Sipario d'Ombra ~ Dietro le quinte

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    La Highwind sfrecciava tra le stelle ormai da un paio d'ore. La gummiship rossa e oro, da sempre fidata compagna di viaggio di Sora, Paperino e Pippo, quel giorno scortava lui. Lui, il guerriero dell'alba. Lui, che aveva sempre operato nell'ombra, che si era sempre confuso tra le illusioni del Crepuscolo. Lui, che mai era stato davvero protagonista. Lui che era così diverso da Sora, lui che era così lontano dalla definizione di “eroe”.
    E Riku, di fatti, si sentiva a disagio. Non tanto per la pressione; era abituato ad avere sulle spalle grandi responsabilità. E non era neanche per la destinazione; un mondo con cui ormai era piuttosto affine, nel bene e nel male. No, non era per questo. Che fosse...


    himl


    Si agitò sul sedile del conducente, sbirciando di soppiatto i tre mercenari seduti dietro di lui. Sì. Sì, doveva essere per loro. Era la presenza di altre persone che distingueva quella missione dalle altre. Prima d'allora, il custode della Via per l'Alba non si era mai dovuto preoccupare di “badare” anche a dei compagni. L'unico ad aver mai condiviso con lui le sue avventure era stato Re Topolino, che, senza dubbio, sapeva badare a se stesso. Ma adesso... Chi gli diceva che quei tre non gli sarebbero stati più d'impiccio che d'aiuto? Chi gli diceva che la missione non sarebbe potuta rimanere compromessa per una leggerezza di uno di quei tre?
    Inspirò, tornando a volgere lo sguardo davanti a sé, verso lo spazio aperto. Doveva stare tranquillo. Quei mercenari erano stati scelti e contattati dal Re in persona. Non fidarsi di loro voleva dire non fidarsi del Re. E lui si fidava di Topolino.
    Strinse con forza i comandi. Certo, l'apparenza non l'aiutava a liberarsi dei pregiudizi. L'omone scapigliato e la guerriera con la cicatrice sembravano sapere il fatto loro, ma la biondina in minigonna sembrava un po' fuori posto.
    Strinse i denti e chiuse per un attimo gli occhi, cercando di rilassarsi. Sarebbe andato tutto bene. Non c'era motivo di preoccuparsi. L'operazione era segreta, l'Ordine non aveva modo di sapere che si sarebbero diretti lì, così come non aveva modo di sapere “perché” avrebbero dovuto farlo. Il Mondo dell'Oscurità era pericoloso, è vero... ma nulla che potesse impensierirlo, non più.


    Sarà come tornare da un vecchio amico. Un perverso, pericolosissimo amico.


    C'era silenzio, sulla nave. C'era tensione. Non li biasimava. Nessuno, tranne lui, sapeva a cosa stessero andando incontro. Per l'immaginario di quei mercenari, probabilmente, il Mondo dell'Oscurità era più temibile dell'inferno stesso. E in un certo senso, avevano ragione.
    Già. Non li biasimava per niente.


    x0ho

    Verso il buio, ancora una volta.
    L'alba rimpiange la notte.
    E il tramonto sorride.



    Chiedo venia per il post terribilmente corto -nonché di livello assai poco dignitoso-, ma c'era davvero poco da scrivere.
    E sì, nel caso in cui ve lo steste chiedendo, questo è il topic dal quale comincia la "quest segreta". I partecipanti, come si era intuito, saranno Xisil, Maxwell e Noel. Avrete forse anche intuito che c'è "qualcosa che non va" con il QM; da annuncio non dovevo essere io, ma delle complicazioni dell'ultimo minuto hanno impedito a Strange di occuparsene. Spero non sia una delusione troppo grossa per voi (poi mi impegno di più, promesso çwç).
    Ora qualche istruzione. L'inizio è chiaramente in medias res, per questioni di tempistica: ruolare anche l'incontro iniziale dei tre personaggi e Riku si sarebbe rivelato quantomeno dispendioso -considerando che siamo già in ritardo-, quindi ho optato per quest'inizio un po' "brusco". Ciò non vi impedisce, ovviamente, di narrare voi il vostro incontro sotto forma di flashback. Le informazioni che vi saranno utili sono le seguenti:
    -Siete stati contattati da Topolino in persona, in gran segreto. Il sovrano era vestito con il cappotto dei XIII (quello che indossa quando viaggia "in incognito", diciamo), e ha instaurato con voi un piccolo dialogo, dicendovi che siete stati scelti appositamente per una missione segreta e di massima importanza. Oltre a questo, vi dà solo un biglietto da visita e vi prega di dirigervi al castello Disney, dove riceverete ulteriori informazioni.
    -Arrivati nell'hangar, siete subito "accolti" da Riku, che vi dà informazioni più precise: la missione consiste in un viaggio nel regno dell'oscurità, atto a recuperare una Keyblader che si pensava perduta. Il suo recupero, vi spiega, darà un contributo immenso alle forze della luce.
    -Potete descrivere come volete il vostro arrivo, e mettervi d'accordo per eventuali dialoghi precedenti al viaggio in gummi. Sappiate solo che Riku sarà da subito piuttosto frettoloso, intimandovi di seguirlo quanto prima nella Highwind (la gummi "storica" di Sora). La quest inizia dopo un paio d'ore dalla partenza.

    Ed ecco tutto. Da qui seguiranno due o tre giri di interpretazione, nei quali potrete (oltre a rievocare il flashback, se vi va) interagire tra di voi e, ovviamente, con Riku, che interpreterò io. Aprirò quanto prima un topic di confronto per eventuali domande.
    Have fun! >8D
     
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    ~Bridges Burned

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    «And I'm caught
    In the crossfire
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    Un movimento fluido dei polsi e i Bolverk erano nelle sue mani. Le sue fidate armi. I prolungamenti letali delle sue braccia. L’unica cosa di lei che poteva essere considerata pericolosa: i suoi revolver. Li aveva seguiti, dapprima con lo sguardo e poi controllando a distanza i loro movimenti. Era scivolata nel buio tallonando l’oscurità, che l’aveva portata in mezzo alla piazza, tra le fontane. Le piaceva passeggiare di notte, nascosta, lontana dalla confusione del giorno e dalla luce del sole. Si sentiva rilassata e in pace con il mondo, in equilibrio con i suoi dolori e con i suoi problemi, in armonia con il soffio lieve del vento che accarezzava leggiadro le vie di Radiant Garden. Tuttavia, quando quei brevi e rari momenti di pace venivano turbati dalla presenza di un nemico, ogni illusione di tranquillità andava in pezzi e, malgrado tutto, Noel tornava con i piedi per terra, a ricongiungersi con la sua malinconia a causa di un accordo mai siglato. Quel fastidio, quel nervosismo per non potersi godere nemmeno pochi minuti di solitario silenzio e calma fittizia aizzavano la donna a liberarsi dei disturbatori. E allora un colpo d’arma da fuoco aveva frustato l’aria come il rapido battito d’ali di un falco sulla preda, infrangendosi contro un misero Shadow con un immediato luccichio, avvolto l’istante seguente dalla massa scura che andava estinguendosi e lasciandosi alle spalle un cuore brillante. Rifiuti. Escrementi. La sua figura si era amalgamata per qualche secondo con il cielo scuro, in un balzo in slancio verso gli avversari, pallida imitazione di perfezione pronta a scontrarsi con la corruzione sotto forma di gusci vuoti: la danza dei proiettili mosse il corpo con grazia e consapevolezza. Non c’erano pecche nei suoi passi calibrati e nella sua gestualità calcolata. Ogni affondo fu eluso e quella manciata di Heartless si eclissò come polvere nel vento. Rimase immobile per qualche attimo, le canne dei Bolverk rivolte alle sue spalle, testimoni delle cinque nuove pozze nere che inquinavano con il loro inchiostro la pavimentazione chiara della piazza. Si morse le labbra e, senza riflettere più di tanto sul suo agire, si fece guidare da ciò che le suggerivano i suoi revolver mentre stabilivano un legame con l’intero corpo della bionda. Quella si slanciò in avanti, leggera sui piedi e decisa nel continuare la sua carica, evitando di concedere libertà eccessive ai suoi nemici che la assaltavano in gruppo. Elegantemente scartava di lato, i muscoli tesi e i movimenti fluidi, scaricando colpi e colpi sui Senza Cuore. Per ognuno che eliminava, altri tre facevano la loro comparsa e chiudevano le sue possibilità di fuga. Non tanto per l’impegno della battaglia ma per la superiorità numerica, più volte Noel si era vista costretta a minare il campo dello scontro per poter gestire meglio gli attacchi da più angolazioni. Finché non giocò la carta delle tecniche a bersaglio multiplo, e scaricò nugoli e nugoli di proiettili sulle ombre viscide intorno a lei, sterminandole tutte. Aveva perso la cognizione del tempo. Attese qualche secondo, un paio di minuti. Niente. Vittoriosa. Strano. Prese un respiro profondo, incamminandosi verso casa. I Bolverk caldi nelle sue mani le donarono una breve sensazione di sicurezza, chiedendole con quel tepore di non essere rinfoderati ma di bearsi ancora del contatto con le sue dita. Imboccò la via, gettando uno sguardo alle sue spalle solo per notare con un certo fastidio che la piazza era di nuovo ingombra di quelle piaghe nere. Si chinò appena sulle ginocchia, pronta a tutto, ad incassare, a schivare, a puntare sull’offensiva, ma il Raid rapido di un Keyblade pose immediatamente fine al caos notturno. Noel sbatté le palpebre più volte, confusa, guardandosi intorno e seguendo la chiave leggendaria tornare tra le mani del suo custode.

    Fece un passo indietro quando Re Topolino le porse la mano, fissando quel palmo guantato con un misto di paura e orrore. Ecco i brividi, ecco la stretta alla gola, ecco il gelo allungarsi lentamente lungo le sue membra, in agguato per lasciarla stordita e impotente.

    L’anima bianca nel mondo nero si guardò intorno circospetta, avvertendo nell’aria qualcosa di strano, di diverso. Sentiva una potenza straordinaria, schiacciante, invadente allungare lugubri mani sottili desiderose di sopprimerla, ma ancora troppo distanti perché la potessero raggiungere. No, non avrebbe permesso niente di tutto ciò. La sua pelle di nuvole già si tendeva e si sgretolava sotto quell’influsso remoto, soffriva di colpi non ancora ricevuti e subiva passivamente l’autodistruzione e la rinascita di quell’angolo di esistenza. Si mosse leggera, galleggiando nel gelido e vuoto nulla, lasciandosi avvolgere totalmente dal buio, permettendo che il lato oscuro del suo cuore erigesse una cupola intorno a lei, in modo da proteggerla da tutto e tutti. Intoccabile. Non aveva bisogno di nessuno. Non voleva nessuno. Solo il silenzio e la pace, più rari di un nemico misericordioso in tempo di guerra, erano ben accetti al suo cospetto. Era stanca di correre. Era stanca di fuggire. Era stanca di dover scacciare gli intrusi da un regno segnato dall’odio, dalla necrosi del rifiuto. Perché la regina poteva governare senza un trono, senza sudditi e senza domini, anche solo per gioco, ma, se sottoposta al tormento della battaglia, s’indeboliva sotto gli affondi delle spade e il peso della cotta di maglia. Perciò doveva restare segregata dentro la sua cella, con la sua seggiola di legno e la sua platea di fantocci senza vita. Tutto il resto era fumo, tutto il resto era dolore. Tutto il resto era disprezzo.


    Rialzò lo sguardo supplicante sul sovrano, che da sotto il cappuccio le sorrideva consapevole. Allora le allungò solamente un biglietto. Il perché di quel gesto era già stato spiegato.
    Tuttavia non le era ben chiaro perché avesse pensato proprio a lei. In fondo era una buona a nulla, c’erano molti altri guerrieri più ferrati negli scontri e nelle battaglie, molto più capaci e adatti ad una simile missione. Ma evidentemente, se era arrivato a richiedere la sua presenza, doveva essere disperato. O fortemente a corto di personale. Mentre ancora fissava quelle dita coperte di bianco stringere la carta colorata, si rese conto che la sua presenza era già di per sé la garanzia del fallimento. Con quale coraggio, però, avrebbe potuto rifiutare? Prese un respiro profondo e annuì più a se stessa che alla richiesta del Re. Titubante, avvicinandosi con cautela, come se un solo passo di troppo potesse rivelarsi fatale, strinse tra due dita tremanti quella sottospecie d’invito -come se davvero fosse mai stata implicata l’opzione “rifiuto”-, mordendosi l’interno delle guance. Una scossa pericolosa attraversò la sua schiena, obbligandola a prendere nuovamente le distanze. Chinò il capo per scusarsi, ma quando rialzò il viso, il Re del Castello Disney se n’era già andato per la sua strada.

