazio di cui avevano bisogno, assieme al tempo per decidere cos'avrebbero voluto fare. Dal canto suo, Shinan aveva già deciso.
    Un suono metallico e poi un grido, qualcuno parlò al posto suo.
    -Ti fidi davvero di quello che ____!-
    La bambina si voltò sorpresa: fissò il ragazzo, piegato in avanti come in preda ad un nuovo conato, con gli occhi socchiusi e le mani vicine al volto. Durò solo un istante, e subito Ingwe abbassò le braccia e, confuso, concluse la frase: -...dice?-
    La giovane era confusa quanto lui: era subito riuscita a capire cosa volesse dire, lo conosceva abbastanza bene da comprendere che aveva riconosciuto la persona sbagliata come colpevole di tutto ciò, ma non riusciva a comprendere la sua improvvisa incertezza, o forse vera incapacità, di pronunciarne il nome.
    Incerta, la giovane spostò le iridi scarlatte dall'amico allo sconosciuto, a cui questi si era rivolto. L'enorme cyborg stava dando loro le spalle, solo la sua testa era un poco voltata ed uno dei sue occhi, o almeno delle luci nel suo casco che passavano per tali, fissava furente il suo amico.
    -Non puoi andare da solo...- concluse il ragazzo, meno convinto.
    Shinan sospirò triste. Cercò il pendente vicino al suo petto, cercò la sicurezza che le mancava, per poter essere onesta con se stessa e con gli altri, per poter affrontare una situazione dove l'unica via d'uscita era rimessa alla pietà di un'entità a loro sconosciuta.
    -Non... Cambierebbe nulla.- mormorò balbettando. Subito Ingwe colse le sue parole e si voltò a fissarla con aria quasi incredula, come se lei fosse l'unica persona da cui non pensava sarebbero mai giunte quelle parole.
    -La Volontà...- continuò la bambina, il suo corpo ebbe un fremito al semplice pensiero. -Lei non ha alcun motivo di mentire: non le interessa nulla di noi, né di quello che siamo venuti a fare. Vuole solo vederci soffrire.- e, soprattutto, era più potente di tutti loro. Quella consapevolezza si era già radicata dentro di lei la prima volta che aveva conosciuto i suoi poteri, prima di ritrovarsi di fronte a quel maledetto castello. Tuttavia, non fu in grado di dirlo ad alta voce, perché sapeva bene cosa quella confessione comportasse: significava che, se Shinan non avesse rinunciato presto, ad aspettarla avrebbe solo trovato la morte, e con lei chiunque avesse tentato di seguirla. Tuttavia, quella di fronte a lei non era una scelta, ma un sentiero unico.
    -Lo ha detto, non è vero? Questo... È solo un gioco. Un gioco che lei ha vinto fin dall'inizio.-
    -Shinan...- Ingwe mormorò debolmente il suo nome, deluso quanto lei da quelle parole. La bambina sfuggì lo sguardo del ragazzo, si nascose dietro la sua chioma dorata, perché sapeva che il giovane sarebbe stato capace di leggere dentro di lei e comprendere ciò a cui stava già pensando.
    Anche Vanessa parlò, si avvicinò a lei e all'automa con aria preoccupata, troppo dolce per la bambina. -Non... Non dovreste andare da soli...-
    Shinan tentennò per un momento. Mosse un passo indietro e strinse le spalle, come a nascondersi tra di esse. Spostò a terra lo sguardo, e arrossì, senza preoccuparsi di nasconderlo.
    -Io... Io ho paura.- confessò, la mano portata al petto strinse quasi convulsamente il suo lungo abito scuro. -So a cosa farà appiglio, so quali sono le mie debolezze. Mi farà molto male, più di tutto quello che ha già fatto.- Non si era fatta scrupoli di sfruttare i suoi compagni, non si era trattenuta dal giocare con i suoi ricordi, togliendole tutto ciò che era più importante per lei e mostrandoglielo in faccia, senza permetterle di riaverlo. -Vorrei restarmene ferma qui, scappare di nuovo a casa, però... Anche ora, il ricordo è solo vago, come se fosse un sogno, gli anni in cui non sono stata da sola, i più felici della mia vita. Tutto quello che mi è rimasto di quei tempi... è il desiderio di aiutare gli altri.-
    Shinan si alzò in piedi, ergendosi più alta che mai. Con forza e disperazione strinse il giglio appeso al suo collo, con un falso coraggio si voltò verso le porte, obbligandosi ad essere forte. Aiutare il prossimo era l'ultimo sentimento che le era rimasto e che non voleva tradire, era l'unico modo per cui poteva sentirsi fiera di una vita donatale contro ogni legge della natura. E Noel, che era come lei, che aveva sofferto nel medesimo abisso, era troppo importante per preoccuparsi solo della sopravvivenza.
    -____ è qui, da qualche parte, ne sono sicura, e ha bisogno di aiuto.- Shinan titubò per un istante, portò confusa le braccia alla sua gola, tastò come per essere certa che fosse tutto normale, e alla fine sorrise mestamente. Sembrava un altro dei poteri della Volontà, un altro capriccioso tentativo di distruggere l'amica della Nesciens fin nel suo essere una persona. Tuttavia, almeno quello, la giovane poteva affermare che fosse uno sforzo inutile, perché ancora ricordava il nome Noel dentro al suo cuore, e con esso la persona a cui apparteneva, e solo per lei era pronta a superare ogni ostacolo.
    -La Volontà potrà farmi del male, potrà far leva sulle mie peggiori debolezze, ma nulla sarebbe peggio della consapevolezza di aver abbandonato "lei". Ingwe, Vanessa, so che a voi sembrerà stupido e suicida, ma questo è l'unico modo di vivere che conosco. Per questo voglio andare da sola, non voglio trascinarvi per la mia testardaggine e... e soprattutto, non voglio che vediate come sono veramente…- Chinò il capo e mormorò le ultime parole. Il solo pensiero la terrificava: così tante persone erano morte per causa sua, così tanti fallimenti aveva sulla coscienza. Le sue paure, i suoi timori, la sua stupidità, sapeva che ogni cosa sarebbe stata messa a nudo, sapeva che ogni piccolo dettaglio della sua vita sarebbe stato sfruttato dalla sua nemica e, più del giudizio altrui, ciò che temeva era di dover affrontare il proprio, di fronte agli altri.
    -No... Non mi importa di cosa tu possa essere veramente, non m'importa nulla di tutto quello.- Ingwe gridò ancora, con più foga e trasporto di prima, le sue guance erano paonazze e i suoi occhi arrossati. Shinan lo fissò confusa, quasi spaventata dalla sua reazione. -Tu sei tu. Niente potrà farmi cambiare idea... Io ti voglio bene, come, come ne vorrei ad una.-
    La bambina deglutì, poi tirò su con il naso. Una piccola lacrima scivolò dal suo occhio lungo la guancia, cadde a terra con un sottile tintinnio, ed il suo cuore batté forte a quel suono. La giovane unì le mani e le portò al petto, per poi piegarsi in avanti. Il suo sorriso era felice, ma i suoi occhi umidi non riuscivano a focalizzarsi su un solo dettaglio.
    -Tu lo sai, vero? Niente potrebbe farmi cambiare idea su di te, tu non sei malvagia, anzi, sei la persona più altruista che io conosca. Quindi ti prego, ti prego, non farmi questo. Non andartene da sola incontro a... Lei. Non potrei mai perdonarmelo. Ti prego.-
    Shinan lo vide quasi crollare. Le si mozzò il respiro. Ingwe era sempre stato forte, si era sempre imposto di fronte a lei, preoccupandosi del suo benessere come se fosse la cosa più importante al mondo. Le aveva sempre dimostrato il suo affetto, l'aveva protetta più di quanto fosse necessario, le aveva dato ciò che aveva perso da troppo tempo, un posto nel mondo. Allora perché, si chiese, perché doveva vederlo con quell'espressione? Perché il destino, che non le aveva lasciato scelta, costringeva anche Ingwe ad essere così infelice? Finché il peso di quella vita fosse gravato solo sulle sue spalle, la bambina sarebbe stata capace di sopportarne il peso, ma così... Così...
    -Credimi Shinan, vorrei fuggire da qui.- Vanessa parlò di nuovo. In quella voce cristallina e gentile quel tono teso sembrava così fuori posto, fu un colpo al cuore per l'Erica dover leggere simili emozioni nella voce della sua amica, dopo essere stata separata da lei per un tempo breve, ma che appariva ormai come un'eternità. -Vorrei girarmi e correre via da quel portone. Ma non abbandonerò le uniche persone che mi sono rimaste al mondo... Ho paura, ma voglio risposte e voglio proteggere chi amo.- Vanessa abbassò il capo, un'ombra scura calò sul suo volto. Shinan la imitò, si sentiva pienamente colpevole del loro stato d'animo, ma non aveva in sé le parole né scuse a sufficienza per chiedere il perdono a tanta sciocca caparbietà. -Fin'ora non ho fatto un buon lavoro...- aggiunse, quasi con ironia, mentre mostrava la sua mano martoriata e ricoperta di sangue. Il cuore della piccola sussultò per un istante, ma l'amica ritirò la mano prima che ella potesse tentare di guarirla. -Non voglio perdere anche voi! Voglio starvi affianco!-
    Vanessa l'abbraccio, Ingwe si avvicinò e la cinse delicatamente con le sue braccia. Shinan rimase immobile per un istante, sorpresa, ma quando capì cercò di divincolarsi e fuggire: un tentativo debole, un tentativo che lei stessa voleva fallisse. Appoggiò il capo contro il petto della compagna e pianse silenziosamente, senza avere il coraggio di alzare le braccia e ricambiare quella stretta, dalla quale sapeva avrebbe dovuto staccarsi presto.
    -Commovente... Ma per me non è una questione di rivelare chi sono o roba del genere, al momento. Non sono uno facile da gestire sotto pressione. Voi fate come volete.- Come a decretare la fine del momento, al posto di Shinan fu Maxwell a parlare: la sua voce imponente risuonò come un come verità assoluta in tutta la sala, nessuno riuscì a rispondere.
    La Nesciens si staccò dalle cure dei suoi compagni e mosse un passo in avanti, verso l'uomo di metallo. Aprì la bocca per parlare, per fargli qualche augurio, per pregare che tornasse vivo, ma non riuscì a dire nulla di tanto ipocrita. Non lo conosceva, non sapeva perché si trovasse lì o a cosa aspirasse, non aveva alcun modo di fermarlo. Se davvero la Volontà giocava con loro come se fossero le pedine di una scacchiera, allora quella mossa era senza dubbio lo scacco matto, ma anche per Shinan non c'era altra via che cedere quel gioco in mano a Will.
    “Ti chiedo scusa...” pensò ad occhi chiusi, rivolta a quell'uomo di cui conosceva a malapena il nome. “Ti chiedo scusa, ma non credo che potrò fare qualcosa per te...”
    Rimase in silenzio per qualche secondo, finché non udì il suono di una porta sbattere. Riaprendo gli occhi, scoprì che il cyborg era sparito.
    -Ingwe, sono felice, felicissima di sentirlo.- Disse allora, voltandosi di nuovo verso il ragazzo che le aveva rivolto parole tanto gentili, persino troppo. -Ma ti prego, non dire altro: io ho deciso... No, è l'unica scelta che mi è stata data, e non voglio che tu la renda più difficile.- Allungò la mano per accarezzarlo, ma quando stette quasi per toccarlo, interruppe il movimento. No, non era quello ciò di cui aveva bisogno, non era di un addio del genere, così triste: già lo leggeva nei suoi occhi che non era in grado di accettare un simile destino.
    -Posso contare su di te, vero?- disse allora, voltandosi verso Vanessa. La ragazza sobbalzò per un istante, sentendosi di colpo rivolta la parola, ma annuì rapida, in ascolto. Shinan aggrottò la fronte e parlò con voce bassa. -Posso contare... Che qualunque cosa succeda... Voi due sarete felici assieme, vero?-
    Si accorse solo dopo di quanto aveva detto, quando ormai i volti di Ingwe e Vanessa si erano già tinti di porpora. Anche lei cadde vittima dello stesso imbarazzo e subito si nascose dietro le sue folte trecce di capelli dorati.
    -N... Non è come... Pensi...- mormorò Ingwe, portando lo sguardo ai suoi piedi, come se fosse stato colto in flagrante. La bambina spostò gli occhi sull'amica, ma anche lei titubava timidamente in quel modo, alla ricerca di parole che non sembrava possedere.
    Per un istante solo, Shinan percepì le sue viscere contorcersi ed il suo cuore mancare un battito. Deglutì, tesa, e poi si scoprì a sorridere. Erano così belli, assieme, sembravano splendere di una tiepida luce che lei desiderava ardentemente da troppo tempo, ma che sembrava essere precluso a lei, che ne poteva solo godere da lontano. Sì, forse era quello ciò che chiamavano gelosia.
    -Io... Vorrei che fossi felice anche tu, Shinan. Vorrei che tu rimanessi con noi... Con me.-
    Le spalle di Shinan crollarono assieme alle sue gambe, per poco non perse tutte le forze cadendo a terra. Quelle parole... Erano il peggior veleno per la sua fermezza, erano un sogno nel quale avrebbe voluto indugiare, ma al quale il maledetto senso del dovere la sottraeva. Vivere assieme ai suoi amici, in pace per sempre, quante volte aveva sognato quel risultato? Troppe da contare, questo era certo. Eppure non era capace di accettare qualcosa di tanto semplice, perché la felicità che lei cercava era diversa: era effimera e breve, posta oltre una serie infinita di ostacoli e sofferenze. Ma, anche solo in cambio di quel breve attimo, Shinan era convinta che qualsiasi fatica fosse un prezzo onesto.
    -Mi basta questo.- Concluse, mostrando il suo più vero sorriso, seppur incorniciato dalle lacrime. -Mi basta sapere questo... Per essere felice.-
    Come finì di parlare, Shinan si voltò. Si lanciò in corsa verso le porte, verso una qualsiasi. Udì Ingwe gridare il suo nome, altri passi che la inseguivano, ma non aveva il tempo di curarsi di nulla, non aveva il tempo di titubare e farsi fermare. Doveva fare quello che aveva sempre fatto, prendersi il carico delle vite altrui tutto sulle sue piccole spalle, dare se stessa. Perché questa volta, per quanto fosse dura, aveva un senso. Perché questa volta era l'unica cosa ad avere un senso.
    Strinse il pomello della porta, lo girò. Il varco si aprì, con forza ci saltò dentro e sbatté l'anta dietro di sé. Il passaggio si sigillò e tutt'intorno a lei fu il silenzio più totale. Non uno spiraglio di luce proveniva dalla sala precedente, non un suono.
    La bambina rimase lì, immobile, a fissare il risultato delle sue azioni. Respirò affannata più e più volte, ma per quanto tempo passasse il suo fiato non si stabiliva. Si appoggiò alla porta con la schiena, alzò il capo verso il cielo. Lentamente, si lasciò scivolare lungo la porta fino a cadere a terra con il sedere, e con un nero infinito negli occhi, spalancò la bocca ed emise un grido disperato. E pianse da sola finché il suo cuore non si svuotò di ogni cosa, ferma lì in attesa di un miracolo che la Volontà non avrebbe mai concesso.


    scusate se mi sono ridotto all'ultimo, ma a causa degli esami e altri impegni ho avuto molto poco tempo e, beh, il risultato è questo obbrobrio di post qui che non mi convince neanche un po' -w- troppo lungo per nulla, ma non ho proprio il tempo di fare un censimento e riguardare le parti per sistemarlo. Chiedo davvero scusa anche a Marsh che lo dovrà leggere >_>
    Arriveranno presto delle correzioni grammatico/battituriali, non appena il mio beta reader riuscirà a mandarmi un file con le correzioni leggibile :v:
     
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    Who's draining my life
    It's like my soul is see through
    Right through my empty eyes


    Ormai erano arrivati alla fine e Will si preparava a chiudere definitivamente quel ridicolo quadretto. Nessuno di loro si sarebbe salvato, nessuno di loro sarebbe sopravvissuto. Erano ben quattro, più eventuali innumerevoli rimpiazzi, le pedine in suo favore; gli ultimi eroi, gli scarti rimasti, erano solamente tre, privati della sapiente abilità di Aqua e del potere magico di Shinan, passata dalla sua parte. Will aveva fatto le dovute presentazioni e avrebbe fatto in modo che non ci fossero interferenze esterne: finché il cadavere freddo nell'altra stanza continuava a comportarsi da cadavere, nessun altro, dopo Hazama, sarebbe potuto entrare, né tanto meno uscire da quelle quattro, impenetrabili mura. Olson era pronto, la prima copia era schierata e totalmente assoggettata ai suoi comandi, Shinan aveva dichiarato le sue intenzioni e le vittime sacrificali, gli ultimi rimasugli di catene che ancora la tenevano bloccata a metà tra carne e spirito, erano state riunite e pronte a spezzarsi per sempre. Finalmente.
    Potevano confabulare, potevano salutarsi, abbracciarsi, essere contenti di essere vivi, credersi imbattibili, ma nessuno avrebbe varcato quella porta distrutta: li avrebbe terminati lei stessa. E poi, sì, forse anche Olson avrebbe ottenuto il Keyblade che tanto desiderava. Perché, alla fine, a lei cosa importava di quel vecchio stordito dai pensieri nella sua testa? A lei interessava una sola cosa: vivere. Questo suo desiderio era così vergognoso e umano da farla sentire sporca e debole. Da farla sentire come Noel. Will lasciò Shinan a gestirsi l’entrata; rimase ferma nell'ala successiva, l’ultima, seduta sullo scranno. Appoggiò il viso sulle ginocchia, serrando le palpebre e stringendo i pugni. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, doveva andare tutto per il verso giusto. Pensò rapidamente, ricapitolando ogni sua mossa passata e ogni previsione per il futuro, studiando silenziosamente ciò che l’Abisso le mostrava. Sollevò il viso prendendo un respiro profondo e fissando il corpo morto sotto di sé. Così ridicolmente debole, così ridicolmente umana. Ma mai a quel livello.
    Una smorfia rabbiosa incrinò le sue labbra, tramutandosi poi in un ghigno sbilenco. Will allargò la dritta verso l’esterno e il Keyblade comparve con una compressione d’aria nella sua mano. La testa di ariete picchiò il pavimento e Will vi si appoggiò con gli avambracci.
    «È arrivato il momento di salutarci e, questa volta, per sempre.»
    Non si aspettava una risposta, eppure rimase immobile, assaporando il gusto e il suono delle sue parole e della sua voce. Questa volta convinta, senza più paura di un fallimento, negando persino di averne avuta. Non poteva ancora accettare che gli altri tre idioti fossero ancora vivi per un imprevisto che non aveva messo in conto, ma da lì in avanti non ci sarebbero state altre sviste. Lei stessa sarebbe scesa in prima linea. Basta lavorare dietro le quinte. Il regista si fa attore e insegna agli altri come si impersona un ruolo e interpreta una parte. La malizia rossa delle sue iridi indugiò sul braccio sinistro della bionda, per poi correre a quello arrossato della sua stessa figura.

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    «Forse è il caso che pareggi quello che stai facendo all'interno con qualcosa all’esterno.»
    Sollevò il Keyblade con una risatina secca e stridente. La punta, le corna, le cavità vuote di quel teschio sembrarono fagocitare la luce malsana e surreale del Castello dell’Oblio. Il braccio, il cranio e l’asta calarono in avanti con forza, gravità e odio ad amalgamarsi in uno schianto sulle piastrelle. Tra quest’ultime e l’arma, l’arto mancino della bionda e l’accartocciarsi nitido dell’osso rotto. Il Trillo del Diavolo si levò ancora e calò nuovamente, una, due, tre volte. Gli schizzi di sangue disegnavano fiori rossi e rosati sul bianco delle lastre. Noel non reagiva: restava come morta, le palpebre a metà, la contrazione involontaria delle pupille agonizzanti contenute dalle iridi sbiadite. Cosa restava di lei? Cosa ancora le impediva di avere un corpo? Will si passò una mano sul viso e il tessuto si modellò come fatto d’aria. Dov'era andata a rifugiarsi, per riuscire ancora a resistere? Ma non importava più. Tagliando i ponti, tutti i ponti, l’avrebbe stanata. E avrebbe vinto.
    «Addio dunque, scarto umano. E a mai più.»


    Vanessa ci era riuscita e, sorprendentemente, anche da sola. Avevano attaccato anche lei, quelle illusioni, ma nulla aveva potuto scalfire la sua certezza, né tanto meno la sua capacità di distinguere il reale dall'irreale, il vero dal falso. Perché anche se si trovavano in pericolo, anche se era stata ferita, anche se stava trovando parecchi ostacoli sul suo percorso, Aqua era felice. Relativamente, sotto tutti quei problemi che avevano affossato qualunque altro sentimento positivo. Era uscita dal nimbo buio e stantio, era tornata a vivere, ad esistere e, finalmente, stava andando a recuperare i suoi amici. Gliel’aveva promesso, a Ven. Sarebbe tornata. Il sapore amaro della memoria si mescolò con quello ferroso del sangue. Già, sarebbe tornata con Terra, aveva detto. Terra.
    Tossì forte puntellandosi con i gomiti sul pavimento per continuare a darsi un sostegno e non finire lunga distesa in avanti. Una cosa alla volta: avrebbe recuperato anche lui, in qualche modo.
    Nel suo muoversi nei corridoi, Aqua si era resa conto che l’obiettivo dei suoi nemici non era tanto ucciderla, quanto metterla fuori combattimento. Per quello che riguardava Vanessa e i suoi compagni invece, non era certa di poterlo dire. Altrimenti, perché farla avanzare da sola e non con loro? Un nemico simile, che aveva il potere di creare creature così potenti da mettere fuori gioco lei, maestra del Keyblade, allenatasi per dieci lunghi anni in mezzo agli Heartless, sopravvissuta per dieci lunghi anni in mezzo agli Heartless, non avrebbe certo avuto problemi con loro. Una fitta di dolore le trapassò il volto e Aqua accompagnò la stilettata con una smorfia, stringendo i denti e serrando le palpebre.
    No, il loro nemico non era normale. Non ragionava come tutti gli altri avversari che aveva incontrato e lei non riusciva ad inquadrare a pieno le sue intenzioni. Se Vanessa era viva, se tutti gli altri erano vivi, ciò poteva significare una sola cosa, a rigor di logica: stava prendendo tempo. Per cosa, non ne era certa. Sollevò appena lo sguardo, leggermente sfuocato per la stanchezza, e fissò la porta distrutta.
    Qualcuno era passato di lì. Cosa c’era oltre? Dove stava cercando di indirizzarli?
    Un capogiro la costrinse ad abbassare il capo, a chiudere gli occhi e a prendere un respiro profondo. Poteva ancora sentire quell’odore, quel misto di terra, visceri, carne marcia, zolfo e putrefazione. Nelle sue orecchie grattavano e rimbombavano ancora i passi strascicati dei suoi nemici. Aveva rischiato di essere inglobata, aveva rischiato di lasciarci la pelle. Ma quando uno di quegli ammassi di arti aveva retto un fendente del Keyblade e aveva tentato di inglobarlo, la fanciulla dai capelli celesti aveva optato per la fuga, per il depistaggio e per affrontarli uno ad uno.
    Chissà se davvero gli altri avrebbero potuto aiutarla. Chissà se gli altri stavano tutti bene. Il mondo intorno a lei sembrava distorto, stranamente silenzioso e ovattato. Anche intorno a lei qualcosa sembrava non andare. Era... un'altra illusione? Era davvero messa così male, al punto che bastava una semplice illusione a ridurre le sue percezioni? Sospirò. Chissà se gli altri stavano bene. Chissà se potevano davvero aiutarla.



    CITAZIONE
    Dunque, faccio col dare le indicazioni con quello che sarà il vostro ultimo –o penultimo, it depends- post pre-battaglia e per il quale vi troverete tutti e tre nella stessa stanza. I vostri personaggi sono arrivati in quest’ordine: Vanessa, che ha subito l’illusione ed è riuscita a superarla, Maxwell e Ingwe con Noel bambina. Per l'ordine dei post, vedete voi. Aqua è esausta e non vi darà un mano per il vostro scontro imminente. E tra le altre cose, siccome mi sono resa conto di una mia imprecisione, su di lei è castata un'illusione che non le fa percepire le altre persone all'infuori dei due metri di raggio da lei. Ergo, non vi sente e non vi vede se siete fuori da questa. Don't worry, basterà che qualcuno entri -oltre a Vanessa- e che parli con lei riportandola alla realtà e il gioco è fatto, puff illusione.
    Nel vostro post verrete quindi semplicemente riuniti e quindi avete un post di reunion e conversazione libera tra di voi. Per domande e interazione con pg e png, sapete dove e come trovarmi.
    Vi do… quindici giorni? Dovrebbero bastare direi. Non necessito di post eccessivamente lunghi XD
    E poi forza e coraggio che siamo alla fine, spero che finora sia stata di vostro gradimento e che non rimarrete delusi dallo svolgersi degli eventi.



