Teach Me how To Fly

Quest Privata

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  1. Vanessa Galatea
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    Le sei di mattina. Il cielo si divideva quasi in due metà perfette: ad est, esso si tingeva di toni arancioni e caldi, accompagnato dal sorgere del disco solare; ad ovest, regnavano ancora le stelle sullo sfondo blu scuro, decise e testarde a non lasciar andare il cielo al Sole e al Giorno. Si sarebbero presto arrese. Avevo passato la notte in bianco, fissando il soffitto della propria casa: avevo finito le lacrime, ma nonostante ciò la depressione non m'aveva di certo abbandonata, come una creatura avvinghiata alla mia schiena con artigli possenti piantati nella carne, ben decisa a non lasciarmi andare... "Se tu fossi arrivata prima...". Riportai il cadavere di mia madre in superficie, percorrendo tutto il tunnel arrancando, trovando l'uscita aperta e non sbarrata dai detriti: appena giunta in superficie, mi lasciai cadere sulle ginocchia ed adagiai il corpo di mamma a terra, stremata e piangente. Poi fu il nero. Mi svegliai poi il giorno dopo, in un ospedale da campo organizzato per i feriti dell'attacco... L'attacco? Dov'erano quelle moltitudini di Heartless? Com'era possibile che si fossero ritirati? Non ne vidi all'uscita dal cunicolo... Eppure erano riusciti a penetrare nel rifugio dei civili del tunnel, da cui molti riuscirono a fuggire. Da cui mia madre non uscì viva, maledetti! Perché era rimasta indietro, perché?! Aveva tentato di difendere la folla, o era stata lasciata indietro dall'egoismo indotto dal terrore dei rifugiati? Non si sapeva... Una volta sveglia dallo svenimento, credetti di aver dormito. Sì, doveva essere un sogno, come lo era stato la prima volta: Archaya, Cuori Luminosi... E poi vidi le facce delle persone che circondavano il letto su cui mi avevano adagiato: tutte sconosciute, tutte con la stessa espressione... Da quelle, capii che era stato tutto vero. Mi ero ripresa, ero mentalmente stabile da quanto dicevano i medici... Ma non mi lasciarono tornare a casa. Ed intuii il motivo: forse non avevo più una casa. Sarei rimasta sola ancora per poco, se fossi rimasta a Radiant Garden: qualche servizio sociale od orfanotrofio mi avrebbe presto "accolta" fino alla maggiore età. Non era quella l'idea di vita che volevo, sapevo come badare a me stessa. Gironzolavo per le strade da un bel po', ormai, senza una meta precisa o un obbiettivo... Semplicemente, non potevo fare assolutamente nulla di diverso se non fare quello: avevano dato una piccola area sicura, pattugliata in continuazione da Guardie del Comitato di Sicurezza, in cui si poteva più o meno camminare tranquilli. Dovetti dimostrare più volte alle pattuglie che potevo starmene in giro, che non ero indifesa... Alcune già mi avevano già vista, il giorno prima, mentre altre avevano bisogno di dimostrazioni. Tecnicamente, alle sei del mattino era già mattina, e quindi potevo circolare senza essere ripresa e sbattuta di nuovo nell'ospedale da campo, con brillanti frasi come "Dovresti riposarti" oppure "Hai ricevuto un grande shock". Davvero, non avevo bisogno di tutte quelle premure soffocanti... Volevo solo starmene un po' da sola per conto mio, con i miei pensieri ed il mio dolore silenzioso. Forse era normale, ed anche se non lo era, era così che mi sentivo io. Giravo in camicia da notte, con una cuffietta da notte e scalza: non so chi, ma qualcuno mi aveva portato degli indumenti puliti ed aveva portato via i miei, inzaccherati di sangue com'erano. Comunque, portavo al mio fianco lo Stocco sguainato: l'ultima cosa che mi rimaneva di mia mamma, contenente il suo Cuore, evidentemente... Allora, in quella spada, dovevano esserci ben due Cuori. Vanessa non avrebbe mai saputo riconoscere un Cuore, ai tempi del primo di essi, ma da quando aveva visto quello di sua madre, ne era sicura: si trattava di quello, Cuori. Doveva saperne di più... Che collegamento c'era fra quelle fonti di Luce Radiosa e le Chiavi? E come mai solo alcune persone erano Custodi delle Chiavi? Dovevo ottenere quelle risposte, dovevo trovare qualcuno che me me le avrebbe date. Avrei chiesto a quella Custode, quella che ci aveva convinti ad entrare nel Tunnel, ma non la rividi più... Da quando aveva permesso ad altri civili di entrare nel tunnel, dopo il crollo dei detriti che aveva ostruito l'accesso. Un altro pensiero che mi tormentava da un po' era che avrebbe dovuto lasciare Radiant Garden: doveva ricercare le sue origini, il suo mondo di provenienza o quello che ne rimaneva... E poi qualcosa in me desiderava profondamente di combattere ancora le forze dell'Oscurità, della cui spietatezza avevo avuto prova sulla mia stessa carne.

     
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    Quella notte non era proprio riuscito a dormire. Era oramai arrivata l’alba e lui era già tornato a girovagare per le strade di Radiant Garden. Con lentezza esasperante continuava a trascinare i piedi per terra, stanco sia nel corpo che nella mente. Il respiro pesante, la morsa all’imboccatura dello stomaco, la mente annebbiata e la testa ciondolante, chinata verso il basso. Era troppo presto per andare al cantiere, per andare ad aiutare nei lavori di ricostruzione, ma dentro la camera in affitto in cui abitava, dentro quella piccola stanza non riusciva a starci: là dentro era soffocante, opprimente e lui non riusciva a convivere ulteriormente con quella sensazione. Almeno, ora che stava fuori, si sentiva un po’ meglio ed il peso che gli attanagliava il petto si era affievolito leggermente. L’ideale sarebbe stato del duro lavoro fisico, qualcosa di ripetitivo e stremante, ma a quell’ora non avrebbe trovato nessuno al cantiere. Continuò a camminare, l’aria frizzante gli solleticava la pelle, ed il cielo andava lentamente rischiarandosi. Le stelle scomparvero una ad una mentre il sole invadeva con tutto il suo splendore la città in rovina. Il paesaggio macabro ma allo stesso tempo affascinante delle cicatrici della guerra lo lasciò indifferente. Lui che aveva combattuto contro gli esseri che avevano causato in prima persona tutto quel dolore non vi badava: aveva visto di peggio. Quelle rovine erano niente, solo degli orribili resti di ciò che non era riuscito a proteggere… Ignorarle era la cosa migliore. Tentare di tenere a bada i ricordi, di non farli riaffiorare in superficie, quella era l’unica cosa che gli importava, eliminare quella morsa che gli stringeva il cuore, tentare di rimediare a ciò che non aveva fatto, a ricostruire ciò che era andato distrutto. E ciò includeva anche se stesso. Tutto il suo animo era andato in frantumi, distrutto, annichilito da un qualcosa che non era stato in grado di sopportare. Non sapeva niente di come fosse andata a finire la guerra. Beh, quasi niente, sapeva che avevano vinto, altrimenti nessuno di loro sarebbe rimasto ancora lì, ma della notte della guerra, delle ore successive alla battaglia nel tunnel erano rimasti solo ricordi nebulosi, avvolti in velo di nebbia che non riusciva e non voleva dissipare. Era già abbastanza distrutto così, meno ricordava di quella notte meglio sarebbe stato. Dimenticare, in alcuni casi, è l’unica salvezza, meglio tentare di eliminare gli orrori che aveva vissuto, le tragedie che non aveva potuto fermare. Non aveva più visto nessuno, Vanessa, Shinan, quella coppia di fratelli che aveva portato nel rifugio, la bambina che solo in tre erano riusciti a salvare… Non aveva più avuto nessuna notizia di loro, non sapeva niente di ciò che gli era accaduto, potevano essere addirittura morti tutti. Comunque una cosa era sicura, se Shinan era viva avrebbe aiutato nei lavori di ricostruzione, quella bambina era troppo cocciuta, troppo gentile per andarsene. Degli altri non aveva idea. Probabilmente se avevano qualche parente lontano da quel mondo sarebbero andati a vivere con lui, ma aveva sentito che anche la Città di Mezzo era stata attaccata, quindi non era improbabile che molti fossero oramai rimasti soli, senza più nessuno al mondo. Chissà se Vanessa era riuscita a trovare la madre o se anche lei adesso era rimasta orfana, sola al mondo ? Non sapeva niente di cosa le fosse successo, l’ultimo ricordo che aveva di lei era la sua sagoma che correva verso il fondo del tunnel. Avevano appena sconfitto quel melmoso ammasso di oscurità che lei era scomparsa e loro erano rimasti lì da soli con la bambina e la donna svenuta. Aveva avuto paura, ma non ricordava altro, solo quella morsa stretta nel petto, il terrore causato dal sapere di essere intrappolati sotto tonnellate e tonnellate di roccia, senza via di fuga. Ingwe scosse la testa, cercando di liberare la propria mente da quelle orribili immagini. Era stanco, le conseguenze della notte insonne si stavano facendo sentire e la sua mente iniziava a vagare verso luoghi che si era precluso, verso ricordi che voleva eliminare. Sospirando accelerò il passo, l’unica cosa che poteva fare era camminare, continuare ad andare avanti senza guardare indietro. La temperatura stava salendo in fretta e la giornata si preannunciava calda e umida, non proprio l’ideale per il lavoro fisico che avrebbe dovuto compiere. Per la seconda vita in pochi secondi sospirò esausto. Non voleva tornare indietro, tornare nell’appartamento. Non voleva dormire, non voleva rischiare di sognare la guerra, di perdersi negli incubi che, di sicuro, sarebbero arrivati. Le mani in tasca, la spada sbatacchiante al suo fianco e la pistola infilata in una fondina sul retro dei pantaloni, continuò a camminare senza meta. Erano appena passate le sei quando la vide. In mezzo alla strada, vestita in camicia da notte e con una cuffietta abbastanza ridicola in testa e, a contrastare con l’insieme alquanto pittoresco, lo stocco sguainato. Il sollievo inondò il suo corpo tutto insieme. Era felice, finalmente l’aveva incontrata, ma sapeva che anche lei era ancora traumatizzata dalla guerra. Il nodo alla gola riapparve velocemente mentre ritornava ad insultarsi, ad insultare la propria vigliaccheria, la propria impotenza di fronte agli eventi della battaglia. Le lacrime salite agli occhi furono subito asciugate, non voleva che lei lo vedesse così debole. Risoluto riportò al volto la maschera che aveva indossato per tutto quel tempo, un sorriso appena accennato gli incurvò le labbra. Non urlò, la voce era normale eppure era sicuro che lei l’avrebbe sentito. -Vanessa !- Avrebbe indossato la maschera un’ultima volta.