    ----------------------------


    Sospirò debolmente per l’ennesima volta -tanto nessuno si sarebbe accorto di niente, tra il rumore del motore e la sua presenza fantasma-, fissandosi la pelle, le mani, gli abiti e correndo con lo sguardo sulle finiture dei sedili. Perché aveva accettato? Si odiava al punto da gettarsi dritta dritta in braccio alla morte? Non aveva la forza di guardare in faccia nessuno di loro, che pensavano magari ad una compagna utile e che, in realtà, si erano beccati la più grande palla al piede dell’intero universo. Che diamine ci faceva lì? Voleva sparire, sotterrarsi, perdersi nello spazio ed esplodere in mille microscopici pezzettini piuttosto che sentire un attimo di più la mortificante ansia che aleggiava, pesante come un macigno, all’interno dell’abitacolo. Almeno, gli altri erano in ansia. Noel non era per niente preoccupata: si era già rassegnata alla sconfitta, convinta che tutto quel viaggio si sarebbe dimostrato un fiasco totale. Non per Maxwell e Xisil, men che meno per Riku; no. Per la sua insignificante, inutile, deprimente partecipazione. Topolino si era sbagliato, Topolino aveva preso un abbaglio. E lei, stupidamente, non era riuscita a rendersi conto di ciò che veramente avrebbe dovuto fare. Infinitamente sciocca. Si morse le guance, osservando i palmi abbandonati sulle ginocchia. Ormai c’era dentro fino al collo, ormai si era messa in gioco. Sospirò ancora, stringendosi nella giacca appoggiata sulle spalle.
    E poi Riku la metteva quasi in soggezione, fino a spaventarla. Non per l’atteggiamento schivo, per il fatto che fosse un custode, per il modo freddo in cui li aveva squadrati: niente di tutto ciò. Si sentiva semplicemente schiacciata dalla sua figura, compressa dall’interno. Un disagio immenso si aggrappava alle sue ossa tutte le volte che gettava uno sguardo alle sue spalle, mille piccole fitte segnavano strade senza uscita lungo la sua schiena, facendo correre infiniti brividi mortali lungo il suo intero corpo. Sapeva che il vero problema era lei, sapeva che tutto derivava dal suo insulso modo d’essere, di esistere, dalla nuova, assurda maniera in cui aveva scoperto di poter percepire il mondo: ed anche per quello aveva sbagliato ad accettare, in un mezzo delirio di onnipotenza, l’invito alla missione. Per questo non aveva osato, nemmeno per un istante, avvicinarsi a lui; per questo aveva preferito restare un passo indietro rispetto agli altri due. Per questo si sentiva un patetico e miserabile fallimento.



    Ok, mi fa schifo ma... va schifosamente male così.
     
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  3. Xisil
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    The curfew tolls the knell of parting day,
    The lowing herd wind slowly o'er the lea,
    The ploughman homeward plods his weary way,
    And leaves the world to darkness and to me.




    La notte. La luna. Le stelle. Quella scura cupola sopra il suo capo, il tetto senza confini della sua casa senza pareti, era sempre lì, una mistica volta, quell’eterno equilibrio di matematiche coincidenze, la solidità dell’universo sulla quale sapeva di poter sempre contare, alla fine di ogni giorno. Era la sua casa, il suo tempio, quella divina manifestazione di perfezione e incorruttibilità, unica compagnia che sapeva di poter ritrovare ogni notte alla stessa ora, madre amorevole che attende il ritorno della figlia per poterla avvolgere nella sua nera coperta e vegliare su di lei con i suoi innumerevoli occhi luminosi.
    A ribadire il rinnovato dominio della notte silenziosa l’eco dei rintocchi di una campana lontana, memento di quel dì ormai da ore dipartito, mentre la giovane guerriera, sera dopo sera, rinnovava, come una devota sacerdotessa votatasi a tale unica causa precludendo pur nel fiore dei suoi anni ogni altro piacere che la vita possa darle, il rituale omaggio a quella stanca luce nel momento della sua dipartita, e si preparava a cominciare la sua veglia su quel mondo addormentato, lasciato alle cure delle tenebre e alle sue.
    Si sedette, come sempre, osservando il paesaggio avvolto nella luce incerta dileguarsi sempre più in fretta alla vista. Una solenne immobilità possedette ogni cosa, il corpo stesso della giovane donna, che sarebbe parso nulla di più che una statua, ultimo protendersi dell’umanità verso il cielo sconfinato, simbolo dai valori lontani del tempo posto a ricordo di un lontano, glorioso passato, se solo non fosse stato per la leggera brezza notturna intenta a divertirsi correndo leggera, come una bimba innocente e pura corre spensierata fra le spighe di un campo di grano, insinuandosi fra i tessuti leggeri e i panneggi, animandoli per pochi, brevi frangenti, di vita propria.
    Tutto tacque, eccetto là, nell’intricato dedalo di strade e viuzze, dove una strana figura pareva essere sfuggita al languido abbraccio del sonno ristoratore. Ella alzò il capo, prima chino sul suo stesso petto, volgendo ovunque lo sguardo là dove aveva udito il rumore di piccoli passi, per poi strisciare come un’ombra leggera e aggraziata, sull’orlo di quel tetto, appollaiandosi come un gufo intento a scoprire chi, vagando vicino al suo segreto rifugio, disturba il suo precario regno solitario. Passi rapidi di una nera figura, un cappuccio che mai più avrebbe confuso con altri in vita sua. Cosa cercava l’Organizzazione in una notte come quella? Eppure all’attento esame del suo occhio vigile non sfuggirono le velate rivelazioni rivolte dal personaggio sospetto, quello scatto fulmineo del capo a rivelarne i lineamenti inconfondibili, taciuta conferma che costui senza più alcun dubbio era a conoscenza della presenza della donna, che l’aveva scorta, e che con molta probabilità era giunto in quel luogo, quella notte, proprio per lei.
    Un cenno del capo, ella annuì in risposta, in silenzio: l’avrebbe attesa nella radura, quella notte stessa.

    Forse qualche spettatore privilegiato poté dire di averla vista, rara apparizione, all’alba lasciare il riparo degli alberi robusti, smuovere con rapidi passi la rugiada per incontrare il sole sui vasti prati. Là ai piedi di quel faggio ondeggiante che intreccia così in alto le sue vecchie fantastiche radici lasciò, sollevatasi dopo quegli onori che con tanta devozione soleva sempre omaggiare da cavaliere degno delle più antiche leggende, guerriera dei tempo passati, il ricordo di quell’incontro con il re del presente, giunto da lontano con un incarico il cui segreto le ultime ombre fugaci della notte avrebbero custodito per l’eternità. Perché nessuno avrebbe mai saputo quale solenne fretta mosse le agili gambe della guerriera, prostratesi in una devota reverenza al più degno e saggio dei regnanti, pochi minuti prima, incoronato dalle tenere e profane fronde di alberi fruscianti nel vento, pacate esultazioni alla venuta del magnanimo sovrano. Unica prova di quel provvidenziale incontro, un biglietto di fine carta bianca stretto con cura fra le dita sottili della giovane guerriera.
    Segretezza, quasi un “ritorno al passato”: finalmente si presentava l’occasione di mettere nuovamente in atto anni di addestramento, di diventare ancora una volta un’ombra, fra tante. E mescolarsi fra le tenebre. Bizzarro, alquanto, che una creatura come lei potesse pensare di sentirsi così a suo agio fra le tenebre, ma qualche strano, profondo presentimento, un brivido più intenso del solito, le fece capire che le ombre alle quali si sarebbe unita rappresentavano qualcosa di più cupo e rispetto alle solite ombre della notte. Una strana sensazione, quasi una conoscenza innata, dovuta forse alla strana piega che gli avvenimenti avevano preso negli ultimi giorni, le fece pensare, lasciando sempre più la scia del sospetto, che ovunque sarebbe andata non vi sarebbe stata alcuna luna o astro del cielo a donarle il riparo da occhi indiscreti, ma una notte perenne, creature in grado di penetrarle con i loro sguardi affilati, dai quali forse non ci sarebbe stato scampo alcuno.
    Pur consapevole del rischio che avrebbe corso di lì a poco, che il piccolo re non osò tacerle, ben conscia della possibilità, presenza costante e spaventosa, di non fare più ritorno alla pace del suo amato tempio, la sacerdotessa, fattasi di nuovo guerriera, si apprestava a lasciare quell’altare a lungo venerato, salutata la madre lune e le candide stelle forse per l’ultima volta nella sua vita.

    Seguì ogni direttiva alla lettera, si recò al punto d’incontro designato pronta prendere parte a quella spedizione verso il regno delle tenebre. Non si meravigliò affatto nel realizzare che la giovane Noel e Maxwell, di cui ancora molto poco sapeva, sarebbero stati i suoi compagni in quell’avventura. Non attese oltre, non fece domande. Cosa avrebbe potuto dire, chiedere in una tale situazione? Il giovane dai capelli argentei andava di fretta, non sembrava intenzionato a perdere tempo alcuno. Sapeva a cosa sarebbero andati incontro, tutti quanti, nel tentativo, forse disperato, non poteva dirlo con certezza, di riportare indietro nel regno della luce una leggendaria guerriera, una detentrice del Keyblade, e nessuno di loro, giunti sin lì, sembrava intenzionato a cambiare idea.




    Edited by Xisil - 27/9/2013, 22:09
     
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    Fortunatamente non aveva fatto quel viaggio insieme al resto del comitato. La navetta pubblica che gli altri avevano preso per viaggiare dal Market Planet a Radiant Garden attraccò al porticciolo, facendo scendere tutti i suoi compagni d'armi, incluso un Seifer con gli occhi iniettati di sangue. Già la prima gummiship era arrivata in ritardo apparentemente, e la seconda non aveva fatto eccezione, tutto a causa dello stato di allerta per un possibile attacco in massa degli Heartless. Lui aveva deciso di aspettare con gli altri, ma siccome preferiva tenere addosso Destroyer's Heritage per nascondere la sua identità, aveva compiuto il viaggio seguendo la navetta, e come aveva detto in precedenza, era stata una saggia decisione. Era chiaro che il fondatore più anziano sentiva un misto di imbarazzo e rabbia, era una persona piuttosto facile da inquadrare... e la postura retta a braccia incrociate, combinata alle labbra serrate in una profonda smorfia di disappunto, diceva tutto del suo stato emotivo.

    -... Forse è un brutto momento per dirgli che ci siamo dimenticati di riferire al gruppo di avere una gummiship.-

    Siegfried aveva ragione, ma, nonostante questo, la sua affermazione era un eufemismo. Detta in quel momento, sapere della presenza di Marilù avrebbe fatto esplodere Seifer seduta stante, e solo le divinità sapevano cosa poteva succedere in quel caso. Non lo aveva neanche fatto apposta, stava ancora imparando a manovrare quella nave, e poiché ultimamente era più abituato a viaggiare usando le ali della sua armatura... si era completamente dimenticato di suggerire l'uso di quella Gummiship. Forse avrebbe toccato l'argomento appena fosse finita quella storia, chissà, se mostravano cosa sapevano fare durante un evento del genere la loro reputazione poteva salire.


    -Ah, vedo che anche voi siete venuti ad aiutare.

    L'automa fu risvegliato dai suoi pensieri da una voce squillante, forse troppo per i suoi gusti, ma quella frase portava a due rivelazioni importanti: anzitutto, chiunque avesse parlato conosceva un po' il comitato -o almeno uno dei fondatori-, mentre la seconda sorpresa...

    -... Maxwell... quello è un topo?-

    … Sì, in qualsiasi modo lo guardasse quello era un topo. Due orecchie tonde nascoste da un cappuccio dall'aspetto regale, un naso simile a una grossa oliva, una coda nera e sottile... non c'erano scuse, quell'essere che aveva attaccato bottone con Hayner era un roditore. Gli era sembrato di sentire il giovane in abbigliamento mimetico chiamare quello strano essere “re Topolino” o qualcosa di simile, ma al momento la sua mente era occupata a elaborare ciò che aveva di fronte. In tutti i sensi.