    Edited by -M a r s h- - 10/7/2015, 23:44
     
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    Da quanto non provava più quel peso, quella pressione così dannatamente opprimente sulle sue spalle? Non era il senso di colpa, il dolore, né la disperazione; era semplicemente un orribile senso di responsabilità. L'automa avanzò in mezzo a una specie di corridoio lucente a passo pesante, con i piedi che sembravano in procinto di affondare nel pavimento, e con quei pensieri si diresse verso la prossima stanza, incurante di ciò che lo avrebbe atteso. Alla fine, a cosa gli sarebbe servita altra paura? Aveva lasciato che quell'emozione lo controllasse nei mesi passati, proprio a causa della sua codardia la corazza di Xehanort era sempre sul punto di corromperlo, e se le sue membra non fossero state piene di quel sentimento inquietante, forse avrebbero...
    Maxwell chiuse gli occhi e sospirò a quel pensiero, maledicendo il senno di poi e i ragionamenti che lo avevano portato a ripescare quella scelta sadica che gli era stata posta pochi minuti prima. Non aveva più bisogno di scuse o motivazioni nate dal dolore, ormai le sue gambe potevano muoversi benissimo anche senza il senso di colpa.

    -Sono contento per te.-

    L'uomo tirò l'ennesimo sospiro quando il tono rassegnato della sua metà elettronica emerse dal suo subconscio, e se ne avesse avuto l'occasione, avrebbe stretto i denti con una smorfia spazientita. Era orribile dirlo o anche solo pensarlo, ma in quel momento non avrebbe potuto contare sull'aiuto di Siegfried: si era lasciato influenzare dagli eventi, e il suo carattere lo spingeva a chiudersi a riccio per ridurre al minimo i danni. Peccato che, in quel frangente, Maxwell non avesse né la voglia, né il tempo necessari per pungersi e far uscire lo stupido computer da quel guscio. Se voleva crogiolarsi nel dolore, questa volta la metà umana non avrebbe seguito quella elettronica. Non poteva permetterselo.
    E, proprio mentre quel pensiero gli passò per la mente, l'automa aprì gli occhi, perché dopo diversi secondi di cammino, aveva finalmente raggiunto la stanza successiva di quel castello degli orrori. L'ennesimo spazio bianco, fin troppo candido per un posto del genere, ma quel luogo era tutt'altro che vuoto: infatti, sul lato destro, opposto a quello da cui era entrato Maxwell, si trovavano due figure femminili a lui fin troppo famiiari. La prima era Aqua, poggiata su tutti i suoi arti, ferita e sfinita da sventure che solo le divinità potevano immaginare, mentre la seconda era decisamente più giovane, in preda a delle convulsioni, e l'uomo riuscì a riconoscerla come la ragazza che la voce aveva chiamato "Vanessa". In qualche modo, entrambe erano riuscite a sopravvivere a qualsiasi calvario la falsa Noel avesse riservato a entrambe, ma per quanto il loro corpo mostrasse i danni minori, le reazioni della più giovane e lo sguardo vuoto della donna rivelavano ferite più profonde. L'automa esitò un attimo prima di lanciarsi verso di loro, indeciso su quale delle due dovesse soccorrere per prima, ma dopo una rapida occhiata la risposta fu praticamente ovvia: la ragazzina. Maxwell sentì chiaramente un brivido percorrergli la schiena, e un senso di orrore lo riempì mentre si muoveva per raggiungere Vanessa, il cui attacco epilettico andò a scemare nel giro di pochi secondi; poteva solo immaginare quali fossero le conseguenze delle strategie della burattinaia su una mente così giovane. Perché, se lui era praticamente impazzito al solo pensiero degli esperimenti che il suo corpo precedente aveva subito, come poteva reagire un'adolescente al sadismo della loro ospite? Fortunatamente, quando l'uomo riuscì a raggiungerla, il peggio sembrava essere passato, le convulsioni erano ormai terminate, ma l'automa non era disposto a correre rischi. Si inginocchiò accanto alla ragazzina, le poggiò la mancina sulla spalla sinistra, e cominciò a scuoterla leggermente per attirare la sua attenzione.


    -Ehi... EHI! Tutto bene?!

    La sua voce uscì con un tono fin troppo duro per i suoi gusti, ma non riuscì a pronunciare quelle parole in nessun altro modo: la preoccupazione si mischiò alla tensione radicata nel suo animo, e le emozioni contrastanti non trovarono un altro modo per reprimere un grido. Eppure, per quanto l'uomo si sarebbe volentieri preso a calci, quel richiamo sembrò sortire un effetto relativamente positivo per la sua interlocutrice. Dopo qualche attimo di silenzio, la giovane sembrò riconoscere la sua figura, portandosi lentamente contro il suo corpo corazzato, cercando di rifugiarvisi come se fosse la cosa più rassicurante che aveva visto negli ultimi minuti. Ancora una volta, l'uomo riuscì quasi a sentire una risata divertita del Settimo in lontananza, ma le parole che seguirono quel gesto zittirono quell'ilarità immaginaria nel giro di pochi attimi.

    -Io... Loro... Basta! Voglio... Aiuto...

    La sua voce era chiaramente scossa dal panico, rotta da un pianto disperato che l'uomo non avrebbe mai voluto sentire, e le lacrime della ragazza caddero copiose sul metallo scuro della sua armatura. A quella reazione, l'uomo non poté fare altro che trarre un silente sospiro, spegnendo per un attimo il furore che gli aveva riempito il cuore fino a quel momento: quante volte anche lui aveva pianto in quel modo? Aveva perso il conto delle notti e le ore spese a imitare quel gesto, a piangere senza lacrime, a disperarsi per una situazione che non aveva mai chiesto. E se doveva essere sincero, probabilmente anche lui avrebbe reagito in quel modo, non appena quella follia fosse terminata. Lontano da tutti, in silenzio, perché solo lui era la causa del dolore che stava seppellendo alla bene e meglio nel suo cuore. Ma, proprio per questa ragione, nel profondo del suo animo sapeva che cosa poteva aiutare, anche se solo temporaneamente, quella ragazzina.
    La mancina dell'uomo si spostò lentamente sulla schiena di Vanessa, stringendola leggermente a sé, mentre cercava di racimolare la forza necessaria per fare un discorso privo della sua vanagloria passata.


    -Non preoccuparti, usciremo da qui. Stringi i denti ancora per un po', d'accordo?

    Cos'altro poteva dire? E non se lo chiedeva tanto per disperazione, senso del dovere o altro: come poteva dirle, senza alcuna ambizione, che avrebbe dovuto combattere ancora per uscire da quell'inferno? Non stava parlando con Rick, con Sin, o qualsiasi altro mercenario incontrato fino a quel momento, non aveva idea di quanto quella ragazza fosse capace di combattere, o di resistere a un conflitto del genere. E, soprattutto, non poteva certo chiederle di seguirlo fino alla morte per il bene di tutto il gruppo, con che faccia di bronzo avrebbe potuto fare una cosa del genere? Lui stesso aveva abbandonato lei e i suoi due conoscenti alle grinfie del Castello, si era abbandonato a una decisione nata dalla sua rabbia, e non poteva permettersi di affermare con orgoglio di essere "superiore" a quella situazione. Ogni attore di quella macabra commedia era una vittima, e le loro seguenti parole non fecero che sottolineare quel fatto.

    -Non... Non ce la faccio più. Eravate... Eravate tutti...

    -... Morti?

    Quella parola uscì quasi d'istinto dal simulatore vocale dell'uomo, colorata solo da una profonda tristezza. Neanche lui era certo del motivo per cui quella possibilità fosse la prima opzione che gli era balzata in mente; forse per il sanguinolento spettacolo iniziale che li aveva accolti nel castello, forse per la recita a cui la falsa Noel lo aveva reso partecipe, forse perché aveva ancora l'uccisione di quella bambina impressa a fuoco negli occhi. La tragedia era l'arma più grande della burattinaia, e quale arma migliore per spezzare l'innocenza di una persona? Lui stesso l'aveva persa a causa della sua prima morte, ma non poteva lasciare che quella ragazza si spezzasse sotto al peso degli eventi.

    -Non sarebbe la mia prima volta. Ma non lasciarti influenzare da quello che ti viene mostrato. Sei una ragazza coraggiosa, o non saresti arrivata fino a qui, sbaglio?

    L'uomo si abbassò leggermente verso di lei, cercando di rassicurarla il più possibile, mentre pronunciava quelle parole. Le stesse che gli erano state dette dalla Noel bambina, le stesse che gli avevano ricordato la vera natura di ciò che suo padre gli aveva ripetuto fino alla nausea, e per una buona ragione. Eppure, per quanto l'uomo avesse fatto del suo meglio per motivarla, la reazione seguente di Vanessa fu, in un certo senso, insolita: dopo pochi secondi di silenzio, infatti, la giovane disse qualcosa che l'uomo non si aspettava. Almeno, non in quel frangente.

    -...No. Voi... Eravate tutti vivi, in salvo.

    Altre lacrime seguirono quelle parole, ma in quel caso l'uomo rimase allibito. "Loro" erano in salvo? Si riferiva forse a lui, Aqua, e gli altri due ragazzi? Per un attimo Maxwell non riuscì a comprendere il motivo di quell'affermazione, se fosse nata dalla disperazione della sua interlocutrice o da qualche illusione della sua stessa mente, ma la risposta arrivò poco dopo. Perché, alla fine, stavano sempre parlando della "Volontà": a lui aveva dato un attimo di respiro, la riunione temporanea con Catherine, e proprio quel momento si era trasformato nella scintilla che aveva reso tanto difficile lo scontro con quell'Heartless. E, secondo quella logica, come torturare un animo innocente, che desiderava la salvezza di tutti i presenti? Con l'abbandono, la sicurezza altrui al costo della propria, oppure con un'illusione ancora più subdola, dove anche lei era riuscita a sopravvivere, una felicità effimera. Anche se per ragioni differenti, il risultato ultimo di qualsiasi possibilità decisamente più "positiva" non era che un dolore altrettanto forte, e giustificava appieno la reazione della sua interlocutrice. Ma, anche di fronte a quella possibilità, il suo problema non cambiava: come lenire quelle ferite, come darle anche il più piccolo barlume di speranza? Ancora una volta, la risposta ai suoi problemi risiedeva nel suo passato, nella vita pacifica che aveva rinnegato, e negli insegnamenti dei suoi genitori. Qualcosa di semplice, ma che avrebbe richiesto la collaborazione della ragazza. L'uomo tirò l'ennesimo sospiro a quel pensiero, racimolando tutta la forza e il buon senso a sua disposizione, pregando silenziosamente il Dio della Giustizia per un aiuto, e finalmente riuscì a parlare nuovamente, questa volta senza che alcun astio avvelenasse le sue parole.

    -Ciò che hai visto... si avvererà solo se lavoreremo insieme per uscire da qui. Lo sai, vero? Capisco di chiederti molto, ma ho bisogno che tu resista ancora un po'.

    Non voleva che inseguisse alla cieca l'illusione che le era stata mostrata, che si sacrificasse per loro o altre stupidaggini simili: così come un padre cerca di rassicurare i figli, anche Maxwell voleva semplicemente che Vanessa capisse ciò che le sue parole comportavano. Le stava promettendo una via d'uscita, e non come un eroe o un cavaliere errante, ma come un'altra persona che era bloccata nella stessa situazione, e sapeva quali rischi avrebbero corso da quel momento in poi. L'avrebbe aiutata quanto possibile, le avrebbe guardato le spalle se necessario, ma lei doveva essere pronta a combattere a sua volta, contro gli orrori che ancora li aspettavano, contro gli avversari che non avevano ancora affrontato. Era una grande responsabilità per una ragazza così giovane, ma non le avrebbe dato nient'altro che la verità.
    Maxwell dovette trattenere un'amara risata alle sue ultime parole, al ricordo di quanto fosse stato stupido nei giorni passati e con la bambina che lo aveva aiutato così tanto. Era stato davvero patetico. Ma, dopo aver soffocato quell'attimo di ilarità, terminò la sua frase con tre semplici parole, dette quasi con un sussurro.


    -... Te ne prego.

    Non era neanche certo di come descrivere il suo stato d'animo negli attimi successivi a quel discorso, perché di speranze ne aveva poche, e aveva ancora meno fiducia nelle sue parole. Forse era perché aveva perso quella punta di orgoglio nata dalla sua testardaggine, forse perché aveva finalmente aperto gli occhi a ciò che gli si trovava davanti, ma non riusciva proprio a identificare la causa di quel vuoto che si era formato nel suo petto. Tuttavia, fu decisamente sollevato quando vide la reazione della giovane alle sue parole: dopo un attimo di esitazione, Vanessa alzò il proprio volto verso quello dell'automa, annuendo alle sue parole e sciogliendo lentamente la stretta che aveva sulla sua corazza, cercando di rialzarsi un po' a fatica. In quel momento l'uomo avrebbe desiderato un attimo di pace, pochi secondi per cambiare in forma umana e darle un sorriso, anche se debole, per dirle con qualcosa di più della semplice espressione degli occhi che le era grato. Peccato che un lusso del genere non gli fosse concesso, e che avesse risolto solo metà dei suoi problemi.
    Con un grugnito sommesso, Maxwell si rialzò da quella posizione inginocchiata, facendo un breve cenno a palmo aperto con la propria mancina alla ragazza, come se volesse dirle di prendersi il tempo che le serviva per riprendersi... soprattutto perché, in quel momento, l'uomo si sarebbe dovuto occupare di una persona su cui aveva ingiustamente sfogato il suo astio. Si avvicinò un po' alla figura della maestra del Keyblade, ancora inginocchiata a terra sotto l'influsso di chissà quale visione, solo per fermarsi a un metro buono di distanza da lei. Avrebbe tanto desiderato muoversi con più naturalezza, darle subito un po' di conforto, ma a quella distanza il suo cuore venne stretto da una morsa ferrea, talmente forte da fermare immediatamente i suoi passi. La stessa sensazione che aveva provato di fronte alla cabina di Marilù, quando la morte di Steven era ancora fresca nella sua mente, così come il senso di colpa che aveva provato. Perché, alla fine, che differenza c'era tra quei due momenti? Aqua respirava ancora, anche se era chiaramente ferita, ma così come il suo vecchio committente, anche a lei l'uomo aveva fatto una specie di promessa, si era preso un impegno nei suoi confronti, e a causa della sua sventatezza tutto era finito nel peggiore dei modi. Non si sarebbe flagellato ulteriormente la schiena con sentimenti del genere, certo, ma questo non significava che non li provasse. E, per quanto cercasse di trattenerli, una chiaro brivido di orrore nei suoi stessi confronti si fece strada per un attimo lungo la sua schiena.
    La sua sola fortuna? Che in quel frangente il suo cuore non era più incatenato dalla sua infantilità, e forse sarebbe riuscito a migliorare almeno la situazione emotiva di quella donna. Non ci avrebbe neanche sperato, lo avrebbe semplicemente fatto, con cuore e cognizione insieme, in quel frangente. E, con questi pensieri in mente, l'uomo si inginocchiò di fianco alla maestra del Keyblade, prendendo entrambe le sue spalle con quelle mani placcate di nero metallo e scuotendola leggermente, cercando di raggiungerla in mezzo alle illusioni della burattinaia.


    -Aqua... Lady Aqua! Sono io!

    -Maxwell...

    La donna alzò lentamente il volto a quelle parole, mentre il tono con cui aveva pronunciato il suo nome si era riempito di uno strano sollievo. L'uomo smorzò a sua volta un sospiro nato dal medesimo sentimento a quella reazione, cercando di simulare al meglio delle sue possibilità un sorriso solo con gli occhi, ma tutto ciò che riuscì a fare per esternare le sue emozioni fu stringere lentamente a sé Aqua come una vecchia amica.

    -... Non vada mai più avanti da sola in quel modo. Mai più.

    Avrebbe tanto desiderato chiederle scusa per la sua stupidità, per non essere riuscito a fermarla prima, per aver proiettato su di lei cose che in realtà avrebbe voluto dire a se stesso, preferibilmente mentre si prendeva a pugni! Ma, per quanto quel desiderio rischiasse di squarciargli il petto, tutto ciò che riuscì a venir fuori dal suo simulatore vocale fu più una predica, che conteneva solo in parte un indizio delle sue vere emozioni. Avevano sbagliato entrambi, si erano lasciati controllare dai sentimenti che avevano trattenuto troppo a lungo dietro a una maschera di maturità, e nessuno poteva essere definito propriamente un colpevole. Erano stati solo troppo impulsivi, e lui non desiderava mettere sale sulla ferita. Peccato che la stessa cosa non si potesse dire di Aqua.

    -Mi dispiace... volevo solo liberare Ven. Ma da sola... lei è troppo forte.

    -... Ven?

    Maxwell stava per rispondere alle parole della donna dai capelli turchesi, quando la voce di Vanessa interruppe la loro discussione. Per un attimo, l'uomo si preparò a lanciarle un occhiataccia, a scrutarla con l'obiettivo dell'occhio destro carico di uno strano furore, ma quest'ultimo venne a meno quando il suo senno gli ricordò un particolare importante: solo lui e Aqua erano arrivati insieme al Castello dell'Oblio. Gli altri tre non erano coinvolti nella follia che era nata da quel viaggio nel Regno dell'Oscurità, ma erano stati trascinati in quella fortezza per qualcosa di ben più subdolo, che aveva portato storie diverse a incrociarsi forzatamente su quel palcoscenico. E, a causa dei desideri della loro ospite, la donna tra le sue braccia era finita in secondo piano, così come le sue speranze.

    -... Un mio amico.

    Con la coda dell'occhio rimasto azzurro, l'uomo poté vedere il sorriso amaro che si disegnò sulle labbra di Aqua, come se stesse raccontando una storia "anonima" a quella ragazza. Ma, in fondo, quale storia aveva importanza in mezzo a quella follia? Una, forse... e non voleva neanche immaginare le ramificazioni di tale rilevanza, non in quel momento.
    Maxwell scacciò quei pensieri con un sospiro impercettibile, rinnovando la stretta delle sue braccia sul corpo della donna, e sforzandosi di riportare i suoi pensieri sulla prima affermazione della maestra. Perché, in mezzo a quelle parole, si trovava un'affermazione decisamente errata.


    -Non è una questione di forza. Si tratta di una cosa molto diversa.

    Istintivamente, la sua mancina si strinse un po' di più intorno al coniglietto di pezza che aveva tenuto dalla stanza precedente, perché quella bambina aveva mostrato appieno quale fosse la "realtà" a cui erano stati sottoposti. Non c'era alcuna forza, potenza, prestanza, o qualsiasi altro sinonimo si volesse utilizzare per il potere dietro alle azioni della loro aguzzina: se la sua intuzione non era errata, la burattinaia stava prendendo buona parte delle sue capacità da una fonte esterna, probabilmente lo stesso Castello dell'Oblio, e lo stava usando come un catalizzatore per ciò che aveva fatto a Noel. Ma, in fondo, come poteva definirsi "forza" una cosa del genere? E non lo diceva dal punto di vista dell'onore, la lealtà o altro, ma da una prospettiva ben più semplice; perché che cos'è una persona che si fa più grande di quanto non sia opprimendo gli altri, se non un bullo? Poteva essere una definizione fin troppo innocente di fronte a ciò che avevano subito, certo, ma l'uomo non riusciva a trovare un termine più calzante per il desiderio di opprimere e la violenza che quella donna aveva mostrato mentre uccideva la ragazzina a cui apparteneva quel pupazzo. Sfruttava come proprio un potere esterno, lo usava per dare forza al suo ego, per rendersi più grande delle singole persone che voleva torturare; quella "forza" non era molto differente da quella che lui stesso aveva mostrato uccidendo gli scienziati che lo avevano trasformato in una macchina. Aqua non aveva perso perché era più debole, ma perché era stata attirata in una trappola, da sola. Ma, fortunatamente, ora non era più isolata tra quelle mura.

    -Ma risparmi le sue forze, farò il possibile per aiutarvi a uscire.

    Non riuscì a pronunciare quelle parole con spavalderia, anche se avrebbe voluto. Dannazione, se avrebbe voluto! Dovevano uscire da quell'incubo, e voleva dare una spinta al loro morale, ma il peso della verità soffocò il suo orgoglio, la sua stupidità, e non riuscì a dire altro. Aveva sempre saputo che Alan sarebbe stato un candidato decisamente migliore per la posizione di Gran Generale, bastava vedere quanto fosse abile nel rassicurare chi gli stava intorno, soprattutto con poche parole ben piazzate! Sapeva di non potersi aspettare certezze in quel frangente, ma non avrebbe neanche negato che, nel profondo del suo animo, avrebbe preferito avere anche solo un po' di fiducia in più nelle sue capacità.
    Eppure, mentre lui era occupato a sfogare la tensione che gli permeava impercettibilmente ogni muscolo artificiale, la sua interlocutrice non riuscì a resistere all'atmosfera opprimente di quel luogo, ed espresse nuovamente quell'orribile misto di colpevolezza e disagio per ciò che era accaduto fino a quel momento.


    -Mi dispiace di non potervi aiutare... non sarei dovuta partire. Avevi ragione, Maxwell.

    -... Aqua.

    Erano davvero importanti quelle parole? Pochi minuti prima, avrebbe volentieri messo del sale nella ferita, avrebbe cercato di consolarla per sentirsi meglio come "essere umano" ma, di fronte a quell'affermazione, qualcosa nella sua mente sembrò spezzarsi, come una trave di legno che cedeva sotto la neve. Perché no, non aveva ragione. Quando aveva cercato di fermarla, purtroppo, era occupato a cercare l'ennesimo modo per redimersi, di fare qualcosa di "giusto" dopo che aveva lasciato andare Noel, e si era arreso al suo senso di colpa.
    In quel momento, però, tutte quelle idiozie non contavano. La sua voce perse ogni segno di conforto, e quando pronunciò il nome della sua interlocutrice, il tono dell'automa era semplicemente serio, perché a cosa sarebbe servito rimuginare su quell'errore? Poteva dirle che sì, era stato impulsivo imbarcarsi in quella crociata, che avrebbe dovuto ascoltare gli avvertimenti di Topolino, e forse avrebbe dovuto prendere sul serio le sue parole. Ma dopo? Biasimarla e dare corda a quel senso di colpa non avrebbe fatto altro che aggiungere altre ferite sulla schiena di Aqua, l'avrebbe caricata di altri "fallimenti" e responsabilità. Ma, sfortunatamente, Maxwell aveva la netta impressione che lei avesse già subito abbastanza colpi di quel genere; la reazione che aveva avuto quando lui e Topolino avevano messo in dubbio la sua risoluzione era stata una triste conferma. Eppure, quel richiamo all'apparenza severo non venne seguito da un gesto violento, e l'uomo si limitò a stringerla di più a sé.


    -Il rimorso serve a poco, basta guardare me. Non arrenderti, e pensa a riprendere le forze, d'accordo?

    Era stanco di cercare capri espiatori, di sfogare la sua rabbia o i suoi rimorsi su bersagli più semplici. Sapeva come ci si sentiva, aveva passato i primi giorni della sua nuova vita con un rimorso del genere, e probabilmente sarebbe rimasto ad arrugginire in qualche vicolo di Radiant Garden se non avesse incontrato Helen, oppure se Siegfried non si fosse deciso a dargli quel minimo di supporto morale. Biasimarla e piantarle l'ennesimo coltello nella schiena non l'avrebbe aiutata, non era una bambina, ma una persona che aveva bisogno di rialzarsi da anni di isolamento, con solo Ansem e i ricordi dei suoi amici a farle compagnia. Al diavolo titoli e generazioni diverse: in quelle quattro mura, non erano che due persone fin troppo simili, che avevano bisogno di una spalla a cui appoggiarsi.
    La risposta di Aqua non arrivò tanto alle sue orecchie, quanto sulla superficie della corazza. La ragazza dai capelli turchini si limitò ad annuire debolmente sulla sua spalla, forse troppo stanca per rispondere a parole, oppure queste ultime erano ancora schiacciate dalle emozioni negative che aleggiavano intorno al suo cuore. Fortunatamente, lei avrebbe avuto del tempo per riprendersi da quel problema; Maxwell avrebbe fatto tutto il possibile per dare un po' di supporto ai suoi compagni di sventura. Ma, proprio mentre questo pensiero gli passò nella testa, il rumore di un'altra porta che si apriva ruppe il silenzio, e fu l'araldo dell'arrivo di uno degli ultimi membri di quella banda di sventurati. L'uomo si voltò, in piena allerta, solo per vedere che il nuovo arrivato era il ragazzo che aveva rischiato di venire strangolato nell'atrio, ma non fu la sua presenza a causargli la sorpresa più grande. Certo, sperava ogni maledettisimo secondo che tutte le persone coinvolte dalla loro ospite riuscissero a sopravvivere a quell'inferno, ma mentre i due ragazzi si riunivano, un'altra piccola Noel, che era arrivata mano nella mano con il biondo, si diresse a fatica nella sua direzione.


    -Dammi un attimo.

    L'uomo sussurrò rapidamente quelle parole ad Aqua, sciogliendo il loro abbraccio e dirigendosi verso la bambina che arrancava nella sua direzione. L'automa la incontrò a metà strada, inginocchiandosi nuovamente sulla gamba sinistra, e senza un attimo di esitazione, la piccina gli saltò in braccio con una strana euforia, a cui Maxwell rispose semplicemente poggiandole la mano destra sulla schiena, stringendola leggermente a sé.