     
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  3. Vanessa Galatea
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    All'improvviso, sentii quell'inconfondibile rumore: spade che cozzavano su qualcosa... Non era finita, non era mai finita: la battaglia doveva star continuando lontano da quel punto, in altri luoghi del mondo. Il fatto che il conflitto fosse stato confinato, però, mi fece ben sperare: significava che, fino a quel momento, stavamo avendo la meglio sugli Heartless. Chissà, forse fra quelli che ancora combattevano c'erano Shinan ed Ingwe! La piccola erica, di certo, avrebbe continuato a combattere ed avrebbe dato se stessa per proteggere gli innocenti. Ne aveva dato prova più e più volte, non si sarebbe mai arresa. In quel corpicino di bambina, risiedeva un grande potere. Un grande potere magico. Ingwe... Quanto desideravo rivederlo: c'era qualcosa in quel ragazzo che mi affascinava... E di motivi per rimanere increduli di lui ce n'erano: utilizzava anche lui potenti magie, combatteva come pochi avevo mai visto fare... Volava a piacimento... Come avrei voluto rincontrarli tutti e due, avrei voluto sapere per certo che fossero vivi, come avevo desiderato saperlo con mia madre. Lasciai che una lacrima mi rigasse una guancia, ma la asciugai subito con il dorso della mano. E poi lo sentii: rumore di passi, trascinati sulle strade... Forse significava che un pericolo era in agguato, dovevo mettermi in guardia: il corpo si tese tutto come una corda di violino, rimanendo comunque fermo in mezzo alla strada nella posizione in cui ero sin da prima. Non potevo sapere se si trattava di persone malintenzionate... O Heartless. Ma poi... "Vanessa !"
    Il corpo si sciolse, gli occhi divennero ancor più lucidi di come già non fossero: era la sua voce, la voce di Ingwe! Proveniva da dietro di me... Mi girai lentamente e lo vidi: era lì, non ci potevo credere! Con l'aria di essere stanco morto, ma era vivo! E sorrideva! Ingwe, una delle persone che mi erano care, era sopravvissuto agli Heartless! Non riuscii a trattenermi, mi lasciai prendere dal turbinio di sentimenti contrastanti che attanagliava la mia mente ed il mio Cuore: da una parte, non sarei mai potuta essere più contenta di così! Dall'altra, invece, ero triste... Perché Ingwe aveva dovuto combattere ancora. le armi al proprio fianco, la palese stanchezza! In quel momento, era la prova vivente che gli Heartless continuavano a scalciare.
    "Ingwe..." la mia espressione doveva sembrare sorpresa e sgomenta, perché non solo tenevo la bocca aperta e gli occhi spalancati, ma questi continuavano a velarsi di lacrime. Non potevo più trattenerlo: il pianto uscì fuori da solo, mentre mi gettai ad abbracciare Ingwe. In quel momento, null'altro importava: la mia priorità era una, volevo stringerlo fra le mie braccia, assicurarmi che tutto fosse apposto. "Ingwe! Credevo fossi morto!" gli dissi, fra un singhiozzo e un altro. Lo fissai dritto negli occhi e, senza smettere di piangere, sorrisi: era vivo! Per la foga con cui mi ero lanciata ad abbracciarlo, mi era caduta la cuffietta da notte che mi avevano dato. Le lacrime, miste di tristezza e felicità con prevalenza di quest'ultima, gocciolavano sui vestiti di Ingwe, bagnandone il tessuto. Dopo quel momento di sfogo, mi staccai da lui e con i polsi delle mani tentai di domare le lacrime. "S-scusami... E' che..." e singhiozzai, per poi ricadere nel pianto "N-Non riesco a smettere!" La guerra non mi aveva portato via Ingwe, ma si era presa mia madre... Anzi, gli Heartless se l'erano presa. Quel pensiero non fece che aumentare le lacrime.
    "E' così bello rivederti!" e mi gettai di nuovo fra le sue braccia.



    Edited by Vanessa Galatea - 3/8/2014, 21:44
     
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    Un sorriso leggero, rassicurante gli incurvò le labbra. La bambina, anzi, la ragazza che aveva di fronte a sé fremette per un istante. La vide girarsi, un gesto lento, quasi tomoroso. Una serie di emozioni passò per il volto della giovane: incredulità, felicità e poi tristezza. Non capì il perché delle lacrime, dei singhiozzi che gli piovvero addosso mentre lei lo abbracciava. Lo stringeva con tutta la forza che aveva e, doveva ammetterlo, sotto quest’aspetto lo batteva di gran lunga. Era felice. Come uno stupido continuò a sorridere. Impacciato strinse le spalle della ragazza. Era così fragile, così delicata d’aspetto, tuttavia, esattamente come Shinan, tutto quello che si poteva vedere di lei al primo colpo ingannava. Non era debole, non era gracile. Era più forte di lui, più coraggiosa. Sapeva maneggiare lo stocco con un’abilità invidiabile e, assieme a lui e Shinan, aveva dimostrato di sapersela cavare egregiamente contro gli Heartless. Era una guerriera. E di ciò non si sarebbe mai perdonato. Di averla fatta combattere, di aver ceduto e averla fatta restare assieme a lui. Di non essere stato in grado di evitare che, almeno lei, non si rompesse, non si spezzasse nell’anima. Ma non c’era riuscito. Non era riuscito a salvare lei. Non era riuscito a salvare sua sorella. Eresse. Rodrick. Nessuno di loro. Non era riuscito a salvare quanti in realtà avrebbe potuto durante la guerra. Con forza strinse le dita attorno alla camicia da notte della ragazza, premendola contro di sé in un abbraccio in un certo senso soffocante, ma anche pieno di scuse non dette ad alta voce, pieno di rimorso.
    - Ingwe! Credevo fossi morto!- Tra un singhiozzo e l’altro la piccola riuscì ad articolare poche parole, dei piccoli gemiti acuti. Sentiva le sue mani contro la sua schiena, le sue lacrime contro il suo petto. Delicatamente stacco una mano e le accarezzò i capelli, un tocco gentile delicato.
    -Va tutto bene, tutto bene- Lentamente alzò lo sguardo su di lui, gli occhi ancora inondati di lacrime ed un sorriso acceso sul volto. Istintivamente ricambiò anche lui lo sguardo e, cercando di essere più sincero possibile sorrise. Era felice anche lui. Nel suo intimo, nel petto sentiva che, lentamente il nodo al cuore si scioglieva, rimpiazzato da un caldo torpore molto più gradito. Sentì le mani della ragazza che allentavano la presa sul tessuto della sua maglia, mentre lei si allontanava lentamente dal suo corpo. Lo sguardo basso ed il corpo tremante mosse le braccia portandosi i polsi all’altezza degli occhi, tentando di asciugarsi le lacrime. Il biondo sorrise nel vedere quella scena così tenera. Era un piccolo animaletto e le voleva bene. Nonostante il loro primo incontro fosse stato così turbolento, causato dalle circostanze della guerra non rimpiangeva di averla conosciuta. No, si pentiva solo di averla lasciata combattere. Avrebbe preferito che lo avesse odiato, che lo avesse ritenuto uno stupido saccente piuttosto che vederla distrutta, che vederla spezzarsi come era successo nel tunnel.
    - S-scusami... E' che...- Con voce roca articolò quelle poche parole, sentiva l’aria raschiare contro la gola, la fatica che provava nel far uscire solo quei pochi suoni.- N-Non riesco a smettere! E' così bello rivederti!- Per la seconda volta in pochi secondi la ragazza gli si rifiondò addosso, un piccolo agglomerato di forza e caparbietà che gli si scioglieva contro, lasciandosi andare in un pianto liberatorio. Rassicurante tornò ad accarezzarle la testa, i capelli bianchi, cercando di frenare quel fiume di lacrime che lo stava bagnando completamente. Senza accorgersene iniziò a piangere anche lui, piccole lacrime scendevano dagli occhi, scorrendogli sulle guance. Era così felice di rivederla che non riusciva più a trattenersi. Niente fremiti, niente movimenti convulsi del corpo, solo silenziose gocce salate.
    -Anche per me è bello rivederti, Vanessa…-
    Era strano tenerla lì, stretta tra le proprie braccia. Non sapeva quello che le era successo. Non voleva saperlo. Non voleva intromettersi nel suo dolore, ma non poteva evitare di domandarsi perché vagasse da sola, a quell’ora quantomeno bizzarra in giro per la città in rovina. Però, dopotutto, Vanessa era una piccola ribelle e sapeva badare a se stessa. Non doveva preoccuparsi. Restò lì, fermo tenendola stretta a sé, cercando di non far sfuggire il calore che le trasmetteva, quella sensazione di sapere che, comunque, c’è qualcuno che pensa a te, che si chiede come tu stia. I suoi pensieri si soffermarono su Failariel. Si chiese se anche nel suo mondo stava accadendo qualcosa, se le ripercussioni della guerra si stavano facendo sentire fin lì. Voleva tornare a casa. Voleva scappare da quel luogo orribile, voleva tornare in quella cieca sicurezza che le menzogne davano. Voleva sentire di nuovo le braccia calde di sua sorella, della vecchia, di Rodrick, di qualcuno a cui importasse davvero di lui. Strinse con maggior forza il tessuto della camicia di Vanessa, tentando, questa volta, di trasmetterle tutto il calore che aveva, di farle capire che ci teneva a lei. Le parole uscirono spontanee dalla bocca, accompagnate dalle lacrime agli occhi.
    -Ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa, che fossi ferita. Né io né Shinan abbiamo avuto il tempo di curarti l’ustione, avevo paura che fossi morta.- Singhiozzando la strinse maggiormente contro il suo corpo.- Io, io, ho avuto davvero tanta paura.-