    -... Ed è accompagnato da un cane e una papera...-

    Giusto, tanto per aggiungere sale alla “ferita” causata dalla confusione, il topo era accompagnato da altri due animali simili a lui. Uno era vestito con un completo blu che, stranamente, ricordava all’automa il completo di Milly, solo che questa volta era indossato da un uccello palustre, e il cappello era notevolmente più piccolo. Tuttavia, quel copricapo non era piccolo quanto quello del canide, il più alto del trio, che indossava alcuni pezzi di armatura quasi a casaccio, incluso un “cappello” che sembrava un elmo di una decina di taglie troppo piccolo per il suo indossatore.

    -... E tutti e tre camminano su due zampe.-

    Le osservazioni di Sieg si stavano facendo sempre più ovvie, ma non c'era poi molto da dire a riguardo, a parte che stava seriamente ringraziando la sua attuale mancanza di zigomi, poiché in quel momento la sua mascella sarebbe spontaneamente scesa verso il terreno. Credeva di aver visto tutto, ma adesso stava osservando un gruppo di tre animali antropomorfi, tre esseri dall’aspetto quasi comico che parlavano con gli altri membri del comitato come se niente fosse. Certo, nel suo paese si trovavano donne serpente, basilischi, seppie giganti e tante altre creature fantastiche, senza contare che aveva visto qualcosa di più “insolito” quando aveva incontrato i Moguri, ma per qualche motivo Maxwell non riusciva a pensare che quegli esseri erano... insoliti, tanto per usare una parola educata.

    -... Penso che sia comunque un buon motivo per andare nel panico.-

    No, non era proprio il caso. I loro due ultimi attacchi di panico erano stati ridicoli, tra urli da mammoletta e urli sincronizzati di puro terrore -causati rispettivamente da Noel e Mogudara-, e se continuavano a reagire in questo modo a ogni cosa insolita, prima o poi avrebbero avuto un attacco di cuore. Almeno non erano fantasmi, altrimenti avrebbe rischiato di svenire sul posto.


    -E... quello chi sarebbe?

    Maxwell venne riportato alla realtà da quella domanda, rivolta a Hayner, ma detta mentre lo sguardo del roditore era chiaramente sulla sua persona. Il cyborg abbassò lo sguardo verso la propria sinistra come risposta a quel quesito, chiaramente a disagio: non aveva fatto altro che fissare come un idiota i tre animali, e adesso che il topo ricambiava quello sguardo si sentiva un completo idiota. Anche il giovane dai capelli biondicci si voltò a guardarlo un attimo, ma non sembrava essersi accorto di nulla, perché poco dopo si prese la briga di presentarlo.

    -Ah, lui è Maxwell, il nostro membro più recente. È un gran combattente, ha sconfitto Orlando con un solo colpo.

    In seguito a quell’ultima affermazione, gli sembrò di sentire Orlando che diceva ”mucias grasias ninio”, o almeno quello era ciò che l’automa riusciva a capire dalla pronuncia della lingua natale dello spadaccino. Il fondatore più giovane spiegò a grandi linee la sua storia, evitando di menzionare la storia dell’Heartless col Keyblade per evitare di causare panico al suo interlocutore, ma l’ex-uomo poteva vedere con la coda dell’occhio lo sguardo del “re”. Aveva le sopracciglia calate sugli occhi, la sua espressione era dubbiosa… e forse lui sapeva anche il perché. Il Settimo lo aveva detto in maniera piuttosto eloquente durante il loro incontro, l’aspetto che Destroyer’s Heritage gli donava era quello di uno spirito distruttore, quindi gli esseri viventi lo guardavano istintivamente con una certa paura o titubanza. La cosa non lo sorprendeva, aveva deciso di indossarla per evitare di essere riconosciuto da qualcuno legato a Karaz, ma lo metteva comunque a disagio: se non ispirava fiducia neanche a un topo, come poteva aspettarsi di riceverne dai suoi alleati sul campo di battaglia? Fortunatamente non ci avrebbe più fatto troppi drammi, con le sue esperienze passate aveva imparato ad accettarsi, le sue mani non avevano più quell’onnipresente odore di sangue, ma se gli altri continuavano a temerlo avrebbero avuto non pochi problemi tattici. Tuttavia, Topolino si avvicinò improvvisamente a Maxwell, mettendosi proprio nella linea del suo sguardo e facendogli una richiesta piuttosto inaspettata.

    -Capisco. In quel caso, Maxwell... pensi di poterci aiutare con una certa faccenda?




    Quando aveva accettato quell’invito… be’, non si aspettava certo una cosa del genere. Ormai accadeva sempre più spesso, quando accettava una missione apparentemente “semplice” finiva sempre in mezzo a eventi più grandi del previsto: prima la missione nella Balena, poi l’esplorazione delle caverne sotto il castello di Radiant Garden e infine quell’incarico. Siccome Hayner aveva messo una certa enfasi sulla sua forza, Topolino aveva deciso di metterlo al corrente di un’operazione segreta, un’impresa che avrebbe sfruttato l’offensiva degli Heartless per liberare una persona intrappolata nel mondo nativo dei Senza Cuore… il “Regno dell’Oscurità”. Un custode del Keyblade solitario doveva occuparsi di quella missione, ma vista la pericolosità di quel luogo avevano deciso di cercare dei combattenti in grado di dargli supporto. Non si aspettava di venire scelto a essere sincero, ma la sorpresa più grande venne quando scoprì l’identità delle altre due persone con cui avrebbe affrontato quel viaggio. Una era Xisil, quella ragazza che aveva inseguito la donna col cappotto nero durante l’esplorazione di quella grotta; era un sollievo sapere che era sopravvissuta a quella missione, ma allo stesso tempo gli fece sorgere un dubbio su come ci fosse riuscita. Tuttavia, la sorpresa più grande fu scoprire che l’altra donna che partecipava a quell’incarico era Noel, una cosa che aveva causato un certo disagio a entrambe le personalità dell’automa. Non che gli dispiacesse ritrovarla, soprattutto a Siegfried, ma vista la pericolosità di quell’incarico, entrambe erano preoccupate per ciò che sarebbe potuto accadere, anche se per motivi diversi. Purtroppo, il ricordo di ciò che era successo a Sin e a Steven era ancora troppo vivido nelle loro menti…
    Ormai erano in viaggio da un po’, e Maxwell non si era mosso dal suo posto sull’Highwind, era rimasto immobile su quel sedile che sembrava resistere per miracolo al suo peso senza dire una parola. L’atmosfera era pesante per svariati motivi, ma per lui erano principalmente due: la strana aria di sfiducia che aleggiava nell’abitacolo e il silenzio della sua metà elettronica. La prima era dovuta al fatto che, chiaramente, quel Riku non era molto abile nelle interazioni sociali –con degli sconosciuti, almeno-, e vista la tensione generale di tutti i presenti questo fattore non faceva che appesantire l’aria all’interno dell’abitacolo. Tuttavia, era il secondo motivo a preoccuparlo di più: era stato felice quando Siegfried aveva legato con Noel, ma adesso che il loro secondo incontro era avvenuto per un’impresa molto pericolosa, la personalità umana sentiva che lo stupido computer si sarebbe dovuto preoccupare di ben due persone in quel momento. Ovviamente Sieg lo aveva sentito, e rispose alle sue preoccupazioni inserendo un messaggio di testo in mezzo alla sua visuale…
    < Non preoccuparti per me. >
    Maxwell tirò un leggero sospiro a quella comunicazione, come poteva non preoccuparsi? Aveva rispolverato quel metodo di comunicazione solo per quell’occasione, era da mesi ormai che non vedeva più quel genere di messaggi sulla sua interfaccia visiva… ed era chiaro come il sole che fosse per non essere sentito dalla bionda. Stava facendo delle diagnostiche dei suoi sistemi e continuava a fare dei test sulla precisione del loro “radar”, tutto in nome della sicurezza generale delle due persone cui teneva di più, anche se non lo avrebbe mai ammesso in quel momento; apprezzava lo sforzo, ma non doveva mettersi troppe responsabilità sulle spalle.


    Edited by AlexMockushin - 4/10/2013, 18:07
     
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    «And I'm caught
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    Aveva messo piede da qualche minuto al Castello Disney, fuori dalle cancellate, dalla parte opposta dei giardini. Le avevano spiegato cosa doveva fare, dove doveva andare, quale corridoio seguire. Peccato fosse in forte ritardo. In tremendo ritardo. Ma non era colpa sua, lei non c’entrava niente! Semplicemente tutto girava alla rovescia: non c’era stata una sola cosa che fosse andata per il verso giusto durante quella mattinata. Era proprio tipico suo, fare pessime figure durante le occasioni più importanti. Come sui ghiacci, come nella Terra dei Dragoni. Imboccò un corridoio e scosse il capo, sospirando e camminando rapidamente, oltrepassando vetrate, archi, colonnati e luminose salette scintillanti. Se tutto doveva andare a finire come la sua missione assieme ai presunti Tre Fessi allora doveva cominciare a preoccuparsi: la consolava il fatto che non sarebbe stata sola. Non pensava che la sua presenza potesse effettivamente avere una qualche utilità, perciò era preparatissima a fare dietro front e tornarsene a casa, a fronteggiare lo specchio rotto, tuttavia ancora perfettamente in grado di riflettere la sua immagine. In fondo chiunque sarebbe stato meglio di lei. In presenza di un Custode sarebbe stata solo d’intralcio; in compagnia di altri guerrieri sarebbe stata solo un peso. Non per le sue armi, non per il suo modo di combattere. Per lei, e basta. Per il semplice fatto che dietro alle tattiche, dietro al grilletto c’era lei e non qualcun altro: un’inetta, incapace, inutile ragazzina in equilibrio a piedi nudi sul filo del rasoio che, incredibilmente, resisteva ancora e stentava a crollare. E non importava quanto sangue perdesse, quante forze sprecasse, quanto fosse esausta: senza motivo apparente riusciva a giostrarsi tra la vita e la morte. Ma quella sarebbe stata la sua fine. Sapeva di star andando incontro all’ultimo capitolo dell’ insulso volumetto in carta scadente della sua vita. Svoltò a destra, superò qualche gradino e proseguì a testa bassa, il capo chino a fissare distrattamente i suoi passi sulle lastre chiare. Non riusciva proprio a togliersi dalla mente quella missione fallita, quella rovinosa caduta di stile proprio mentre era ad un passo dal portarla a termine. E poi c’era lei, quella ragazza. Cosa avevano in comune? Perché la chiamava? Perché la rivedeva ovunque andasse? Rimbombavano ancora nella sua testa, quelle suppliche strazianti, quelle preghiere che si era rifiutata di ascoltare e di accogliere. Si disprezzava per questo, si odiava per la sua cattiveria, per la sua sfiducia e la sua incertezza. Se avesse potuto le avrebbe chiesto scusa, se avesse potuto sarebbe tornata indietro e, forse, avrebbe potuto evitare tutti i problemi che ne erano derivati. Se avesse potuto si sarebbe messa in gioco per lei, come aveva sempre fatto per chiunque. Ma sapeva di temere quello sguardo ferito, quell’unico occhio che parlava come mille voci unite in un coro di sofferenza e supplizio: sarebbe affondata nel cielo vermiglio come un corpo morto nel mare, si sarebbe impantanata in nuovi mille problemi, crollando soffocata. Ma perché sentiva di aver sbagliato, se quelle erano le premesse? Perché aveva negato l’unica cosa che poteva dare, era venuta meno alla sua unica caratteristica positiva. Si era lasciata alle spalle ciò che amava di sé per restare con un pugno di cenere e polvere. Attendeva solo di sparire nel vento, ora che non aveva più nulla a cui aggrapparsi per non ritenersi una nullità. Ma quando mai si era sentita superiore a un rifiuto? Quando mai non aveva pensato a se stessa come a uno zero totale?
    Piegò a sinistra, guardandosi intorno e vedendo, in fondo al successivo salone, la rigogliosa macchia verde in cui si sarebbe dovuta trovare con gli altri suoi compagni. Scosse la testa debolmente. Era già umiliata in partenza. Chiuse la mano e strinse le dita in un pugno debole, sospirando e riprendendo a camminare, concentrata su se stessa. Lo sentiva ancora, come un urlo lontano, come il gorgheggio moribondo di un uccellino, il canto del cigno di quella donna. “Smettila!” le rispondeva, deviando la sua attenzione su qualcos’altro, ma continuando inesorabilmente a inciampare in quella voce cristallina e incredibilmente melodiosa, per quanto agonizzante. Sottolineava le sue scuse, le ripeteva di essere disposta a fare qualunque cosa per lei, eppure le urla si acuivano, tramutandosi in folli stridii e diabolici pianti. Si sentiva debole, malgrado il corpo non riportasse alcuna pecca; inutile, malgrado stesse tentando di rimediare all’errore. Allora si perdeva in quel piano sconosciuto del suo essere, cercava di fuggire da quel rumoroso carcere per potersi dire finalmente stremata da non avvertire più nulla, se non il lento battito del suo cuore sul punto di fermarsi e lasciarla senza vita.
    Senza rendersene conto scivolò verso il basso, in un balzo nel vuoto che lei non aveva spiccato. Se ne accorse nell’interminabile istante fino all’impatto con il terreno. Stava cercando di uccidersi, inconsciamente. Ecco perché si era lasciata coinvolgere in quella missione. Ecco perché non aveva trovato il coraggio di rifiutare l’invito. Ecco perché non riusciva a dimenticarsi di quella ragazza. Accettarla sarebbe equivalso a soccombere e, mentre una parte di lei smaniava per rimanere attaccata alla vita, l’altra desiderava accelerare il processo contrario. Abbassò stancamente le palpebre, lasciando che il suo corpo venisse accarezzato e avvolto dal vento, bagnato dall’etere e benedetto dal frusciare delle foglie. Se davvero quella volontà era più forte di lei, se davvero quello era il suo destino, allora non le rimaneva alcuna possibilità di salvezza. Era precipitata da una posizione sufficientemente alta per farsi un danno discretamente grave. Sperava segretamente nello schiocco sonoro della sua schiena e nell’immediato arrestarsi della circolazione del sangue. Tutto sarebbe finito senza problemi di sorta.
    Invece atterrò tra le braccia di qualcuno, malgrado la bestiale frustata al collo. Non ebbe tempo di chiedersi chi, di scoprire come, che il buio calò su di lei, rendendo il corpo freddo e rigido. Era tutto così strano, così diverso dalle volte precedenti. Era consapevole del suo fisico, anche se tutto ciò che le stava intorno era stato avvolto da uno spesso banco di nebbia. Sapeva cosa le stava succedendo, sapeva che quella reazione era dovuta a quel contatto. Voleva solo allontanarsi, premeva per staccarsi da quel sostegno ma ogni gesto volontario lanciava una scarica elettrica lungo i suoi nervi tesi fino allo spasmo. Tremava, respirava a fondo e rapidamente, le labbra semi schiuse che cercavano e intrappolavano quanta più aria possibile, il capo abbandonato all’indietro.
    Sbocciarono sulla sue pelle tutti insieme, in un effluvio di dolore violaceo, come tante piccole gemme. Le ferite che fendevano e laceravano la sua mente si proiettarono in massa sul suo fisico, trasformandolo in un mosaico di ematomi e contusioni, occupando in particolare le parti del corpo in contatto diretto con l’armatura. Di nuovo. I muscoli si contrassero all’improvviso, costringendola a rannicchiarsi su se stessa, a nascondere il viso tra le mani, soffocando un lungo gemito contro la sua pelle in cui erano affondati milioni di schegge di quello stesso specchio che lei aveva infranto. Pregava silenziosamente che quel male svanisse, che tutto tornasse normale. Era una punizione per un errore ignoto, un castigo per la sua esistenza, l’eterno supplizio con cui avrebbe dovuto convivere. Perché? Perché non si era sfracellata al suolo?