    -... Sai che questa non è quella che hai incontrato, almeno?-

    Sì, lo sapeva. La voce amareggiata di Siegfried non portava nuove notizie, ma almeno aveva inteso che quella era una specie di manifestazione di Noel, e anche se all'inizio la presenza di "un'altra" bambina lo aveva sorpreso, quella rimaneva una riunione piacevole, indipendentemente dalla natura di quella ragazzina. Avrebbe voluto poter fare lo stesso anche con l'originale, ma in quel momento si sarebbe accontentato; tutto ciò che doveva fare era sopravvivere, e lavorare per rimediare a ciò che aveva spezzato.
    Dopo qualche attimo di silenzio tra di loro, mentre gli altri due sembravano occupati a riconciliarsi e a superare ciò che avevano subito nelle stanze precedenti, l'uomo spezzò la stretta della bambina, facendola poggiare a terra... e porgendole, finalmente, ciò che le apparteneva.


    -Credo... che questo sia tuo.

    Con quella frase, Maxwell avvicinò la propria mancina alla bambina, aprendola per rivelare e lasciarle il coniglietto che, involontariamente, gli aveva fatto compagnia negli ultimi minuti. Poteva anche non essere quella che aveva incontrato, poteva essere una copia, ma qualcosa lo spingeva a compiere quel gesto, e per una volta non era un sentimento che rischiava di pugnalarlo al cuore. La piccola Noel rispose semplicemente con un "grazie" sommesso, afferrando il pupazzo con una certa titubanza, troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi. Per l'amor di Asura, quanto avrebbe voluto che quella situazione si chiudesse in quel modo, senza altri problemi! Niente più conflitti, niente più problemi, niente più ferite a chi gli stava intorno. Eppure, al contempo, avrebbe voluto scacciare quei pensieri con un sorriso amaro, seppellirli silenziosamente nel proprio cuore, ma tutto ciò che riuscì a fare fu darle una leggera carezza sul capo, soffocando quelle false speranze sotto a ciò che l'altra ragazzina gli aveva lasciato, un po' di lucida determinazione. Peccato che neanche quella fosse abbastanza per chiudere quella triste recita.

    -Noel, sai dove si trovano Shinan e... l'altra Noel?

    Improvvisamente, la voce di Ingwe si fece strada tra i suoi pensieri, e li sostituì con qualcosa di decisamente più spiacevole. Avrebbero sorvolato su quella definizione, "l'altra Noel", probabilmente lui era l'unico ad averla conosciuta prima che la burattinaia prendesse le redini della loro vita, ma quella era una domanda legittima. La bionda era veramente nel castello? E in quel caso, dov'era finita? Ma, soprattutto... perché in quel gruppo mancava una testa all'appello?
    Sfortunatamente, quelle domande dovettero attendere qualche attimo prima di ottenere delle risposte, perché l'altra ragazza guardò la bambina a lui vicina con una certa incredulità, come se avesse appena visto un cadavere. Non che potesse biasimarla, se lui non si fosse praticamente arreso alla follia di quella situazione avrebbe avuto una reazione molto simile, ma al contempo non poteva immaginare la ragione di quella sorpresa.


    -Tu... Cosa ci fai qui? Sei viva! Come... io... io ti ho... doveva essere un'altra illusione...

    C'era un chiaro disagio in quelle parole, e l'ultima parte di quella affermazione non fece che risvegliare delle orribili possibilità nel fondo della sua coscienza. La burattinaia, apparentemente, si era divertita a giocare con i sentimenti altrui usando alcune ombre di Noel, e dal modo in cui tremava la voce di Vanessa, le sue teorie vagavano in una sola macabra direzione. In un certo senso, il copione che quella donna stava usando per spezzare le loro menti diventava ogni volta più familiare, ma era orribile che, per quante volte si fosse vista o immaginata la stessa identica scena, la sensazione di orrore rimanesse invariata. Di fronte a quei pensieri, Maxwell non poté fare altro che emettere un silente sospiro, portando i propri occhi verso il terreno, mentre la piccola Noel si occupava delle domande che le erano state rivolte.

    -Noel è nella prossima stanza. Shinan... non lo so.

    La bambina rispose con altrettanta titubanza, ma con una certezza inaspettata. L'uomo socchiuse leggermente le proprie "palpebre", soffocando un certo disagio: quindi Noel era davvero rinchiusa in quella fortezza, e forse stava venendo torturata in altri modi. Anzi, era giusta definirla solo "tortura"? Se la loro ospite era la causa di quegli ematomi che apparivano copiosi sulla sua pelle, cosa le stava accadendo mentre lei si divertiva a scorrazzare per il Castello dell'Oblio? Noel poteva essere praticamente al pari del suo generatore, per quella donna... e il frammento di Roccia Divina gli sembrava una fonte energetica meno abusata.

    -L'orfanotrofio? Il lupo? ... Non erano illusioni. Sono contenta che tu sia riuscita a proseguire.

    Maxwell non riuscì quasi a sentire quelle parole, né a vedere il timido sorriso che si dipinse sul volto della piccola Noel, probabilmente perché i suoi occhi erano troppo occupati a perforare il pavimento. Dovette sforzarsi, quasi fisicamente, per scacciare ogni possibile scenario che si faceva strada tra i suoi pensieri, altrimenti i suoi ammortizzatori rischiavano di cedere sotto al peso che cominciava a formarsi all'altezza del suo stomaco. Una fatica apparentemente inutile, perché per ogni pezzo d'ansia che la sua coscienza metteva da parte, un quadro ben più macabro prendeva forma nella sua mente.

    -Non è morta… vero?

    -Non credo...

    Di fronte a quella domanda, Maxwell avrebbe voluto soffocare un'amara risata, ma non ebbe neanche la forza per esternare un po' di triste ilarità. Se Noel fosse morta, forse quella bambina non sarebbe stata lì, forse la burattinaia non gli avrebbe consentito di continuare a camminare nel suo "castello dei giochi", ma ogni possibile alternativa non era più piacevole di quella possibilità. In vita avrebbe continuato a soffrire, prima della morte sarebbe stata praticamente torturta, e avrebbe potuto continuare in eterno a elencare le innumerevoli possibilità che la sua mente partoriva ogni secondo! E anche se quella domanda si fosse riferita alla ragazza che mancava l'appello, più continuava a pensare, e più la loro situazione sembrava essere ben peggiore, e gli saliva in petto più di una preoccupazione.

    ... Temo che quella potrebbe essere la nostra preoccupazione minore, purtroppo.

    -Cosa intendi...?

    La sua voce uscì con una certa amarezza, mentre il suo volto viaggiava verso la porta distrutta che li avrebbe condotti nella prossima stanza, dove si trovava Noel. Almeno, quella era una certezza, ma erano le parti "ignote" di quella storia che aumentavano di volta in volta il suo disagio: c'erano troppe domande, troppe incognite dietro a ciò che avevano subito tra quelle mura, e più cercava di venirne a capo, più sentiva di voler rimanere nell'ombra. Sperava che le sue parole fossero un indizio abbastanza rilevante, che quella semplice affermazione potesse accendere una scintilla nella mente degli altri presenti, ma la domanda di Ingwe mostrò chiaramente che era ancora fin troppo ottimista. E, sfortunatamente, non era neanche certo di poter mettere in piedi un discorso decente, nelle sue -e, soprattutto, le loro- condizioni.

    -Sarò breve: siamo ancora in territorio nemico. Noel sarà nella nostra stessa situazione, ma c'è un pericolo più imminente, al momento.

    L'uomo fissò il ragazzo con la coda dell'occhio sinistro mentre pronunciava quelle parole, ma era stato comunque ottimista. Noel non era nella loro "stessa" situazione, ma questo non cambiava che erano tutti vittime di qualcosa che desiderava affermare la propria esistenza con metodi estremamente sadici e violenti, e quello poteva essere un momento estremamente comodo per farlo. Stavano convergendo tutti nella stessa zona del Castello, la loro ospite non avrebbe più dovuto dividere i suoi sforzi, mentre loro erano già provati da ciò che gli era stato mostrato nelle stanze precedenti. Era pura strategia, e se non si fossero preparati all'eventualità che quella poteva essere l'ultima linea di difesa della burattinaia o un'arena in cui avrebbero rischiato la vita, sarebbero finiti dritti nella sua ultima, sadica trappola. Ma, sfortunatamente, non era mai facile comunicare con altre persone, specie quando la pressione era palpabile.

    -È appunto per questo che dobbiamo sbrigarci ad uscire da questo inferno. Non me la sento di "affrontare" nuovamente Will. Dubito che potremmo mai farcela... dobbiamo scappare e non voglio, non posso lasciare Shinan o Noel qua dentro...

    -Noel non è cosciente da...

    La bambina contò fino a quattro con le dita, ma quel gesto venne quasi ignorato dai presenti. Quindi il nome della burattinaia era "Will"? Maxwell avrebbe voluto ridere di fronte all'ironia di quel fatto, oppure sorridere leggermente al tentativo della piccola Noel di spostare le loro menti verso un altro discorso, ma quelle affermazioni gli finirono sottopelle. Perché non riuscì a capacitarsi di ciò che aveva appena sentito: quel ragazzo stava davvero suggerendo di cercare una via d'uscita tanto semplice? Credeva sul serio che avrebbero trovato Noel e Shinan senza alcuna opposizione, che potevano individuare l'uscita, quando Aqua era ferita e Noel, molto probabilmente, non era nelle condizioni di aiutarli in quella fuga? Non biasimava il pensiero alla base di quel ragionamento, anche lui aveva paura, ma quella frase che aveva detto con tanto sarcasmo, che avrebbero dovuto affrontare Will... non era solo una "possibilità".

    -Dovremmo affrontarla in ogni caso, non fartela sotto.

    L'uomo spezzò un sospiro nel giro di un attimo prima di pronunciare quella frase, nata più dalla stanchezza che dal un effettivo ragionamento, ma non aveva altri modi per esternare la sua opinione, in quel momento. La paura e la prudenza erano sentimenti giustificati, soprattutto in quella situazione, ma ascoltarli senza pensare a ciò che li aveva causati era un errore. Anzi, forse Maxwell ci stava pensando anche troppo: si guardò intorno, cercando un'altra porta, un qualsiasi segnale della presenza di un'altra persona in quella stanza, perché proprio la paura stava dando forma a un orribile presentimento all'altezza della sua nuca. E più ci pensava, più l'inquietudine si faceva strada nella sua voce.

    -... Però... DOV'È quella ragazzina con i codini?

    -Fartela sotto?!

    Il tono di Ingwe si fece decisamente più antagonistico con quelle due semplici parole, non era esattamente un buon segno. Se doveva essere onesto, non era neanche piacevole sentire che la sua mente si stava preparando istintivamente a contrattaccare, una particolarità che Siegfried aveva copiato fin troppo bene dalla sua psiche, ma ormai aveva fatto divampare l'incendio, non poteva fare altro che cercare di spegnerlo. Intanto, come per dare ulteriore peso alle proprie parole, il ragazzo dai capelli biondicci mostrò delle cicatrici sul proprio braccio, e soprattutto cercò di portare l'attenzione dell'automa su alcune tracce di sangue sul proprio corpo, mentre un fiume di parole usciva dalla sua bocca.

    -Queste cicatrici me le ha fatte lei. Se sono qui è solo grazie a Noel, per nient'altro. Quell'essere, quel demone è capace di creare la vita e di distruggerla con altrettanta facilità. Perdonami se forse me la faccio addosso, ma non me la sento di affrontarla. Ho paura di lei e credo che tu faresti bene a fare altrettanto. Non possiamo affrontarla: tutto ciò che le facciamo... non serve a niente. Tutte le ferite che le vengono inflitte passano a Noel, a quella adulta.

    -Io... Scusatemi ma non capisco di chi state parlando... Chi è questa Noel?

    Non era piacevole, ma l'uomo dovette ignorare temporaneamente la domanda di Vanessa, perché era la cosa più innocente e sensata che aveva sentito negli ultimi secondi. Forse anche lui doveva essere biasimato per questo, avrebbe dovuto scegliere dei termini migliori per spiegare i suoi pensieri, ma Ingwe non aveva fatto altro che sottolineare altri motivi per cui sarebbero dovuti uscire quanto prima da quel luogo. E non voleva dargli torto, anche lui voleva che quella storia finisse quanto prima, ma a cosa gli sarebbe servito sapere quanto fosse "forte" la loro aguzzina?! Sapeva che era pericolosa, ma cosa avrebbero dovuto fare, quindi? Alzare le braccia al cielo, gridare di terrore e correre all'impazzata per le stanze del castello alla ricerca di Noel e Shinan, mentre cercavano di evitare la burattinaia? Odiava prendere in prestito l'umorismo di Siegfried, ma quello sembrava proprio un piano geniale! Oppure avrebbe dovuto ammettere che sì, anche lui aveva paura di ciò che poteva accadere, e accettare l'idea di lasciare Will libera di vivere in un luogo che amplificava a dismisura i suoi poteri? All'accademia gli avevano insegnato che abbandonarsi al panico e ai sentimenti era deleterio per il morale di una truppa, e poteva dire con certezza che quella era una situazione lampante di quella nozione. Peccato che lui fosse sempre stato un orribile studente, in quegli anni.
    Carico di un certo astio, Maxwell si alzò nuovamente in piedi, piantando il sinistro a terra con forza, mentre gli occhi fissavano il suo interlocutore con un chiaro furore.


    -E quindi? Ammettere che hai paura ti libererà dalla possibilità che quella burattinaia ci stia ancora guardando, facendosi due risate di fronte al tuo ottimismo?!

    L'automa strinse i pugni durante quella frase, abbassando leggermente il capo dalla rabbia, ma con gli occhi ben fissi sul ragazzo. Si sarebbe voluto fermare, solo le divinità sapevano quanto avrebbe desiderato fermare quella lite seduta stante, ma per quanto ne fosse cosciente, la sua impulsività aveva ancora la meglio sulla ragione, in quei frangenti. Anche lui era stato ferito, il suo avambraccio destro era stato mozzato a forza, il suo corpo schiacciato dal cadavere dell'Heartless cacciatore, l'unica cosa che non aveva visto era quella specie di "sincronia" per le ferite tra Noel e la sua imitatrice, ma questi argomenti non erano abbastanza per convincerlo. Forse si era abituato fin troppo a cose del genere: aveva visto i suoi compagni soccombere alla cancrena, Steven era morto di fronte ai suoi occhi, Sin ci aveva quasi rimesso la pelle, la bambina della stanza precedente era stata schiacciata contro un muro senza alcuna pietà. Era stato testimone di fin troppe morti, per i suoi gusti. Non augurava a nessuno di fare il callo a quel genere di cose, forse neanche lui avrebbe mai perso la chiara sensazione di orrore nata dai decessi e le menomazioni altrui, ma era una giustificazione per andare nel panico in quel modo? Se la burattinaia fosse stata veramente immortale, anche se a spese di Noel, illudersi di poter evitare un qualsiasi genere di conflitto sarebbe stato inutile. E, purtroppo, il pensiero più doloroso doveva ancora arrivare.

    -E anche se davvero quelle ferite si rivoltassero su Noel, se quella tizia si facesse viva per ucciderci tutti insieme, tu lasceresti morire tutti per questo particolare?! IO L'HO VISTA MORIRE DUE VOLTE OGGI, MOCCIOSO!

    La sua voce si tramutò in un grido, proprio nel momento in cui le implicazioni di quella frase colpirono il suo cuore con la forza di un martello da guerra, e costrinsero Maxwell a portarsi la mancina sul petto. Sarebbe riuscito a compiere quel sacrificio, a uccidere Noel se questo significava uccidere la loro antagonista? Non lo sapeva. La sua sola certezza era che, indipendentemente dalla sua scelta, il senso di colpa che provava per i torti che stava facendo a Siegfried non avrebbe fatto altro che crescere. Non era una questione di fare la "cosa giusta", ma di scegliere cosa sacrificare.

    -Nessuna scelta è piacevole o giusta. La VITA non lo è. Ma io non voglio che i cadaveri in questo luogo salgano da uno a sei per una possibile trappola morale!

    L'uomo dovette sforzarsi per fermare la sua voce, per non dire altro con la voce rotta dal pianto, perché ancora si ricordava i risultati di una scelta simile, pochi minuti prima. Fu solo grazie a un miracolo che riuscì a ingoiare qualsiasi altra parola, e a fermare ogni genere di sentimento che avrebbe accompagnato le frasi seguenti. Non potevano essere eroi, qualcosa sarebbe andato storto finché Will aveva il coltello dalla parte del manico, voleva solo che il suo interlocutore capisse questa semplice realtà, e non che continuasse a bombardarlo con il suo senso di giustizia! Tuttavia, così come quelle precedenti, anche quella speranza venne completamente distrutta dalle parole successive del biondo.

    -Quindi, secondo te, affrontarla così, sapendo che si rigenera anche dopo che le hai aperto le viscere dal collo al pube, anche dopo che le hai bruciato metà del volto, che le hai impalato le braccia e le gambe, sapendo che anche dopo tutto questo lei si rialza in piedi, è la cosa giusta da fare? Restare qui, senza nemmeno tentare di salvare altre due persone, tentando di affrontare direttamente un essere come questo, ti sembra il modo migliore per evitare che i cadaveri salgano da uno a sei...? Io non voglio far morire tutti. Voglio solo riuscire ad uscire da questo luogo, a portare con me anche Shinan e Noel. Nient'altro. Se davanti a noi non c'è davvero nessun'altro eccetto Noel, allora la prendo e poi torno indietro, a tentare di trovare Shinan e l'uscita. Forse sono davvero troppo ottimista nel pensare di poter uscire da qui, ma non starà fermo in questo luogo, senza fare niente, aspettando di essere ucciso da lei.

    -Lord Valker, datemi la forza...

    Basta. Non gli importava quanto Will potesse essere resistente, cosa fosse disposta a fare per mostrare la propria invincibilità, né quale fosse la scelta più umana, quanto fosse ottimista il suo interlocutore, o se e come potesse trovare per la seconda volta la morte proprio in quel dannatissimo castello! Eppure, per quanto provasse un furore inimmaginabile, tutto ciò che Maxwell riuscì a fare di fronte a quell'ennessima sfuriata fu sospirare, mentre nella sua mente si facevano sempre più nitide le preghiere per il Dio della Giustizia. Come diceva quella regola della matematica, pur cambiando la posizione degli addendi, il risultato non cambiava: Ingwe continuava a predicare come non volesse far morire altre persone, e desiderasse trovare tutte le persone coinvolte in quella tragedia, ma nient'altro. E, per l'ennesima volta, l'uomo cercò di fargli capire quale fosse esattamente la sua posizione, anche se con un tono inquinato dall'amarezza e gli occhi serrati.

    -Uscita che probabilmente lei ti impedirebbe di raggiungere, bloccandoti in una stanza, o con un'illusione, e tutto perché hai voluto prendere la strada più facile. Certo, questo sembra un bel piano per salvare quante più persone possibile.

    Scosse la testa mentre pronunciava quelle parole, sempre più amareggiato per la loro situazione. Non gli piaceva mettere altri coltelli nella piaga, ma era davvero troppo chiedere che il possibile pericolo che li aspettava, indipendentemente dalla loro scelta, diventasse qualcosa di concreto nelle loro menti? Perché, arrivato a quel punto, non riusciva proprio a capire che razza di argomento stesse cercando di spiegare quel ragazzo: stavano girando alla cieca tra la moralità e un possibile catastrofismo, e non stavano facendo un solo passo avanti. Fortunatamente, anche il suo interlocutore riuscì a riconoscere quel problema.

    -Almeno non me ne sto qui aspettando la morte! E poi, cosa ti dice che non sia capace di creare un illusione in questa stessa stanza. Siamo alla sua mercé. Non abbiamo certezze in questo luogo... non ha senso discutere così. Credo che per salvarci questa sia la nostra migliore possibilità, se tu la pensi in un altro modo, così sia... non ho altri modi per farti cambiare idea, ti ho già detto quello che penso. E' solo che... non voglio vederle morire di nuovo davanti ai miei occhi. Non sei l'unico, sai? Anche io le ho viste morire, ho sentito le loro urla. Non voglio che accada di nuovo...

    Anche Ingwe sembrava aver rinunciato lentamente alla rabbia, come testimoniava il suo tono progressivamente più triste, ma questo non lo consolava affatto. Quella non era una gara per misurare chi avesse visto le atrocità peggiori nel Castello dell'Oblio, oppure chi avesse il piano più brillante per uscire da quella situazione, ma apparentemente lui non era ancora in grado di esporre le sue idee senza farsi prendere dal furore. Maxwell scosse nuovamente la testa con gli occhi chiusi, senza più alcuna speranza di poter discutere in una situazione del genere: non sarebbe mai riuscito ad avere lo stesso entusiasmo e il buon senso di Alan.

    -Al diavolo, fai quel che vuoi. Ma non mettermi in bocca parole che non ho detto, io non sono qui alla ricerca di gloria o altro. Vorrei solo che capissi che questa storia non finirà con un lieto fine come vorresti.

    Non c'era rabbia o presunzione in quelle parole, solo una profonda stanchezza. Maxwell si mosse in direzione di Aqua mentre pronunciava quelle frasi, cercando di togliersi dalle spalle il disagio che si era accumulato da quella discussione, anche se con poco successo. Tutto ciò che voleva era che riuscissero a superare quella sventura, ma senza false speranze, senza che l'ottimismo li portasse a credere che il fato gli avrebbe concesso una via d'uscita fin troppo semplice. Non potevano aspettarsi che sarebbero sopravvissuti combattendo alla cieca, o che cercare di fare gli eroi salvando ogni possibile vittima di quella situazione avrebbe risolto i loro problemi! Lui stesso aveva visto quanto aspettative del genere potessero far male, ma probabilmente il problema era a monte. Poteva fare un discorso del genere ai suoi compagni nelle viscere della Balena, ai suoi "commilitoni" del Comitato di Crepuscopoli, forse anche ad Alan e Susan, ma non in quel frangente, non quando quei ragazzi erano stati trascinati a forza in quella follia. Probabilmente lui era l'unico che aveva un ulteriore motivo per trovarsi tra quelle mura.

    -E poi, ho ancora una promessa da mantenere. Dopo che tutto questo sarà finito, sei libero di andartene.

    Maxwell si voltò leggermente verso la propria destra con quella frase, fissando Ingwe con l'occhio ancora azzurro, con un tono che sembrava più simile a un lungo sospiro. Tuttavia, proprio mentre l'uomo cominciò seriamente a credere che ogni possibilità di cooperazione fosse andata perduta, la bambina decise di prendere finalmente la parola.

    -Dietro quella porta c'è un membro dell'Ordine. A me non resta molto tempo e vorrei fare il possibile per aiutarvi. Tutto quello che ha detto Ingwe è vero, Will è intoccabile. Tuttavia, se sono riuscita ad aiutarvi è solo perché lei si sta lentamente indebolendo.

    L'uomo si voltò ulteriormente verso la propria destra a quelle parole, mentre un brivido percorreva ogni fibra dei suoi muscoli artificiali. Non aveva grandi speranze per quella situazione, ma da come la piccola aveva pronunciato quella parola, "Ordine", era probabile che si stesse riferendo a uno degli individui che avevano pianificato l'attacco verso Radiant Garden e la Città di Mezzo. A quella prospettiva, i brividi vennero sostituiti da una chiara sensazione di orrore, seguita dalle possibili implicazioni di certe frasi: quelle persone cercavano vendetta, come aveva temuto per se stesso nei confronti di Troth e quell'Heartless umanoide, oppure si trattava di qualcos'altro? L'unica cosa positiva di quella rivelazione, tuttavia, fu che, nonostante quei terzi incomodi in uno scenario già inquietante, la loro aguzzina stava lentamente perdendo la presa su quel potere di cui tanto andava fiera.

    -Ormai non gioca più per uccidervi, per quanto ci abbia provato all'inizio. Credo stia solo cercando di prendere tempo. Vanessa, io sono una copia di Noel e lei è la causa per cui siete tutti qui, purtroppo non per sua decisione. La voce con cui hai parlato tu e la persona che i tuoi compagni hanno incontrato è una sua derivazione che non ha corpo, per questo tutte le ferite inferte a lei, finiscono direttamente su... be', me.

    Quelle parole spiegavano molte cose, ma era deprimente sentire certe conferme ai suoi timori dalle labbra di una bambina. Aveva intuito che Will stesse giocando con le loro vite, ma se ora stava cercando di rallentarli per evitare "qualcosa" di controproducente per se stessa, come potevano metterle ulteriormente i bastoni tra le ruote? Purtroppo, il discorso della giovane Noel non era ancora finito, e quella domanda dovette attendere prima di ottenere una qualsiasi risposta.

    -Tutto ciò che vuole è essere completa e non più solo uno spirito: sta cercando di distruggere Noel per prendere il suo posto. Voi siete le sue pedine inconsapevoli e vi sta usando per accelerare il processo. Più persone la odiano, più la temono, più forte diventa e più si avvicina al suo obiettivo. Io... vorrei fare di più. Vorrei ridarvi ciò che vi ha tolto, vorrei farvi uscire da qui, ma sono solo un brandello della coscienza di Noel, che sta cercando di proteggervi.