     
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  5. Vanessa Galatea
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    Rimasi abbracciata ad Ingwe per un po', lasciando le lacrime esaurirsi. Anche per lui era bello rivedermi, mi disse, e quelle parole mi fecero sentire ancor più felice di averlo incontrato ancora. Ingwe ricambiò l'abbraccio, facendomi sentire bene, al sicuro: sapeva trasmettere calore, anche se da un primo sguardo non sarebbe sembrato un tipo capace di ciò... "Ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa, che fossi ferita. Né io né Shinan abbiamo avuto il tempo di curarti l’ustione, avevo paura che fossi morta. Io, io, ho avuto davvero tanta paura." Parlò singhiozzando, mentre eravamo ancora stretti, abbracciati: aveva paura per me, che fossi ferita gravemente, che potessi morire in quel tunnel, ed in questo riconobbi quell'Ingwe che, prima dell'odissea del cunicolo, pretendeva che seguissi gli altri civili nel rifugio.
    Se l'avessi fatto, avrei potuto proteggere mamma...
    Tornò la tristezza: quel rapido pensiero distrusse parte della felicità che si era scavata un angolino nel mio animo, riportandomi alla mente quei pensieri che, durante il sonno, popolavano i miei incubi. Rimanendo abbracciata ad Ingwe, con le lacrime ancora agli occhi, parlai con voce seria, piatta e colma di tristezza e rimorso. Non avrei mai voluto che Ingwe sapesse, ma il dolore parlò per me, muovendo i muscoli e i tendini a suo piacimento, facendomi parlare. "Forse sarebbe stato meglio, se fossi morta io..." Stupida, stupida, stupida! Giocavo a fare la vittima, forse perché avevo bisogno di qualcuno che mi stesse a canto, che potesse capire il mio dolore... Cosa gli avrei risposto quando mi avrebbe chiesto per quale motivo? Eh?! Subito mi morsi le labbra, evitando di continuare sull'argomento, e mi staccai da Ingwe, di nuovo, stavolta senza lacrime agli occhi. Cominciò a farsi strada la rabbia fra gli altri sentimenti: perché avevo dovuto fare i capricci? Perché?! Stupida poppante, avrei dovuto seguire mia madre nel rifugio, avrei dovuto astenermi dal fare i capricci... Avrei dovuto capire cosa dovevo fare, per evitare che il peggio accadesse... Ed invece, nulla: dovetti lasciare mia madre andare da sola! Non potevo sapere cosa sarebbe accaduto... Ma perché dovevo essere così egoista? Perché, per colpa di un errore di una stupida me stessa passata, dovevo soffrire io nel presente? Perché avevo condannato mamma?! Questa lotta interiore con il rimorso, la rabbia irrazionale ed istintiva verso il passato, qualcosa che ormai è già scritto e che non si potrà riscrivere, accadde silenziosa, mentre il mio sguardo si perdeva nel vuoto, ancora velato delle lacrime di prima... Perché non meritavo lacrime, io: la carnefice della persona che più mi aveva voluto bene. L'avevo uccisa io, lasciandola da sola. IO. Questa flagellazione interiore, che più fece male di mille esplosioni di Heartless assieme, fece emergere superficialmente la Vanessa bambina, quella che voleva essere consolata, quella che aveva bisogno di coccole, quella che...
    Quella che voleva imparare a volare.
    Riportai lo sguardo negli smeraldi verdi di Ingwe, che scintillavano di lacrime e d'alba, e con tutta l'innocenza che mi era rimasta, gli parlai con la voce ancora roca e rotta dalle lacrime, ma lieve e dolce, come da tempo non facevo... Avevo bisogno di un favore da Ingwe, avevo bisogno che mantenesse una promessa che aveva fatto ad una capricciosa ed irrazionale me.
    "Ingwe..." Mi avvicinai a lui, perché potesse sentirmi sussurrare.
    "... Insegnami a volare..."

     
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    Erano ancora stretti l’uni all’altra, stretti in un tenero abbraccio, stretti assieme dalla felicità, dal sollievo per essersi ritrovati. Lacrime dolci scendevano lungo le guance senza che lui potesse fare niente per fermarle. Sollievo, felicità e letizia lo stavano assalendo da tutte le parti, senza lasciargli la benché minima via di fuga, non che ne stesse cercando una, tutte quelle emozioni, no, ricordi, doveva smettersela di illudersi, erano più che graditi; quel momento, quell’istante in cui era riuscito finalmente a dissipare per un poco i propri sensi di colpa era una benedizione, un momento di serenità in quell’oceano in tempesta di disperazione e rimpianto, in quel mare che lo stava lentamente logorando, quel mare che si era rianimato a causa della guerra. Con lentezza le lacrime di gioia smisero di scendere, lasciando spazio ad un leggero sorriso più consono alla situazione. In quel momento in cui era libero da contrasti, libero dall’ansia, dal dolore, dalle colpe che gravavano su di lui, dai volti che gli riempivano la vista, si sentì veramente felice. E Vanessa era lì, i capelli bianchi, lo stocco, gli occhi chiari, vispi.
    -Forse sarebbe stato meglio, se fossi morta io... -
    Lentamente iniziò a sentire tutta quanta la felicità provata in quei pochi attimi frammentarsi in milioni di schegge. Il rumore di vetri che si frantumavano, tutto attorno a lui sembrò spezzarsi, sembrò tornare ad assumere quel colore tetro che aveva avuto fino a pochi istanti prima. Sentiva la verità, quel semplice fatto che solo pochi secondi prima aveva sepolto in profondità nel proprio animo farsi strada attraverso la carne, premere dall’interno sforzandosi di uscire. Mille aghi gli perforarono la pelle, mentre con un morsa il rimpianto tornava ad aggrapparsi alla gola. Il calore scomparve, disperdendosi nell’aria circostante. All’improvviso tutto tornò ad essere come era prima: un mondo scuro, privo di luce, un mondo dove non era concesso provare speranza, dove tutto era destinato a scomparire nell’oscurità. Ancora una volta si era illuso, ancora una volta aveva creduto di poter uscire dal baratro dove era caduto. Ancora una volta era stato un idiota. Cosa ci provava a fare, poi ? Come credeva di poter salvare sé stesso quando non era riuscito a salvare nessuno ? Era un folle. Uno stupido. Solo un insulso essere umano. No. Non era nemmeno quello, non da quella notte, non da quando aveva perso la capacità di provare sentimenti. Era da molto che non poteva più considerarsi un essere umano, eppure continuava a sperarci, a credere dal profondo della sua mente che, un giorno, sarebbe stato nuovamente in grado di provare sentimenti, a credere che sarebbe tornato umano. Perché, poi ? Perché non si arrendeva ? Perché ? Non riusciva a darsi una risposta, sapeva solo di essere testardo, di essere solo un completo deficiente. Forse, invece che Vanessa, sarebbe stato meglio se lui fosse morto in quel tunnel. Forse avrebbe smesso di soffrire, forse avrebbe detto addio a quel mondo una volta per tutte. Avrebbe potuto trovare la pace. Avrebbe potuto trovare l’oblio. Non credeva che per lui ci sarebbe stato un aldilà. Eppure era sopravvissuto, lui che non lo avrebbe meritato, lui che aveva causato la morte dei suoi cari era sopravvissuto. E adesso, adesso che si era arreso alla disperazione, adesso che si era arreso, che aveva accettato di essere sommerso da quel pantano che aveva dentro si era presentata lei, si era presentata la speranza. Tempismo perfetto, seriamente, grazie vita. Che razza di ironia, trovare il sollievo per vederselo togliere pochi istanti dopo. Era ridicolo. Semplicemente ridicolo. Perché in quel momento ? Perché proprio quando tutti i suoi problemi, tutte le sue miserie iniziavano a ricoprirlo, ad ingoiarlo per, finalmente, non lasciare più traccia di lui, doveva tentare di risollevarsi ? Perché proprio in quel momento doveva essere sbattuto nuovamente nel fango, essere umiliato ancora una volta, con più ferocia ? Era solo stanco di tutto questo, di cambiare costantemente decisione, di trovare del sollievo per vederselo strappare dopo pochi secondi. Non importava più cosa gli fosse accaduto, voleva solo che quella tortura finisse. Nient’altro. I suoi occhi rimisero a fuoco la figura minuta di Vanessa. Non le avrebbe chiesto cosa era successo, non voleva che i suoi timori, che i suoi sensi di colpa venissero confermati, alimentati. Sospirò tentando di liberarsi da quel peso che lo aveva riafferrato. Non si era reso conto che si fossero staccati, ma adesso le riusciva a vedere con chiarezza il volto, quel cipiglio ostinato, i denti che mordevano il labbro inferiore. Lo fissò, lo guardò dritto negli occhi, in quel verde brillante che così poco rispecchiava la sua anima.
    -Ingwe,insegnami a volare... -
    Le parole uscirono sotto forma di sussurro dalla bocca della ragazza, un sibilo leggero, dolce, ma allo stesso tempo deciso, tremulo, ma allo stesso tempo duro. Il ragazzo rimase interdetto. Non capiva il perché di quella richiesta, il perché si era ricordata proprio in quel momento delle promessa che le aveva fatto, della promessa che lui stesso aveva infranto. Non sapeva cosa dire. Tutto quello che stava accadendo era senza senso, privo di una qualsiasi logica. Istintivamente aggrottò la fronte, guardando la sua interlocutrice con uno sguardo quantomeno perplesso. Avevano entrambi gli occhi ancora lucidi di lacrime eppure lei se ne usciva con una richiesta così assurda. Eppure, eppure quello che vedeva non era un capriccio. No, la bambina che aveva conosciuto nel vicolo era cresciuta, s’era indurita ed era cambiata. Lo aveva visto nel tunnel e lo stava vedendo anche adesso. Un’ombra oscurò i suoi occhi mentre la conferma che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi per ciò che la giovane aveva vissuto lo colpiva con forza al petto. Voleva piangere, voleva mollarle un ceffone per non averlo ascoltato, voleva uccidersi per essere stato un codardo. Voleva tante cose, ma non le avrebbe mai avute. Voleva una vita felice, voleva poter rivedere sua sorella, Rodrick, Eresse. Voleva poter tornare nel proprio mondo d’origine. Voleva non essere mai partito. Voleva spararsi un colpo alla tempia, appendersi con una corda ad un albero, recidersi le vene dei polsi. Voleva pugnalarsi lì, nel bel mezzo della via, lì, di fronte a Vanessa. Con un sospiro le posò una mano sulla spalla.
    -Va bene, ma non qui. C’è un parco poco più in là, quello dovrebbe andare.-

    CITAZIONE
    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima.[Passiva Inferiore]

     
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  7. Vanessa Galatea
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    Ero ancora in tempo. Potevo ancora rimediare all'errore madornale che avevo fatto. Lo potevo percepire facilmente: il calore che Ingwe mi aveva trasmesso in quei lunghi minuti trascorsi da abbracciati, s'era tutto d'un tratto disperso nell'aria satura di tensione. Ingwe parve d'un tratto chiudersi in se stesso, sprofondando in un baratro personale, in cui mi sentii quasi trascinata. Potevo ancora porre rimedio, non era troppo tardi. Speravo di poter risollevarlo, risollevarmi... Feci come per aprire bocca, pronta a prendermi sulle spalle tutto il peso che Ingwe portava sulle sue; perché non meritava di soffrire per quello che avevo passato io, lui che era un ragazzo tanto... Tanto... Tanto bello e premuroso. Dovevo farlo, ne ero capace: prendersi la responsabilità delle proprie azioni, dei propri sbagli, delle proprie affermazioni. Ecco cosa significa crescere. Ed io ero cresciuta. Nella mia testa risuonarono le parole della donna dai capelli rossi, Archaya, mentre mi parlava... Anzi, parlava a quella bambina, appellandosi a lei come tale. Ero una persona diversa ora ed un capriccio che mi potevo permettere di fare, era proprio quello di dar torto, torto marcio, all'assassina rossa.
    Feci come per parlare, ma un sospiro di Ingwe mi interruppe. E quel sospiro fu come sentire mille parole: diceva che stava provando a liberarsi da una morsa che lo affliggeva... Una morsa che io stessa gli avevo stretto attorno al Cuore. Non riuscii più a sostenere il suo sguardo, soffocai quello che stavo per dire e portai la vista verso il terreno, pensando a quanto stupida, capricciosa e di nuovo stupida, stupida, stupida potessi essere stata. Volevo piangere, ma non meritavo lacrime: non potevo piangere su quello che avevo detto, era mia responsabilità. Non ero una lattante.
    Sentii la mano di Ingwe, delicata ma presente, poggiarsi sulla mia spalla... Dovevo alzare lo sguardo, cercare di sostenere il suo: cercai di dirgli con gli occhi che mi dispiaceva aver detto quelle cose. Forse lenì un po' in senso di colpa, ma comunque la sensazione di aver fatto un errore importante rimase. Ingwe parlò, come se non capisse perché gli avevo chiesto una cosa simile proprio in quel momento... Forse, non sarei stata capace di spiegarglielo neanche io: era come se in me due entità stessero combattendo. La Bambina e Me, e la prima delle due aveva detto quelle parole ad Ingwe. In quel momento, Me spinse di nuovo in profondità La Bambina, per essere finalmente lasciata da parte. Me uscì fuori, mentre Ingwe parlava:
    "Va bene, ma non qui. C’è un parco poco più in là, quello dovrebbe andare."