    Lo spirito reietto sollevò il capo e aprì gli occhi di scatto, avvertendo il mondo intorno a lei tremare, scosso da una nuova potente tempesta. Non sembrava in grado di trovare pace nemmeno nel suo angolo solitario. Forti ventate scure trapassarono la sua pelle senza ferirla, sfiorandola, accarezzandola: rimase immobile, ben decisa a non piegarsi nemmeno di fronte a quei visitatori già conosciuti. Non aveva intenzione di riporre la propria fiducia in nessuno, non aveva intenzione di abbassare la guardia: dietro ad una facciata cortese poteva nascondersi l’inganno che l’avrebbe fatta crollare, l’imbroglio studiato per distruggerla. La volta buia si crepò con uno schiocco, come già aveva fatto tante altre volte, rivelando l’universo nitido e chiaro dietro l’atmosfera del suo microcosmo nebuloso. Era riuscita a prendere il controllo del suo ambiente, non avrebbe permesso a niente e nessuno di privarla del suo regno: i prolungamenti della sua volontà si arrampicarono sui detriti della fortezza, chiudendo le brecce e ricollegando i lembi di una prigione sicura. Da uno squarcio più ampio che faticava a richiudersi sbucò una strana figura, seguita in ogni movimento dalla sovrana senza corona. Quella eresse decine e decine di pareti pur di sbarrargli la strada e tenerlo distante da sé, lontano dal suo corpo assemblato grazie al rimorso e alla sofferenza. Ogni difesa fu elusa, ogni muro fu superato. Si posizionò su uno di questi, guardandola con un’espressione indecifrabile. La collera e il disprezzo dello spirito etereo baluginarono in un alone rosso attorno al cerchio di luce in cui sostava, rigida e perfetta nella sua figura.

    Vattene. Vattene, non voglio intrusi nel mio regno.


    Si avvicinò a lui, seguita da quei palmi fumosi ardenti di desiderio, bramosi di toccarla per cibarsi della sua purezza. Ogni tanto staccavano un brandello del suo essere, confrontando ciascuno le proprie fauci con quelle dei compagni, avversari per l’occasione, per potersi aggiudicare il nutrimento. Risplendeva di luce propria in quell’oceano di oscurità liquida, le iridi verdi scintillanti e brillanti sempre fiere di fronte al nemico.

    Lo farei volentieri… ma sei stata tu ad invitarmi qui.


    In un moto d’ira e di umiliazione strinse i pugni, lasciando che quella si sfogasse tutta insieme creando un nuova, immensa spaccatura lungo i confini del suo mondo che fu inondato da un rigurgito luminoso, divorato l’istante successivo dall’oscurità dominante. Anche in quello sconfinato antro, amore e odio si davano battaglia senza sosta, senza esclusione di colpi, distruggendo dall’interno il corpo materiale della ragazza in balia di se stessa. Muovendo appena le dita strette nei palmi, il fantasma di quella donna fece crollare il piano rialzato su cui sostava l’intruso, che spiegò due larghe ali, galleggiando a mezz’aria.

    Perché mai avrei dovuto invitare un nemico?
    «Noel…!»
    -Sussultò, irrigidendo ulteriormente la schiena, quasi spaventata.
    Conosceva quella voce. Era solo la sua immaginazione o forse…?-


    Un ringhio lontano espresse la rabbia dietro a quella frase, pronunciata in tono distaccato, e a quelle parole che rimbombavano nel tumulo della dea. In sincrono perfetto, lei e il suo regno vivevano allo stesso modo: gemeva uno, soffriva l’altra; combatteva il primo, difendeva la seconda. Entrambi sotto attacco dovevano cercare il modo più conveniente per limitare i danni e salvare ciò che avevano creato contando l’uno sull’altra. Il suolo inesistente fece germogliare una colonna di fuoco azzurro alle spalle dell’anima candida, lambita, immobile, dalle fiamme del rifiuto verso tutto ciò che potesse farle del male. Si esaurì in un placido luccichio che ondeggiò confondendosi nel nero dell’oblio.

    Non sono un nemico, sono una parte dell'essere a cui hai aperto il tuo cuore...
    e forse, in fondo, non desideri così tanto la solitudine.


    Echeggiò tintinnando, deformato dalle infinite barriere che aveva dovuto attraversare, flebile e sofferente, il gemito di supplica della bionda che implorava pietà, prendendosi il volto tra le mani, vittima sacrificale di una volontà nascosta. Il fumo etereo condensato in forme femminee abbassò placidamente le palpebre mentre un ampio squarcio compariva sulle sue vesti nitide, grondando sangue scarlatto. Il ticchettio continuo delle gocce che s’infrangevano nel vuoto scandì i picchi della sua sopportazione all’oltraggio.

    Non ho aperto il cuore a nessuno.
    All’esterno esistono solo bugie e menzogne, e dolore.
    Non ho bisogno di nessuno.

    «Noel, riprenditi!»
    -Serrò con più forza le palpebre, mordendosi le labbra con forza.
    Era già la seconda volta che le succedeva con lui… con loro.-


    La cupola cominciò a sgretolarsi, crollando in pezzi sotto l’influsso della delusione profonda della sua regina. La natura versata si condensò in un largo turbine umido che si alzò sferzante verso l’alto, avvolgendo i detriti di quel mondo, scaraventandoli all’esterno della sezione oscura di un universo indefinito. Il nemico sospirò, stretto in quell’armatura scura e scintillante, incurante della pioggia rossa intorno a lui.

    Assomigli tanto a qualcuno che conosco,
    le menzogne peggiori le stai dicendo a te stessa per restare al "sicuro".
    Temo che non spetti a me, dirti queste cose.


    Basta. Era finito il tempo dei giochi e degli scherzi. Era il momento di liberarsi degli ospiti indesiderati. A tutto c’era un limite e le creature ringhianti di quel nembo inesistente volevano allontanare quello strano essere tanto sfacciato da provocare e giudicare la loro principessa, la loro sovrana. La loro madre. Scattarono in avanti come una sola bestia demoniaca, fusi in una chimera affusolata e letale, cavalcando il mare in tempesta di un paesaggio sconvolto.

    Non è sicuro neanche questo posto. Se il corpo morisse allora, forse,
    sarei davvero al sicuro. Lasciami in pace.


    Si avventò con tutta la sua imponente massa sull’invasore armato, le fauci spalancate, gli artigli lucidi di furore. Ma quell’essere si sollevò ulteriormente a mezz’aria, spostandosi dalla traiettoria perfetta dei sottoposti senza vita di un comandante disarmato. Il suono malinconico di un pianto lontano infranse la fusione tra le belve, rendendole nuovamente dei prolungamenti di ombre confuse nel nulla. Lo spirito scosse lievemente il capo e rialzò lo sguardo chiaro e luminoso sull’avversario che le stava di fronte. Sorprendentemente quello le voltò le spalle con una certa rassegnazione e una punta di sdegno.

    Non c’è bisogno di essere scontrosi: stavo per andarmene,
    visto che il tuo corpo non sembra apprezzare la mia presenza.



    Riaprì lentamente gli occhi, sentendo il dolore scemare lentamente, la mente riacquistare lucidità e il corpo sottomettersi alla sua volontà. Respirò affannosamente, sentendo i palmi bagnati da lacrime che non immaginava di aver versato. Si sentiva a pezzi, morta dentro. Mentre le fitte al corpo lasciavano il posto ad un indolenzimento generale, Noel rimase immobile a fissare il vuoto tra le sue mani, incredula che tutto fosse finito così in fretta. Profondo, debilitante, intenso, distruttivo, ma relativamente breve. Appoggiata a terra, aveva sentito qualcuno che la chiamava, voci rimbombare violentemente nella sua mente come se volessero riportarla alla realtà: tutto era suonato strano e incomprensibile, una cacofonia senza senso, che sembrava puntare a schiacciarla, invece che volerla aiutare. Staccò lentamente le dita dal viso, vedendo le larghe macchie sbiadire rapidamente e andarsene così come erano comparse, lasciando al loro posto solchi più chiari rispetto al colore della pelle sana. Distrutta, rotta. Stupida, odiosa, maledetta, inutile bambola.
    Voltò debolmente il capo, alzando lo sguardo umido sulla persona che l’aveva salvata, sapendo di doversi scusare per il problema che aveva causato. Per la seconda volta di fila. Per quanto si sentisse mortificata, ai suoi occhi non lo sarebbe mai stata abbastanza con Maxwell, per averlo coinvolto direttamente nei suoi insospettabili problemi. Ma di fronte all’armatura, un flebile sorriso le incurvò le labbra, donando un aspetto più disteso al viso cereo: era quello, l’aspetto che Siegfried aveva detto essere tanto spaventoso?
    «Grazie...» sussurrò stancamente, mentre gli ultimi brividi del suo fisico scosso cacciavano via i residui del supplizio.