    Quando la bambina terminò quel discorso, tutto ciò che l'uomo riuscì a fare fu tirare un breve sospiro, cercando di espellere una parte dell'astio che si era accumulato nel suo petto, in un ultimo tentativo di tornare abbastanza lucido per poter discutere come una persona civile. La situazione era più chiara, e se davvero la burattinaia diventava più forte con le emozioni negative altrui, tutto ciò che avevano passato fino a quel momento aveva un senso, per quanto crudele e assurdo. La piccola bionda che aveva incontrato nella stanza precedente aveva cercato di spiegarglielo, per quello aveva fatto tutto ciò che poteva per fargli aprire gli occhi, per fargli abbandonare le illusioni che lo avevano accecato fino a quel momento. Eppure, nella sua mente restava una domanda: perché? Perché era successo tutto quello, perché in Noel era nato qualcosa del genere, da dove era uscita quella presenza così dannatamente crudele? Non credeva certo di essere arrivato vicino alla verità quando l'aveva paragonata al Settimo, ma anche in quel caso, rimanevano dei dubbi. Quando era nata "Will", da quanto si era fatta strada nell'animo della bionda? Avrebbe voluto chiederlo, ottenere una risposta alle mille domande che si erano sostituite ai suoi dubbi precedenti... ma a che scopo? Se davvero la loro antagonista stava torturando Noel dall'interno, solo una cosa contava: come fermarla, una volta per tutte.

    -Quindi come possiamo vincere questa corsa contro il tempo?

    Da quanto aveva capito, quella poteva essere l'unica soluzione che gli era rimasta. Finché Will aveva a sua disposizione le capacità del Castello dell'Oblio, la battaglia sarebbe stata decisamente più difficile, ma se ci fosse stata una sola azione o strategia in grado di toglierle quel poco tempo che cercava di guadagnare, valeva la pena saperlo. Tuttavia, la risposta della bambina non fu esattamente inaspettata.

    -... Non lo so. Nel peggiore dei casi, non fatevi scrupoli. Una persona che muore non ne vale altre quattro, e altrettante dopo.

    Maxwell non poté fare altro che soffocare l'ennesimo sospiro sul nascere, portando nuovamente il proprio sguardo sul terreno, con il cuore colmo di rassegnazione. In un modo o nell'altro, qualsiasi strada cercasse di prendere, questa era sempre in salita; e, tanto per aggiungere il danno alla beffa, in quel momento non poteva neanche volare per rendere l'arrampicata più semplice. In fondo al suo cuore, sapeva che non sarebbe mai stato veramente pronto per una cosa del genere, ma il minimo che poteva fare era avere un po' di fiducia in una persona che conosceva. Si trattava di una grossa scommessa, certo, ma non poteva farsi venire i piedi freddi in quel momento.
    Dopo qualche attimo di silenzio, l'uomo non poté fare altro che poggiarsi i pugni chiusi sui fianchi, mentre il suo tono si faceva più amareggiato che stanco.


    -... Non renderlo più difficile di quanto già non sia. Per favore.

    -Io… Io non…

    -Non voglio che voi moriate... non potrei perdonarmelo. Non dopo tutto quello che è successo, non dopo tutto quello che vi è successo...

    Se quella situazione era ardua per lui, i suoi compagni di sventure non sembravano essere in condizioni miglori. Vanessa si mise letteralmente le mani nei capelli di fronte a quella rivelazione, e come darle torto? Neanche lui era del tutto pronto a un colpo del genere, eppure nei mesi passati ne aveva passate di cotte e di crude! Ma non si poteva chiedere in quel modo a una ragazzina di pensare a un omicidio senza farsi alcuno scrupolo, però si sarebbe ritrovata a dover fare una scelta orribile. E, per quanto riguardava Ingwe, l'uomo non poté fare altro che trarre un sospiro, rilassando nuovamente le braccia lungo i suoi fianchi e aprendo lentamente i propri pugni: poteva addolcirsi la pillola quanto voleva, ma era chiaro dal suo tono che neanche lui era pronto a prendere una decisione del genere con leggerezza. Nessuno di loro lo era, e sperava che non lo sarebbero mai stati del tutto. Eppure, in quella situazione, tutto ciò che poteva fare concretamente era cercare di dare un po' di supporto a chi gli stava intorno.

    Allora strappati un po' di fegato, ragazzo...

    A metà della frase, l'uomo estese del tutto le sue ali con uno scatto, rilasciando una leggera folata di vento intorno a sé. Non era un gesto intimidatorio, quanto qualcosa per dare a se stesso un po' di coraggio: quelle ali gli avevano sempre consentito di raggiungere i cieli, superare le nuvole, e toccare le stelle. In un momento dove queste ultime erano completamente coperte da nubi temporalesche, cos'altro poteva fare se non stenderle e cercare di superare quella sipario grigio? "Non fatevi scrupoli", aveva detto la piccola Noel. E, per quanto fosse doloroso, quel consiglio poteva essere la loro unica via d'uscita.

    Se voi avrete la mia schiena, io avrò le vostre.

    Mentre terminava quella frase, Maxwell ritirò leggermente quelle appendici demoniache con uno scricchiolio metallico, lasciandole alla lunghezza necessaria per farle scattare con forza verso l'esterno, ma il suo sguardo viaggiò istintivamente verso Aqua. Forse, solo in quel momento capiva veramente cosa stesse provando, come ci si sentisse ad avere una persona cara imprigionata tra quelle mura candide e opprimenti, e quanto facesse male sentirsi impotenti di fronte alla loro miseria. Anche lui avrebbe voluto salvare tutti, solo le divinità sapevano quanto lo desiderasse. Eppure, lui non poteva fare altro che abbassare la testa e avanzare, cercando di fermare quella follia con ogni mezzo a sua disposizione; anche a costo di un altro pezzo della sua coscienza.
     
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    Vanessa. La bocca si schiuse leggermente, mentre un sospiro di sollievo scioglieva lentamente gli infiniti nodi di tensione e paura che si erano creati nel suo corpo. Un brivido caldo di felicità gli risalì nel petto, facendolo affiorare un sorriso sul suo volto. Vanessa! Era lì, era viva, era salva! Non aveva occhi che per lei, le altre due figure nella stanza non erano niente: non c'era nessun altro, solo Vanessa. Stava già avanzando verso la giovane, aveva già iniziato a correre quando iniziò a cadere. Con un'espressione di dolore e rimorso, le ginocchia dell'altra cedettero, facendola crollare a terra. Con uno scatto dei reni, Ingwe scattò in direzione della ragazza, abbandonando la mano di Noel. Per un istante, l'immagine di Shinan che crollava a terra di fronte al portone del Castello invase il suo campo visivo. Era lì che era iniziato quell'incubo, era con quella visione, con l'immagine di quel corpo che si riduceva in cenere, in polvere spazzata via dal vento in un mero istante. Un rantolo rauco uscì dalla sua gola, mentre riusciva a stringere le braccia attorno al corpo dell'altra, bloccandone la caduta. Le gambe gli facevano male per l'impatto col terreno, mentre riusciva ancora a sentire la spina dorsale vibrare per la forza del colpo che aveva dato contro il marmo bianco. Mise tutta la forza che possedeva in quell'abbraccio, in quel calore che tentava di trasmetterle.
    «Va tutto bene, ora. Vanessa, tranquilla, va tutto bene. Sono io. Sono qui.»
    Il cuore batteva, lo poteva sentire chiaro e forte: non era morta, non era come con Noel, come prima, come quando era appena uscito dall'illusione. La sua vita era ancora forte, ancora intatta, per così dire. Non doveva preoccuparsi: per quanto riguardava il corpo sembrava tutto a posto, o, per lo meno, più a posto di quanto fosse lui. Un formicolio sinistro, come ad affermare la verità di quell'affermazione, si allargò lungo le cicatrici che gli erano state inflitte da Will. Tuttavia non era quello che lo preoccupava, non era lo stato del suo corpo la cosa più importante al momento… Cosa le aveva fatto vedere Will, cosa aveva dovuto sopportare lei per arrivare fin laggiù. Cosa era successo per far sì che quel dolore, che quel rimpianto comparissero sul volto della giovane? Cosa era successo per farla piangere in quel modo?!
    Le braccia molli lungo i fianchi, i singhiozzi che le scuotevano il corpo, Vanessa non stava bene. Non stava affatto bene.
    «...Come. Come posso sapere che sia davvero tu?!»
    Mentre la ragazza si portava i palmi al volto, tentando di coprirsi gli occhi oramai inondati di lacrime, una stilettata di tristezza ed angoscia affondò nel suo cuore, aumentando quell'ansia che era tornata a torcergli le viscere. Come poteva sapere che era davvero lui? Non era possibile. Non quando le illusioni create in quel luogo erano più vere e più belle della realtà stessa. No, non c'era alcun modo per sapere se tutto quello era realtà o finzione, nemmeno lui lo sapeva. Sentiva solo qualcosa dentro di sé, qualcosa che gli diceva di fidarsi che quella non era una bugia. Era come se una luce calda lo stesse rassicurando, indicandogli che quella, per quanto dolorosa potesse essere, per quanto piena di difficoltà e tristezza, quella era la realtà. Non il paradiso che aveva sognato prima, non sua sorella. Non sapeva se quel bagliore veniva da Noel o da qualcosa dentro di sé. Forse era un misto di entrambe le cose. Non sapeva.
    «Non... non puoi. Io posso solo dirti che non sono un'illusione di Will, che ci siamo incontrati per la prima volta durante l'assedio di Radiant Garden, che tu mi hai salvato da un Heartless ed io, stupido, tentavo di farti scappare nel rifugio. Posso dirti di Shinan, di come ci siamo aiutati l'un l'altro nel tunnel, di come ti ho insegnato a volare, di come abbiamo ballato in aria. Ma... queste parole non hanno senso, non qui. Per quanto stupido possa sembrare, posso solo dirti che devi fidarti di me. Ti prego, è l'unico modo.»
    Era l'unico che conoscesse, l'unico che si sentisse di proporle. Con forza si strinse di più al corpo della ragazza, tentando di fare breccia nel suo dolore, di poterle dare, almeno quella volta, almeno in quel frangente, una certezza. Almeno lì, anche se fino a quel momento non ce l'aveva mai fatta, almeno lì voleva riuscirci.
    «Però… In fondo lo so che sei tu.»
    Con un tono quasi rassegnato, la voce tremante, Vanessa scostò le mani dal volto, tornando a fissarlo. Ingwe si soffermò sui suoi occhi, sulle ametiste incastonate nel suo volto. Non voleva mai più vederla sgorgare lacrime, non voleva mai più sentirla soffrire. Quel Castello, quel luogo sarebbe stato l'ultimo che l'avrebbe vista piangere. Era una promessa stupida, un obbiettivo irrealizzabile, ma era qualcosa che avrebbe tentato di rendere vero, non importava come. Lo aveva promesso a Merenwen: per quanto fosse stato nelle sue possibilità voleva che quell'illusione diventasse la loro realtà, che quella gioia diventasse la loro gioia. Per quanto potesse sembrare ridicolo ed irraggiungibile, quello era il suo desiderio, la verità che voleva vedersi realizzare davanti ai suoi occhi. Una tempesta di pugni si abbatté sul petto del ragazzo.
    «Stupido! Stupido stupido stupido! Sei uno…»
    Uno stupido, già. Onestamente non sapeva per cosa stesse venendo chiamato in quel modo, tuttavia accettava con piacere quella manifestazione di vitalità. Gli sembrava quasi di essere tornato a quando l'aveva conosciuta nel vicolo, a quando aveva visto per la prima volta quella ragazzina propositiva, così piena di vita. Un timido sorriso fece capolino sul suo volto, mentre il pensiero di come lei lo aveva salvato riaffiorava nella sua mente. Se c'era stata una singola cosa positiva in tutto quell'orrore, allora era il fatto che avesse conosciuto Vanessa.
    «So che sei tu, lo so… Credevo di non vederti mai più.»
    Con una delicatezza innaturale da parte sua, Vanessa si strinse a lui, smettendo di picchiarlo sul petto e stringendo le braccia dietro la sua schiena. La capiva. Con quali emozioni, con quali ricordi Will avesse tentato di spezzarla, non lo sapeva. Tutti in quella stanza erano stati feriti, mutilati. Molte delle ferite che si erano aperte in quel luogo non erano altro che vecchi squarci mai chiusisi del tutto, altre erano completamente nuove e difficilmente sarebbero mai guarite. Era quello il danno maggiore che quel luogo aveva loro inflitto: non si trattava dei loro corpi, del dolore provato dalla carne, si trattava delle loro anime, dei loro ricordi, della loro mente. Quelle piaghe non si sarebbero mai rimarginate per bene, quelle cicatrici sarebbero rimaste a perseguitarli per molto, molto tempo… Era per quello che non poteva permettersi di morire, non in quel momento, non finché, tramite la sua fine, l'avrebbe data vinta a Will. Se la sua vita doveva spegnersi, allora l'avrebbe permesso solo una volta che avesse eliminato i conti in sospeso, solo una volta che non avesse più avuto rimorsi. Solo allora avrebbe accettato la fine.
    E quel momento era ancora ben lungi dall'arrivare.
    «Anche io... Anche io ho avuto paura di averti persa, di non poterti vedere mai più.»
    L'odore del sangue tornò ad impregnare l'aria che li circondava, mentre di fronte ai suoi occhi le immagini delle morti di Vanessa e di Shinan tornavano a scorrergli davanti, seguendo il ricordo del dolore e della paura che aveva provato in quel momento. La forza di quella disperazione, la forza di quel tormento. Le fitte al petto, la sensazione di essere divorato dall'interno da un grumo composto della più pura oscurità. Ondate di nausea lo tornarono ad avvolgere in una stretta calda, rovente. Era colpa sua se tutto quello stava accadendo, se tutto quel dolore si stava riversando addosso alle due ragazze. Vanessa non era altro che un agnello sacrificale, portato lì per distruggerlo, per annientarlo con forza ancora maggiore; Shinan, al contrario, era lì perché lui aveva deciso di andare a Crepuscopoli, perché lui si era intromesso e aveva recuperato Noel, impedendole di cadere. Un errore dopo l'altro, aveva costruito la torre da cui in quel momento Will li stava arrogantemente manipolando. Quello che stava accadendo là dentro era una sua responsabilità, una sua colpa. Era un qualcosa di personale, di più personale rispetto agli altri. Se Will era diventata così potente, se Noel stava soffrendo era anche a causa delle sue azioni.
    «Mi dispiace.»
    Sapeva fin troppo bene che le parole non sarebbero bastate, che era tramite le azioni che doveva porre rimedio a tutto quello, ma non poteva fare a meno di chiedere scusa, di far comprendere come si sentiva… Dopotutto, Will poteva piombare lì da un momento all'altro ed ucciderli tutti con la stessa semplicità con la quale si tagliano dei fili che sostengono delle marionette.
    Con una lentezza piena di agonia, strinse con più forza le braccia attorno a Vanessa.
    «È colpa mia se tu sei rimasta coinvolta. Non volevo che ti accadesse tutto questo; né a te, né a Shinan.»
    Shinan. Già. Con lentezza, Ingwe alzò lo sguardo da Vanessa, osservando la stanza in cui si trovavano per la prima volta. Erano in cinque, in tutto: lui, Vanessa, Noel, Maxwell e… una ragazza. Non l'aveva mai vista prima. Per un istante indugiò sul volto stanco, osservando meglio gli occhi tristi, pieni di una consapevolezza, di una sconfitta che, in un certo senso, sentiva rispecchiarsi nei suoi. Eppure non era quello che gli interessava. Shinan mancava all'appello. C'era qualcosa che non andava in tutto quello: Noel gli aveva detto chiaramente che dentro quella stanza avrebbe trovato i suoi compagni, allora perché mancava la ragazzina?
    Gli occhi sbarrati, aperti in un'espressione di terrore e ansia, Ingwe si voltò vero Noel.
    «Noel, sai dove si trovano Shinan e...»
    Era restio a dire “la vera Noel”. Qui non si trattava di chi fosse l'originale e non voleva ferire i sentimenti della bambina. Però era importante sapere dove si trovasse, sapere dove la potevano andare a recuperare. Dovevano uscire da quel luogo e non avevano tempo da perdere.
    «...l'altra Noel?»
    Ancora stretta tra le sue braccia, Vanessa si voltò verso la bionda, spalancando gli occhi.
    «Tu... Cosa ci fai qui? Sei viva! Come…»
    Lentamente, come se non se ne stesse nemmeno rendendo conto, la ragazza sciolse l'abbraccio, alzandosi in piedi, facendo pochi passi incerti in direzione della bionda.
    «Io… Io ti ho... Doveva essere un'altra illusione...»
    Continuando ad osservarla preoccupato, Ingwe raggiunse la compagna. Capiva come doveva sentirsi, capiva la confusione che in quel momento doveva star provando, la ricordava. Forse c'era anche gioia in tutto quello, la stessa che l'aveva pervaso quando aveva scoperto che sia Shinan che Vanessa erano ancora vive.
    Delicatamente, Ingwe accarezzò la mano della giovane, tentando di rassicurarla, di dirle ancora una volta che andava tutto bene, anche se dentro di sé sentiva che non era vero. Niente di tutto quello andava bene. Persino adesso che si erano ritrovati l'assenza di Shinan gli stringeva il cuore, provocandogli un'ansia che, in tutta onestà, non voleva provare mai più in vita sua.
    «Noel è nella prossima stanza. Shinan... non lo so.»
    Per un istante il terreno sotto di lui scomparve, mentre la sensazione terrificante di star cadendo da una grande altezza lo avvolgeva. Non poté far altro che restare immobile mentre il panico dentro di lui continuava a crescere in ondate sempre più calde e soffocanti. Quante volte l'aveva vista morire in quel luogo? L'immagine della bambina che si disgregava fino a diventare polvere gli tornò in mente con una fitta dolorosa, seguita subito dopo da quella in cui veniva fatta a pezzi, distrutta per mano di Will. Non voleva vederne una terza. Non voleva dover abbracciare un terzo cadavere. Senza pensare, strinse le braccia attorno al proprio corpo, come nel tentativo di ritrovare un calore, una sicurezza che sentiva di aver perso all'interno di quel luogo. Aveva paura. Aveva più paura di quanta ne riuscisse a concepire: le sua sicurezza, la sua gioia, tutto quello era stato nuovamente distrutto in quei pochi attimi. Forse era stupido, ma oramai per lui uscire da quel luogo non aveva più senso, non se se ne fosse andato senza una di loro.
    «Non è morta… Vero?»
    «Non credo...»
    Quella non era un risposta. Avrebbe voluto urlarglielo, avrebbe voluto gridarle di dirgli qualcosa di più di rassicurarlo in qualche altro modo…
    Eppure non poteva: sapeva che Noel stava facendo tutto ciò che era in suo potere per aiutarli. Lei non aveva colpe. Nessuno di loro, eccetto lui, ne aveva. Tutti lì erano vittime di quel luogo, vittime di Will e dei suoi poteri. Per quanto stessero assieme, tutti lì erano soli, lasciati a sé stessi, lasciati a correre per sopravvivere. Per Will quello non era altro che un gioco. Lo aveva detto nel momento in cui erano entrati, un gioco da cui però dipendeva la sua sopravvivenza. Will voleva vivere, voleva essere qualcuno e per farlo era necessario il loro sacrificio, era necessaria la morte di Noel. Nonostante tutto quanto quello fosse sbagliato, nonostante tutto quanto quello fosse orribile, capiva i motivi di Will, capiva l'umanità di quel desiderio che l'albina provava.
    Forse si stava solo illudendo, forse stava solo tentando di giustificare una crudeltà che altrimenti sarebbe stata troppo enorme anche solo da comprendere.
    «... Temo che quella potrebbe essere la nostra preoccupazione minore, purtroppo.»
    Il cinismo che trapelava da quella voce era fin troppo forte. Il volto basso, le braccia ancora strette attorno al corpo, si voltò vero Maxwell. Ad essere sincero, non aveva pensato molto a lui mentre vagava per il Castello: il suo unico interesse era trovare le sue due compagne e sopravvivere, non aveva avuto proprio il tempo per nient'altro. Ma adesso, adesso lo poteva osservare e studiare per bene. Sotto un certo punto di vista lo interessava: perché si trovava lì? Che rapporti aveva con Noel? Cosa sapeva di Will? Tutte domande che in quel frangente potevano sia essere l'apoteosi dell'inutilità che un indizio importante per salvare la bionda. E non solo lui. Anche la giovane donna dietro al gigante poteva essere un personaggio importante all'interno di quella messinscena ideata dall'albina.
    «Cosa intendi...?»
    Già, cosa voleva dire Maxwell con quelle parole? Cosa sapeva, quale era secondo lui la preoccupazione maggiore?
    «Sarò breve: siamo ancora in territorio nemico. Noel sarà nella nostra stessa situazione, ma c'è un pericolo più imminente, al momento.»
    Will. Se era a lei che si riferiva con “pericolo più imminente”, allora dovevano uscire al più presto da quel luogo. In tutta onestà non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe rimasto invisibile agli occhi ed alla mente di Will ed ogni secondo era prezioso. Deciso alzò lo sguardo verso l'altro uomo, pronto ad esporgli la sua idea e le sue motivazioni, per bloccarsi immediatamente per la sorpresa. Maxwell… Gli ricordava Hind. Sembrava quasi che l'armatura lo ricoprisse per intero, oscurando anche gli occhi con due fessure: una rossa ed una azzurra. No, era diverso. Era diverso ma in un modo che non sapeva definire bene, era come se ci fossero dei dettagli, qualcosa che stonava nell'insieme, ma, allo stesso tempo, era impossibile da scorgere. Decisamente diverso da Hind. Sembrava quasi che Maxwell fosse l'armatura, che non avesse un corpo dentro. Erano soprattutto le mani: nessuno poteva avere delle dita così lunghe o spesse e allo stesso modo i piedi. L'armatura era troppo spessa per consentirgli di muoversi, troppo grande. Anche le giunture delle ginocchia erano strane, impossibili da realizzare nel caso ci fosse stato un uomo dentro. Forse Maxwell era davvero l'armatura. In fondo, dopo aver vissuto abbastanza all'esterno del proprio mondo, aveva capito che nessuno poteva dire “impossibile” in quell'universo, non quando questo era infinito.
    «È appunto per questo che dobbiamo sbrigarci ad uscire da questo inferno. Non me la sento di "affrontare" nuovamente Will. Dubito che potremmo mai farcela... dobbiamo scappare e non voglio, non posso lasciare Shinan o Noel qua dentro...»
    Era la verità. In quel momento aveva parlato aprendo il proprio cuore, eliminando tutti i veli di bugie e le maschere che aveva messo per proteggersi. Aveva paura. Aveva paura di Will, di ciò che poteva fare e quella era l'occasione migliore che potessero desiderare per sfuggire da quell'incubo. Da quanto sembrava, l'albina o era distratta oppure li stava ignorando, magari pensando di averli finiti, e quindi, almeno per un periodo di tempo limitato, loro avrebbero potuto muoversi “liberamente” per le stanze del Castello, magari aiutandosi gli uni con gli altri, evitando in tal modo di cadere in un'illusione. Era una speranza infantile, probabilmente, eppure era l'unica che aveva.
    «Noel non è cosciente da...»
    Con un cipiglio concentrato ed una lentezza esasperante, la bambina contò quattro dita sulla mano destra. Quattro ore. Sottovoce, Ingwe imprecò. Quello non andava bene, non andava affatto bene. Quattro ore. Quattro ore priva di conoscenza, ma ancora viva. Anche senza considerare le conoscenze mediche che Failariel gli aveva passato riusciva a capire che quel tempo era davvero tanto, troppo, in effetti, soprattutto considerando che nel mentre le ferite che lui aveva provocato a Will erano passate a Noel e che, nel per tutte quelle ore l'albina aveva continuato con costanza a sottrarle energia vitale. Senza pensarci aveva iniziato a mordicchiarsi l'unghia del pollice, tentando di mettere in ordine le idee e di trovare un modo per salvare la bionda.
    «Dovremmo affrontarla in ogni caso, non fartela sotto... Però... DOV'È quella ragazzina con i codini?»
    “Fartela sotto”? Inizialmente incredulo, Ingwe sollevò lo sguardo verso l'armatura, sperando di aver sentito male. Non sapeva a cosa stavano andando incontro? Cosa avrebbero dovuto combattere? Però non aveva sentito male. Lentamente, come in risposta a quel commento acido, la rabbia montò dentro di lui, Quell'idiota. Erano quelle le cose che gli davano fastidio, quelle sentenze, quei toni. Non li sopportava. E anche se in quel momento la loro priorità era trovare Shinan, come aveva evidenziato l'altro con una totale assenza di tatto e decenza, non poteva ignorare un commento simile.
    «Fartela sotto?!»