    La Bambina gioì, mentre Me annuiva. Ed io annuì, con aria riconoscente ad Ingwe, mentre pensava al parco di cui parlava il ragazzo dagli occhi di smeraldo. La Bambina e Me avevano la stessa intenzione: seguire Ingwe. L'una per egoismo, per distrarsi, quasi per giocare... L'altra per stare assieme al ragazzo, per ricambiare un po' di quel calore che io stessa avevo disperso.
    "...Grazie, Ingwe." dissi, mentre feci per prendergli la mano: la pelle bianca di entrambi, alla luce dell'Alba, si sfiorò e la mia mano chiese timidamente alla sua di essere afferrata. Un gesto semplice, in cui cercai di infondere tutto il calore possibile, per rimediare al gelo che avevo provocato prima. Abbozzai un sorriso, per cercare di ritirare un po' su l'atmosfera, ed aspettai che mi prendesse per mano: avremmo camminato assieme, nessuno dei due avrebbe seguito l'altro. Non avrei mai potuto costringerlo, dunque alla minima esitazione, avrei desistito... Sia che accettasse, sia che rifiutasse, gli avrei comunque detto:
    "Mi dispiace per quello che ho detto"
    Ed intendevo tutto: quello di poco prima, come tutto quello che gli avevo detto di male da prima. Mi dispiaceva, perché non era giusto che lui soffrisse per un mio capriccio o per un mio dolore.

     
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    Ormai aveva accettato il fatto di aver fatto del male a Vanessa, ma non era in pace con se stesso. Dubitava di poter essere mai capace di perdonarsiper quello che era accaduto nel tunnel perché lui sapeva che avrebbe potuto fare di più, perché sapeva di essere stato un codardo che aveva pensato a salvarsi, che aveva avuto paura di non farcela senza l’aiuto delle due bambine. Ma aveva deciso. Quei sentimenti, quel risentimento che provava nei confronti di se stesso non sarebbe mai uscito fuori. Tutte quelle emozioni, quell’odio, quel rancore, tutta quella Oscurità doveva rimanere incatenata nelle profondità del suo animo mentre si trovava con loro. Quello che avrebbero avuto davanti ai propri occhi era un Ingwe fasullo, il ragazzo dei desideri che lui sognava di poter diventare. Lo pensò con rabbia, disgustato dal fatto che non era ciò che mostrava, che non era il ragazzo affidabile, sicuro di sé che faceva finta di essere davanti a tutti. Quella farsa non faceva altro che distruggere sempre di più il suo animo. Non poteva perdonarsi. Eppure doveva andare avanti, se non per se stesso per loro.

    Gotta

    Era così che girava il mondo. Era così che andava avanti la sua vita. Una bugia dopo l’altra. Era stanco di tutto ciò. Era stanco di ingannare a se stesso, loro, il mondo intero. Però, che opzioni aveva ? O mentiva tentando di proseguire, di risollevarsi, sperando che la maschera si sostituisse alla verità, che la maschera cessasse di essere tale, ma diventasse realtà, oppure si arrendeva e si lasciava morire lì in quel momento, in quel preciso istante perché, tanto, non avrebbe avuto senso continuare a vivere in quel modo.

    Gotta

    Sì, doveva tentare di andare avanti, se non per lui per le persone che lo avevano conosciuto, per le persone che avevano conosciuto la sua maschera. Doveva provare a diventare quello che loro avevano visto, voleva provarci, voleva riuscire nel tentativo. Voleva farlo per loro, per dimostrare che non avevano commesso un errore a riporre la loro fiducia in lui, a credere che fosse un altro. Doveva diventare quell’altro. Abbandonare dolore, angoscia, disperazione. Ma come ? Non lo sapeva. Non sapeva come poter cambiare, come poter diventare una persona differente. In realtà l’unica cosa che avrebbe voluto era di potersi sfogare con lei, dirle del dolore, della paura che aveva dentro, delle sue bugie, di cosa fosse realmente. Poterle chiedere scusa per ciò che aveva fatto, per ciò che a causa sua lei aveva dovuto passare. Era triste, si sentiva costretto, rinchiuso dalle stesse catene che aveva forgiato per bloccare la propria Oscurità. Voleva solo lasciarla libera, lasciarla libera di abbandonare il suo corpo, di lasciarlo da solo. Voleva diventare un altro, eppure, allo stesso tempo, ne era terrorizzato. Era troppo ancorato alla paura di poter perdere quell’ultimo briciolo di umanità che gli apparteneva. Quell’ultimo rimasuglio di ricordi che faceva sì che lui sapesse come era essere completo. Erano dolorosi, lo sapeva. Erano pieni di sofferenza, di oscurità, di rigetto, di odio e morte. Erano i suoi lati più oscuri, quelli che lo avevano più condizionato. In vita sua aveva raramente conosciuto la felicità, la gioia che gli altri provavano. Era sempre stato costretto in una gabbia per uccelli, incatenato nello sfarzo e nel lusso della sua famiglia, legato dalle apparenze. Amava la libertà e desiderava pateticamente degli amici. Ma, almeno all’epoca, aveva delle persone a cui appoggiarsi. Aveva Rodrick, aveva sua sorella, aveva Eresse. Eppure gli erano tutti scivolati via dalle mani, uno ad uno. Li aveva lasciati andare via, li aveva gettati via per conto suo. Aveva causato la morte di Rodrick, aveva lasciato che Eresse fosse allontanata, che, da malata, non le fossero prestate cure. Aveva lasciato che la sbattessero fuori, lontana da un letto o da un tetto. Alla fine era rimasto solo, ci sei era reso senza che nessun altro dovesse fare davvero qualcosa, senza che dovesse lottare per strapparglieli. Al contatto con la mano fredda della ragazza sussultò. Gli si era avvicinata e lo stava tenendo timidamente per mano. Sentiva la pelle gelida, la carne morbida contro la sua. Sentì di nuovo il calore che lo stava avvolgendo, quel tiepido contatto che, fino a pochi secondi prima, fino a quando non avevano sciolto l’abbraccio si erano scambiati. Stava bene, si crogiolò in quella sensazione familiare, in quel sentimento che tanto gli era mancato. Sapere che aveva qualcuno accanto, che aveva trovato nuovamente dei sostegni lo rassicurava, gli dava forza, eppure non poteva abbandonarsi totalmente a quelle sensazioni. Non poteva lasciare che si ripetesse tutto un’altra volta. Non voleva perderle, non voleva che fossero il suo scudo, sia lei che Shinan. Voleva proteggerle, voleva essere abbastanza forte da potersi reggere sulle sue gambe, da poter essere il loro appoggio e non l’opposto.
    -...Grazie, Ingwe.-
    Non capiva. Perché lo stava ringraziando, cosa aveva fatto per lei ? Lui, lui l’aveva solo distrutta dentro, l’aveva usata come appiglio senza rendersi conto di starla sgretolando, di starla, involontariamente, distruggendo. Era per questo che si diceva di essere un mostro, era per la sua ignoranza, per la sua cecità di fronte a questi fatti che non poteva ritenere giusto tutto quello che gli stava accadendo attorno. Sorrise tristemente, cercando di non far trasparire troppi pensieri, cercando di non appesantirla con ulteriori tormenti. Stancamente le strinse la mano, tenendola stretta tra le sue dita. Era bello quel contatto, lo faceva sentire un po’ più leggero, un po’ meno afflitto dal dolore. Si avviarono, stretti mano nella mano entrambi iniziarono a camminare verso il parco. Per qualche misero secondo poté sentirsi sollevato, poté sentire un barlume di felicità splendere timidamente in fondo al suo spirito. Un piccolo nucleo caldo, una sorpresa in quel deserto congelato, in quella steppa fredda priva di qualsivoglia barlume di luce. Era come se improvvisamente il cielo tenebroso di quella desolazione si fosse illuminato, come se all’interno di esso volteggiasse lenta, debole, una scintilla luminosa. Un miraggio, un desiderio di quel luogo che non aveva speranza di tornare a vivere.
    -Mi dispiace per quello che ho detto.-
    Un miraggio che, come tutti gli altri, deve scomparire. Tutto ritornò ad essere freddo, tutto tornò ad essere una steppa ghiacciata, priva di luce o calore. Perché gli chiedeva scusa ? Non era forse lui quello che avrebbe dovuto pregare in ginocchio per il perdono ? Non sarebbe dovuto essere lui quello pieno di rimorso, quello pieno di dolore ? Lasciò che la sua mano ritornasse a cadere morta al suo fianco e scosse la testa.
    -No, non sei tu quella che si dovrebbe scusare.-
    Non aveva senso che chiedesse scusa per ciò che aveva detto, per la prova definitiva del fatto che lui aveva sbagliato.

    Forse sarebbe stato meglio, se fossi morta io...

    Ich töte mich

    Ma non era andata così, come al solito le vicende che lo riguardavano si svolgevano in modo ironico, quasi comico se non fosse stato per l’enorme tragedia di fondo che le legava assieme. La guardò fissa per qualche secondo, lo sguardo triste. Non sapeva cosa dirle, la bocca si apriva e si chiudeva senza emettere un suono, mentre la sua mente si sforzava di trovare un filo logico a cui agganciare le parole. Non ci riusciva. Non sapeva come fare, non sapeva come poterle dire che gli dispiaceva, che era stata colpa sua. Avrebbe voluto piangere arrabbiato per la sua stupidità e per la sua paura. Non voleva tornare a pensare alla guerra, a rigirare le dita in piaghe ancora aperte.
    -Io…-
    No, non ci riusciva.
    -Niente. Non fa niente. Andiamo, su.-
    Le porse nuovamente la mano, sperando che lei gliela stringesse, sperando di poter sentire ancora una volta quel contatto caldo di prima.