    ----------------------------


    Aveva paura. Sapeva di non doversene fare una colpa, ma temeva le conseguenze di un eventuale contatto con il custode. La terrorizzava l’idea delle reazioni dei suoi compagni di fronte a quel poco che era riuscita a mettere insieme riguardo quei suoi assurdi attacchi. Già si sentiva disgustosamente sola, abbandonata a se stessa; il pensiero di precipitare ancora più in basso lungo quella scala che tentava di risalire con scarso successo la demoralizzava. Si morse le guance, voltando il capo dal lato opposto rispetto agli altri tre all’interno della navetta, concentrandosi su un punto imprecisato della tappezzeria della Gummiship. Le sarebbe veramente piaciuto non essere lì. Ma nessuno sembrava in vena di parlare e fare domande, e lei non aveva la minima intenzione di rompere quel silenzio tanto caro, seppur pesante. La separava dagli altri, così come separava gli altri da lei, costruendo un invisibile quanto invalicabile muro. Perciò era tornata a ripararsi dietro a una maschera, diversa dalla solita, ma indubbiamente efficace. Avrebbe voluto piangere, urlare, fuggire lontano da quel luogo, sparire, soccombere, morire; qualunque cosa pur di non dover dare spiegazioni a nessuno di ciò che le era successo. Faceva finta di niente, provava a ignorare se stessa, a ignorare i problemi, a dimenticare l’accaduto. Invece rimaneva incatenata alla sua figuraccia, al suo dolore, al massacro interiore del suo corpo.




    A Thousand Words: Dopo il primo incontro con Nu, Noel ha sviluppato un’abilità piuttosto particolare. A quanto pare, a causa proprio del tocco della ragazza dall’occhio rosso e della sua dubbia natura di fantasma, Noel ha da lei acquisito la capacità di sentire e percepire le anime più forti e complesse delle persone che la circondano, fino ad un massimo di un metro di distanza, non senza riscontri sul suo essere. A seconda della potenza e dell’entità delle anime, la reazione avuta dalla bionda sarà più o meno grave: più segnati e singolari sono gli spiriti, più lunga e intensa è la crisi epilettica che ne consegue. Questo perché, a livello inconscio, l’anima della ragazza entra in contatto, al primo incontro, con quelle altrui, creando un legame fondamentale più o meno resistente, provocandone uno shock fisico e mentale, scatenando inoltre la comparsa di inspiegabili macchie violacee su diverse parti del corpo della giovane. A livello di battaglia, questa abilità non ha alcuna utilità e può essere di relativo intralcio. (Attiva a Costo Nullo)


    Edited by Paranoia~ - 29/9/2013, 22:56
     
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  6. Xisil
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    Non aveva mai avuto paura di nulla, nessuna insensata fobia, nulla per cui cadere nel baratro della vergogna, celare il volto allo sguardo altrui. Non aveva mai fatto nulla per cui sprofondarsi, tormentarsi l’anima in un continuo lanciare sguardi amareggiati alle proprie spalle, incontrollabile e deleterio rimpianto del proprio passato, che seppure questo scorra rapido e irrefrenabile nel suo moto naturale come acqua nei fiumi e nei ruscelli anche più umili, spesso si fatica a perdere l’ossessivo impulso a soffermarsi sui ricordi più cupi e tenebrosi. Come se il perpetuare la memoria di tali misfatti possa, alla lunga, attenuarne il rimpianto.
    Eppure, ella sentiva di non essere libera. Perché percepiva pesanti catene farsi strada fra le sue viscere, intrappolando la sua anima e stringendola in una morsa pesante e dolorosa, rendendo ogni movimento, ogni respiro, un pesante ed incessante tormento.
    Libera da ogni timore, da un debilitante moto interiore, nel quale la bocca dello stomaco si chiude, le viscere si contorcono, il fiato di fa corto e affannato, nel dubbio, sempre vigile come un avvoltoio sulla carcassa del morto, di aver commesso qualche errore, di aver fatto qualcosa di sbagliato. Di irrimediabile. No, ella non era libera.
    E più ella guardava alle proprie spalle, meno capiva. E meno capiva, più ottenebrante e doloroso si faceva il suo timore, verso se stessa, le sue possibilità di portare a compimento la missione a cui si era votata. Era giunta, ora più che mai, ad un passo dal baratro, e già da tempo poteva percepire il suolo franarle sotto i piedi, e il divario fra sé e il nero oblio si faceva ogni giorno più sottile, effimero. Il suo tempo stava per scadere.
    Piani, visioni intime su cosa il suo futuro le avrebbe portato, illusioni, sciocche menzogne di una possibilità di aggiustare l’universo intero con le proprie mani, di poter da sola fare la differenza, essere ella stessa fautrice del proprio destino. Eccolo, quel destino, una pagina da girare dopo l’altra, un volume fattosi fragile al tocco, i sottili fogli, foglie secche e morenti, cadono una dopo l’altra dalla debole rilegatura, se non girati con cautela, rischiavano di sgretolarsi nelle sue stesse mani: allora non vi sarebbe più stata possibilità di prendere in mano la penna e impregnare di nero inchiostro la carta, fattasi cenere fra le dita. Nessuna possibilità, non più, farse di se stessa autrice di quel libro, ma solo una piccola donna, un personaggio in balia del caos, allo sbaraglio in un universo sconfinato.
    Aveva sempre pensato a sé stessa, giovane com’era, come invincibile, intramontabile. Come è gelida la verità. Scosse il capo con lenta rassegnazione, un sorriso di sottile ironia a distorcere il volto adombrato, chino verso quelle braccia conserte, avambracci posati sul piano in pietra a sorreggere la forma fluente del suo corpo, sagoma imperfetta nella mollezza degli arti piegati, l’abbandono di una cupa figura appoggiata mollemente accanto alla rigida, austera rettitudine delle immobili fila del candido colonnato, mentre ella, il cui volto era celato da ciocche scure, ondulate e scompigliate cadenti sulla fronte, sugli occhi spenti, un guerriero ramingo abbandonato nel ripiegamento verso la propria interiorità, un fantasma di un glorioso passato.
    Se di tutto ciò che le restava, tutto ciò che conosceva, nulla vi era di tangibile, nulla vi era al di fuori di una mera illusione, cosa le restava da fare? Che senso avrebbe avuto cercare di aggrapparsi a quel mare di nebbia, consapevole che avrebbe solo continuato a cadere verso il nulla?
    Perché aveva accettato quell’incarico? Perché questa, nonostante tutto era Xisil, incapace di restare immobile a compiangere il proprio triste fato, mossa da qualcosa che sapeva andare ben oltre i limiti del suo essere, come l’uomo che pur privato della vista non può fare a meno di percepire la ricca bellezza di un fiore, cercandone il profumo, la delicatezza al tatto e la freschezza della sua vitalità. Pur rallentata dalla presenza sempre più imminente, innegabile delle tenebre, tanto che quasi riusciva a percepirne il fetore opprimente accanto a sé, pesante fardello in quel cuore che sempre più spesso si soffermava ad ascoltare, battito dopo battito, in cerca della rassicurante conferma del suo essere ancora umana, nonostante tutto la sua mente continuava a ragionare secondo quegli schemi così congeniali, fattisi parte della sua razionalità fin dal suo primo confronto con la dualità della realtà in cui viveva
    Ora, ad un passo dalla fine, era alla disperata ricerca di qualcosa che le desse la forza di restare in piedi, salda su quelle gambe sempre più stanche, una bianca fune che le permettesse di superare quelle tenebre che ormai il giorno più non riusciva a rischiarare. Aveva bisogno di ricordare il motivo per cui stava combattendo.
    Alla luce del sole o immersa nelle tenebre della notte, con o senza quel cuore come richiamo costante alla vita umana, agli occhi della creatura di nome Xisil la vista, il tocco, il profumo di un fiore avrebbero, sempre nella sua mente lucida e razionale, avuto il medesimo significato.

    Alzò il volto, guardò il verde e rigoglioso guardino aprirsi sotto di lei, i colori, e freschi profumi della natura. Poi volse lo sguardo al cielo limpido, tinto di un azzurro quasi sovrannaturale, e dal riparo ombroso del colonnato, reso ancora più cupo dalla presenza della guerriera, come se dall’anima di ella si spandesse un’aura densa e soffocante, tetra e triste, una mano liscia delicata, si sfilava dal nero guanto in pelle per offrirsi in tutta la sua nudità, allungato il braccio oltre gli spessi, bianchi guardiani in marmo, ai caldi raggi del sole. Quei soffici tessuti, intorpiditi da un gelo che spesso coglieva le dita affusolate e le estremità della giovane donna, si sciolsero, lentamente, al caldo torpore là dove l’ombra non riusciva ad arrivare, ricacciata negli angoli freddi delle bianche pareti e del cuore. Forse, ancora una sperava vi era.

    Fu interrotta da rumori di passi poco lontani, un suono che condusse il suo sguardo là dove poteva scorgere una figura familiare, una ragazza già vista una cupa notte non molto tempo prima. Di certo, non le sarebbe più capitato di confondere il suo volto fra altri. Non seppe se cercare di richiamare la sua attenzione, ed esitò dunque nell’osservare la sua evidente fretta, il suo disagio apparente, fino al brusco interrompersi della sua avanzata: Xisil non fu certa, vedendo la giovane Noel precipitare improvvisamente direttamente nel giardino sottostante, che fosse davvero quella la sua meta finale.
    La vide cadere come in preda ad un mancamento, un’estraneazione del suo “io” rispetto a quel corpo curvilineo, che ora cadeva come un passerotto dal suo ramo, troppo giovane per poter ancora spiccare il volo. Eppure, a differenza del piccolo volatile così inconsapevole del mondo esterno – la giovane guerriera poteva immaginare che tale condizione non poteva essere la medesima per la conoscente – Noel trovò un grembo pronto, seppur inconsapevole, ad accoglierla, frenando il rovinoso impatto con il manto erboso.
    Ma il sollievo della giovane guerriera non poté durare a lungo: il buio colse gli occhi smeraldini della bionda, l’intendo tremore che già prima aveva potuto osservare in lei scosse con moto spasmodico il giovane corpo come fosse un piccolo pesce strappato improvvisamente a quel suo ambiente naturale, nel quale esso si fa simile ad abile danzatore, un celere contrarsi di ogni muscolo alla ricerca disperata della salvezza.
    Ed ella saltò a sua volta oltre il bianco colonnato, giovane guerriera dall’animo ridestatosi dal mesto languore, atterrando con una calcolata capriola atta a dissipare la notevole energia accumulata nel balzo, per poi rialzarsi e correre attraverso i giardini regali. Vide il grave malanno farsi più lieve, lentamente, fra le cure attente e premurose della massiccia figura che aveva afferrato la bionda. I due sembravano conoscersi, vista la reazione pronta e controllata di fronte agli spasmi della giovane. Un’attesa che sembrò durare in eterno, minuti – ore forse, non avrebbe saputo dirlo – nei quali ella si sentì impotente, quasi d’impiccio, un peso di troppo nella sua impacciata inutilità, un osservatore indesiderato in quel quadretto rassicurante nel suo apparire in superficie, tanto che presto, senza il minimo bisogno del suo aiuto, ogni cosa tornò alla sua naturale condizione.
    Xisil si chinò, inginocchiandosi di fronte alla giovane come al capezzale d’un moribondo: prese la mano della conoscente fra le sue, cauta, esitante, ma desiderosa più d’ogni altra cosa di farle sentire la sua, per quanto umile, vicinanza. Vide allora lentamente schiudersi gli occhi, gemme smeraldine emerse dal loro scrigno, e la coscienza del mondo che la circondava riappropriarsi di quel corpo fuori controllo.
    Sospirò sollevata, liberando i polmoni da quel pesante macigno che l’angosciava, abbozzando un lieve sorriso nel domandarsi se Noel si ricordasse di lei – come avrebbe potuto dimenticare? – e, soprattutto, se tale ricordo fosse per lei fonte di profondo odio e rancore, o meno.
    Allorché si volse ad osservare, alzatasi, quel provvidenziale salvatore: "Credo di avervi già visto da qualche parte" si rivolse a lui, osservandolo con quella tipica espressione di chi cerca, nei meandri della propria memoria, un ricordo, un’immagine, un capo di quel contorto filo ch’altro non è se non la mente d’una donna fino a poco prima assorta in ben altre riflessioni.
    "Sì... a Radiant Garden, in quella missione per l'esplorazione delle caverne" rispose egli garbato, trovando per lei il bandolo di quell’intricata matassa informe.
    "Sì, giusto... ricordo." risponde un po' mesta, ricordando tutto ciò che in quelle circostanze erano accadute, con una punta di amarezza, poi rabbia svelata in quel pungo, di quel braccio teso lungo il corpo strettosi in modo convulso. L’espressione cupa del suo volto si lasciò sfuggire ogni sentimento verso quei ricordi che l’avevano a lungo, da allora, tenuta desta nella notte, per poi sciogliere la tensione accumulata in un sorriso, abbandono di tutta quella negatività nel lasciarsi alle spalle, per il momento, come un mantello pesante lasciato scivolare dalle stanche spalle, le tenebrose immagini che infestavano la sua razionalità.
    Maxwell, sì, ora ricordava perfettamente.
    "Fortunatamente siete intervenuto" gli disse voltando dunque un ennesimo sguardo all’amica fisicamente, e forse anche mentalmente provata. "Non sono proprio le circostanze in cui mi sarei immaginata di rivedervi"


     
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    Un re. Un castello. Nel suo mondo i titoli nobiliari erano ormai “morti”, quei pochi aristocratici che erano rimasti avevano il ruolo di supervisori di alcune aree, il loro antico potere era andato ormai perduto. Tuttavia, adesso si trovava nei giardini della fortezza di un sovrano, quel “Re Topolino” lo aveva invitato per partecipare a una missione segreta e piuttosto importante: dovevano liberare una guerriera, una “Maestra del Keyblade” che era rimasta intrappolata nella tana degli Heartless da qualche anno. Brutta storia, questo aveva detto Siegfried, e non gli dava certo torto. Già la prospettiva di dover andare in questo “Regno dell’Oscurità”, la patria di tutti quegli esseri senza cuore, era un pensiero ben poco rassicurante, ed era anche peggio pensare che una persona vi fosse rimasta a forza per degli anni. Come potevano rifiutare quella richiesta di aiuto?