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    Le aveva sussurrate, ma quelle parole pregne di sdegno e rabbia furono ben udibili per tutta la stanza. Con uno scatto del braccio, sollevò la manica della maglia, scoprendo la pelle dal gomito alla spalla, rivelando le cicatrici che il tentativo di Will di strappargli un arto gli aveva lasciato.
    «Queste cicatrici me le ha fatte lei. Se sono qui è solo grazie a Noel, per nient'altro. Quell'essere, quel demone è capace di creare la vita e di distruggerla con altrettanta facilità.»
    Con un movimento ampio del braccio tentò di portare l'attenzione dell'altro sul sangue di cui i suoi vestiti era impregnati.
    «Perdonami se forse me la faccio addosso, ma non me la sento di affrontarla. Ho paura di lei e credo che tu faresti bene a fare altrettanto. Non possiamo affrontarla: tutto ciò che le facciamo... non serve a niente. Tutte le ferite che le vengono inflitte passano a Noel, a quella adulta.»
    Parola dopo parola, frase dopo frase, la sua voce, prima appena un sussurro, era andata alzandosi, fino ad arrivare a sembrare quasi un ringhio a causa della rabbia.
    Certo che non capiva a cosa sarebbero andati incontro combattendo contro Will: lui non aveva mai assaggiato quell'esperienza. Non aveva mai provato quella tortura che la donna gli aveva inflitto. Non ci teneva a sentire la sua pelle venire lacerata, i muscoli strappati e le ossa spezzate. Era un'esperienza che non voleva ripetere.
    «Io... Scusatemi ma non capisco di chi state parlando... Chi è questa Noel?»
    Vero, Vanessa non sapeva nulla di tutto quello… Con un sospiro di tristezza, Ingwe si voltò verso la ragazza, pronto a dirle ciò che sapeva, giusto per essere interrotto da Maxwell nel momento in cui stava per aprire bocca.
    «E quindi? Ammettere che hai paura ti libererà dalla possibilità che quella burattinaia ci stia ancora guardando, facendosi due risate di fronte al tuo ottimismo?!»
    Con un ringhio appena soppresso dalla bocca chiusa, Ingwe si voltò nuovamente verso l'armatura. Non si trattava di quello, non si trattava di ammettere di avere paura, anche se continuare a negarlo, almeno dal suo punto di vista era una cosa che solo uno sciocco avrebbe fatto. No, si trattava di sopravvivere, di fuggire. Loro non avrebbero mai potuto affrontare Will, non senza fare del male a Noel, non senza rischiare di ucciderla e anche quello non avrebbe funzionato. Perché mai mettere in pericolo la vita di Noel quando, se la bionda fosse morta, sarebbe morta anche lei? Non avrebbe avuto senso. Will, in fondo, non era altro che un parassita, che un fungo che stava soffocando la pianta su cui era nata, mentre in contemporanea se ne nutriva. Forse non sarebbe successo niente a Will, nel caso avessero ucciso Noel. Forse lei sarebbe stata capace di esistere, finalmente, e l'avrebbero dovuta affrontare al massimo del suo potere… Nonostante tutto, l'esatta natura della Volontà non gli era ancora ben chiara: tutto quello che stava pensando in quel momento, tutte quelle idee non erano altro che speculazioni, di certo aveva solo le parole di Noel e Will.
    «E anche se davvero quelle ferite si rivoltassero su Noel, se quella tizia si facesse viva per ucciderci tutti insieme, tu lasceresti morire tutti per questo particolare?! IO L'HO VISTA MORIRE DUE VOLTE OGGI, MOCCIOSO!»
    E per quello avrebbe lasciato morire Noel? Perché non era in grado di pensare ad una soluzione alternativa?! Fu solo grazie alla propria forza di volontà che Ingwe non si gettò addosso a quell'armatura. Quello che stava dicendo era semplicemente assurdo! Una ridicolaggine dopo l'altra, un stupidaggine dopo l'altra! Gettarsi addosso a Will senza un piano preciso, senza una strategia capace di assicurare loro una vittoria li avrebbe soltanto portati alla morte. Le avrebbero persino risparmiato la fatica di andarli a cercare. Eppure sperava che capisse… Anche il fatto che l'avesse vista morire per ben due volte, non bastava quello? Cosa pensava di averci fatto l'abitudine? Forse, in fondo, non era lui il più disperato del gruppo, ma Maxwell…
    «Nessuna scelta è piacevole o giusta. La VITA non lo è. Ma io non voglio che i cadaveri in questo luogo salgano da uno a sei per una possibile trappola morale!»
    Eppure non riusciva a tollerare un discorso simile. Semplicemente non ce la faceva. Chi era lui per fargli una predica sul fatto che la vita non fosse giusta?! Cosa ne sapeva Maxwell di ciò che lui aveva vissuto, di ciò che lui aveva patito? Ma non era quello che importava, non lì, non in quel momento: avrebbe accettato tutte le critiche che lui gli avesse mosso, non importava né il numero né il peso, però non gli avrebbe permesso di anteporre i propri ideali, le proprie idee alla salvezza di coloro a cui teneva! Non a lui, non a nessun altro. Mai.
    «Quindi, secondo te, affrontarla così, sapendo che si rigenera anche dopo che le hai aperto le viscere dal collo al pube, anche dopo che le hai bruciato metà del volto, che le hai impalato le braccia e le gambe, sapendo che anche dopo tutto questo lei si rialza in piedi, è la cosa giusta da fare?»
    Non voleva rievocare quei ricordi, però doveva. Ancora una volta si trattava di qualcosa che faceva per gli altri, per far capire all'uomo che non c'era possibilità per loro di vincere, non allo stato attuale delle cose.
    «Restare qui, senza nemmeno tentare di salvare altre due persone, tentando di affrontare direttamente un essere come questo, ti sembra il modo migliore per evitare che i cadaveri salgano da uno a sei...?»
    Eppure non sembrava funzionare. Forse era stato troppo aggressivo, forse Maxwell era semplicemente testardo. Non c'era alcun cambiamento in quell'espressione decisa, alcun mutamento nell'atteggiamento. Forse era anche a causa dell'aspetto metallico, ma sembrava che nulla di quanto avesse detto fosse riuscito a toccarlo, a fargli mutare idea…
    Forse doveva provare a mettere da parte l'ira e a mostrare veramente se stesso, a mostrare perché stava tentando di fare tutto quello.
    Già, perché? Perché non voleva vedere più cadaveri? Perché non voleva vedere più qualcuno piangere per lui? Perché?
    Era per non provare più quella sensazione. Per non dover più sentire la disperazione scuotergli il corpo. Per non dover più… Piangere. Era per sé, in realtà. Perché non voleva rimanere solo, senza nulla che lo sostenesse. Era perché aveva paura…
    «Io non voglio far morire tutti. Voglio solo riuscire ad uscire da questo luogo, a portare con me anche Shinan e Noel. Nient'altro. Se davanti a noi non c'è davvero nessun'altro eccetto Noel, allora la prendo e poi torno indietro, a tentare di trovare Shinan e l'uscita. Forse sono davvero troppo ottimista nel pensare di poter uscire da qui, ma non starà fermo in questo luogo, senza fare niente, aspettando di essere ucciso da lei.»
    Con lentezza chinò lo sguardo verso il terreno, senza vederlo veramente. Di fronte ai suoi occhi non c'erano altro che le immagini dei cadaveri di Shinan e Vanessa, il volto di Noel che, stremata, lo aveva appena salvato dall'illusione.
    «Uscita che probabilmente lei ti impedirebbe di raggiungere, bloccandoti in una stanza, o con un'illusione, e tutto perché hai voluto prendere la strada più facile. Certo, questo sembra un bel piano per salvare quante più persone possibile.»
    No, non poteva dargli torto sotto quell'aspetto. Con tutta probabilità, qualunque cosa avessero fatto, Will li avrebbe intercettati alla fine. Forse non c'era davvero altra soluzione che combatterla, in fondo, eppure non se la sentiva di restarsene lì con le mani in mano, ad attendere il suo arrivo.
    «Almeno non me ne sto qui aspettando la morte! E poi, cosa ti dice che non sia capace di creare un illusione in questa stessa stanza?»
    Era quello il problema principale del Castello, quello ciò che rendeva il luogo pericoloso: l'impossibilità di distinguere il vero dal falso, l'impossibilità di comprendere se ciò che si stava vedendo in quel momento, ciò che si stava toccando fosse una copia o meno… Finché non fossero stati certi di tutto quello, non avrebbero avuto speranze.
    «Siamo alla sua mercé. Non abbiamo certezze in questo luogo... non ha senso discutere così. Credo che per salvarci questa sia la nostra migliore possibilità, se tu la pensi in un altro modo, così sia... non ho altri modi per farti cambiare idea, ti ho già detto quello che penso. E' solo che... non voglio vederle morire di nuovo davanti ai miei occhi. Non sei l'unico, sai? Anche io le ho viste morire, ho sentito le loro urla. Non voglio che accada di nuovo...»
    Non sapeva cos'altro dire. Aveva finito le parole e l'unica cosa che rimaneva era un vago senso di vuoto, una nausea che lentamente lo rodeva dall'interno. Non voleva più vedere una tragedia simile compiersi davanti ai suoi occhi.
    «Al diavolo, fai quel che vuoi. Ma non mettermi in bocca parole che non ho detto, io non sono qui alla ricerca di gloria o altro. Vorrei solo che capissi che questa storia non finirà con un lieto fine come vorresti.»
    Non sapeva più cosa dire. Era semplicemente frustrante tutto quello. Sì, era vero che quella storia non sarebbe finita bene, non poteva, non dopo quello che era successo, non dopo tutte le ferite che si sarebbero portati dietro, ma non voleva che finisse in una tragedia ancora più grande di quella attuale. Voleva che almeno la conclusione di tutto quello non fosse un ulteriore incubo, non fosse il termine delle loro vite… Non capiva?
    «E poi, ho ancora una promessa da mantenere. Dopo che tutto questo sarà finito, sei libero di andartene.»
    Anche lui era stanco, anche lui era esasperato da quella situazione. Lo vedeva chiaramente tramite le sue parole, tramite quel tono che sembrava più un sospiro che altro. No, non aveva senso litigare in quel luogo, in quel frangente, però, non aveva ugualmente senso starsene lì impalati ad attendere ed osservare senza fare nulla.
    In realtà qualunque cosa avessero fatto non avrebbe avuto senso. Eppure sentiva che forse, cercando l'uscita, facendosi aiutare da Noel, un briciolo di speranza lo avrebbero avuto, per quanto flebile fosse.
    «Dietro quella porta c'è un membro dell'Ordine. A me non resta molto tempo e vorrei fare il possibile per aiutarvi. Tutto quello che ha detto Ingwe è vero, Will è intoccabile. Tuttavia, se sono riuscita ad aiutarvi è solo perché lei si sta lentamente indebolendo.»
    Di scatto si voltò verso la bambina, attento alle sue parole.
    Ordine? Quella parola non gli diceva niente, tuttavia poteva capire che si trattava di un qualcosa di pericoloso: per la prima volta Maxwell tremò di paura, e l'interezza della situazione faceva presagire che quella parola non significava niente di buono; tuttavia, almeno adesso era certo che Will si stesse indebolendo, per quanto minimamente… Le loro possibilità di sopravvivenza, nonostante fossero ancora decisamente misere, si erano almeno inspessite un po'.
    «Ormai non gioca più per uccidervi, per quanto ci abbia provato all'inizio. Credo stia solo cercando di prendere tempo. Vanessa, io sono una copia di Noel e lei è la causa per cui siete tutti qui, purtroppo non per sua decisione. La voce con cui hai parlato tu e la persona che i tuoi compagni hanno incontrato è una sua derivazione che non ha corpo, per questo tutte le ferite inferte a lei, finiscono direttamente su... be', me.»
    Prendere tempo. In poche parole stava cercando di aspettare finché la natura delle cose non avesse fatto il suo corso, fin quando Noel non fosse morta. Chissà quanto le rimaneva? In tutta onestà non credeva che avesse ancora molto: tra le ferite che lui le aveva volontariamente inflitto e l'incoscienza che durava da almeno quattro ore… Di sicuro le sue condizioni non erano tra le ottimali, anche, soprattutto, pensando a quando l'aveva incontrata a Crepuscopoli: era bastato che lui e Shinan si avvicinassero per far fiorire una serie di ematomi scuri sulla pelle. Will… Ancora una volta, Ingwe si chiese cosa doveva essere successo a quella ragazza per renderla tale, per gettarla in uno stato simile.
    «Tutto ciò che vuole è essere completa e non più solo uno spirito: sta cercando di distruggere Noel per prendere il suo posto. Voi siete le sue pedine inconsapevoli e vi sta usando per accelerare il processo. Più persone la odiano, più la temono, più forte diventa e più si avvicina al suo obiettivo. Io... vorrei fare di più. Vorrei ridarvi ciò che vi ha tolto, vorrei farvi uscire da qui, ma sono solo un brandello della coscienza di Noel, che sta cercando di proteggervi.»
    Ancora una volta si era reso conto di quanto lui non fosse stato altro che una marionetta sin dall'inizio, sin da quando le aveva incontrate sulla “Collina del Tramonto”, sin dal primo momento che le aveva odiate. Era stato semplicemente perfetto, non avrebbe potuto fare di meglio. E per questo si odiava, per questo odiava se stesso e Will.
    Per questo odiava il fatto che Noel continuasse ad affermare di essere una copia, di essere un brandello della coscienza di un “originale”. Odiava quelle parole, quella tristezza che, al sentirle, cresceva dentro il suo cuore. Lei era diversa dalla Noel rinchiusa nella stanza davanti. Così come lo era Will. Erano tutte persone diverse, tutte entità a sé stanti, separate tra di loro. Anche solo per le esperienze individuali che avevano vissuto, per le difficoltà e le emozioni che avevano affrontato. Loro erano diverse, uniche. Nessuna era un falso, nessuna era più vera di un'altra. Di questo lui ne era sicuro.
    Ancora una volta la promessa che aveva fatto gli tornò in mente.
    Le avrebbe rese felici, tutte loro. Avrebbe fatto sì che quel sacrificio, che quel dolore non fossero vani. Le avrebbe viste sorridere di nuovo, le avrebbe viste di nuovo prive di preoccupazioni, libere di vivere la vita che desideravano.
    Per questo avrebbe impedito che Will vincesse, per questo… Avrebbe fermato la Volontà dell'Abisso.
    «Quindi come possiamo vincere questa corsa contro il tempo?»
    Già, come? Come impedire che Will riuscisse ad esaurire la vita di Noel, come impedire la sua morte?
    Se davvero l'albina avesse preso il suo posto, se davvero avesse finalmente iniziato ad esistere, allora come l'avrebbero potuta fermare. No. Non si trattava di come l'avrebbero potuta fermare dopo. Si trattava del prima. Di come avrebbero potuto impedirle di raggiungere il proprio obbiettivo, di come avrebbero potuto salvare Noel.
    «... Non lo so. Nel peggiore dei casi, non fatevi scrupoli. Una persona che muore non ne vale altre quattro, e altrettante dopo.»
    Cosa doveva significare quello? Era un via libera per uccidere Noel, un qualcosa per dare finalmente corporeità a Will e privarla di un pupazzo sul quale scaricare le proprie ferite? La sola idea lo riempiva di disgusto. Non lo avrebbe fatto, non ci sarebbe mai riuscito, non… Non ne aveva la forza…
    Non era pronto a sacrificare una vita che conosceva per il bene di altre, non senza avere l'assoluta certezza che quel gesto sarebbe servito a qualcosa. Preferiva che fosse la sua vita a finire che quella altrui. Forse era solo un codardo, un essere privo della forza di volontà necessaria per salvare coloro che lo circondavano. Forse, Will faceva bene a disprezzarlo, a vederlo come una marionetta, un qualcosa con cui poter giocare. Forse, non era mai stato nient'altro.
    «... Non renderlo più difficile di quanto già non sia. Per favore.»
    Confusa, disperata, Vanessa si portò le mani tra i capelli, in un apparente tentativo di trovare un senso a ciò che la circondava, a ciò che le stava accadendo.
    «Io… Io non…»
    Nessuno di loro ce l'avrebbe fatta, apparentemente. Nessuno di loro possedeva abbastanza forza di volontà per accettare quella soluzione.
    «Non voglio che voi moriate... non potrei perdonarmelo. Non dopo tutto quello che è successo, non dopo tutto quello che vi è successo...»
    Quella era la sua verità, il suo motivo, ciò che ancora lo spingeva avanti, lo faceva sperare all'interno di quel Castello: la possibilità di un esito felice, di una fine delle sofferenze, per lui, per loro.
    «Allora strappati un po' di fegato, ragazzo...»
    Più facile a dirsi che a farsi. Non voleva affrontare Will. Non voleva vedere Noel morire, vederla raggiungere il proprio scopo. Voleva solo trovare Shinan e scappare da quel luogo con tutti quanti gli altri. Voleva che Noel, sia quella piccola che la ragazza, che Vanessa, che Shinan, Maxwell e l'altra donna potessero sopravvivere. Forse era un illuso se pensava di poterci riuscire, se pensava che tutto sarebbe andato secondo i suoi desideri. Eppure non poteva fare a meno di sperare.
    «Se voi avrete la mia schiena, io avrò le vostre.»
    Forse, dopotutto, uno scontro era inevitabile, forse, dopotutto, lui non era altro che un illuso.

    Ok, finalmente posto, in caso di chiarimenti sapete dove trovarmi. Probabilmente modificherò un po', in quanto non ho potuto rileggere benissimo, quindi ci potrebbero essere degli errori. A voi la tastiera :3
    EDIT: corretto piccolo errore di distrazione e un codice ribelle.