    CITAZIONE
    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima.[Passiva Inferiore]

    EDIT: Aggiunta l'abilità passiva



    Edited by pagos - 11/8/2014, 19:23
     
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  9. Vanessa Galatea
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    Ingwe stava male. Era ormai palese, non avevo alcun dubbio a riguardo. I suoi occhi, quegli smeraldi così luminosi, erano divenuti opachi, smerigliati dalla tristezza. E quella tristezza traspariva, me la sentivo addosso. Per un po', Ingwe strinse la mia mano, e la sensazione di torpore, di calore piacevole, tornò: il ragazzo era freddo, freddo quasi come l'acciaio di una lama, e probabilmente la mia pelle era fredda ugualmente. Non cominciammo a camminare, rimanemmo fermi sul posto ancora un po', evidentemente entrambi consapevoli di quella sensazione meravigliosa, di quel calore dal quale provavamo entrambi appagamento. Dopo che l'ebbi ringraziato per il favore enorme che mi stava concedendo, Ingwe sorrise... Ma quel sorriso era contaminato, infestato dalla tristezza e, nonostante fosse bellissimo poter finalmente vederlo sorridere, la cosa mi fece star più male che bene. Mi strinse la mano, cominciando a camminare, ancora avvolti in quel meraviglioso, anche se forse immaginario, tepore. Poi mi scusai per quello che avevo... Anzi, che La Bambina aveva detto. E lì, il tepore scomparve di nuovo, mentre il viso di Ingwe si ricoprì d'opacità: gli occhi, la fronte, la bocca. Tutto sembrava smerigliarsi. "No, non sei tu quella che si dovrebbe scusare."
    Lasciando intuire che fosse lui quello che si sarebbe dovuto scusare. Non potevo credere a quello che avevo sentito: lui, che aveva insistito perché rimanessi al sicuro, che per tutta la durata della battaglia era rimasto al mio fianco, per proteggermi, si sarebbe dovuto scusare? E perché non io, che con i miei insulsi capricci, ero riuscita a mettere tutti in pericolo?! Perché io non dovevo scusarmi? Perché ero una innocente creatura, una bambina... Forse il motivo era quello. Ingwe balbettava senza emettere suoni, aprendo e chiudendo la bocca: troppi pensieri, troppe affermazioni pronte ad uscire, soffocate da chi le voleva pronunciare in persona. Dovevo parlare, non potevo lasciare che soffrisse così, come stava dimostrando, al punto di non riuscire a parlare. Mi decisi, ero pronta ad intervenire, quando...
    "Io…"
    Aveva trovato il coraggio? Forse si sentiva pronto a dire quello che lo turbava. Lasciarsi andare con qualcuno è la cura perfetta per questo genere di cose..."Niente. Non fa niente. Andiamo, su."
    A quanto pare, no... Era davvero qualcosa di grave, parecchio grave, per frenarlo in quel modo, lasciarlo quasi senza il dono della parola e poi, proprio nel momento di rivelare ciò che lo turbava, fargli ingoiare parole neanche pronunciate. Ingwe soffriva, e soffriva a causa mia, probabilmente... Mi porse di nuovo la mano: gliela strinsi, ovviamente, ma stavolta mi avvicinai ancora di più a lui, quasi ad attaccarmi al suo fianco. Ero decisa a trasmettergli più calore che potevo, era giusto così.
    "Ingwe... Io ti voglio bene. Puoi dirmi cosa ti fa star così male? Se me lo dici, starai meglio."
    Sorrisi, fissandolo negli occhi, guardando verso l'alto ed incastonando i miei occhi nei suoi smeraldi, con quanta più dolcezza riuscii. Volevo farlo sentire meglio, trasmettergli calore, riprendere a camminare... Volevo che stesse bene, io stessa provavo quasi un bisogno di vederlo sorridere; sorridere per davvero, non come aveva fatto poco prima. Perché quel sorriso triste era solo un pianto mascherato. Non doveva soffrire come avevo sofferto io, perché non ne aveva motivo: lui che poteva essere felice perché, in fondo, in quel conflitto non aveva perso nessuno, non ci riusciva. Ne aveva il diritto, ma non poteva amministrarlo, per qualche motivo. Questa specie di bisogno di vederlo felice... Così preponderante sul resto delle mie priorità, cosa poteva essere? Sentivo come se dalla sua felicità dipendesse la mia, in quel momento, come se le due cose fossero in stretta correlazione di causa ed effetto. Cos'era? Amicizia? Ingwe non era come gli altri miei amici, era qualcosa di più: come se il nostro legame si fosse forgiato sul campo di battaglia. Per Shinan era simile, ma ancora diverso; per lei, nonostante sentivo che un legame si stesse formando fra me e la bambina, la cosa assomigliava ancora di più ad amicizia pura...Cosa allora? La priorità non era rispondere alla domanda, era di far star meglio Ingwe. Un bisogno primario che s'era posto al di sopra di tutto. Una cosa che mai fino a quel momento avevo provato, in vita mia.

     
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    Le strinse forte la mano. Non voleva lasciarla. Non poteva lasciare che quel calore appena instauratosi tra di loro scivolasse nuovamente via. Tutto ciò gli era troppo caro. Lui le voleva bene. Vanessa era diventata una componente preziosa delle propria vita e lui ne era consapevole. Il senso di colpa per ciò che non aveva potuto evitare che accadesse in quel tunnel lo schiacciava. Avrebbe voluto liberarsene, avrebbe voluto lasciare che tutto scivolasse via, avrebbe voluto non poter più essere ingannato dai propri ricordi. Lui aveva perso la capacità di provare sentimenti, no ? Quindi perché doveva ricordare tutto ciò, perché doveva ricordare quel dolore, quella forza che gli schiacciava il petto, stringendogli in una morsa nauseabonda il cuore ? Era come se una mano si fosse insinuata violentemente tra le sue costole, e adesso gli stesse dilaniando lentamente l’anima. Sempre che lui ancora avesse un’anima. In realtà, se non fosse stato per Vanessa e Shinan avrebbe davvero voluto tornare indietro nel tempo, poter tornare nel suo mondo natale, poter tornare a stare con sua sorella, con Rodrick, con Eresse. L’avrebbe davvero voluto. Avrebbe voluto non essere mai venuto a conoscenza degli altri mondi, della guerra che imperversava tra essi. Sarebbe volentieri tornato ad essere prigioniero in quella gabbia dorata che lo aveva visto crescere. Avrebbe dato qualsiasi cosa affinché tutto tornasse ad essere come era prima. Poter ricevere un abbraccio da sua sorella, poterla rivedere ancora, sentire le sue mani calde, il suo profumo. Quanto lo desiderava. Poter sentire nuovamente la sua risata, potersi aggrappare ancora una volta a lei, piangere sulla sua spalla. Voleva sfogarsi, ma non poteva. Non poteva iniziare a far cadere le lacrime. Non lì, non di fronte a Vanessa. Oh, quanto avrebbe voluto poterlo fare. Quanto avrebbe voluto poter trovare un appoggio, un sostegno che lo potesse aiutare a sconfiggere quella nostalgia, ad eliminare quei rimpianti. Però, per quella volta, per loro, per Vanessa e Shinan sarebbe dovuto essere lui il sostegno. Senso di colpa. Odio verso se stesso. Amore nei loro confronti. Non poteva lasciare che cadessero, che seguissero lui in fondo al baratro. Lui doveva sostenerle. Doveva indossare quella maschera che gli riusciva tanto bene ed aiutarle a tenersi in piedi. Era suo dovere in quanto loro amico. Era suo dovere per tutto ciò che era accaduto nel tunnel. Era suo dovere e basta. La sua vita non aveva senso, ma loro potevano ancora trovare qualcosa di bello in essa. Loro non avevano perso tutto. Loro avevano ancora se stesse, mentre lui, al contrario, aveva solo il vuoto. Aveva incontrato una ragione per resistere ancora per un po’. Voleva poter essere d’aiuto almeno una volta. Giusto una volta e poi sarebbe scomparso. Guardò la ragazza con tenerezza. Era strano come l’avesse sempre considerata una bambina nonostante, in realtà, non doveva essere molto più piccola di lui. Quanto avrà avuto ? Quindici, sedici anni ? Troppi e troppi pochi. Alla sua età lui aveva già perso il proprio cuore e tutte le persone che gli erano care. In un certo senso gli ricordava della sorella. Anche lei era sempre allegra: non importava cosa stesse accadendo, cosa stessero passando, lei era sempre lì, pronta ad ironizzare su tutto, il sorriso sulle labbra. Solo ora si era reso conto di quanto doveva essere stata infelice, di come, esattamente come stava facendo lui adesso per Vanessa, doveva aver indossato un maschera di letizia per lui, per non farlo affondare in quel baratro di disperazione e solitudine in cui lei era già annegata da tempo. E lui stupido non aveva capito. Lui non aveva capito niente di come si sentisse sua sorella. Era stato un idiota. Se soltanto le cose fossero andate diversamente, se solo lei non fosse stata costretta a sposarsi, allora, allora, forse, lui sarebbe stato ancora in grado di definirsi un essere umano.

    Ich vermisse dich

    Sentì il corpo di Vanessa stringersi verso il proprio fianco, stringersi accanto a lui, come se volesse confortarlo, come se anche lei volesse che quel legame creatosi tra loro non si spezzasse, come se anche lei avesse bisogno di quel calore che, nonostante quello del giovane non potesse essere che fittizio agli occhi dello stesso, scorreva tra loro.

    -Ingwe...-

    Le nocche gli diventarono bianche per la forza con cui strinse la mano di Vanessa. Non poteva lasciarla andare, voleva averla a suo fianco, voleva sentire quel calore.

    Ancora un po’, ti prego.
    Ancora pochi secondi.


    Era debole. Non riusciva a resistere da solo, non riusciva ad essere un sostegno per gli altri. Era un’idiota. Inutile. Solo un peso per gli altri.

    -Sì ?-
    -Io ti voglio bene. Puoi dirmi cosa ti fa star così male? Se me lo dici, starai meglio.-


    No, non poteva. Non poteva farlo. Non poteva fare affidamento su di lei, non in quel momento. Non quando era lei a necessitare di un aiuto. Lui semplicemente non poteva. Non dopo che l’aveva ridotta così. La guardò negli occhi, osservò il sorriso sincero che le aveva incurvato le labbra. Vedeva tutte le buone intenzioni che si celavano dietro agli occhi chiari, dietro a quegli occhi che ogni tanto sfarfallavano di viola. Non poteva, non voleva distruggerla, trascinarla nel luogo dove lui stava annegando. Aveva deciso di indossare una maschera, di fare una recita con lei, di tentare di essere quel cavaliere in armatura scintillante che non sarebbe mai diventato. Non poteva lasciare che la maschera cadesse così facilmente, non dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per indossarla. Voleva vederla felice. Voleva poter rimediare a i propri errori, alla distruzione che lui aveva involontariamente portato. Era stanco.

    -Vanessa, se ti dico che va tutto bene allora ciò vuol dire che va realmente tutto bene, ok ? Ora, per favore, ti prego, smettitela di chiedermi se sto male. E’ un favore che ti chiedo da amico. Ti prego.-

    L’aveva detto con tono fermo eppure implorante. Era brutto doverle mentire, soprattutto quando lei si preoccupava veramente per lui. Era brutto, si sentiva in colpa. Forse era stato un po’ duro, però era necessario, non voleva dover continuare a mentire, non poteva, perché lui, in un angolo della sua anima, lui voleva cedere. Lui voleva poter sfogarsi con lei, poter piangere sulla sua spalla e ogni volta che lei gli chiedeva come stava la tentazione cresceva. Tuttavia doveva trattenersi. Doveva essere forte, doveva lasciare che fosse lei a piangere e sfogarsi. Non poteva, non voleva caricarla con altri pesi, ammettere di provare un forte senso di colpa per ciò che era accaduto nel tunnel. Non voleva rivangare quel dolore ancora fresco che vedeva impregnare la figura della ragazza. Non voleva mettere il dito nella piaga, riaprire ferite non ancora cicatrizzate. Non sarebbe stato giusto.
    Lentamente, tenendola stretta per mano tornò ad avviarsi verso il parco. Glielo doveva. Doveva almeno portare a termine questa sua ultima promessa. Per lei, ma soprattutto per se stesso. Doveva riuscire ad attenuare quella morsa che gli stringeva l’anima, quel senso di colpa che lo stava rodendo dall’interno. Le aveva fatto giuramento e ne aveva già infranta una metà. Non poteva lasciare che anche l’ultimo rimasuglio di quel loro legame scomparisse, che l’ultimo desiderio della bambina andasse sprecato. Era suo dovere fare in modo che ciò non accadesse. Era suo dovere fare in modo che il calore nel cuore della ragazza non si spegnesse.