    -Più che come, direi “perché”, e posso pensare a due motivi per rifiutare.-

    … Catherine e Noel? Se erano loro a causargli quelle preoccupazioni, allora Maxwell aveva la risposta pronta: se quella persona intrappolata con gli Heartless era abbastanza forte da resistere diversi anni in un mondo infestato da quelle creature, allora avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. Apparentemente i Senza Cuore più forti e i Nessuno avevano abbastanza forze da lanciare un attacco su larga scala, o anche solo abbastanza “soldati” da compiere più missioni di guerriglia, e proprio per questo non potevano lasciare che un possibile alleato rimanesse fuori da quella storia. Se voleva creare un mondo più sicuro per chi voleva bene, allora prima doveva fare in modo di trovare altre persone con il suo stesso obiettivo, o almeno individui con abbastanza forza e buone intenzioni per difendere i mondi da chi desiderava solo distruggere. Purtroppo, i ricordi dell’incidente di Steven gli davano ancora molti dubbi sulle sue capacità, gli facevano temere che le sue abilità attuali non fossero abbastanza da farli uscire da una situazione difficile un momento cruciale, ma non poteva lasciare che quei pensieri lo bloccassero completamente.

    -… Eh… sei cambiato molto in questi ultimi giorni, moccioso.-

    Forse sì, forse no. Più che “cambiato” era maturato, aveva trovato il modo di togliersi i sensi di colpa dalle spalle… probabilmente il Settimo si sarebbe meritato un “grazie” per questo. E poi, quello sembrava uno strano scherzo del destino: quasi ogni impresa in cui si erano imbarcati, in un modo o nell’altro, li aveva portati più vicini al Keyblade. Prima erano stati salvati a Radiant Garden da quel ragazzo che aveva il Keyblade blu; poi nella Balena incontravano quell’Heartless che aveva un’arma molto simile e voleva quella strana corazza; infine, a Crepuscopoli incontravano sia una ragazza che cercava di saperne di più su quegli artefatti… sia un essere che gli aveva detto di poterli guidare verso quell’oggetto. Quelle coincidenze erano stranamente “comode” in un certo senso, ma era anche altrettanto probabile che l’automa stesse perdendo tempo prezioso con quei pensieri e gli ultimi controlli.
    Ormai si era appostato in un luogo un po’ isolato del giardino interno del Castello Disney da qualche ora, e aveva passato il tempo cercando di testare la precisione della sua nuova abilità, l’Aura Radar. Aveva provato ad avvertire l’energia vitale delle persone che passavano vicino a quell’angolo in ombra tra le siepi, ma al momento aveva visto solo due scoiattoli con un grembiule e una miriade di scope con le braccia. Alla fine si era arreso e aveva smesso di contare le stranezze che incontravano in quel bastione, ma non era pronto per la coincidenza che stava –letteralmente- camminando nella sua direzione. D’un tratto, il “radar” di Maxwell captò una presenza sopra di loro, l’energia vitale di un essere umano minuto che, improvvisamente, cominciò a muoversi verso il basso. In caduta libera, a essere precisi. Fortunatamente era direttamente sopra di loro, e una volta alzato lo sguardo, l’ex-uomo vide la persona che aveva captato, riuscendo a prenderla al volo per il rotto della cuffia. Tuttavia, la sorpresa più grande era che si trattava di…

    -NOEL?!-

    Capelli biondi, corpo minuto e praticamente priva di peso per la forza fisica del cyborg… sì, non c’erano dubbi, era proprio lei, e il segnale che riceveva dall’Aura Radar apparteneva alla donna di cui Siegfried si era innamorato. Purtroppo, una nuova conferma venne da un altro attacco di panico o qualcosa del genere, una reazione che la ragazza aveva avuto anche la prima volta in cui si erano incontrati. L’intensità di quelle convulsioni era minore, ma questa volta l’uomo poteva vedere chiaramente delle macchie, chiazze simili a lividi che coloravano di un macabro viola la pelle bianca della bionda. I suoi muscoli erano rigidi, le reazioni degli arti sembravano essere fuori dal suo controllo… quella storia stava diventando sin troppo familiare.


    -Noel, calmati…!

    Non sapeva cosa fare, la prima volta aveva attribuito quel sintomo al panico, a qualche trauma, ma adesso sembrava che quello fosse qualcosa di peggio. L’unica soluzione che gli venne in mente fu di inginocchiarsi sull’erba, lasciando che Noel rimanesse a contatto col terreno e non rischiasse di cadere a causa di una convulsione.

    -Noel…! Maxwell, lasciami il posto!-

    Cos…?

    -TE NE PREGO!-

    … Non poteva rifiutargli quella richiesta, soprattutto se lo chiedeva in quel modo. L’ex-uomo lasciò che le loro personalità si scambiassero, e subito dopo aver ottenuto il controllo del corpo, il cyborg si piegò di più verso la giovane, stringendola con un misto di affetto e preoccupazione.


    -Noel, riprenditi!

    Siegfried aveva abbassato il più possibile il proprio volto, almeno per quello che il collare dell’armatura gli concedeva, cercando di far sentire la propria voce il più vicino possibile a lei. Tremava leggermente, tutto a causa della preoccupazione, tutto perché Noel continuava a piangere silenziosamente, continuava a soffrire… e lui sembrava incapace di aiutarla. Tuttavia, a poco a poco, quella strana reazione passò così com’era venuta, lasciando Noel con una brutta cera, ma in uno stato decisamente migliore. Anche quegli strani ematomi erano passati, e la giovane riuscì a sussurrare un “grazie”. L’unica risposta che Sieg riuscì a darle mentre la stringeva un po’ di più a sé fu stupida, ma carica di sollievo.

    -… Oh, grazie al cielo…

    La sua voce poteva suonare leggermente distorta a causa della sua natura elettronica, ma non era per questo che alla fine di quella frase il cyborg emise un verso simile a un sospiro, né era quella la ragione del tono tremante con cui aveva parlato. Quando aveva visto nuovamente quella reazione del corpo di Noel, in lui era scattato qualcosa, come se nei suoi sistemi fosse arrivata una scarica elettrica improvvisa… Maxwell lo avrebbe chiamato “brivido”, probabilmente. La sua preoccupazione era tale che non si era neanche accorto dell’arrivo di un’altra persona, una figura familiare, un giovane guerriera dai capelli castani di cui, purtroppo, ricordava a malapena il nome. Si era avvicinata rapidamente a loro, probabilmente perché aveva visto la caduta di Noel, ma dopo essersi resa conto che stava bene –e soprattutto che quella strana reazione era terminata-, si avvicinò alla bionda e le prese la mano. Quindi anche lei conosceva Noel? Pensava che fosse solo un modo di dire, specialmente nella situazione in cui si trovavano, ma il mondo era proprio piccolo. Tuttavia, per quanto la nuova arrivata potesse mostrarsi gentile nei confronti della bionda, come per istinto l’automa strinse un po’ di più a sé la ragazza a cui teneva… l’unica a cui teneva. Intanto, la castana disse di averlo già visto da qualche parte, e sembrava che stesse cercando di ricordare dove. Il cyborg si limitò a fissarla per qualche attimo dietro i vetri protettivi della corazza, squadrando i suoi lineamenti e cercando di ritrovarli tra le proprie memorie… giusto, si erano incontrati durante quella missione.

    -Sì... a Radiant Garden, in quella missione per l'esplorazione delle caverne.

    Quelle parole furono un indizio importante apparentemente, visto che poco dopo Xisil –così si chiamava, ora ricordava- confermò che si erano visti in quell’occasione. Siegfried evitò di dire altro, anche se tecnicamente era stato Maxwell a “incontrarla”, nonostante si fossero visti solo per pochi attimi, e non la metà elettronica. La ragazza era andata nei meandri delle caverne, all’inseguimento della donna col cappotto nero, mentre loro erano andati in cerca di tutt’altri guai… insomma, quell’avventura non era andata bene per nessuno. La giovane donna, intanto, continuò a parlare, dicendo come fosse stata una fortuna che lui si trovasse in quel luogo, senza contare che non si aspettava di ritrovarlo in circostanze del genere. Sieg si limitò ad alzare le spalle con noncuranza, alla fine queste cose non si potevano controllare, ma subito dopo avrebbe avvicinato un altro po’ a sé Noel, nuovamente con fare protettivo. Non gli piaceva quella prospettiva, non voleva che la vita di quella persona fosse in pericolo. Non voleva che si ripetesse un altro incidente come quello di Steven. Doveva proteggerla, doveva aiutarla… era l’unico in grado di farlo in quel momento, e aveva un piano.




    Ormai conosceva lo stupido computer, cercava di mostrarsi statuario, calmo, pronto a prendere di petto qualsiasi situazione, ma la personalità umana di quel corpo sapeva che il vecchio Sieg era segretamente teso come una corda di violino. Voleva capire cos’aveva Noel, cercava di concentrarsi il più possibile per tenere chiaramente sotto controllo il loro radar… insomma, prima era Maxwell a darsi troppe responsabilità, e adesso che si era tolto quei pesi di dosso, era la sua metà elettronica a farsi carico dei problemi altrui. Non che gli desse torto, anche lui era teso per altri motivi, ma se entrambi erano preoccupati in quel modo, allora le cose andavano di male in peggio. Anzi, ora che ci pensava bene, forse non era la tensione a dargli dei problemi, quanto uno strano fremito che sentiva in tutto il corpo: la presa della sua mancina sulla tonfa che si era fatto forgiare da Mogudara poche ore prima diventò più salda, e sentì chiaramente un brivido lungo la schiena… perché? Più si avvicinavano al mondo degli Heartless, più sentiva che qualcosa rispondeva a una strana presenza, che fosse la sua corazza? Era nata da qualcosa di oscuro, quindi più si avvicinavano al regno in cui tale elemento era sovrano e più avrebbe sentito quei fremiti? No, per qualche motivo sentiva che era qualcosa di diverso, ma ancora non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse. Forse… era una reazione di “risonanza”? Era un vocabolo con cui non aveva molta dimestichezza, ma da quanto aveva capito dai dati all’interno del vocabolario di Sieg, era un evento causato da due frequenze o energie simili, che fosse quello ciò che stava accadendo? Ma allora a cosa diamine stava reagendo? Troppe preoccupazioni, troppi pensieri tutti in una volta, tutto a causa di quel silenzio così opprimente, di quell’aria fin troppo pesante che si sentiva all’interno di quella gummiship. Per un attimo, l’automa pensò che, se avessero preso Marilù, almeno avrebbero potuto respirare un po’ di ossigeno “fresco” grazie all’atmosfera artificiale, ma non era l’aria viziata il problema. Noel sembrava essere nuovamente imbarazzata di quei suoi attacchi, lui aveva altri pensieri per la testa, Xisil sembrava essersi chiusa nel suo piccolo mondo… e il Custode che li stava conducendo a destinazione non pareva essere troppo entusiasta di quella nuova compagnia. Alla fine erano stati definiti come “mercenari”, una parola che suonava decisamente negativa, quindi la fiducia di quel Riku nei suoi confronti non poteva essere molto superiore allo zero. Forse sarebbe stato il caso di chiarire la loro posizione una volta atterrati, non erano venuti lì per dei soldi o la gloria, ma erano stati scelti per aiutarlo… poteva essere ovvio per loro, ma per un individuo apparentemente solitario come quello a cui erano stati addossati poteva non essere altrettanto certo.
     