    Edited by pagos - 25/7/2015, 22:09
     
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  14. Vanessa Galatea
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    Per qualche momento, la realtà mi parve dannatamente distante. C’era, era lì presente, ma faceva da mero sfondo sfocato ai rimbombi causati da quell’illusione. Io ero distesa sul pavimento, accasciata così come ero caduta una volta di nuovo nelle spire malefiche della verità, abbandonata da quella visione tanto falsa e dannosa quanto ipnotica ed idilliaca. Dopo quello che mi parve parecchio tempo, sentii qualcosa premermi contro, toccarmi: era una mano, una grande mano. Voltai il capo di scatto nella direzione del tocco ed i miei occhi, con una vista ormai sempre meno annebbiata, inquadrarono quell’uomo in armatura, proprio quello della prima stanza!
    “Ehi… EHI! Tutto bene?!”
    Il tono del gigante corazzato era preoccupato. Io… Io non riuscii a trattenermi, ero oltre il limite: con non so quali forze strisciai ancora più vicina al grande guerriero e mi rannicchiai sulle sue ginocchia, le lacrime nuovamente protagoniste sul mio volto.
    “Io... Loro... Basta! Voglio... Aiuto...”
    Troppo, troppo tutto insieme. Tra un singhiozzo ed un altro le parole emergevano come pile di sassi tra i flutti di un fiume in piena, destinate ad essere inghiottite di nuovo dal caos dell’acqua. Quelle illusioni… Partivano tutte da Lei, era chiaro. E Lei sapeva esattamente come farmi cadere, era perfettamente cosciente della mia debolezza più grande. Io non ero nulla senza di loro, ed il pensiero che potessero soffrire per colpa mia era già un fardello abbastanza pesante da trascinarmi dietro senza bisogno di ricordarmi come sarebbe stato bello il mondo senza tutta quella morte e disperazione. Il Suo scopo doveva essere quello di infilzare ancora di più la spada nella carne… L’uomo in armatura mi strinse a sé, poggiando la sua mano sinistra sulla mia schiena, mentre io continuavo a piangere sempre di più, chiedendomi dentro sempre più forte perché… Perché il mondo non poteva essere sempre come quella dolce illusione?
    "Non preoccuparti, usciremo da qui. Stringi i denti ancora per un po', d'accordo?"
    Uscire da lì sembrava ormai una prospettiva paradisiaca: quando accade una disgrazia e si è costretti ad attraversarla, il pensiero più dolce a cui si possa pensare è quello della sua fine, ci si dimentica del fatto che se non fosse mai iniziata non ci sarebbe mai dovuta essere una soluzione. Non sarei mai dovuta entrare in quel castello. Continuai a stringermi sempre di più all’uomo, calmato un po’ il pianto, incapace di rialzarmi.
    "Non... Non ce la faccio più. Eravate... Eravate tutti..."
    Sussurrai piano, singhiozzando, senza riuscire a finire. Forse parlarne avrebbe alleviato il dolore? Non ci speravo neanche, ma lo dissi lo stesso… Non sapevo perché, ma sentivo di doverlo fare.
    Il corazzato finì la mia frase con la parola sbagliata, parlando con tono decisamente triste.
    "Morti? Non sarebbe la mia prima volta. Ma non lasciarti influenzare da quello che ti viene mostrato. Sei una ragazza coraggiosa, o non saresti arrivata fino a qui, sbaglio?"
    Anche lui doveva essere stato preda di illusioni simili, non potevo essere l’unica… E poi, coraggiosa? Smisi lentamente di piangere e stetti in silenzio. Pensavo di potermi descrivere con ben altri aggettivi. Patetica ad esempio. Anche nociva. Se fossi stata davvero coraggiosa, non avrei mai avuto tutte quelle disgrazie, avrei saputo proteggere le persone che amavo. Fissai l’uomo in viso con la vista appannata.
    Eppure quella era la parte della sua frase più trascurabile…
    "...No. Voi... Eravate tutti vivi, in salvo."
    E presi a piangere di nuovo, stavolta un pianto silenzioso, a testa alta. L’uomo non fece altro che sospirare e parlare di nuovo.
    "Ciò che hai visto... si avvererà solo se lavoreremo insieme per uscire da qui. Lo sai, vero? Capisco di chiederti molto, ma ho bisogno che tu resista ancora un po'." Poi sospirò di nuovo con un retrogusto d’amarezza e terminò: “…Te ne prego.”
    Le lacrime ormai erano finite, non per mancanza di tristezza, ma per quella di liquidi stessi. Era… Ovvio. Non era chiedermi molto, era chiedermi quello che andava fatto. Ne più, ne meno. Se per lui quello era chiedermi troppo, avevo parecchie domande da pormi… Ad esempio, sembrava davvero tanto per me? E la risposta era altrettanto ovvia. Sì, lo era. Ero visibilmente distrutta, in quel poco tempo non avevo ricevuto che follia e dolore. Ma l’unica risposta era proprio quella, lavorare insieme alle persone su cui potevo contare, che in quel momento erano l’uomo in armatura dal nome che non ricordavo, Aqua, Shinan ed… Ingwe. Aveva ragione, non potevo lasciarmi andare lì. Aveva dannatamente ragione. Lo fissai in silenzio per un po’, chiedendomi come avessi fatto a non capirlo da sola: se mi abbandonavo, la situazione non sarebbe mai migliorata. E non avrei mai rivisto Shinan ed Ingwe.
    Dovevo resistere ancora. Annuii.
    Il gigante si alzò in piedi e ricambiò, per poi dirigersi verso Aqua, anche lei riversa sul pavimento per le sue ferite. Nel mentre, mi alzai in piedi… O almeno ci provai, l’appoggio sulle gambe non era dei più solidi, il risultato fu una me barcollante in cerca dell’equilibrio perduto.
    “Aqua… Lady Aqua! Sono io!”
    “Maxwell…”
    Il nome dell’uomo in armatura… Maxwell? Non riuscivo a ricordarmi se me l’avesse già detto in precedenza o no. Aqua era sollevata nel vederlo, i due dovevano già essersi incontrati e conosciuti in precedenza, visti i gesti di Maxwell nei suoi confronti.
    "... Non vada mai più avanti da sola in quel modo. Mai più."
    Eppure le dava del lei.
    "Mi dispiace... volevo solo liberare Ven. Ma da sola... lei è troppo forte."
    …Ven? Che si riferisse a quel Lui che doveva aiutare? Probabilmente era così, ma volli comunque chiedere per sicurezza. Sapere che c’erano anche altre persone oltre a quelle che conoscevo invischiate in quella faccenda non mi faceva stare bene per niente.
    “…Ven?”
    “…un mio amico”
    Il volto di Aqua si decorò con un sorriso amaro a quella risposta. Sì, era decisamente Lui. Avere un amico intrappolato in quel luogo da incubo? Non biasimavo di certo Aqua per essersi avventurata nel castello per salvarlo, per quanto le sue azioni potessero esser state avventate erano tutte giuste. Lei era una donna che avrei potuto definire davvero coraggiosa.
    Maxwell e la keyblader cominciarono a parlare, ma io mi distrassi dalla discussione: mi sentivo quasi di troppo. Mi girai verso la porta e… Ingwe. Ingwe completamente coperto di sangue e cicatrici. Non esattamente la visione del principe azzurro… Ma non c’era persona che avrei voluto vedere più di lui in quel momento. Lui, che però stava mano nella mano con una bambina bionda che ben conoscevo. Mi cedettero le ginocchia, era incredibile: sembrava che i protagonisti della mia allucinazione si fossero riuniti lì, mi sembrava di riviverla ancora. Non sapevo se mi piaceva o no. Quando le gambe non ressero più il mio peso, Ingwe fu lì pronto a sostenermi con le sue braccia. Non potevo iniziare di nuovo a piangere…
    “Va tutto bene, ora. Vanessa, tranquilla, va tutto bene. Sono io. Sono qui.”
    Non potevo…
    Ricominciai a grondare lacrime.
    “...Come. Come posso sapere che sei davvero tu?!”
    Stretta nell’abbraccio di Ingwe, portai le mani al viso e ci tuffai dentro il volto, assaporando il gusto amaro e salato delle lacrime. Era lì con me… Se prima potevo anche pensare di non riuscire ad andare avanti, ora che c’era anche lui DOVEVO trovare la forza di proseguire.
    "Non... non puoi. Io posso solo dirti che non sono un'illusione di Will, che ci siamo incontrati per la prima volta durante l'assedio di Radiant Garden, che tu mi hai salvato da un Heartless ed io, stupido, tentavo di farti scappare nel rifugio. Posso dirti di Shinan, di come ci siamo aiutati l'un l'altro nel tunnel, di come ti ho insegnato a volare, di come abbiamo ballato in aria. Ma... queste parole non hanno senso, non qui. Per quanto stupido possa sembrare, posso solo dirti che devi fidarti di me. Ti prego, è l'unico modo."
    Che stupido. Non il fatto che mi dovevo fidare di lui, no… Pensare che davvero fossi incerta su di lui, sulla sua autenticità. Il mio cuore sapeva di essere davanti proprio a quel ragazzo, il mio amato Ingwe dagli occhi di smeraldo. Rivelai il viso dai palmi.
    “Però… In fondo lo so che sei tu.”
    Cominciai a picchiarlo. Con le mani chiuse a pugno, ancora bagnate di lacrime, davo continui colpi sul suo petto sporcandomi di sangue ed interiora.
    “Stupido! Stupido stupido stupido! Sei uno…”
    Mi gettai al suo collo, ricambiando finalmente l’abbraccio.
    “So che sei tu, lo so… Credevo di non vederti mai più.”
    Le lacrime sembrarono finire di nuovo, ma io non avevo alcuna intenzione di sciogliere l’abbraccio. Ingwe mi strinse forte e mi parlò, confermandomi di nuovo che era lui, in carne ed ossa.
    "Anche io... Anche io ho avuto paura di averti persa, di non poterti vedere mai più."
    Si interruppe un secondo, come se stesse cercando le parole… O trattenendo le lacrime. La sua stretta si irrigidì attorno a me.
    “Mi dispiace. E' colpa mia se tu sei rimasta coinvolta. Non volevo che ti accadesse tutto questo; né a te, né a Shinan.”
    Nessuno voleva che qualcosa di simile accadesse… Io sentivo lo stesso, anche per me Ingwe non sarebbe dovuto essere coinvolto, ne lui ne Shinan. E non pensavo davvero che fosse colpa sua. Nulla di questo uscì dalla mia bocca, volevo soltanto continuare ad abbracciarlo. Dopo quel tempo di disperazione saperlo lì accanto a me riusciva a darmi una sensazione quasi simile alla felicità, che in quel luogo proprio non riuscivo a provare. Il ragazzo si voltò verso la bimba dai capelli biondi, la stessa della Radiant Garden fittizia, la stessa che mi ero rifiutata di uccidere e che poi… Ancora non potevo credere alla sua presenza lì, anche se con un pizzico di pensiero logico in più, che in quel momento non abbondava nella mia mente, avrei potuto arrivare alla conclusione più ovvia; o che, almeno per quel posto, pareva la più plausibile. Nel doppio tentativo di asciugarmi le lacrime residue e di far scacciare dai miei occhi quella che poteva essere l’ennesima illusione, mi strofinai le palpebre coi polsi di entrambe le mani, per poi riprendere visione sulla bimba e scoprire che si trovava ancora lì, davanti a me. A quel punto un balbettio incredulo si stava facendo strada dalle mie corde vocali verso la bocca, mentre Ingwe con ansia e preoccupazione discorreva con la biondina.
    "Noel, sai dove si trovano Shinan e... l'altra Noel?"
    Noel. Si chiamava così la bambin-l’altra Noel?! Dovevo dunque dedurre che c’era più di una bambina bionda in quel castello e che io ne avevo uccisa solo una delle tante? E tutte si chiamavano nello stesso modo? Questi pensieri si fecero spazio nella mia mente già abbastanza confusa solo dopo che ebbi parlato, facendo qualche passo nella direzione della bimba, io buia in viso.
    "Tu... Cosa ci fai qui? Sei viva! Come... Io... ...Io ti ho... Doveva essere un'altra illusione..."
    Quella che trasparì dalle mie parole fu l’ipotesi che più ritenevo probabile prima di venire a conoscenza dell’ALTRA Noel. Quel posto, a quanto sembrava, ci aveva presi tutti in giro, ci aveva tutti feriti e gettati in pasto ai nostri peggiori incubi, non mi sarei dovuta aspettare niente di meno da una tale casa degli orrori.
    La piccola Noel rispose prima ad Ingwe.
    “Noel è nella prossima stanza. Shinan… Non lo so.”
    La bimba abbassò il capo mesta, come a volersi scusare per quello che aveva detto. Dunque l’altra Noel ci attendeva più avanti, un’altra bambina identica a quella probabilmente… Ma Shinan era dispersa. La sua assenza in quella stanza era preoccupante, visto che, ad eccezion sua, tutti quelli che s’erano trovati nell’atrio del Castello, con l’aggiunta di Aqua, erano ora riuniti tra quelle quattro mura. Sperai con tutto il cuore che non fosse morta. Non mi venne dato neanche il tempo di elaborare sul serio questi pensieri che la piccola si rivolse direttamente a me, per rispondermi.
    “L'orfanotrofio? Il lupo? ...non erano illusioni.”
    Ed ecco la mia conferma. Venire a conoscenza dell’esistenza di un’ALTRA Noel reale, tangibile era già abbastanza, sentirselo dire dalla diretta interessata diveniva una conferma quasi non necessaria. Il punto era… Non erano illusioni? Come?! Ho visto quella Radiant Garden fittizia sparire completamente per lasciare posto ad una stanza bianca! Bastò un attimo per farmi rimettere le idee apposto: mi trovavo in un luogo talmente assurdo che appellarsi a qualsiasi legge fisica o della realtà non aveva senso. Dovevo arrendermi all’idea che quello che vedevo potesse essere sia reale, sia un sogno, sia un’illusione con la stessa probabilità per ognuno, se non un misto di tutti e tre. La piccina sorrise timida e continuò.
    “Sono contenta che tu sia riuscita a proseguire.”
    Proseguire in un gioco dell’oca tracciato e dettato dalla Volontà in persona, dunque. Da LEI.
    Ingwe era stato in silenzio per tutto quel tempo, con aria pensierosa e preoccupata.
    “Non è morta… Vero?”
    Pensai subito che si riferisse a Shinan. Avevo visto più di una volta quanto avesse a cuore la sua vita, così come la mia. A quella richiesta, Noel rispose:
    “Non credo…”
    Come poteva saperlo? Se non era un’illusione, e a patto che davvero non lo fosse, come poteva sapere la posizione di questa altra Noel? Erano tutte collegate tra loro? Possibile che quella bimba riuscisse a vedere il tabellone del gioco da sopra, con la posizione di ogni pedina ben chiara? E se sì, come mai la pedina di Shinan sembrava scomparsa? Troppi quesiti a cui non sapevo rispondere e di cui non ero sicura di volere la risposta, che rischiava solamente di confondermi ancora di più.
    Nel frattempo, Maxwell, che stava parlando con Aqua, si intromise nel discorso fissando la porta all’altro lato della stanza, parlando con tono amareggiato.
    “… Temo che quella potrebbe essere la nostra preoccupazione minore, purtroppo.”
    “Cosa intendi…?”
    Ingwe chiese chiarimenti, e venne ricambiato da un’occhiata dell’uomo, con un occhio rosso. Fu lì che cominciai a farmi qualche domanda sul gigante metallico: quell’armatura era davvero strana, non sembrava che la indossasse solamente, sembrava parte di lui. Il modo in cui si muoveva era completamente naturale, quasi come non stesse indossando davvero quell’armamento mastodontico…
    “Sarò breve: siamo ancora in territorio nemico. Noel sarà nella nostra stessa situazione, ma c'è un pericolo più imminente, al momento.”
    “E' appunto per questo che dobbiamo sbrigarci ad uscire da questo inferno. Non me la sento di "affronare" nuovamente Will. Dubito che potremmo mai farcela... Dobbiamo scappare e non voglio, non posso lasciare Shinan o Noel qua dentro..”
    “Noel non è cosciente da…”
    Prima dell’intervento di Noel, che contò il numero quattro sulle dita di una mano e che venne abbastanza ignorata da tutti nella stanza, Ingwe sottolineò con sarcasmo quell’ “affrontare”. Will… La Volontà? Era quello il suo nome, quindi, ed Ingwe l’aveva già affrontata. Per quanto una persona possa essere pacata, immaginavo che nessuno potesse provare null’altro che odio, misto al terrore, per una creatura simile. E così facevo anch’io. Con le affermazioni di Ingwe, però, mi trovavo poco d’accordo: se questa Will era davvero la burattinaia dietro a tutti quegli orrori, concordavo sul primo punto, quello secondo il quale non avremmo avuto nessuna possibilità contro di lei… Ma sul secondo non sapevo cosa rispondere, visto che la fuga sembrava una via difficile da seguire. Per come la pensavo io, non saremmo mai riusciti a fuggire con Will che controllava il gioco, non sarebbe stato difficile per lei ostacolarci e vincerci con facilità… Ma d’altra parte, uscire da lì velocemente non sembrava una prospettiva malvagia.
    "Dovremmo affrontarla in ogni caso, non fartela sotto."
    Maxwell scosse la testa, per poi girarsi per guardarsi attorno e parlare di nuovo, inquieto e serio.
    “…Però… DOV’È quella ragazzina coi codini?”
    “Fartela sotto?!”
    Vidi Ingwe spostare la stoffa della manica per scoprire la spalla ed il braccio, entrambi coperti per ogni centimetro di cicatrici.
    “Queste cicatrici me le ha fatte lei. Se sono qui è solo grazie a Noel, per nient'altro. Quell'essere, quel demone è capace di creare la vita e di distruggerla con altrettanta facilità.”
    Con un gesto del braccio, fece come per indicare il sangue ed i frammenti organici che si portava addosso, segno di chissà quale orrore che aveva dovuto vivere.
    “Perdonami se forse me la faccio addosso, ma non me la sento di affrontarla. Ho paura di lei e credo che tu faresti bene a fare altrettanto. Non possiamo affrontarla: tutto ciò che le facciamo... non serve a niente. Tutte le ferite che le vengono inflitte passano a Noel, a quella adulta.”
    Capivo bene l’infervorarsi di Ingwe, la rabbia che doveva provare dopo tutto quello che gli era accaduto nel Castello, di cui portava ben chiari i segni sulla pelle. C’era ben poco da dire sulle sue affermazioni, aveva paura così come tutti in quella stanza probabilmente… Decisi di aprire bocca, però, sull’ultimissima parte del suo discorso. Noel… Quella adulta? Dunque non erano tutte uguali queste Noel, ce n’era almeno una diversa. La mia perplessità dovette esprimersi, anche nel bel mezzo di quello che sarebbe diventato un litigio pesante.
    "Io... Scusatemi ma non capisco di chi state parlando... Chi è questa Noel?"
    Scelsi probabilmente le parole sbagliate… Era più giusto dire che non capivo di QUALE Noel stessero parlando. Il mio quesito non trovò risposta alcuna, ma fu anzi zittito dal pestone che Maxwell tirò sul pavimento con il piede sinistro, alzandosi rabbioso.
    "E quindi? Ammettere che hai paura ti libererà dalla possibilità che quella burattinaia ci stia ancora guardando, facendosi due risate di fronte al tuo ottimismo?!"
    L’ultima cosa di cui avevamo bisogno era di metterci l’uno contro l’altro senza bisogno che la Volontà stessa lo facesse per mano sua. Era stato Maxwell stesso a dirmelo poco prima, per uscire da quella situazione e salvarci non potevamo fare altro che lavorare insieme… Lasciarsi trascinare dalla rabbia nel suo caso, o dalla paura nel caso di Ingwe, erano entrambi approcci sbagliati, lo sapevo, ma io ero l’ultima a poter parlare, la prima a farsi trascinare dalle proprie emozioni in momenti critici. La tentazione di dar voce a quei miei pensieri fu annegata subito in un mesto silenzio: come potevo enunciare un’idea tanto coraggiosa, io che fino a quel momento avevo pianto a dirotto? Con quale faccia avrei dovuto riprendere i due, dirli colpevoli di essere troppo emotivi? Con quella ancora rigata di lacrime? Non ero io la persona adatta…
    Maxwell strinse forte i pugni ed abbassò il capo fissando Ingwe.
    “E anche se davvero quelle ferite si rivoltassero su Noel, se quella tizia si facesse viva per ucciderci tutti insieme, tu lasceresti morire tutti per questo particolare?! IO L'HO VISTA MORIRE DUE VOLTE OGGI, MOCCIOSO!"
    L’uomo metallico poggiò la mano sinistra sul suo petto, per poi procedere.
    “Nessuna scelta è piacevole o giusta. La VITA non lo è. Ma io non voglio che i cadaveri in questo luogo salgano da uno a sei per una possibile trappola morale!"
    “Quindi, secondo te, affrontarla così, sapendo che si rigenera anche dopo che le hai aperto le viscere dal collo al pube, anche dopo che le hai bruciato metà del volto, che le hai impalato le braccia e le gambe, sapendo che anche dopo tutto questo lei si rialza in piedi, è la cosa giusta da fare? Restare qui, senza nemmeno tentare di salvare altre due persone, tentando di affrontare direttamente un essere come questo, ti sembra il modo migliore per evitare che i cadaveri salgano da uno a sei...? Io non voglio far morire tutti. Voglio solo riuscire ad uscire da questo luogo, a portare con me anche Shinan e Noel. Nient'altro. Se davanti a noi non c'è davvero nessun'altro eccetto Noel, allora la prendo e poi torno indietro, a tentare di trovare Shinan e l'uscita. Forse sono davvero troppo ottimista nel pensare di poter uscire da qui, ma non starà fermo in questo luogo, senza fare niente, aspettando di essere ucciso da lei.”
    Entrambi avevano ragione e torto contemporaneamente, non si poteva trovare un vero vincitore di quella lite… Rimasi in silenzio solo perché non sapevo bene neanche io come muovermi, o che intenzione avere: volevo salvare Shinan, questo era sicuro. E volevo anche che Aqua, che per tutto quel tempo era rimasta in silenzio, probabilmente a causa della sua condizione fisica non propriamente impeccabile, ritrovasse Ven, quel suo amico che era nel Castello. Ed ovviamente volevo uscire di lì. Ma come farlo… Quello non lo sapevo. Speravo soltanto che tutti rimanessimo uniti, qualsiasi cosa decidessimo di fare.
    L’ultima cosa che volevo era restare sola in quel luogo da incubo.
    Maxwell scosse la testa e chiuse gli occhi, visibilmente esasperato e disse:
    “Uscita che probabilmente lei ti impedirebbe di raggiungere, bloccandoti in una stanza, o con un'illusione, e tutto perché hai voluto prendere la strada più facile. Certo, questo sembra un bel piano per salvare quante più persone possibile.”
    In parte, era quello che pensavo anch’io, fu strano sentire i propri pensieri concretizzati in una frase di Maxwell… D’altra parte, Ingwe non aveva tutti i torti a non voler affrontare Will se sembrava così impossibile ferirla. Quest’ultimo rispose arrabbiato, quasi acido.
    “Almeno non me ne sto qui aspettando la morte! E poi, cosa ti dice che non sia capace di creare un illusione in questa stessa stanza. Siamo alla sua mercé. Non abbiamo certezze in questo luogo...”
    Anche questo era sacrosanto, potenzialmente quello stesso incontro, quella riunione di sopravvissuti poteva essere semplicemente l’ennesima illusione. Era difficile vedere Ingwe in quel modo, soprattutto dopo che a Radiant Garden c’erano stati tutti quei momenti magici: quando mai avrei potuto vederlo, per una volta, sereno? Il suo tono si fece triste, mentre procedeva con il suo discorso.
    “Non ha senso discutere così. Credo che per salvarci questa sia la nostra migliore possibilità, se tu la pensi in un altro modo, così sia... Non ho altri modi per farti cambiare idea, ti ho già detto quello che penso. E' solo che... Non voglio vederle morire di nuovo davanti ai miei occhi. Non sei l'unico, sai? Anche io le ho viste morire, ho sentito le loro urla. Non voglio che accada di nuovo...”
    Probabilmente allora tutti avevamo visto morire una Noel, anche Shinan. Forse avrei dovuto esprimergli il mio conforto, stargli accanto, ma non riuscivo a far altro che stare in piedi, immobile, e pensare… Pensare a quello che ci stava succedendo e, possibilmente, ad un modo per uscire da lì. Non avevo le idee chiare su come fare ma sapevo bene cosa desideravo, e a seconda di cosa fosse necessario avrei agito di conseguenza. Maxwell, Aqua, Ingwe… Erano tutti così coraggiosi. Sì, anche quello che voleva solo fuggire. Quello che li rendeva coraggiosi era quello che stavano facendo per le persone a loro care: Maxwell ed Aqua stavano cercando in tutti i modi di salvare l’amico di questa, Ingwe invece stava cercando di salvare Shinan, la Noel adulta e… Beh, possibilmente me. Anche se il suo piano era di fuggire, non lo avrebbe mai fatto senza le persone a lui care, altrimenti avrebbe già tentato di scappare da solo. Era questo il vero coraggio… Ed io volevo dimostrarmi all’altezza. Le parole di Maxwell erano sincere quando mi aveva parlato di avverare la mia visione, ma non poteva sapere che, in realtà, non si poteva fare: non avrei mai riavuto indietro le persone che avevo già perso…
    …Ma potevo dare me stessa per tenermi stretta le persone che rischiavo di perdere!
    “E poi, ho ancora una promessa da mantenere. Dopo che tutto questo sarà finito, sei libero di andartene.”
    Ero talmente assorta nei miei pensieri che sentii la voce di Maxwell finire un discorso che non avevo sentito iniziare. La piccola Noel si fece avanti iniziando a parlare, e sentivo che quello sarebbe stato un discorso da ascoltare assolutamente.
    “Dietro quella porta c'è un membro dell'Ordine.
    A me non resta molto tempo e vorrei fare il possibile per aiutarvi.
    Tutto quello che ha detto Ingwe è vero, Will è intoccabile. Tuttavia, se sono riuscita ad aiutarvi è solo perché lei si sta lentamente indebolendo.
    Ormai non gioca più per uccidervi, per quanto ci abbia provato all'inizio. Credo stia solo cercando di prendere tempo.
    Vanessa, io sono una copia di Noel e lei è la causa per cui siete tutti qui, purtroppo non per sua decisione. La voce con cui hai parlato tu e la persona che i tuoi compagni hanno incontrato è una sua derivazione che non ha corpo, per questo tutte le ferite inferte a lei, finiscono direttamente su... be', me.
    Tutto ciò che vuole è essere completa e non più solo uno spirito: sta cercando di distruggere Noel per prendere il suo posto. Voi siete le sue pedine inconsapevoli e vi sta usando per accelerare il processo. Più persone la odiano, più la temono, più forte diventa e più si avvicina al suo obiettivo.
    Io... vorrei fare di più. Vorrei ridarvi ciò che vi ha tolto, vorrei farvi uscire da qui, ma sono solo un brandello della coscienza di Noel, che sta cercando di proteggervi.”

    L’Ordine? Lei era una copia di Noel, un brandello della sua coscienza? Quindi l’unica Noel era quella adulta? E le bambine invece erano solo dei sentimenti persistenti con un corpo? E Will era parte stessa di Noel e stava cercando di sostituirsi a lei per non essere più solo uno spirito?
    Più persone la odiano, più la temono, più forte diventa… Una parte di me, a quelle parole, tentò quasi di recuperare tutto l’odio ed il terrore che provavo nei suoi confronti, ovviamente non riuscendoci. Dunque io, in quel preciso istante, stavo contribuendo al fine della Volontà? Ero una specie di sua complice involontaria? Dunque…
    “Quindi come possiamo vincere questa corsa contro il tempo?"
    …Per uccidere Will…
    “…non lo so. Nel peggiore dei casi, non fatevi scrupoli. Una persona che muore non ne vale altre quattro, e altrettante dopo.”
    …bisognava…
    “…Non renderlo più difficile di quanto già non sia. Per favore.”
    …Uccidere Noel?
    Sconvolta, mi misi le mani nei capelli, fissando il pavimento devastata.
    “Io… Io non…”
    Per uccidere l’essere che voleva sterminarci dovevo uccidere la persona che i miei amici volevano salvare. Fu in quel punto che non seppi davvero più che fare.
    “Non voglio che voi moriate... non potrei perdonarmelo. Non dopo tutto quello che è successo, non dopo tutto quello che vi è successo...”
    Ingwe non era confortante. L’idea di morire in quel posto cominciò a farsi strada nella mia mente sempre più forte, e a quella si aggiunse quella di lasciarlo solo, senza di me, con il rimorso… Ma non mi sarei tirata indietro. Non questa volta. Dovevo avere coraggio, combattere per le persone che amavo. E se necessario, morire per loro. Glielo dovevo, e lo dovevo anche a quelle persone per cui non ero stata abbastanza forte!
    "Allora strappati un po' di fegato, ragazzo... se voi avrete la mia schiena, io avrò le vostre."
    Maxwell aprì di scatto le ali dietro alla sua corazza, provocando uno spostamento d’aria. Al vedere quella mossa, io feci un profondo sospiro ed impugnai saldamente con la destra lo stocco, ancora infoderato. Strinsi forte l’elsa della spada che mi aveva portato fino a lì, per darmi manforte, per sentire il calore che emanava. Per trovare coraggio.




    Non per rovinare il climax della quest, eh, ma questo post sembra una cacchetta della rainbowsheep :sheep:
    Tutto colorato ma comunque puzzoso xD

    Modificherò quando avrò un minimo di tempo in più per farlo, per il resto spero non vi caviate troppo gli occhi dopo aver letto sta roba °3°

    *va a prepararsi per il 2.1/10 globale di tutta la quest*
     
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    Un lieve sentimento di curiosità era nato dentro di lei, un leggero formicolio che le accarezzava il corpo, occupandole la mente mentre attendeva che giungesse il momento di agire. Provò a chiedersi il perché del suo compito, che ragioni avesse Will per domandarle di rubare una vita che, la Nesciens ne era stata convinta fin dal primo istante, avrebbe potuto sradicare con le sue dita senza particolari difficoltà. L’omicidio non la spaventava, né possedeva concetti quali giustizia o morale a soggiogarla. Tuttavia, se fosse dipeso da lei, la bambina si sarebbe certamente risparmiata quella pagliacciata che, per quel poco che ne capiva, doveva essere una qualche specie di intrattenimento per la sua mandante, un piacere che solo teoricamente la giovane riusciva a comprendere.
    L’unico desiderio della Nesciens era terminare quel compito, ricevere l’aiuto che le era stato promesso e trovare finalmente un senso alla sua esistenza, un fine che già sapeva non avrebbe significato nulla per lei, ma che rappresentava pur sempre l’unica scelta logica che la sua mente priva di emozioni o desideri riusciva a raggiungere. Non voleva illudersi in tal modo di avere anche lei un’anima, dentro a quel corpo vuoto, né tanto meno nascondeva in sé invidia verso chi poteva serbare aspirazioni nel domani, si limitava ad esistere per ripagare chi l’aveva creata per il dono della vita al quale non si sentiva poi tanto legata.
    Eppure nonostante tutto, nonostante il suo unico interesse risiedesse nell’andarsene da quella prigione bianca ed andare dove doveva essere, l’attesa si era rivelata meno tediosa di quanto aveva pronosticato.
    «Ho estrema fiducia nelle tue capacità.» le aveva assicurato Will, con fare leggero e divertito; la Nesciens non le aveva creduto nemmeno un istante. «Tuttavia, non voglio che corri dei rischi andando allo sbaraglio da sola, abbiamo fatto un patto dopotutto, no?»
    E così, obbedendo ai suoi ordini, si era predisposta ad attendere un suo segnale, quando sarebbe stata la Volontà dell’Abisso stessa ad incontrare di nuovo i suoi ospiti. Aveva lasciato dietro di sé la stanza dove Will l’aveva condotta, dove aveva osservato silenziosamente le trame tessute dalla donna che si sbrogliavano. Un’opera allestita per il piacere di solo quattro spettatori, un dramma che avrebbe avuto fine solo con la loro morte. Una perdita di tempo macchinosa e pomposa, insomma, così al di fuori dalla logica della bambina… da risultare quasi interessante.
    Si era guardata attorno, ammirando la stanza attorno a lei: nulla più che una grande teca di marmo bianco, priva di quasi ogni decorazione, priva di mobilio; solo numerose porte più piccole e sottili, che quasi scomparivano nel chiarore della sala, interrompevano la monotonia del bianco, porte che sembravano poco più che pitturate nella parete il teatro perfetto per uno scontro, quello era il campo da guerra scelto appositamente da Will.
    La giovane si era allora seduta da sola in un angolo. Aveva appoggiato la schiena al muro, aveva raccolto le gambe al petto e si era fatta piccola piccola. Immobile, aveva chiuso gli occhi, inspirato profondamente e raccolto a sé il suo potere magico. La temperatura attorno a lei scese di colpo, ma il suo corpo non percepiva nulla, ammantato da una cappa d’oscurità nata dalla fonte stessa del suo potere, la solitudine. Accadde tutto in modo naturale: seppur la sua mente non conoscesse i poteri e le abilità sopite in lei, in qualche modo il suo corpo, nato poco più di un’ora prima dal buio, ricordava ogni cosa. Allora, Così ritrosa da apparire più sfuggente di un’ombra, la Nesciens si rassegnò ad aspettare con gli occhi aperti che si spostavano vivaci da una porta all’altra, impaziente per più di una ragione.