    CITAZIONE
    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima.[Passiva Inferiore]

     
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  11. Vanessa Galatea
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    Ingwe mi strinse forte a se, chiuse con forza la propria mano attorno alla mia, gesto che ricambiai. Lentamente, il calore che poco prima avevo dissolto nell'aria stava tornando: in netto contrasto con l'aria fresca dell'alba, il morbido tepore si diffuse attorno a noi due, come ad avvolgere entrambi. Era una sensazione meravigliosa, avrei fatto di tutto pur di non perderla di nuovo. Passo dopo passo, ci dirigevamo verso quello slargo dove Ingwe mi avrebbe insegnato a volare... Ironico che, in fondo, non contasse più molto, ormai. Lo stocco era tornato nel suo fodero: ogni volta che maneggiavo quell'arma, sentivo come se Mamma fosse ancora con me, al mio fianco, a farmi da insegnante di scherma, a rassicurarmi... A volermi bene. E sembrava quasi come non fosse l'unica, lì, in quell'arma; come era possibile che il Cuore maledetto di un aggressore incappucciato potesse darmi una simile sensazione?! Eppure era così, quasi come se entrambi i Cuori mi trasmettessero lo stesso sentimento... Quante volte mamma mi aveva ripetuto che mi voleva bene, quante... A volte, neanche le prestavo attenzione, mentre lo diceva, ed ognuno di quei ricordi era come trapassarmi il cuore con il mio stesso stocco, più e più volte. Quello che lei mi trasmetteva era Amore, e quell'Amore...
    Era caldo, tiepido, piacevole, avvolgente, morbido e comodo. Possibile che Ingwe...
    "Vanessa, se ti dico che va tutto bene allora ciò vuol dire che va realmente tutto bene, ok ? Ora, per favore, ti prego, smettila di chiedermi se sto male. E’ un favore che ti chiedo da amico. Ti prego." Parlò fermamente, così che le sue parole mi rimasero impresse in mente per il periodo immediatamente successivo, che trascorsi in silenzio... "Da amico." Forse era quello che era, quel calore, se non si trattava di Amore: Amicizia. Sempre che l'Amicizia non fosse ella stessa un tipo di Amore... Così complicato, difficile da comprendere appieno, come sentimento; mi sarei sforzata, ma in quel momento non riuscii a districarne i misteri, ero troppo occupata a pensare ad Ingwe. Non voleva che gli chiedessi se c'era qualcosa che non andava... Forse soffriva troppo per parlarne, forse era troppo timido per farne parola... Forse, ancora, non era afflitto da nulla. Ne dubitavo, qualcuno senza pensieri non si comporta così, non come si era, invece, mostrato Ingwe. Sapevo che avrei potuto alleggerire il peso che si portava sulle spalle, se solo ne avesse rivelato l'esistenza, ma non volevo neanche insistere, se questo mio atteggiamento lo faceva soffrire... Volevo solo che stesse bene, non era mia intenzione rischiare di farlo sentire peggio, dunque non replicai. Sorrisi. Perché un sorriso fa sempre bene all'animo, fa sempre bene al Cuore.
    "Ok!"
    Lo fissai dolcemente negli occhi, mentre sorridevo. Sì, in quegli specchi d'acqua smeraldini, così profondi, grandi... e belli. Mi distolse dal tuffarmi nel suo sguardo il fatto che avessimo ricominciato a muoverci, camminando lentamente. Camminammo vicini, per mano, ancora avvolti da quel calore che, per quella volta, non aveva fatto scherzi e non era fuggito, beffardo, lasciandoci nel freddo. Piano piano ci avvicinavamo al luogo dove Ingwe mi avrebbe insegnato a volare... Cosa completamente irrilevante in quel momento. Perché mi sarebbe dovuta interessare una cosa simile quando sapevo che il ragazzo con cui mi tenevo per mano stava soffrendo? Volevo che si sentisse meglio, la mia priorità assoluta era quella. Perché se lui stesse meglio, anche io sarei stata meglio... Egoismo? No... Era quello che pensavo fosse Amicizia, anche se mi sembrava decisamente strano che quello che provavo si potesse riflettere in una parola così poco profonda, rispetto ad Amore... Ma anche definirlo Amore sembrava affrettato, avventato... Cos'era allora? Un'altra domanda che poteva attendere, mentre tentavo di far star meglio Ingwe. Mi rivolsi al ragazzo dagli occhi smeraldini con aria interrogativa, ma sempre con fare allegro: se l'allegria era davvero contagiosa, come spesso avevo sentito dire, l'avrei adoperata fino alla fine per alleviare le pene di Ingwe! Anche se non era come mi sentivo in quel momento, anche se ero ancora ferita dalle piaghe aperte della guerra, sia in un senso che nell'altro, ero ben felice di fingere... Cosa che, effettivamente, non mi rendeva una bugiarda.
    "Ingwe, come mai tu riesci a volare? Non ho mai visto nessuno farlo, oltre te..."
    Un po' di quella curiosità era addirittura genuina, una parte di me era davvero curiosa di sapere questo.

     
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    Il sorriso che comparve sul volto della ragazza fu spontaneo, sincero. Non era come i suoi che sembravano essere sempre tirati e innaturali, quelli di Vanessa erano puri e vibranti di vita. I sorrisi della giovane erano caldi e pieni di speranza, pieni di quella luce che in lei lottava con così tanta forza, di quella luce che sembrava avvolgerla ogni singolo istante. D’istinto sorrise anche lui cercando e tentando di ispirare conforto nella ragazza che gli stava accanto. Era un costante dualismo quello che regnava in lui: mentre da una parte tentava di trovare un appiglio a cui aggrapparsi, qualcuno che gli prendesse la mano in modo da indicargli la giusta strada, dall’altra era lui quello che non voleva pesare al prossimo, che non voleva essere salvato in quanto credeva di essere un fardello, un essere inutile che non aveva fatto altro che portare disgrazie a coloro che lo circondavano. Era pieno di amarezza e rimorso e, nonostante volesse riuscire a riscattarsi, nonostante volesse davvero diventare un altro, nel suo profondo era convinto che non ci sarebbe mai riuscito e questo suo pensiero, questa sua certezza lo torturava. In fondo tutto quello che aveva mostrato agli altri non era che un bluff, giusto ? Nella sua mente sospirò, stando quanto più attento possibile a non far trapelare le proprie emozioni. Ringraziava Vanessa per quello che gli stava dando, per quella felicità momentanea che, grazie a lei, stava provando in quel momento. Se si fosse potuto liberare anche solo per un attimo di tutte quelle sue angosce, di quel rimorso che gli serrava la gola in un moto nauseabondo, allora sarebbe stato felice. In un certo senso avrebbe davvero voluto non avere più tutti quei ricordi dolorosi che lo costringevano a subire le impronte delle sue vecchie emozioni.

    My bravery has cracked and now I find myself, afraid, surrender into the night
    My knees held to my chest, I look to the ground, and then my world is filled with so much fright.

    Sarebbe stato bello, davvero meraviglioso, ma la sua natura era quella, lui non riusciva a dimenticare le cose. Poteva metterle da parte per un po’ di tempo, nascondere a se stesso e alla sua memoria certi fatti, ma prima o poi tornavano tutti a galla. Era sempre stato così e lui aveva sopportato. Aveva convissuto con tutte le terribili memorie del suo passato, aveva tentato di nasconderle, di portare alla quanti più ricordi piacevoli avesse e di abbandonarsi ad essi, crogiolandosi nella speranza che gli davano, ma quest’ultimi erano troppo pochi, erano troppo deboli. Per qualche mese era riuscito nel suo intento, arrivando ad essere più solare, più determinato, meno vittima del destino e di se stesso, ma la battaglia aveva riportato alla luce tutto ciò che aveva sperato di essere riuscito a sotterrare. Aveva imparato che se si lavorava abbastanza a lungo la bugia diventava realtà e la maschera che si portava in volto diventava il proprio vero viso. Tuttavia una menzogna resta sempre tale e basta poco per smantellare quella falsa sensazione di sicurezza che dà credere di averla resa reale. Osservò Vanessa negli occhi, in quegli occhi chiari e grandi, puri e sinceri, in quegli occhi che, al contrario dei suoi, non erano perennemente offuscati dal dolore e dall’autocommiserazione.
    -Ok!-
    Dal profondo del proprio spirito la ringraziò silenziosamente. Le era sinceramente grato del fatto che non tentasse di indagare oltre, che non tentasse di fargli affrontare a volto aperto i propri ricordi. Quello era uno scontro che avrebbe tentato di rimandare il più possibile. Sapeva che non ne sarebbe stato capace, sapeva che ne sarebbe uscito sconfitto. Con lentezza tornarono a camminare, mano nella mano, il calore che tanto aveva bramato ad avvolgerli. Per ora gli bastava questo, quella tiepida sensazione che fremeva leggera all’interno del suo petto era abbastanza. In quel mondo di solitudine e dolore, in quell’abisso freddo ed oscuro nel quale era caduto quel calore era più di quanto avrebbe mai potuto sperare. Forse non se lo meritava, forse non era degno di riceverlo, ma per lui quella tenera carezza era tutto.

    What does a crumbled heart discover in a cold and dark and silent world of ruin?
    Forever searching for a friend or someone to stop this perpetual repetition
    Among shadows the sadness shows a silhouette of one who's crying out and all alone
    A lonely heart broken from the start
    I reach for your hand so we'll never be apart.