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    Aveva sopportato abbastanza, quel silenzio era durato anche troppo. Poteva capire la tensione, la poca fiducia verso gli estranei, il peso che una missione del genere aveva sui nervi… ma sapeva che se si concentravano solo su queste emozioni, allora avrebbero iniziato quell’incarico con un piede nella fossa. Da quanto aveva capito, gli Heartless erano in grado di compiere attacchi organizzati, anche solo per puro istinto, e di conseguenza avrebbero avuto un certo “lavoro di squadra” a prescindere. Proprio per questo motivo, loro non potevano permettersi di avere esitazioni nel lavorare insieme. Non pretendeva certo che diventassero subito amici o roba simile, né che la fiducia arrivasse senza qualche dimostrazione di competenza, ma se uno di loro non faceva il primo passo non sarebbero arrivati da nessuna parte… e sembrava che toccasse a lui farsi avanti.

    -… Riku, posso dirti una cosa?

    Le sue parole, portate con un tono calmo ma serio, colsero alla sprovvista il Custode, che si voltò con un’espressione piuttosto sorpresa. Forse era perché lo aveva chiamato in una maniera piuttosto “personale”, senza titoli o altro, ma lui non era il tipo da perdersi in formalità quando non era strettamente necessario: in quel momento aveva bisogno di parlare al ragazzo con sincerità, e non aveva tempo per i “Lei” o i “Voi”. Anche il suo interlocutore sembrò pensarla allo stesso modo, poiché dopo la sorpresa iniziale annuì, consentendo a Maxwell di continuare il suo discorso.

    -So che non è facile fidarsi di tre sconosciuti, ma... noi non siamo qui per una gita di piacere, né per puro profitto personale. Forse parlo più che altro per me, ma anche se sono stato coinvolto in maniera piuttosto improvvisa, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi.

    L’automa esitò un attimo a terminare la sua frase, e la stretta della sua mancina sul manico della tonfa si rafforzò. Non stava mentendo, era davvero intenzionato a fare di tutto per aiutare sia Riku sia le sue due conoscenti, non voleva che si ripetesse un incidente come quello di Steven, ma proprio come in quell’occasione, si chiedeva se le sue forze potessero bastare. Tuttavia, nonostante questa breve titubanza, con un leggero sospiro Maxwell avrebbe chiamato a raccolta le forze di cui aveva bisogno, portando così a termine il suo discorso.

    -Puoi anche decidere di non credermi seduta stante, ma... ho le vostre, e le tue, spalle.

    Poteva anche non essere il guerriero più forte o lo stratega più abile, ma anche le sue poche capacità potevano rivelarsi utili per i suoi compagni di squadra. Le sue ali gli avrebbero consentito di colpire nemici aerei, la sua percezione dell’Aura messa come radar diminuiva drasticamente la possibilità di attacchi a sorpresa… poteva pensare per ore a queste e tante altre possibilità, ma ognuna di esse si rivelava inutile se i suoi alleati non avevano neanche un briciolo di fiducia in lui.
    Il Custode lo guardò per qualche secondo con un’espressione pensierosa, ma dopo un breve sospiro si decise a rivolgergli la parola. Non solo Riku gli diede ragione, ma addirittura si scusò con tutti e tre: a sentire quell’ultima affermazione, l’automa sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa, mentre il suo interlocutore spiegava che erano state delle esperienze passate a renderlo così diffidente. Maxwell non sapeva da quale fonte arrivasse lo stupore più grande, se dal fatto che le sue parole erano riuscite a trapassare un’altra maschera di insicurezza, o se dalla strana somiglianza tra le loro storie. Anche l’ex-uomo aveva decisamente meno fiducia nel prossimo dopo certi eventi negativi, ma proprio come Maxwell, anche il ragazzo dai capelli argentei riconosceva l’utilità che un po’ di fiducia aveva in quel momento. Ammise che poteva avere un po’ di fiducia nelle scelte di Re Topolino, e soprattutto che se contavano l’uno sull’altro avrebbero avuto più possibilità di uscire vivi dalla tana del lupo. Proprio per questo motivo, dopo aver premuto qualche tasto sulla pulsantiera di comando della nave, Riku si alzò dal suo posto e si avvicinò al cyborg, porgendogli la mano destra e chiedendogli se fosse il caso di presentarsi come persone civili.
    Come prima risposta a quel gesto, Maxwell chiuse per un attimo gli occhi, smorzando una leggera risata sul nascere. Non era un esperto di educazione, ma sentiva che era un po’ tardi per una presentazione civile, soprattutto perché erano ormai in viaggio da qualche ora… se non si fosse deciso a parlare quando si sarebbero scambiati quella cortesia, in mezzo a una battaglia? In ogni caso, tralasciando un tipo di ironia che si addiceva di più al vecchio Sieg, l’automa avrebbe stretto la mano del Custode, facendo una presentazione piuttosto “riassuntiva” di se stesso.


    -Maxwell Blaze, recluta fallita e figlio di un locandiere. E non preoccuparti, anch'io ho avuto delle brutte sorprese nella mia vita, ma in queste occasioni è meglio parlarsi a quattr'occhi.

    Per adesso quei pochi particolari bastavano, non voleva dilungarsi con la storia della sua vita, quella l’avrebbe tenuta da parte, al massimo, per il viaggio di ritorno. Riku ebbe ancora qualche difficoltà a dargli una risposta, ma dopo quell’attimo di esitazione disse, con un sorriso, che anche lui aveva le sue spalle. Maxwell si limitò ad annuire, semplicemente contento di aver ricevuto quel po’ di fiducia che gli aveva chiesto, e di conseguenza il suo interlocutore passò alle giovani donne.
    La risposta di Xisil fu piuttosto “rigida”, poiché prima della sua presentazione disse qualcosa a proposito di come la fiducia si dovesse guadagnare, e non ricevere arbitrariamente. L’automa fu tentato di fulminarla con un’occhiata, per quanto i suoi occhi vuoti potessero squadrare qualcuno, ma fortunatamente la mora continuò a parlare dicendo che capiva le motivazioni di Riku, e in un certo senso perdonava la sua freddezza. Si presentò subito dopo, come se non si fosse accorta della mano tesa del Custode, ma nonostante questa dimostrazione di umanità, l’ex-uomo non riusciva a non vedere in Xisil una leggera ombra del suo passato da militare. Non si spiegava neanche il perché, ma per qualche motivo aveva uno strano presentimento: era qualcosa di simile a Yejide, anzi, di simile al suo comportamento prima dell’incontro col Settimo… sentiva che quelle parole erano dovute a qualcosa di più “viscerale” di quanto non volesse dare a vedere.
    Tuttavia, se la reazione della soldatessa era “curiosa”, quella di Noel era decisamente preoccupante. Non le aveva dato troppe attenzioni, tutto perché era più concentrato sul suo discorso e le risposte di Riku, ma la bionda si era alzata dal suo posto, e si era appartata in un angolo dell’abitacolo. Aveva una brutta cera, e forse l’automa sapeva anche il perché…
    < Temi che sia per via di quella reazione? >
    Il messaggio di testo dello stupido computer arrivò all’improvviso nella sua visuale, ma aveva fatto centro. All’inizio credeva che fosse una reazione causata da una fonte psicologica, un trauma, una profonda paura di qualcosa, ma Noel aveva mostrato i sintomi di quello strano attacco epilettico anche a contatto con la sua armatura… la corazza che, apparentemente, ospitava parte del “Distruttore” del suo paese. Purtroppo poteva fare solo congetture, e non voleva concentrarsi troppo su quei sintomi se neanche la stessa Noel voleva metterli troppo in mostra, poiché dopo essersi scusata per il suo comportamento si presentò brevemente al ragazzo. Anche Riku aveva letto tra le righe di quell’atteggiamento, e dopo le poche formalità necessarie si limitò a consigliarle di riposarsi.
    < … Sperando che sia abbastanza… >
    L’automa emise un leggero sospiro a quel messaggio: capiva la preoccupazione di Siegfried, ma da quanto avevano visto quei sintomi arrivavano solo col contatto fisico, quindi per adesso Noel non era in pericolo. Inoltre, avevano anche altro cui pensare, poiché Riku ammise che avrebbe preferito parlare ancora un po’, probabilmente per alleggerire l’atmosfera pesante che si era creata… ma erano arrivati. Maxwell cercò di vedere esattamente dove fossero finiti, portando il suo sguardo verso l’esterno dell’abitacolo e vedendo solo una strana nebulosa in avvicinamento. Era quella la loro destinazione? Il luogo in cui risiedeva l’essere che causava la reazione di risonanza alla sua corazza? A colpo d’occhio non sembrava ospitale, anzi, lo stesso Riku, dopo aver detto che adesso era pronto a dar loro la sua fiducia, ribadì che quel mondo era pericoloso, senza contare che avrebbero affrontato paure ed eventi passati. Normalmente l’automa avrebbe avuto un brivido a quel pensiero… ma lui aveva già affrontato le ombre del suo passato. Quel frammento del Settimo gli aveva già messo di fronte i suoi errori, le sue paure, le sue ossessioni, non si sarebbe certo fatto spaventare da cose del genere. Tuttavia, giusto per essere sicuro, il Custode ribadì la sua domanda, e chiese se erano con lui in quella missione.
    < Certo, è facile chiederlo quando solo noi possiamo volare fuori dall’abitacolo e fare dietrofront. >
    Ecco che tornava il solito Siegfried. Se avesse avuto gli zigomi, Maxwell avrebbe sorriso leggermente, ma non essendo questo il caso, l’automa si sarebbe limitato a emettere un sospiro divertito prima della sua risposta.


    -Ho già affrontato i miei demoni, non saranno quelli a fermarmi. Non mi rimangio quello che ho detto.

    Ormai aveva accettato il suo passato, e se davvero avesse dovuto affrontare uno dei suoi ricordi passati, lo avrebbe affrontato senza paura. E poi, finché non c’erano fantasmi, lui era a posto.