    Forse la colpa era del castello, forse era la coscienza della bambina che, durante l’attesa, si era fatta labile e confusa: di certo, però, quando all’improvviso lo scricchiolio di una porta frantumò il silenzio in mille schegge di vetro, ella non riuscì a capire se fosse passato poco o moltissimo tempo. I minuti si erano dilatati forse in intere ore, ma quando la prima ombra guizzò all’angolo del suo occhio, l’attenzione della piccola si ridestò completamente come se fossero trascorsi solo meri istanti. Si strinse a sé, chinò il capo e nascose gli occhi tra i folti capelli argentati, spiando tra le ciocche il primo dei giunti. Era un essere grande e grosso, ben diverso da tutto quanto ella avesse mai visto: un mostro di ferro dalle sembianze umane, alto forse il doppio di lei, ma riusciva comunque a muoversi discreto attraverso il salone, spostando lo sguardo attorno a lui per scandagliare l’area con le brillanti luci elettroniche che bruciavano celesti in quelli che dovevano essere i suoi occhi. Si soffermò anche su di lei, per un momento, su quell’angolo distante e recluso che la bambina aveva reclamato come suo. Ella non rifuggì quello sguardo: con espressione seria, la fronte appena corrugata mentre esplorava quel che le stava di fronte, anche la Nesciens scrutò lo sconosciuto, ma come si erano intrecciati i loro sguardi si separarono di colpo, mentre la macchina passava oltre dimenticandosi di averla vista, se davvero avesse visto qualcosa. Un nuovo sono infatti colse l’attenzione di entrambi ed inseguendone la fonte si trovarono entrambi a fissare una seconda porta che, come se fosse Will stessa ad invitare il nuovo arrivato a farsi avanti. Abbagliate dalla luce candida del salone, due sagome si fecero avanti lentamente, trascinandosi sul terreno come se la gravità avesse imposto pesanti catene ai loro corpi. Presto i cancelli alle loro spalle si richiusero e l’ombra che copriva i loro visi si diradò: la Nesciens scoprì due ragazze esauste, spaventate, capaci di avanzare solo perché l’una trascinava avanti l’altra.
    La bambina allungò il collo per spiare la scena, allentando la presa sulle proprie gambe: il suo obiettivo non era ancora arrivato, tuttavia la stanza si stava facendo ogni secondo più affollata, quasi si fossero messi tutti d’accordo per ritrovarsi ad una determinata ora; per un attimo, si trovò a chiedersi se Will non avesse pronosticato anche quello. Tirò alcuni lembi del suo vestito in cerca di comodità e, prestando attenzione a restare acquattata nel suo angolo, tese l’orecchio per ascoltare e strinse gli occhi con attenzione: quelli erano i nemici della sua “datrice”, erano persone che sarebbero morte di lì a poco. Il momento di agire era ancora lontano e piuttosto che vegliare in silenzio, decise che sarebbe stato marginalmente preferibile togliersi una ovattata curiosità che vagava sopita nella sua mente da quando Will aveva forzato su di lei un ruolo di quella sceneggiata così strampalata: siccome ne aveva l’occasione, voleva provare a capire cosa avesse quel gruppetto di persone per meritare un trattamento tanto teatrale.
    Eppure, non riuscì a trovare nulla, e la sua bocca semiaperta si chiuse presto in un leggero broncio annoiato: la più giovane, confusa e atterrita, si abbandonò contro il petto dell’essere meccanico, straparlò delle illusioni generate dal castello, ammise la sua paura, tremando convulsamente. L’altro accettò quel contatto, impacciatamente la accarezzò e tentò di calmarla. Le sue parole si sforzavano di essere pacate e gentili, ma alle orecchie della bambina apparivano completamente vuote: non vi era nulla di interessante in esse, erano solo le vuote promesse di persone qualsiasi, che tentavano di trovare speranza in un futuro che, la Nesciens stessa se ne sarebbe assicurata, non avrebbero mai visto.
    Il noioso teatrino si trascinò ancora, l’uomo di metallo spostò la sua attenzione sulla donna dai capelli turchesi, intenta a passare delicatamente la mano sulle sue ferite come per contarle. Gentilmente si offrì anche a lei come sostegno ed ella accettò subito. La giovane alzò gli occhi al cielo non appena sentì le prime parole dell’uomo inaugurare una nuova riunione strappalacrime, già poteva vedere la stessa scena ripetersi identica, con solo il nome di un attore a cambiare.
    «Mi dispiace di non potervi aiutare… non sarei dovuta partire.»
    La bambina corrugò la fronte e portò di nuovo il suo sguardo sul gruppo: quelle parole erano curiose, qualcosa che non si sarebbe aspettata di udire. Gli occhi della donna erano rivolti sconsolati al pavimento, nascosti da ciocche di capelli celesti; le mancava il coraggio di ricambiare lo sguardo del suo interlocutore. Si sentiva in colpa, aveva ammesso, per essersi testardamente recata in quel luogo nonostante la macchina avesse tentato di farla desistere.
    Ironico.” Pensò la piccola, scacciando dietro di sé una ciocca di capelli. A quanto pare, non tutti gli invitati erano stati attirati in quel luogo dalla padrona del castello, alcuni si erano avventurati tra le sue mura mossi da desideri e obiettivi personali; in altre parole, erano rimasti coinvolti per sbaglio. La Nesciens si grattò con delicatezza la nuca, esorcizzando un lieve senso di irritazione che le inacidiva la gola: per colpa di una tempistica sbagliata, per colpa di una casualità imprevista ed indesiderata, più persone del necessario avrebbero finito col morire e, ben peggio, sarebbe stata lei stessa a doversene occupare. Ad ogni nuova svolta che la situazione prendeva, ella non poteva fare a meno di pentirsi sempre più del patto che aveva stretto con Will.
    Chiuse gli occhi e fece per emettere un sospiro, ma di nuovo un suonò più forte e pomposo di ogni voce, il suono dello spalancarsi di un portone, annunciò un terzo arrivo. Speranzosa, la bambina si sporse ancora una volta, strinse i pugni decisa, convinta dentro di lei di sapere già chi avrebbe scoperto oltre l’abisso d’oscurità che si espandeva senza fine oltre la terza porta.
    Mano nella mano si fecero avanti due figure. Dapprima, la Nesciens si concesse un sospiro di sollievo, conscia che l’attesa era ormai giunta alla fine, tuttavia restò immobile con le labbra dischiuse quando riconobbe ciò che stava al suo fianco: una bambina che gli arrivava appena sopra la vita, con lunghi capelli biondi che le cadevano delicati sulla schiena, il vestitino bianco che fluttuava come un’onda di neve sporca ad ogni suo passo. Quegli occhi color del cielo, malinconici e vivi, la bambina non poteva sbagliarsi: li aveva già visti, derubati di ogni luce, nella stanza al di là di quella dove si trovavano, là dove il guscio privo del soffio vitale giaceva abbandonato, sorvegliato da Will e dai suoi alleati. Inconsciamente, la giovane si portò una mano alle labbra, confusa: che significato poteva avere? Era frutto anch’essa della sua alleata o aveva un significato più profondo? Il desiderio di ritornare sui suoi passi e rifiutare quel compito si fece ancora più grande, certi imprevisti avrebbe desiderato conoscerli prima di essere coinvolta nelle smanie di potere dell’albina.
    Rassegnata, la giovane sbuffò ancora una volta: c’era poco da fare, Will aveva omesso, se di proposito o per errore aveva poca importanza, informazioni vitali. Aveva occasione di rimediare, una volta che fosse giunta a degnarli della sua presenza; in caso contrario, la Nesciens si sarebbe limitata a fare il suo dovere così come le era stato chiesto, tanto il peso di qualsiasi complicazione non sarebbe di certo gravato sulle sue spalle.
    Con la coda dell’occhio, scorse la creatura di metallo porgere qualcosa alla bambina: strinse gli occhi e riconobbe un peluche, un semplice giocattolo che non si addiceva bene all’espressione adulta che macchiava il volto dell’illusione. “O ancora meglio, non si adatta proprio ad un’illusione.” Si corresse mentalmente, spostando distrattamente una seconda ciocca di capelli argentati dietro all’orecchio. Una gentilezza noiosa ed inutile che la giovane avrebbe fatto a meno di sorbirsi, conscia soprattutto che, avendo a che fare con soggetti così… “emotivi”, probabilmente quello non sarebbe stato l’ultimo, noioso intermezzo della giornata.
    Quando, solo meri secondi dopo, giunse la conferma delle sue teorie, per un attimo la bambina fu indecisa se sorridere ironica o sbuffare scocciata: ancora peggio del teatrino da famigliola felice, ancora peggio dei disperati compagni che si fanno forza l’un l’altro, la obbligarono a sorbirsi un litigio tra di loro.
    Sbuffò molto più sonoramente di prima, eppure era convinta che, anche se i suoi poteri non l’avessero celata alla coscienza degli altri, nessuno avrebbe fatto comunque caso a lei.
    Il suo bersaglio, la persona che le era stata chiesta di uccidere, desiderava fuggire lo scontro, andarsene dal castello con tutti i suoi amichetti e cavarsela. Il mostro di metallo, invece, sosteneva fosse più intelligente affrontare la loro carceriera e guadagnarsi la libertà con la vittoria.
    Erano entrambe posizioni semplicemente idiote. La Nesciens era bloccata tra quelle mura solo da alcune ore, ma aveva ben capito come funzionavano: lo spazio, la forma, ogni cosa era illusoria e mutevole, tutto ciò che vedevano era di una fantasia così convincente da apparire come reale persino a chi conosceva la verità: non sarebbe esistita nessuna via di fuga finché non fosse stata Will stessa a desiderarlo. Una soluzione alternativa esisteva senza dubbio, perché non era credibile che, per quanto vasti, i poteri della donna fossero insormontabili, tuttavia sarebbe di certo sopraggiunta la morte prima della soluzione che cercavano. Quella era l’unica realtà ed anche il motivo per cui, con riluttanza, la bambina aveva deciso di prendere le parti della burattinaia. Tuttavia, quella non era l’unica base traballante che minacciava la stabilità del pensiero della sua giovane vittima: egli infatti non voleva salvare solo se stesso, il suo obiettivo era andarsene via con tutti i presenti ed alcune persone che, da come ne parlava, dovevano essere ancora assenti. Infinitamente stupido ed altrettanto incomprensibile: se erano tutti bersagli della Volontà dell’Abisso, in fondo, la miglior speranza di sopravvivere che avevano era sacrificare qualcuno per guadagnare tempo, per quanto difficilmente sarebbe bastato.
    Dall’altro lato, vi era invece il pensiero della macchina, molto più semplice da smontare: la battaglia contro Will era una battaglia che non potevano vincere. L’albina glielo aveva assicurato e la Nesciens le credeva: i suoi nemici erano esausti dai mille tranelli che avevano affrontato, lei avrebbe avuto altri alleati ad affiancarla. Non c’era spazio nemmeno per il più piccolo dei dubbi.
    Solo una cosa positiva nacque da quella dissennata discussione: la bambina, infatti, non era l’unica ad essere ignorante sull’identità di quell’illusione, di quel falso che imitava l’involucro comatoso che il gruppo sembrava cercare e che era al tempo stesso molto più vicino e lontano di quanto credessero. Senza sapere che c’era qualcuno in più ad origliare le sue parole, la ragazzina cominciò a spiegare la sua natura.
    «Vanessa, io sono una copia di Noel e lei è la causa per cui siete tutti qui, purtroppo non per sua decisione. La voce con cui hai parlato tu e la persona che i tuoi compagni hanno incontrato è una derivazione che non ha corpo, per questo tutte le ferite inferte a lei finiscono direttamente su… beh, me.»
    La bambina si piegò in avanti, appoggiò un braccio al ginocchio e con la mano si massaggiò concentrata le labbra, mentre con l’altro braccio reggeva il primo. Quelle erano esattamente le spiegazioni di cui aveva bisogno, le indicazioni che disegnavano il percorso migliore per agire, svolgere al meglio la sua parte ed essere sicura di guadagnarsi ciò per cui si era prodigata tanto.
    E ancora si stavano ponendo domande e dubbi, ancora stavano cercando una risposta che non esisteva ai loro quesiti, quando ogni loro discussione, ogni loro parola morì, soffocata da una voce ben più potente, ben più acuta, ben più allegra e crudele. Come se mani invisibili avessero strozzato le loro gole, il respiro degli astanti si mozzò, le loro braccia scattarono alle armi che ognuno portava con sé, i loro sguardi vagano febbrilmente per la sala alla ricerca della fonte; e la Nesciens, invece, era calma, ancora seduta, e per la prima volta da quando era nata, si sorprese con un sorriso soddisfatto appena accennato sulle labbra: quello era il segnale.

    «Siete talmente patetici che è difficile non ridere.»

    La bambina premette a terra con le mani e si spinse in piedi: si morsicchiò il labbro, la mano scivolò al fodero del suo pugnale, i suoi occhi scandagliarono uno ad uno i suoi avversari. Ognuno di loro si guardava frenetico attorno, ognuno cercava di capire da dove provenissero le parole denigranti di Will; e ognuno di loro era attratto dell'enorme portone, dai cancelli chiusi che conducevano a tutti quelli che erano i loro obiettivi: la padrona del castello, i resti della loro amica, l'unica effimera via di fuga... Ironico, in effetti, che la Volontà avesse scelto quella stanza così vicino alla meta come loro luogo di sepoltura, impossibile che fosse un caso e non il frutto di un'accurata selezione atta a rendere ancora più tremendo il dramma da lei allestito. Mentre gli attori interpretavano con cura e fedeltà i loro ruoli, la bambina non dovette far altro che avvicinarsi in silenzio, come un fantasma dalla pelle cerulea.

    Lo sapeva. L’aveva sempre sospettato. Malgrado non ci fossero tracce, malgrado l’aria fosse vivibile e non avesse mai avuto il sentore che Will fosse vicina, la bambina aveva sentito gli occhi scarlatti puntati su di sé per tutto il tempo. E non si era sbagliata.
    Prese un respiro profondo, serrò le mani e si preparò alla sua fine. Toccava a lei. Era l’ultima. Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere. Fece un passo indietro, come se potesse esserle utile, come se potesse, in qualche modo, aiutarla a capire da dove venisse la voce di Will, da dove sarebbe sbucata. Sapeva che non avrebbe funzionato, sapeva che non l’avrebbe portata da nessuna parte. E anche ricorrere all’Abisso, con quella poca forza che le era rimasta, non le avrebbe portato nulla in cambio, niente di buono e, soprattutto, niente di nuovo. Cosa ci avrebbe guadagnato dal conoscere la posizione di Will?

    «Vi fate aiutare da una copia. Dalla più insignificante.»

    Il ragazzo biondo tremava mormorando parole che ella non riusciva ad udire, la giovane giunta per prima si era aggrappata a lui terrorizzata. La macchina ascoltava in silenzio e la donna piegata dalle ferite non tentava più nemmeno di alzare il capo. La copia, invece, l'illusione creata da polvere e vetro, indietreggiò di un passo, poi di un altro ancora, quasi volesse venirle incontro, scuotendo lentamente la testa.
    Per una seconda volta, la bambina esaminò tutti gli astanti: le davano tutti le spalle, compresa la fantoccia, ma ancora qualche passo e la Nesciens si sarebbe trovata tra questa e i suoi compagni. Non poteva permetterselo.
    Strinse con forza il pugnale, l'elsa di pelle bruciò contro il suo palmo. Aveva deciso di recarsi lì per prima, aveva deciso di agire senza attendere l'aiuto che le era stato promesso, senza entrare sul palcoscenico così come Will avrebbe desiderato per una sola ed unica ragione. Era solo per il proprio interesse che avrebbe preso parte alla battaglia, non le interessavano né l'onore né tanto meno i piani sadici di vendetta della sua alleata. Li avrebbe semplicemente uccisi e, anche se si fosse trattato solo di una copia, avrebbe sfruttato il vantaggio della prima mossa come meglio poteva: troncare l'anello più debole era comunque molto meglio che non concludere nulla.

    Sapeva che quella donna si sarebbe manifestata, non li avrebbe attaccati alle spalle. Ora come ora, era troppo forte anche per tutti loro messi insieme. Non le sarebbe servito a nulla nascondersi, poteva benissimo distruggerli a viso aperto, senza ricorrere a nessuno dei suoi tranelli. La bambina si morse le labbra e abbassò il capo, costernata. Noel strinse il suo coniglietto alla ricerca di un appiglio e di una certezza, ma lo trovò stranamente pesante, stranamente poco confortante. Non la toccavano gli insulti, sapeva cos’era e aveva assimilato sufficienti informazioni dalle copie trapassate da poter immaginare e persino prevedere le parole che la Volontà le avrebbe rivolto.
    Il suono di passi rintoccò nel vuoto, rimbombando e amplificandosi contro i muri. Lenti, pesanti, trascinati, stanchi. Un brivido di allarme attraversò la sua spina dorsale. Arretrò ancora. Sollevò il volto, lo sguardo concentrato a fissare il nulla. Non poteva averlo fatto sul serio. La stava portando lì. A morire definitivamente. Eppure… la percepiva ancora nella stanza oltre la porta sfondata. Era sempre lì, inerme. Ma allo stesso tempo, si stava avvicinando e li stava raggiungendo. Era confusa. Cosa stava facendo Will?


    «Quanto può essere utile una bambina in battaglia?»

    Avanzò di un altro passo, la fantoccia le venne ancora incontro. La Nesciens si fermò, il piede destro davanti al sinistro, fece compiere mezzo giro al pugnale nella sua mano e cambiò l'impugnatura: portò l'arma in alto, all'altezza del suo viso.

    Poi fu un attimo. Qualcuno, alle sue spalle. Will? No, era diverso. Era qualcun altro, qualcuno che aveva tentato di aiutare, pur fallendo miseramente, corrotta dal castello e da tutto ciò che Will aveva riversato in esso.


    «Quanto può essere utile una copia in battaglia?»

    La copia si fermò di colpo. Un lieve tremito scosse il suo corpo, irrigidendo le sue spalle. L'aguzzina titubò per un istante: si era accorta di lei, ne era sicura.
    Lentamente, come se temesse ciò che avrebbe trovato, la falsa ragazza cominciò a voltarsi: i suoi occhi cristallini si fecero larghi come grosse polle d'acqua limpida, le sue labbra rosee si mossero appena come per pronunciare una parola, un nome. La Nesciens calò l'arma, solo un rantolo strozzato sfuggì a quella bocca ed il suono sordo del metallo che incide la carne. La lama penetrò con facilità, attraversò il petto e sprofondò nella cassa toracica, la bambina spinse finché l'elsa non premette contro la ferita, finché non avvertì il suo pugno serrato macchiarsi di una sostanza densa e calda. Per un solo istante abbassò lo sguardo: osservò l'abito squarciato e impregnato di rosso, guardò la linfa che gocciolava dal suo polso; allora persino un fantoccio come quello era capace di stillare sangue, la Nesciens era seriamente impressionata.
    Riportò il suo sguardo sulla vittima, curiosa in fondo di scoprire quale espressione aleggiasse su quel volto. Sorpresa, paura forse, la giovane era quasi certa che anche una copia come quella ragazzina avrebbe mostrato lo stesso attaccamento alla vita di tutti gli altri esseri umani.
    Quando le loro iridi si intrecciarono, tuttavia, fu la Nesciens a spalancare gli occhi e paralizzarsi senza parole, anche se solo per un fugace istante: perché invece di paura, invece di confusione, l'assassina scovò solo... tristezza ed incredulità. Piccole lacrime lucenti si formarono agli angoli degli occhi del fantoccio, la sua mano destra si mosse in avanti, come per muoversi verso di lei, le dita aperte forse in una carezza. Il braccio ricadde prima di raggiungerla, però, non perché fosse sopraggiunta la morte, ma solo per rassegnazione. La piccolina chiuse gli occhi, emise un sospiro rauco e debole; con esso, l'incantesimo che aveva rapito la Nesciens si ruppe e finalmente ella si ricordò di dove si trovava, di cos'era successo, di cos'aveva fatto.
    Strinse la pesa, strattonò il pugnale e lo estrasse dal corpo. Stanco, esso cadde all'indietro. Nessuna ultima parola, nessun attaccamento alla vita. Dal canto suo, invece, la bambina non aveva alcun rimorso. Non provava nulla.
    Uno in meno...” concluse solo, scuotendo il pugnale del sangue che lo aveva imbrattato, prima di rinfoderarlo. Eppure nel farlo, un tremito scosse la sua mano ed il dubbio la morse alle spalle, spingendo il suo sguardo ancora una volta sul corpo fiorito di rosso della bambina. Quello sguardo, quella tristezza, quella delusione... Erano dubbi che sarebbero rimasti tali, perché il fantoccio non sarebbe più stato capace di rispondere alle sue domande e, soprattutto, ben altri pensieri dovevano riempire la sua mente in quel momento: come eliminare gli altri astanti più in fretta possibile e uscire finalmente dalla prigione bianca.

    La sua schiena si irrigidì di colpo, mentre la consapevolezza trovava la luce a piccoli passi, risalendo a galla come una bolla fino a quel momento soppressa. Si voltò piano, come se ricevere una conferma ai suoi pensieri e ai suoi timori goccia dopo goccia e non tutto assieme potesse lenire il dolore di aver fallito. Perché il concetto era a quello. Non serviva a niente. Era veramente insignificante come diceva Will. E probabilmente, non intendeva solo lei, ma anche l’originale.
    Occhi rossi. Vuoti. Volto cereo. Irriconoscibile. Ma sapeva, ne era certa. Dietro quello sguardo, dietro quell’aspetto completamente trasformato, Noel vedeva la bambina poco più alta di lei dietro quei lineamenti, dietro quella maschera. Dietro ciò che doveva aver fatto Will. Ecco dov’era finito il quarto cavaliere. Non si sarebbe nemmeno accorta del pugnale che le attraversava le carni, se non fosse stato per le parole che le morirono in gola e per un altro tipo di pugnalata che aveva già scavato per bene una fossa nel suo cuore, per quanto finto. Noel deglutì sangue, ricacciando indietro il riflusso risalito dal basso. Non era doloroso. Il corpo avvertiva poco o niente, un lieve pizzicore, un fastidio soffuso e diffuso.
    Sapeva anche il perché: l’originale stava richiamando a sé quella poca energia rimasta per potersi proteggere. Rimanevano solo pochi istanti di coscienza, brevissimi nel tempo ma immensamente lunghi per la sua luce che si spegneva con lentezza esasperante. Incrociò lo sguardo di Shinan, di ciò che un tempo era stata Shinan. Si sforzò di abbozzare un sorriso; al suo posto si dipinse una smorfia triste, mentre le lacrime si condensavano sulle sue ciglia. Sollevò una mano. Voleva raggiungerla, voleva ritrovarla, strapparla fuori da quell’involucro corrotto. Ma alla fine, Will era più forte di qualunque cosa. Lo aveva ammesso lei stessa. Cosa sperava di poter fare, senza magia, senza più alcuna forza? Non riusciva neanche a reagire, nemmeno a parlare. Tra tutte le cose che le erano state strappate via, le sensazioni del corpo e la voce erano state le prime. Per ora, poteva ancora vedere, poteva ancora avere un’espressione. L’aria nel suo corpo uscì tutta in un colpo, il suono strozzato di un sospiro sconfitto. Le palpebre si abbassarono come per affrontare il contraccolpo che avrebbe potuto percepire solo con lo sguardo. Avvertì uno strattone, e il suo corpo cadde all’indietro come se fosse fatto di pezza.
    Non sentì alcuna lamentela della carne, una volta toccato il terreno. Riaprì gli occhi, trovando la nuova Nesciens impassibile, poco distante da lei. Il suo coniglietto tra loro. Addio, caro amico. Guardandolo bene, sembrava quasi fissarla con disprezzo, come Will avrebbe fissato lei, tutti loro.


    «Avete scelto il fantoccio sbagliato con cui schierarvi.»

    Il rumore di passi era sparito, solo il silenzio. Noel ignorò i suoni attorno a sé, i cigolii, i respiri, i mormorii: avvertì solo quel muto movimento. E quando ricollegò tutti i tasselli in un unico mosaico, un lamento soffocato, moribondo grattò contro le pareti del castello, come un defunto che viene riesumato dalla tomba. La chiamava, con sussurri perché non aveva voce nemmeno lei. Con gesti d’aria che vedeva disegnati nel vuoto della stanza. La bambina sbarrò ancora gli occhi, mentre il campo visivo si restringeva al nero e anche la vista completa le veniva portata via. Non c’erano più colori, una scala di grigi, dal bianco al nero, un guizzo sbiadito di blu, un rosso slavato.
    Adulta, i Revolver accomodati placidamente tra le mani, il capo chino, lo sguardo assente, fuori fuoco. Sbucata dalla porta centrale, sembrava trascinarsi, come se la stessero spingendo. La bambina provò a dire qualcosa, tentò di muoversi, di allungare un braccio. Nulla, niente. Doveva essere un aiuto, non un’avversaria. Will aveva corrotto e svuotato anche lei. Due, tre, quattro passi. Finché non li notò, inclinando leggermente il capo di lato e alzando il viso. No, era tutto sbagliato! Non doveva andare così! Era stata creata per indebolire Will, era stata creata per stare dalla loro parte, per aiutarli ad affrontarla! Se ne avesse ancora avuta la possibilità, avrebbe pianto, avrebbe urlato. Doveva… doveva cercare di unirsi a lei, di raggiungerla, di farla tornare sulla giusta via. Le palpebre si abbassarono inarrestabili. Nero.