    Ancora una volta la sua mano si strinse attorno a quella della giovane. Non voleva lasciarla, voleva che tutto quello continuasse per sempre, che quel calore inebriante continuasse a tenerli legati ancora a lungo. Ancora camminando chiuse gli occhi, tentando di incastonare per sempre nella mente quella sensazione, quel tocco caldo che lo rasserenava, dandogli quello che per tanto aveva cercato. In un certo senso si era reso conto che non avrebbe mai voluto abbandonare Vanessa, che avrebbe voluto rimanere per sempre vicino a lei. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in quello che pensava, in quello che i suoi ricordi gli facevano credere di avere ancora. Lui non poteva più provare sentimenti, lo aveva capito tempo prima. Sì, sperava di poter tornare, un giorno, ad essere quello che era un tempo, ma per il momento non poteva. Non poteva. Semplicemente non poteva. Dare corda a quelle illusioni sarebbe stato come prendere in giro sia se stesso che la giovane al suo fianco. Era qualcosa che in realtà non derivava dal suo cuore, ma dai suoi ricordi, dalla somiglianza che il carattere di quella ragazza aveva con quello di sua sorella. Non poteva. Sarebbe stato semplicemente ridicolo, lui non riusciva a provare sentimenti, non poteva illuderla per poi distruggerne i sogni con brutalità, semplicemente non sarebbe stato giusto. Non voleva diventare quel tipo di persona, non poteva dare campo libero alle proprie illusioni, non poteva trascinarcela dentro. L’unico modo in cui avrebbe potuto vederla per il momento sarebbe stata l’amicizia. Niente di più, niente di meno. Pura semplice amicizia priva di una qualsiasi complicazione.
    -Ingwe, come mai tu riesci a volare? Non ho mai visto nessuno farlo, oltre te...-
    Con sollievo ringraziò tutti gli dei che esistessero o meno di aver interrotto quel flusso di pensieri. In realtà, fino a quel momento non aveva mai pensato a come spiegare come volare a Vanessa, in realtà non sapeva nemmeno da dove iniziare, il che era un problema considerando che aveva promesso di insegnarglielo. Imbarazzato si grattò le lentiggini sul lato del naso con la destra, pensando a come rendersi comprensibile e, soprattutto, a come spiegare quel processo delicato alla sua momentanea allieva.
    -Beh, devo essere sincero, per me il volo è sempre risultato stranamente naturale, quindi ho raramente avuto modo di pensare alle esatte meccaniche che stanno dietro a questa magia; tuttavia un po’ di cose te le posso spiegare-
    Lentamente riprese fiato tentando di riordinare le idee.
    -In poche parole, per renderla semplice, il metodo che utilizzo io consiste nello spostare la gravità che mi trattiene a terra in una determinata direzione e di toglierla del tutto attorno al mio corpo in modo da garantirmi libertà di movimento. Ora, ci tengo a specificare che queste determinate sequenze magiche non annullano totalmente gli effetti della gravità del pianeta in cui mi trovo, né, tantomeno, rendono più facili o veloci i miei movimenti, è solo che, tramite il controllo della mia energia spirituale, riesco a creare delle sorta di punti che attraggono il mio corpo e lo respingono in una determinata direzione riuscendo in tal modo a spostarmi attraverso l’aria. Grossolanamente è questo il metodo che uso…-
    Il concetto non era proprio esatto, non si trattava infatti di controllare gravità o la fisica del pianeta, solo di costruire attorno a sé dei punti in grado di respingere o attirare il suo corpo, senza però influenzare la gravità a cui era legato. Era un processo complicato solo in teoria, infatti, anche si basava su un delicato equilibrio di propulsione magica e coordinate tridimensionali, il metterlo in pratica una volta capito come funzionava era naturale e non ci si pensava nemmeno più. Dopo un secondo o due di silenzio guardò la ragazza di sottecchi cercando di capire se era necessario spiegare qualcos’altro. Sapeva di averle fatto un discorso complicato, ma se voleva imparare a volare doveva almeno sapere le basi, certo, quello che lui usava non era l’unico metodo, da Failariel aveva capito che, più o meno, nel suo pianeta natale erano conosciuti una cinquantina di metodi utilizzabili per gestire il volo i quali a potevano essere divisi in tre categorie principali: la prima, nonché la più semplice era quella che comprendeva gli incantesimi che permettevano di utilizzare la propria essenza magica, la seconda comprendeva i metodi che permettevano di utilizzare il proprio corpo o, dopo averla convertita in un mezzo di propulsione utilizzabile per volare, la propria energia fisica e la terza, invece, comprendeva quelli che, non solo a suo parere, erano i metodi più complicati, ovvero quelli che consistevano nell’utilizzare i poteri della propria mente per levitare. Com’era ovvio la maggioranza dei maghi del suo pianeta utilizzava gli incantesimi racchiusi nella prima categoria, quella basata sull’essenza, i quali consentivano anche la più completa mobilità e possibilità di manovra, mentre gli incantesimi delle altre due categorie, dopo l’iniziale scoperta erano caduti lentamente in disuso ed oramai erano solo utilizzati da maghi specializzati in determinate branche magiche. Certo, era improbabile che tutto ciò interessasse a Vanessa, ma forse, prima di insegnarle a volare lui avrebbe dovuto capire in quale delle tre branche magiche che conosceva era più naturalmente predisposta. Era strano, ma sentiva che le sorprese non sarebbero mancate.

    CITAZIONE
    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima.[Passiva Inferiore]

     
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  13. Vanessa Galatea
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    Ingwe sembrò risollevarsi, almeno di poco. Mi guardò negli occhi, mentre sorridevo, e mi parve di cogliere nei suoi una scintilla, un barlume di felicità. Fui contenta di essere riuscita, anche se di poco, forse, a far sì che Ingwe si sentisse un po' meglio. Fece star bene anche me. Continuammo a camminare verso la piazzetta: pian piano, la strada si faceva sempre meno fredda, riscaldata dall'alba; fino a quel momento, da scalza, non era stato così piacevole, e quel calore materiale si mescolava con quello che circondava me ed Ingwe, alimentato da noi stessi. Era una sensazione piacevole, che offuscò il contorno menomato dalla guerra, facendomi sentire stranamente calma e felice. Stranamente per una situazione come quella... Ma cosa creava quel tepore? L'Amicizia di Ingwe che, come il sole dell'alba, rischiarava i dintorni dall'interno, influendo radicalmente sul mio modo di vedere il mondo, cambiandolo. Lo stocco, nel suo fodero, tintinnava sporadicamente, appeso al mio fianco, mentre continuavamo a camminare mano nella mano, con Ingwe che di nuovo rafforzava la stretta, come se potesse perdermi. Ed io che ricambiavo. Sempre. Alla mia domanda, il ragazzo dagli occhi smeraldini sembrò sollevato... Forse lo era perché avevo cambiato discorso? Mi rispose imbarazzato, grattandosi il viso, probabilmente non sapendo come spiegarmi una cosa come Il Volo, cosa che, lo ammetto, mi fece scappare una piccola risata:
    "Beh, devo essere sincero, per me il volo è sempre risultato stranamente naturale, quindi ho raramente avuto modo di pensare alle esatte meccaniche che stanno dietro a questa magia; tuttavia un po’ di cose te le posso spiegare"
    Poi fece una piccola pausa, forse per riorganizzare le idee, mentre io mi chiedevo quanto doveva essere bravo, Ingwe, a volare... Per neanche porsi certe domande, mentre ci si libra dal suolo, doveva essere un mago eccezionale! Forse "mago" non era esattamente il termine adatto, ma fu quello che invase i miei pensieri. Forse per lui la cosa veniva naturale come per me la scherma! Forse non era un gesto così meccanico da richiedere conoscenze tecniche! La curiosità mi assalì, in maniera legittima, mentre pendevo dalle labbra di Ingwe, che ancora raccontavano come funzionasse Il Volo:
    "In poche parole, per renderla semplice, il metodo che utilizzo io consiste nello spostare la gravità che mi trattiene a terra in una determinata direzione e di toglierla del tutto attorno al mio corpo in modo da garantirmi libertà di movimento. Ora, ci tengo a specificare che queste determinate sequenze magiche non annullano totalmente gli effetti della gravità del pianeta in cui mi trovo, né, tantomeno, rendono più facili o veloci i miei movimenti, è solo che, tramite il controllo della mia energia spirituale, riesco a creare delle sorta di punti che attraggono il mio corpo e lo respingono in una determinata direzione riuscendo in tal modo a spostarmi attraverso l’aria. Grossolanamente è questo il metodo che uso…"
    Come mi aspettavo, non si trattava di qualcosa di semplice: il solo inizio del discorso di Ingwe me lo fece intuire. "In poche parole, per renderla semplice..." Quell'affermazione implicava forzatamente che la cosa non era semplice. Spostare la gravità, creare punti d'attrazione... La mia mente prendeva appunti, mentre sul mio viso si tingeva un'espressione al contempo curiosa ed interrogativa. Sì, perché in realtà non c'avevo capito molto... Istintivamente, alla fine del discorso di Ingwe, annuii e tentai di fare un rapido riassunto delle nozioni impartite dal mio Maestro di Volo, fallendo.
    "Sembra piuttosto complicato... Non so se sarò mai capace di spostare la gravità, o simili: so a malapena che la Magia esiste, figurati usarla... Forse è troppo difficile per me."
    E, questa volta, era un'affermazione sincera. Non un banale tentativo di attirare l'attenzione, di essere coccolata... Continuavamo a camminare, mentre ancora mi chiedevo come avrei potuto fare qualcosa di simile, qualcosa di così Magico... Sapevo combattere con la spada, forse era davvero l'unica cosa che sapevo fare bene, e dubitavo che sarei mai riuscita ad imparare qualcosa di così complesso. Gli uccelli, le farfalle, gli insetti: loro volavano con il proprio corpo, sbattendo le ali, muovendo muscoli. Se avessi potuto fare qualcosa di simile, sarebbe stato decisamente più facile... C'era un unico intoppo. C'era una lieve mancanza di ali sulla mia schiena... La cosa mi instillò in testa una domanda: e se potessi creare delle ali? Aprii la bocca come per porre la domanda ad Ingwe, ma decisi che non era il caso di chiedergli qualcosa di simile in quel momento. Poteva essere solo una fantasia, un folle capriccio della mia mente, non sapevo neanche se qualcosa di simile fosse possibile.
    "Sei sicuro che tutte le persone possano imparare a volare, Ingwe? Sei sicuro che, magari, ad alcuni come me, non si possa insegnare?"

     
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    Nel vedere l’espressione confusa dipingersi sul volto della ragazza al suo fianco il giovane sorrise. Non era stupito dal fatto che non riuscisse a comprendere i meccanismi che si trovavano dietro al volo. Ammetteva che il concetto e l’argomento erano piuttosto complicati, anche lui aveva penato molto per riuscire ad afferrare tutte le sfumature del metodo che Failariel all’epoca stava tentando di insegnargli, ma, in realtà, la complessità che si celava dietro a quei meccanismi era apparente, non reale. Quando ci si alzava in volo per la prima volta, quando si sentiva l’aria fredda accarezzare il volto, il corpo libero dai vincoli che lo legavano a terra, quando si acquisiva la consapevolezza di poter arrivare in luoghi dove difficilmente degli umani qualunque sarebbero potuti arrivare allora il tutto diventava perfettamente naturale, come se si fosse nati per compiere quelle azioni. Si ricordava ancora perfettamente la prima volta che aveva volato, era stato così bello tornare a sentire qualcosa dopo così tanto tempo. Poter tornare a sentire quel tenero battito pulsargli nel petto ancora una volta.

    The feelings I kept deep inside
    Are now screaming at the top of their lungs
    Trying to voice our now infinite vow.