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    Zoppicava lentamente, regolare nell’incostanza. Sul suo volto, un sorriso flebile sussurrava una sicurezza malinconica. Ancora qualche passo. Ancora un altro corridoio, una rampa di scale; e anche l’ultimo “ospite” si sarebbe addentrato nella tana del leone.
    Cercò di modulare il respiro, che cominciava a farsi affannoso. Nonostante le illusioni di Will, nonostante gli ostacoli che il demone dai capelli bianchi aveva posto sul suo cammino, Aqua aveva continuato a resistere. A sfuggirgli, conservando dopo ogni battaglia il barlume di forza necessario ad aprire la prossima porta, a mettere un piede dietro all’altro. “Non c’è fretta”, si era detto inizialmente. “Prima o poi, persino le forze di una Keyblader dovranno esaurirsi. Prima o poi, la sua mente dovrà cedere. Proprio come la mia.” Ma poi era arrivata Vanessa. In un modo o nell’altro, persino quella ragazzina apparentemente innocua era riuscita a resistere alle illusioni del castello e della sua nuova, per quanto temporanea, padrona. Aveva trovato Aqua. L’aveva aiutata ad alzarsi, sostenuta per continuare a fuggire da lui. Ed ora, la stava conducendo nella stanza dove tutti sembravano in procinto di confluire. Li sentiva, Olson. La sua presa sul Castello era ormai quasi nulla, ma era ancora in grado di percepire i movimenti che lo attraversavano, i passi che rimbombavano nei corridoi bianchi e vuoti. E tutti conducevano lì. Lì, dove Will e le sue “alleate” erano pronte ad accoglierli. Lì, dove ogni cosa avrebbe avuto fine.
    Sospirò, concedendosi una breve pausa. Di fronte a lui, la Keyblader e la ragazzina avevano appena imboccato le scale, oltre la porta alla fine del corridoio. Alle sue spalle, il gigantesco teschio nero, evocato per intimidire Vanessa e spingerla verso l’ultima trappola, fluttuava placidamente, emettendo bagliori sinistri. Olson lo fece sparire con uno schiocco di dita: non era più necessario. Il piano, per quanto avesse finito per distaccarsi pericolosamente da quello iniziale, si avviava ormai al completamento. Sprecare altre energie sarebbe stato deleterio.
    Così si concentrò sul camminare. Passo. Bastone. Appoggio. Profondo respiro.
    Cercava di non pensare. Cercava, per una volta, di lasciare che gli eventi scorressero e basta. Rievocare fantasmi e preoccupazioni avrebbe unicamente nutrito l’influenza del Castello su di lui. L’avrebbe portato a rivedere loro, a rivedere lei. No. No, doveva solo camminare. Quelle visioni, quella “sconfitta” erano solo stati un incidente di percorso. Un incidente che aveva rischiato di costargli prima la sanità mentale, poi la vita; ma pur sempre solo un incidente. Non aveva nulla da temere, ora. Con la Keyblader allo stremo e i suoi “soccorritori” indeboliti e provati dal castello, ucciderli sarebbe stato uno scherzo. E d’altra parte…
    Sorrise. Perché no? Aveva funzionato con Kevan. Una volta preso il controllo del castello attraverso Aqua, avrebbe anche potuto tentare di controllare la mente di quei quattro sventurati. Sarebbe stato più complesso, certo, ma con l’aiuto di Will…
    Il sorriso si increspò leggermente, compiaciuto. Già, Will. Per quanto considerarla un’alleata era fuori questione, continuare a supportare questo temporaneo accordo era fondamentale, almeno per lui. Almeno fino a quando non sarebbe stato in grado di mettere indirettamente le mani su quella chiave e sul tesoro del castello. Solo allora avrebbe potuto pensare ad un piano per liberarsi di lei. L’instabilità, la follia e la malvagità di Will andavano ben oltre quelli che Olson aveva definito come suoi principi. Il castello non avrebbe mai avuto due padroni. Uno dei due avrebbe dovuto andarsene; o chinare il capo.
    Si sistemò gli occhiali con un movimento impacciato, che quasi gli costò la perdita dell’equilibrio. Il palmo destro bruciava ancora delle ferite causate dai frammenti della tazzina.
    Will non avrebbe mai chinato il capo. Era uno spirito del caos, un essere che incarnava tutto ciò che l’uomo col cappello aveva sempre voluto estirpare. Ma in quel momento, in quel luogo, Wren Olson e la Volontà dell’Abisso erano pericolosamente simili. Solo ad un ricordo, ad una speranza lontana, il vecchio in nero anelava; fino a quando il ricordo non fosse tornato un sogno, eliminare Will era fuori discussione: la sua follia era l’unica cosa che ancora lo teneva in piedi; l’unico motivo per il quale era ancora vivo ad inseguire il cadavere di un ideale.
    Non pensare, Wren. Sali.
    Così salì.

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    Come sonnolenta e incerta di ogni gesto, passò tutti i visi in veloce rassegna, spostando stancamente le iridi spente da una persona all’altra. Tre nemici, un’alleata, un obiettivo. Personificati. L’espressione non si modificò mai, non riconosceva nessuno, mentre la sua forma bambina lottava per sollevare nuovamente gli occhi stanchi, per dire qualcosa. La vedeva, la sentiva. La sua piccolissima e fievole coscienza echeggiava nel guscio vuoto. La chiamava, agonizzante: “vienimi a prendere, non lasciarmi qui. Io sono te, tu sei me”. Ma nessun sussurro avrebbe mai potuto riempire quel contenitore. La ragazza mise a fuoco il suo obiettivo, indugiando sulla sua figura come ipnotizzata: stesa a terra, confusa, stordita, debole e finalmente sopprimibile. Era giusto così? Era giusto così. Seguire gli ordini? Seguire gli ordini. Morale? Nessuna. Tra giusto e sbagliato non c’era differenza. “Voglio ma non devo”. “Non voglio ma devo”. Niente di tutto ciò. Silenzio a colmare il vuoto nel suo petto e i muscoli, le articolazioni che agivano da soli.
    Con una lentezza snervante, sollevò la dritta, puntando il Revolver in direzione di Aqua. La custode non si mosse, il viso rivolto verso le sue mani che puntellavano il corpo. Raccoglieva energia per rialzarsi, per tornare a combattere. Se non altro, per poter sopravvivere. La mira vacillò per un istante, ma poi il braccio rigido e l’indice che si spostava sul grilletto cancellarono ogni probabilità di errore.
    Non farlo! Ti prego, non farlo!” Era così rossa e così bianca assieme, mentre spariva gradualmente, al limite del suo campo visivo. Chiamava, come se cercasse di attirare l’attenzione. “Guarda me,” sembrava volerle dire, “uccidi me!
    Ma la copia vuota aveva un solo obiettivo. Immobile, ferrea e rigida nella sua posizione. Irremovibile.
    Un fremito, una contrazione involontaria della mano del corpo infantile a terra, di tutti i muscoli che si rilasciavano senza più possibilità di essere controllati, decretarono la fine del fantoccio, gli occhi per sempre al buio e le labbra appena schiuse. La figura adulta spostò la sua attenzione. La vedeva puntare le mani per rialzarsi, staccarsi dalla sua carne per raggiungere la sua. Le stava dando fastidio.


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    Tu non sei vuota, non sei così! Sei come me, come le altre! Eri qui per aiutarle, eri quella più forte!
    Illazioni, noiose, insensate illazioni. Agli occhi di Will, agli occhi dell’impronta di Will, alla comprensione dei semplici meccanismi dentro il guscio, costruiti solo per lo scontro, tutte le accuse, tutte le osservazioni che le venivano rivolte non avevano il minimo senso, né ragione per esistere.
    Con uno scatto secco, il Revolver nella dritta si spostò e fece fuoco senza il più piccolo margine di errore. La bambola fu sbalzata appena indietro, prima di svanire in brandelli di luce. Perse consistenza all’istante, a mezz’aria, sostituita da un sottilissimo pulviscolo luminoso. Si dissolse prima di ritoccare terra.
    Ticchettio alle sue spalle. Come se un orologio scandisse il tempo, il battito lento del suo cuore.
    La copia, impassibile, trovò un nuovo dettaglio a cui dedicare la sua attenzione.
    Dimenticò la custode: batté le palpebre, sollevò un’arma e mirò il coniglietto di pezza, assottigliando gli occhi e lasciando che una leggera smorfia ridisegnasse il contorno delle sue labbra.
    Il pupazzo abbandonò sotto di sé una larga macchia di sangue, prima che il soffice pelo venisse fagocitato verso l’interno, per lasciare spazio ad una marionetta di stracci, gli occhi cerchiati, le cavità oculari vuote che piangevano lacrime rosse.
    Nessuna bocca. Nessun musetto.Solo quei cerchi sproporzionati a decorare la testa. Vibrò sulle mattonelle e fece per sollevarsi a mezz’aria. Fu rapidamente e infallibilmente intercettato e trapassato da un altro proiettile, che lasciò il segno bruciato della magia sul bianco immacolato di sotto. Non sapeva nemmeno lei perché l’avesse fatto, ma anche quel ridicolo giocattolo le dava fastidio.



    Quando entrò nella stanza, gli ospiti erano poco di fronte a lui. Erano in piedi, provati ma ancora in forze. Wren corrugò le sopracciglia, esitando a lasciare andare la maniglia della porta, aperta solo a metà. Nessun segno di Will. Soltanto Noel, spostata verso il centro della stanza, e la bambina dai capelli albini che sapeva essere la sua alleata. Al momento, per quanto Aqua potesse essere stremata, erano in inferiorità numerica.
    Strinse con forza il pomello del bastone, esitante. Entrare ora era rischioso; ma ormai l’avevano indubbiamente notato: fuggire sarebbe stata una mossa ancora più stupida. Così si limitò ad avanzare, a passi lenti, vero il centro della stanza, cercando di mantenere le distanze, sperando di non essere notato, sperando che la sua figura assai poco intimidatoria non allarmasse immediatamente il gruppo. Ci riuscì. Riuscì a raggiungere Noel al centro della stanza, a posizionarsi dietro di lei, senza proferire parola. Non era quello il tempo per parlare, non era quello il tempo di pensare. Ora doveva solo sperare che la sua alleata più potente si facesse viva. Per lui, per il suo scopo e per la sua vita.

    Si voltò leggermente, inclinando appena il capo. Due sole cose rimbombavano nel vuoto dentro il contenitore: rallentare, se non eliminare gli ostacoli e difendere chi di dovere se la situazione fosse precipitata. Nella fattispecie, l’uomo anziano alle sue spalle e Will. La seconda non presente. Comune denominatore: la custode.
    Fu un attimo, un ordine sussurrato all’orecchio, non senza una certa perentorietà, non senza un certo odio anche nel tono con cui le comandava di andare a farsi uccidere. E lei eseguì semplicemente. Sollevò il Revolver e mirò tra di loro, ai loro piedi, lo sparo segnò le mattonelle.
    Li guardò tutti, sguardo fisso, concentrato, un istante per ciascuno, come per intimargli di fuggire o di prepararsi al peggio. Distese il braccio alla sua destra, indice in posizione: un flebile sorriso, il Revolver ruotò sul fulcro del suo dito e la lastra dove aveva mirato esplose. Sfrigolio, polvere e lo spostamento d’aria della deflagrazione che le spostava i capelli.


    Forse era stato stupido da parte sua confinare il sigillo così vicino a loro. Inizialmente, le era sembrata la scelta più logica da fare. Non avrebbero mai pensato che parte dei loro poteri fosse stata prelevata per essere custodita da un coniglietto di pezza. E lei stessa aveva pensato di darlo in mano ad una copia che sarebbe inevitabilmente morta. Con un po’ di fortuna, il pupazzo sarebbe andato perduto. Invece no. Invece l’aveva distrutto. Una buona a nulla l’originale, altrettanto la copia. La rabbia era sbollita tutta nell’istante in cui le aveva ordinato di attaccarli. Non importava, poteva tollerare quell’errore. Terminata la bambina, anche l’ultimo ricordo era stato cancellato. E alla fine di quella battaglia, Noel sarebbe rimasta per sempre confinata nell’Oblio.


    CITAZIONE
    Allora. Boh. Non mi ricordo cosa volevo dire. Troppo lavoro tutto insieme. Comunque. Vi interessi sapere che sono tre post in uno (scritti rispettivamente uno da me, uno da Md per Shinan e uno da Frenzi per Olsonino acciaccato) e io mi sono dannata ad impaginarli. Alterno vari punti di vista, che credo saranno chiari al momento della lettura. Quando il pupazzo viene distrutto, you feel a surge of energy inside of you o qualcosa del genere (chi coglie la citazione riceverà un bacino ♥) e riavrete le vostre abilità che erano state bloccate all'inizio della quest. La tempistica doveva essere relativamente serrata al momento dell'entrata della Noel adulta e poi dilatarsi e farsi più lenta. Vi basti sapere questo, tra quando spara a terra per Maestria di Detonazione (consumo basso), che dovrei postare e vi posterò quando avrò pranzato perché ora uccido qualcuno, e quando la faccenda va tutto in KABOOM, avete una decina di secondi buona. Plus, le ultime azioni di Noel pre attacco sono piuttosto dilatate. You better not punch Batista Shinan, vi schiverei autoconclusivamente perché sì. Vi sto dando il tempo di prendere le distanze da tre avversari, non fate gli sboroni, pls.
    Non avrei altro da dire, credo. Se avete bisogno, sapete dove trovarmi. Confido in qualche anima buona -non Pagos- che mi dica di aggiungere le statistiche e balle varie di Noel oggi pomeriggio quando mi vede su Skype. Detto questo, odio gli html. Buon giro. 15 giorni. Ah, dal prossimo torneranno anche per noi moderatori *guarda male MD e Frenz* i tempi da rispettare. Aggiungo come postilla che spero di non aver fatto casini ritagliando i post. Rileggerò tutto. Con calma. Nel caso, scusate ç^ç Ci ho messo tutto l'impegno possibile ç^ç
    DIMENTICAVO: le distanze. Tra Noel e voi combriccolina ci sono sui sette metri in diagonale, tra lei e il più vicino, che nel mio schema mentale che allegherò, maybe, è Ingwe. Ovviamente la stanza è più grande di così, è solo una misura ideale, sarà un rettangolo trenta per venti, più o meno. Metro più metro meno. Il resto fate voi. Credo che tra Shinan e dove prima stava Noel ce ne siano due, uno e mezzo, ma essendo lei arretrata, direi che ci siano quattro metri tra lei e voi, indicativamente. Mi rimetto a Md nel caso ci dovessero essere dubbi, chiedete a lui.
    Perché altrimenti l'html del divisore rompe i coglioni per il copyright e mi sento in colpa. E non voglio sentirmi in colpa, kek. Spero non funzioni il link, lol.


    Edit del detective misterioso: siete rimasti perplessi dal 20 naturale di Shinny in furtività? Ecco risolto ogni vostro dubbio: in seguito alla "trasformazione", la mia bimba ha guadagnato quest'abilità (che, una volta confermata la totale regolamentarità della stessa, verrà aggiunta anche in scheda)

    CITAZIONE
    Acero Vacuo
    Alla sua nascita come Nesciens, Shinan non conosceva la sua natura, i suoi poteri ed il destino che era sopito dentro di lei. Accolta sotto l'ala amorevole di compagni che ormai l'hanno lasciata indietro, tutto ciò che aveva imparato del combattimento era derivato dai propri sforzi, imitando prima coloro che ammirava e sviluppando poi sempre più le abilità che aveva conquistato. Di tutto ciò che aveva imparato, tuttavia, solo il ricordo all'interno del suo corpo era rimasto, dopo aver perso se stessa tra le mura del Castello dell'Oblio: ogni magia, ogni potere rispondeva ancora al suo comando, ma la bambina non sarebbe stata capace di dare una spiegazione sulla loro natura, se non supporre che fossero innati in lei. Tuttavia, dimenticando la sua storia ha trovato qualcos'altro, dentro di sé, che non aveva mai saputo di avere prima di allora. Attingendo al potere della solitudine che le dà forma, infatti, e circondandosi di esso, la Nesciens ha imparato a celarsi non solo alla vista, ma a tutti i sensi delle persone che le stanno attorno, riducendosi per loro a nulla più che un'ombra sfuggente, uno spettro sempre in mostra agli occhi altrui, ma incapace di cogliere la loro attenzione.
    Questo potere, influenzato dai che la bambina prova e solo in parte sotto il suo controllo, le permetterà infatti di rendersi estremamente difficile da percepire dalle persone, come la più furtiva delle spie, pur restando chiaramente visibile alla luce del sole. A meno che, infatti, chi le sta vicino non sia conscio della sua presenza e non la stia cercando attivamente, sarà molto difficile che, anche qualora qualcuno dovesse osservarla, questi riesca a “processare” la sua presenza e si accorga di lei, finendo invece per il passare oltre. Si tratta di una mistificazione, non di una vera e propria illusione che colpisce chiunque cerchi di osservarla e Shinan, infatti, non scomparirà mai fisicamente alla vista altrui. Questo, di contro, significa anche che tale abilità ha decise limitazioni: tanto più dovesse avvicinarsi, tanto più ignorarla diventerebbe difficile, essere consci della sua presenza e prestare attenzione a trovarla renderebbe pressoché vano ogni tentativo di nascondersi e, di conseguenza, non ha quasi alcuna utilità in scontri uno contro uno o in qualsiasi situazione in cui Shinan non abbia qualcuno o qualcosa da sfruttare come distrazione per attuare il suo piccolo gioco di prestigio.
    [Abilità Passiva Superiore – Illusoria]



    NoelStat_zps05jidhej


    BaseBlu P.Q. A&OTotale
    Corpo25±25±5±055
    Essenza60±90±10±0160
    Mente40±20±0±060
    Velocità55±25±30±0110
    Destrezza70±10±40±0120
    Concentrazione50±30±20±0100



    »Stato fisico~: ottimale.
    »Potere Magico~:100 - 4 = 96%





    Nox Nyctores: Arcus Diabolus Bolverk





    Coppia di pistole gemelle che fanno parte di un set di dieci armi (Nox Nyctores). Molto potenti e rinomate, hanno in realtà la capacità di inibire emozioni e ragione dei loro possessori: in battaglia possono far perdere per esempio la paura, il terrore della morte, ma anche compassione e pena per l’avversario o il rimorso. In rarissimi casi però, possono anche esaltare la cattiveria e il sadismo della persona, che si trova completamente in balia dell’influenza delle sue stesse armi. Corpo e mente sono controllate da loro fino alla fine dello scontro. La loro potenza dipende dalla forza, ovviamente non solo fisica, che può essere benissimo minima, del possessore.
    Bolverk, in ogni caso, è la forma “umana” di Odino, uno dei più potenti dei nordici, la cui forza fisica e magica è racchiusa in un’arma da fuoco più lunga delle normali pistole (circa 40 centimetri), anche se non di molto. Canna sottile e forma squadrata, di un bianco lucido, presentano tre tacche bianche. L’impugnatura è molto maneggevole e spessa all’incirca cinque centimetri, percorsa da striature in legno smaltato. È praticamente impossibile che vengano rubate: una volta acquistate si adattano e si legano indissolubilmente al loro possessore.
    La leggenda che siano loro a scegliere il possessore è quasi totalmente infondata. Un solo avvenimento può essere ricondotto alla teoria: uno dei precedenti possessori sembra sia stato portato alla follia, morto in circostanze sospette, quasi sicuramente causate dall’emorragia causata dalla ferita portata dal foro da arma da fuoco in mezzo alla fronte. Nessun proiettile è stato ritrovato. L’alone rosso intorno al buco e la canna trovata ancora calda quando è stato scoperto il corpo, lasciano presumere il suicidio.
    I proiettili sparati da questo tipo di Nox Nyctores sono di tipo magico, del diametro di 4 centimetri. Nel determinare potenza, efficacia e gittata si fa riferimento al regolamento per quanto riguarda le armi da fuoco.



    Abilità razziali e personali:

    Symbiosis: Il rapporto di Noel con i suoi Bolverk è un rapporto piuttosto particolare. Nonostante infatti questi non abbiano ancora rivelato il loro vero potere, Noel è entrata in sintonia con essi a tal punto da poterli adoperare in modi che trascendono, seppur di poco, la normale abilità balistica umana. Certo, non risulta facile immaginare la mingherlina e indifesa fanciulla maneggiare simili pistole come fossero giocattolini, ma questa è la realtà dei fatti. Una tra le cose più strabilianti, ad esempio, è come Noel riesca a maneggiarli entrambi come fossero una sola arma. La bionda non ha infatti difficoltà a puntare due nemici diversi e a far fuoco con precisione, anche se questi si trovassero ad una distanza angolare abbastanza ingente tra loro (passiva inferiore). Ma l’altra è il vero simbolo per eccellenza di questa simbiosi, forse un’ancora più strabiliante caratteristica: Noel può, a tutti gli effetti, "vedere" attraverso i Bolverk. Le canne delle sue amate pistole possono dunque fungere, in modi che nemmeno la bionda riesce ancora a spiegarsi, proprio come un prolungamento della sua vista normale. Per fare un esempio semplice, ma funzionale, si pensi ad un eventuale nemico che provi ad assaltare Noel da dietro; se la giovane lo sentisse, le basterebbe puntare la pistola verso di lui e sparare anche senza voltarsi poiché, appunto, la simbiosi estrema con le sue amate armi le permette di "vedere con i loro occhi" (passiva inferiore).

    A Thousand Words: Dopo il primo incontro con Nu, Noel ha sviluppato un’abilità piuttosto particolare. A quanto pare, a causa proprio del tocco della ragazza dall’occhio rosso e della sua dubbia natura di fantasma, Noel ha da lei acquisito la capacità di sentire e percepire le anime più forti e complesse delle persone che la circondano, fino ad un massimo di un metro di distanza, non senza riscontri sul suo essere. A seconda della potenza e dell’entità delle anime, la reazione avuta dalla bionda sarà più o meno grave: più segnati e singolari sono gli spiriti, più lunga e intensa è la crisi epilettica che ne consegue. Questo perché, a livello inconscio, l’anima della ragazza entra in contatto, al primo incontro, con quelle altrui, creando un legame fondamentale più o meno resistente, provocandone uno shock fisico e mentale, scatenando inoltre la comparsa di inspiegabili macchie violacee su diversi parti del corpo della giovane. A livello di battaglia, questa abilità non ha alcuna utilità e può essere di relativo intralcio. (Attiva a Costo Nullo)

    Heart Suppressor: Il blocco psicologico ed emotivo di Noel è parzialmente spiegabile dall’influenza che le sue armi esercitano su di lei, sulla sua psiche e sul suo essere. Da quando i Bolverk sono entrati in suo possesso si può dire, senza esagerare, che il legame venutosi a creare dal primo utilizzo ha sopito lentamente e continua ancora a sopprimere le capacità emotive della bionda. Per evitare alla forte sensibilità di base della bionda e alla sua tendenza di farsi condizionare dagli altri di prendere il sopravvento nei momenti meno opportuni, i due Revolver, ogni volta che vengono impugnati, intensificano la barriera posta ai sentimenti della ragazza, affilando la sua lucidità in battaglia e facendo passare al secondo posto anche le preoccupazioni più grandi, in modo da permetterle di concentrarsi sullo scontro. La sua goffaggine, la sua timidezza, le sue incertezze sbiadiscono rapidamente, rendendola più obiettiva e meno oppressa e impedita nell’azione. In un certo senso, anche meno pessimista. Si tratta di una sorta di leggero “controllo” sull’attività di Noel, che non è a conoscenza di questa loro peculiarità. Il combattimento diventa la priorità. Allo stato attuale delle cose, l’utilizzo dei Bolverk annulla temporaneamente gli effetti dell’abilità sviluppata dalla bionda, “A Thousand Words”, che, di fatto, ha l’effetto contrario, cioè far provare in un’unica volta una piccolissima parte di quelle emozioni parzialmente soppresse. (Attiva a Costo Nullo)


    Chain Revolver


    Maestria di Detonazione: Il personaggio diviene in grado di creare delle forti esplosioni attraverso il proprio potere magico.

    Noel ha sempre avuto un certo debole per proiettili ed esplosivi vari, non a caso i Bolverk sono la sua arma prediletta. Sfruttando al massimo le loro capacità di armi speciali, è in grado di convogliare la propria energia magica in alcuni punti del terreno nel suo raggio visivo e a far scatenare tutta la sua forza e la potenza dei suoi Revolver in un unico, abbagliante istante. Infatti, ruotando per il grilletto anche solo uno dei due Bolverk, s’innescherà il meccanismo di esplosione, in grado di detonare, contemporaneamente o in sequenza, una o più serie di proiettili sul campo di battaglia in un tempo relativamente breve. Infatti saranno sufficienti pochi istanti dal gesto della bionda per dare il via ad una sola grande esplosione o ad una serie di deflagrazioni a grappolo.

    [Essenza - Variabile]




    Edited by -M a r s h- - 17/8/2015, 15:54
     
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