    Si era sentito libero, si era sentito più vivo di quanto fosse mai stato in vita sua. Aveva continuato a volare per ore acquistando sempre maggiore agilità e naturalezza. Sì, era quella la libertà, la felicità, tutto quello a cui aveva aspirato mentre era ancora rinchiuso in quella prigione dorata. In poche tempo sopraggiunse la notte, non che là a Nord ci fossero così tante ore di luce durante il giorno, ma quella volta sembrò che fossero passati pochi secondi invece che tantissimi minuti. Failariel se ne era andata diverso tempo prima sorridendo e borbottando tra sé e sé e lui era rimasto solo. Senza farsi attendere l’Aurora spuntò nel cielo, puntuale come sempre. Un fruscio dal suono ultraterreno iniziò a scorrere attorno a lui: era come se un’intera orchestra di strumenti a corda e a fiato si fosse data appuntamento lì. Lo spettacolo che lo avvolgeva era qualcosa di unico, di irripetibile, qualcosa di così enorme che sembrava riempire il firmamento nella sua totalità. Era impossibile vederla nella sua interezza. Delle enormi cortine rimanevano sospese in aria, tremando a metà strada tra cielo e terra. Verde pallido, infinite sfumature di rosa, all’estremità inferiore un oro tenue, instabile e fragile, trasparente a momenti, danzava sul bordo di quel torrente di luce. Ruscelli e veli si rincorrevano in un balletto senza sosta, trascinati dall’impeto di venti invisibili. Era una visione così bella, un gioco di bagliori ed ombre così meraviglioso che doveva appartenere per forza ad un altro mondo, ad un paradiso lontano da quella terra. Era lì, di fronte a lui. La neve bianca risplendeva lucente sotto a quello spettacolo della natura, sembrava che l’intero mondo si stesse orchestrando per offrirgli quelle meraviglie. Pieno di felicità iniziò ad accelerare spingendosi verso l’alto, allontanandosi dai rami incrostati di neve dei pini, dalla terreno gelato, cercando di arrivare abbastanza in alto da toccare quel paradiso che si spiegava davanti ai suoi occhi.

    -Sembra piuttosto complicato... Non so se sarò mai capace di spostare la gravità, o simili: so a malapena che la Magia esiste, figurati usarla... Forse è troppo difficile per me. -

    D’istinto il ragazzo sorrise. Era così tenero il fatto che si preoccupasse di non poter riuscire a volare. In realtà, teoricamente, quasi tutti gli esseri viventi dotati di intelletto dovrebbero essere in grado di compiere quel gesto, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi. Se andava a ripescare nella sua memoria quando la vecchia gli aveva accennato l’esistenza della possibilità di volare non gli era nemmeno passato per la mente il dubbio di non poterci riuscire, anzi, era stato piuttosto sicuro di sé considerando quanto poco ancora conoscesse della magia in quel periodo. Ancora si ricordava quanto tempo aveva impiegato per convincerla ad insegnargli il metodo, ma alla fine, dopo settimane e settimane di suppliche era riuscito a farla cedere. Era strano pensare che adesso era lui quello che avrebbe dovuto spiegare questa tecnica a qualcun altro. Non che avesse scelto di farlo di propria iniziativa: come dire, quando aveva promesso a Vanessa che l’avrebbe accontentata, la situazione era quella che era e non è che avesse molte altre opzioni… Non se ne pentiva, sia chiaro, anzi, pensava che dopotutto, considerando le sue intenzioni, quello era stato un buon compromesso, ma poi tutto quello per cui aveva lottato era svanito, dissolvendosi in aria in meno di un secondo. Rimaneva solo quello. In quel momento rimaneva solo quella promessa, quella stupida, folle promessa che le aveva fatto. Doveva mantenerla; almeno quella.

    - Sei sicuro che tutte le persone possano imparare a volare, Ingwe? Sei sicuro che, magari, ad alcuni come me, non si possa insegnare? -

    Di fronte a quest’ultima frase il ragazzo iniziò a ridere di gusto: era davvero tenera quella sua insicurezza. In un certo senso gli sembrava di rivedere l’innocenza che fino a pochi giorni prima permeava l’intera figura di Vanessa. Era felice di poter avere finalmente qualche minuto di spensieratezza. Già si immaginava la frustrazione e il broncio epico che dovevano aver fatto capolino sul volto della ragazza di fronte a quella sua reazione.

    -Scusami, scusami.- Tra una risata e l’altra finalmente riuscì a inframmezzare delle parole. -In ogni caso, tutti quanti gli esseri umano dovrebbero essere in grado di volare, quindi non preoccuparti per questo.- Finalmente, dopo quasi trenta secondi ininterrotti di risate riuscì a smettere. Aveva i crampi alla pancia e le guance gli facevano un male cane. Velocemente riuscì a recuperare la propria compostezza e serietà. -Il problema più che altro è che comunque tu non conosci niente di magia, giusto ?- In silenzio continuò a camminare riflettendo sul da farsi. Certo, il problema non era tanto quello che senza conoscere la magia il volo sarebbe potuto essere difficile, esistevano così tanti modi che si basavano sulla forza fisica per volare che il problema nemmeno si presentava. il punto era che lui, sebbene in teoria sapesse come funzionassero, non avrebbe potuto dire altro a Vanessa se non le sue conoscenze teoriche sull’argomento. Certo, una volta che avesse iniziato a volare avrebbe potuto aiutarla a gestirsi, ma per il resto avrebbe dovuto fare quasi tutto da sola. -Beh, in realtà non è che si tratti di un vero e proprio problema: esistono anche metodi che non si basano sulla magia per volare, come ad esempio creare delle sorta di ali di “energia” e molti altri che non sto ad elencare perché si farebbe ora di pranzo prima di finire…- Finalmente erano arrivati al parco in cui sperava di stare al riparo da occhi indiscreti. Con lentezza si girò verso la ragazza, guardandola attentamente. -Quindi, se non ti senti sicura di usare la magia vera e propria potremmo utilizzare qualche metodo “alternativo”, che ne dici ?-

    CITAZIONE
    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima.[Passiva Inferiore]

     
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  15. Vanessa Galatea
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    Appena resi Ingwe consapevole delle mie insicurezze, egli scoppiò a ridere di gusto. Non capii perché avesse avuto una reazione simile, cosa che mi lasciò anche abbastanza spiazzata per una manciata di secondi, ma poi vidi il sorriso ridente e sincero sul volto di Ingwe: realizzai che, fino a quel momento, almeno per quello che ricordavo, non l'avevo mai visto così... Quella mattina, perché ormai tale s'era fatta, avevo potuto osservare due estremi, due antipodi fra le reazioni del ragazzo: come due facce di una moneta, avevo visto la felicità subentrare sul dolore palese. Come erano contrapposte queste reazioni, lo erano le sensazioni che provavo io: la risata di Ingwe si rivelò contagiosa per la mia anima, che subito si sentì corroborata dalla gioia manifesta del ragazzo. Mi sentii anch'io sollevata dal peso del paesaggio circostante, lambito dalle ferite della guerra, e provai finalmente sollievo. Come se mi fossi librata improvvisamente nell'aria, come se stessi volando, senza magia, solo con l'allegria di Ingwe. Se una scena simile si fosse palesata prima degli eventi del tunnel, prima dell'assedio, prima di quello tsunami d'orrore che aveva alluvionato la mia vita, mi sarei imbronciata, mi sarei presa in giro dalla sua risata ed avrei preteso che mi trattasse seriamente, puntando a terra i piedi. Non me ne accorgevo, ero troppo occupata a ridere assieme ad Ingwe... Un momento così, non capitava da quello che sembrava un'infinità... E chissà se mi sarebbe mai più capitato? Risi assieme al ragazzo dagli occhi smeraldini, ora lievemente velati di buone lacrime, quelle della risata, quelle che uno è felice di versare. Risi assieme a lui, senza apparente motivo, siccome l'unico a conoscerlo era proprio Ingwe, rischiando di fare la figura della stupida, di quella che ride senza motivo e ride perché qualcuno l'ha presa in giro. Non mi sentivo preda di beffe, comunque: la risata di Ingwe fu talmente vera, talmente genuina, da lasciarmi libera da ogni dubbio. Smisi di ridere, ad un certo punto, mentre il ragazzo ancora si lasciava andare, e lo osservai, sorridendo divertita, mentre cercava di spiccicare parola tra un gemito ed un altro, colto ogni volta dal riso. Mi asciugai le lacrime dagli occhi, le stesse che erano apparse nei profondi smeraldi di Ingwe, mentre ancora sorridevo.
    Con un po' di sforzo, alla fine, il ragazzo riuscì a parlare, sempre cercando spazio nei polmoni ed annaspando in un mare di risate: "Scusami, scusami."
    Si lasciò andare ad ancora un po' di risate e poi cominciò a calmarsi per rispondermi: "In ogni caso, tutti quanti gli esseri umani dovrebbero essere in grado di volare, quindi non preoccuparti per questo."
    Riuscendo a domare finalmente le risate, Ingwe continuò a parlare, mentre io lo ascoltavo con attenzione, quasi come si ascolta un maestro... Beh, forse avrei potuto in quel momento definire Ingwe il mio "Maestro di Volo". Pendevo completamente dalle sue labbra: "Il problema più che altro è che comunque tu non conosci niente di magia, giusto ?"
    "Giusto..." risposi, mentre ancora esultavo mentalmente per le informazioni che avevo appena appreso: ogni essere umano era teoricamente capace di volare? Davvero? Quindi chiunque con una buona istruzione avrebbe potuto imparare? Era una bella notizia che s'aggiunse alla felicità complessiva accumulata durante il bel momento passato con Ingwe. Mille domande mi tempestarono la testa: se ogni essere umano potrebbe teoricamente imparare a volare, secondo quale principio ciò è possibile? Si può insegnare anche ad un animale a volare? Tutte domande che decisi di non porre al mio Maestro di Volo, perché troppo assorta nell'argomento che, nel frattempo, quest'ultimo stava snocciolando: "Beh, in realtà non è che si tratti di un vero e proprio problema: esistono anche metodi che non si basano sulla magia per volare, come ad esempio creare delle sorta di ali di “energia” e molti altri che non sto ad elencare perché si farebbe ora di pranzo prima di finire…"
    Wow... Quindi la mia inesperienza con la Magia s'era rivelata un ostacolo inutile? Altre buone notizie, compresa quella che confermava la mia teoria di poco prima: avrei potuto creare delle ali per volare! Ali d'Energia... La sola idea mi fece sorridere: chi non ha mai sognato di volare in vita sua? Io, di certo, l'avevo fatto, e di lì a poco, se mi fossi dimostrata un'alunna all'altezza, quel sogno sarebbe diventato realtà! Tutti questi pensieri e queste fantasie mi colsero a tal punto da non farmi notare che eravamo giunti nella piazza di cui aveva parlato Ingwe. Quest'ultimo si girò verso di me e parlò ancora: "Quindi, se non ti senti sicura di usare la magia vera e propria potremmo utilizzare qualche metodo “alternativo”, che ne dici ?"
    A quella domanda, non potei far altro che annuire entusiasta: tutte le preoccupazioni, i dolori e la sofferenza che avevo provato fino a quel momento sembravano essere scomparsi, sostituiti da una felicità calda ed accogliente. Forse temporanea; nel caso lo fosse stata, avrei dovuto crogiolarmici il più possibile. Quella sensazione era di certo provocata da qualcosa, ma, in quel momento, non seppi distinguere se dal fatto che stessi per volare... O dal fatto che sarebbe stato Ingwe ad insegnarmelo.
    "Certo! Non vedo l'ora di cominciare con quelle "ali d'energia" ! "

     
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