    Edited by AlexMockushin - 6/11/2013, 01:26
     
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  9. Xisil
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    L’universo, le stelle. Quante volte lo aveva osservato, dall’alto dei tetti della sua città adottiva. Eppure, molto tempo era trascorso dall’ultima volta che si era sentita così vicino a quel massimo esempio di calma apparente, quiete, pace, quel nero infinito in cui tutto pareva immobile, ben conscia però che in qualunque luogo in quello stesso istante tutto sarebbe potuto accadere, la nascita di una stella, la morte di un’altra, un’esplosione dalla grandezza incommensurabile, tuttavia così lontana da quella piccola e insignificante navicella tanto che un qualunque astro, anche il più bello e raro, prima ancora che il suo bagliore potesse giungere nel suo lungo viaggio a solleticare l’occhio della guerriera, sarebbe potuto essersi ormai spento per sempre. Una stella nata, vissuta e morta, senza che nessuno ne fosse accorto.
    Quell’immensa massa nera come una barriera punteggiata di piccole luci pareva celare alla sua vista quel mondo dalla quale ella proveniva, quella terra che in realtà sapeva essere svanita per sempre, ma che si scopriva a pensare celata da qualche parte oltre quella spessa coltre nera, allora sedeva e immaginava l’orizzonte oltre l’oscuro manto, si immergeva nel silenzio corrotto solo dal rombo sordo dei motori della nave, ma che ella sapeva isolare penetrando in sovrumani silenzi, profondissima quiete: allora ecco sopraggiungere davanti ai suoi occhi le valli rigogliose, i campi arati dai contadini, i riflessi dei raggi del sole sulle mura dei castelli… poteva quasi sentire il profumo dell’erba tagliata, della terra smossa, poi ancora l’indefinibile, permeante profumo di casa, che lentamente cominciava con grande dolore a mescolarsi all’odore pungente del legno, del metallo, persino della carne trasformata in cenere uniforme.
    "... Riku, posso dirti una cosa?" Furono le parole che ruppero il silenzio della sua meditazione, la calma apparente di quell’animo che cercava nel nulla un punto di riferimento, chiedendosi quanto sarebbe distata la sua vera casa, se mai ci fosse stata ancora, da quel punto infinitamente piccolo e smarrito nell’universo intero.
    Riku si voltò con uno sguardo stupito, ma nulla fece d’altro se non annuire a quella strana e improvvisa richiesta.
    "Sò che non è facile fidarsi di tre sconosciuti, ma... noi non siamo qui per una gita di piacere, né per puro profitto personale. Forse parlo più che altro per me, ma anche se sono stato coinvolto in maniera piuttosto improvvisa, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi. Puoi anche decidere di non credermi seduta stante, ma... ho le vostre, e le tue, spalle."
    Ricordatasi di quanto poco conoscesse, per l’ennesima volta, i suoi colleghi. Come se la prima lezione non le fosse bastata. Questa volta sapeva cosa aspettarsi, e che nulla l’avrebbe mai costretta a fidarsi di loro, a fidarsi di nessuno. Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, senza mai risparmiarsi nell’impegno verso la missione. Avrebbe collaborato, avrebbe tirato fuori quella donna dal mondo delle tenebre, avrebbe protetto chi avrebbe avuto bisogno del suo aiuto, ma questa volta, diversamente dal solito, non avrebbe smesso di guardarsi le spalle ad ogni passo che avrebbe fatto.
    Riku, così disse di chiamarsi il loro accompagnatore, tacque, fissando il compagno meccanico, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro, che qualunque cosa avrebbe potuto rappresentare per la giovane guerriera, scherno, disappunto, rassegnazione. Attese, in cerca di una risposta alla sua velata curiosità.
    "No, Maxwell, ti credo. Anzi, visto che me ne offri occasione, ne approfitto per chiederti scusa" Disse allora rivolgendosi anche al resto della compagnia, cosa che spinse la guerriera a lasciare l’osservazione sperduta dello spazio ad una nuova faccenda che attirava molto di più la sua attenzione. "Chiedere scusa a tutti voi. Vedete... esperienze personali mi hanno fatto diventare un ragazzo che fatica a regalare la propria fiducia. Ma in fondo... è sua maestà che vi ha reclutati. E siccome per questa missione più saremo uniti più chance avremo di tornare tutti indietro sani e salvi, non voglio rischiare di avere rimorsi. Quindi..."
    Le dita parvero scivolare rapide premendo pochi strani pulsanti, e la nave parve dunque muoversi senza alcun artificio umano. Le mani ora libere da qualunque ingombro e responsabilità strinsero quelle dei Maxwell, per poi voltarsi verso le due donne ed estendere anche a loro questa sua nuova indole del tutto inattesa.
    "Perché non cominciamo presentandoci come si deve?" disse allora abbozzando un sorriso incerto, cosa che fece dubitare la giovane delle parole di fiducia del giovane dai capelli argentei.
    “La fiducia…” parlò pensosa, dopo che ebbe Maxwell compiuto per primo le presentazioni di rito, soppesando quella parola per lei carica di grande significato e oscuri retroscena che la sua fronte corrucciata per un breve istante lasciò trapelare, “Non si regala. Si guadagna.” Poi puntò lo sguardo verso di lui, alzatasi, e la sua espressione pensierosa lasciò il posto ad una più aperta e socievole, dissipando sempre più ogni segno di tensione. “Capisco le tue motivazioni. La fiducia non deve essere elargita con leggerezza.” Parve ella in un primo momento intenzionata a compiere il suo solito, rituale inchino, per poi interrompersi e rispondere, con non poco disagio, a quella mano tesa, amica, verso di lei, e stringerla saldamente “Xisil Lamabianca. Farò tutto ciò che è in mio potere affinché questa missione si svolga al meglio”
    Riku rivolse il medesimo trattamento a Noel, che a differenza dei due predecessori non parve riservare al nuovo compagno una calorosa accoglienza. Ella si ritrasse, come chi fugge il lebbroso temendo di essere a sua volta colpito da tale maledizione della carne. Ma la realtà era ben diversa, perché ella sarebbe parsa ad occhi estranei la bella dama colpita da orrendo sortilegio, l’appestata che consapevole della sua irrimediabile debolezza preferisce fuggire il contratto con il mondo intero. Ma nella ristrettezza di quella piccola cabina non vi poteva essere alcuna via di fuga, e nemmeno il suo disagio sarebbe potuto sfuggire all’attenzione della giovane guerriera.
    Lo stesso Riku, come d’altronde il cyborg e la guerriera, parvero percepire il disagio, il complicarsi della situazione per la bionda, ma tutti tacquero nel loro dubbio.
    "Bhe... direi sia un inizio. Parlerei ancora, ma… siamo arrivati." E solo allora l’occhio di Xisil poté indugiare nuovamente sull’immensità dello spazio, illuminato in un raro momento di bellezza da una macchia di colore dalla maestosità indefinibile. Ed ella non fu in grado di fare altro se non guardare, ammirare, incapace di muoversi, quasi derubata persino della capacità di pensare da quella incredibile manifestazione, sbalordita ma allo stesso tempo spaventata nel profondo di sé, conscia di ciò che oltre tale velo sfavillante si celava in attesa solo del loro arrivo.
    "So di potermi fidare di voi.” Parlò di nuovo il giovane dai capelli argentei “Le vostre parole mi hanno convinto più di qualsiasi garanzia sua Maestà potesse darmi. Ma vi avviso che là dentro... là dentro non sarà per niente facile. Affronterete paure, ricordi... parti di voi che credevate di aver soppresso per sempre. Quindi ve lo chiedo ancora una volta: siete con me?"
    “Fino alla fine” si limitò a dire, ancora rapita da quella visione sovrannaturale, consapevole che presto avrebbe incontrato il suo nemico più temibile, la sua paura peggiore, “… Il momento è giunto, per stabilire una volta per tutte da che parte ho intenzione di stare.”








    Edited by Xisil - 28/11/2013, 15:43
     
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    «And I'm caught
    In the crossfire
    Of my own
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    Abbassò leggermente le palpebre, cercando di convincersi che poteva ancora trovare un rimedio alla situazione. Si stavano dirigendo verso un posto semisconosciuto disperso chissà dove nell’universo per una missione di salvataggio che non aveva niente che fosse anche solo definibile “abbordabile” per una come lei, eppure, con una certa, disperata ingenuità, provava a farsi un conto di quale fosse la probabilità di sopravvivere. Se non avesse avuto il morale sotto i tacchi, probabilmente si sarebbe messa a ridere, per quanto si sentiva ridicola. A cosa serviva, in fondo? Bastava prendere quello che veniva, senza farsi troppe congetture, preoccupandosi solo di fronte al pericolo. Ma non era capace nemmeno di fare quello. Non poteva prendere alla leggera il rischio che stava correndo. In fondo, però, le era chiaro: stava cercando di ammazzarsi come il più stupido dei gatti suicidi, con l’unica differenza che loro avevano a disposizione la bellezza di nove tentativi per pentirsi. Lei solo una. La cosa peggiore, che più la gettava nello sconforto, era che nemmeno si rendeva conto di quello che stava facendo. Così come inconsciamente aveva accettato la missione per chiudere in bellezza, credendo davvero di poter reggere un tale incarico, così come si era lanciata dal corridoio al castello Disney per sfracellarsi al suolo, sicura che il gesto fosse dovuto alla distrazione, allo stesso modo, in quel momento, si stava approcciando al disastro imminente con un menefreghismo che non riusciva a rintracciare. Che schifo, che pena. Era un’incapace, un peso, una maledetta palla al piede. Li avrebbe condannati tutti. Avrebbe fatto meglio a starsene in disparte.
    «… Riku, posso dirti una cosa?»
    Ecco infrangersi l’idilliaca pace prima della tempesta. La bionda incurvò leggermente le spalle, tentando di farsi piccola piccola, di sparire. Apprezzava il carattere diretto di Maxwell che, un tempo, era stato anche il suo. Non si risparmiava nelle critiche, negli insulti, nelle parole dure. Non si risparmiava di fronte a niente e a nessuno. Ma non poteva più permettersi di mostrare quella maschera, quel lato di sé che tanto avrebbe voluto fare suo: non aveva senso nascondersi dagli altri, se ciò significava nascondersi a se stessa. Così come non c’era ragione di difendersi dagli occhi degli altri, se non riusciva a mettersi al ripario dal suo stesso disprezzo.
    «So che non è facile fidarsi di tre sconosciuti, ma... noi non siamo qui per una gita di piacere, né per puro profitto personale. Forse parlo più che altro per me, ma anche se sono stato coinvolto in maniera piuttosto improvvisa, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi.»
    Abbozzò un sorrisino. Dove aveva già sentito un discorso simile? Questa purezza di spirito, questa ingenuità tanto schietta la disintegrava, la logorava. Avrebbe tanto voluto fregarsene e mettersi a ridere, in uno sfogo d’ilarità che nascondeva ben altro. Non era lì per aiutare loro, ma per stargli il meno possibile tra i piedi. Per non fare danni. Per sparire al momento opportuno. Ora, sinceramente, chi poteva avere bisogno di lei? Un’inetta con due Revolver che non era nemmeno capace di usare al massimo della loro potenza. Una goffa, inutile ragazzina che si atteggiava a guerriera.

    “Ah Noel, quanto sei ridicola.
    Quanta pena.
    Che vergogna.


    Andarono avanti a parlare, mentre il vuoto dentro di lei si faceva sempre più profondo, sempre più infinito. Sempre più lurido. Era il prezzo da pagare per la sua stupidità, la condanna per l’eterno fallimento. Per non essere stata in grado di salvare la sua tutrice, per aver lasciato l’Accademia, per essere fuggita dalle sue paure. Per tutte le sue mancanze. Ma a chi potevano importare i suoi problemi? Chi poteva interessarsi a una come lei?

    “È inutile che tu faccia il possibile per aiutare anche me,
    Maxwell. Non servirà a niente.
    Pensa agli altri, lasciami in pace.”


    Non voleva sentire i loro discorsi, non voleva saperne niente. Le dispiaceva, si sentiva chiusa in una trappola mortale, circondata da nemici giurati. Quello non era il suo posto. L’ambiente a lei più affine era la mediocrità, e non aveva senso tentare di elevarsi dalla sua condizione. Il respiro le si bloccò in gola per un istante, perse un battito e un brivido intorpidì famelico il suo intero corpo. Riku passò accanto ad una Noel immobile, terrorizzata, lievemente curva sulle ginocchia, i capelli della frangetta scomposta a nascondere i suoi occhi sbarrati.

    “Non di nuovo.
    Non di nuovo.
    Ti prego, non di nuovo!


    Corse rapidamente con lo sguardo a setacciare le parti scoperte del suo corpo. Si morse le labbra fino a farsi male, cercando di raccogliere le idee, quando scorse una scia di chiazze di una tonalità lievemente più scura della sua pelle sul braccio. E questa volta bruciavano, ferivano la carne, solcandola e scavando a fondo. Solo il destro, solo il lato vicino al quale era passato Riku. Non era normale, non era come tutte le altre volte. Era più forte, più destabilizzante. Persino la voce del custode cominciava a darle fastidio, a mandarla in confusione. Ma non poteva. L’avrebbero etichettata come un’appestata, un’inutile, stupida ragazzina che era finita lì per sbaglio, per un errore, -non era forse così?

    Ringhiò rabbiosa. Basta. Per quel giorno era anche troppo. Non aveva bisogno di altri maledetti intrusi. Quello doveva essere un sistema isolato. Quello doveva essere il suo posto, non l’orfanotrofio di tutti gli spiriti abietti. Era la sua casa. E voleva fuggire. Ma finché quella stupida forma corporea la costringeva al confino e le impediva di andarsene, nessuno doveva permettersi di mettervi piede. La landa desolata tremò facendo vacillare anche la luce di quell’unica anima che divenne livida di rabbia per qualche momento, sul piede di guerra, decisa a schiacciare e ad affrontare chiunque si fosse avventurato in quell’angolo di deserto. Le ombre ruggirono, vicine ai confini della cupola scura, attendendo solo che il nemico si affacciasse per assalirlo e distruggerlo. Ma il momento non giunse. Attesero invano, preparandosi per la preda, aspettando il pasto e rimanendo a bocca asciutta. Si rintanarono amalgamandosi nuovamente al solido disprezzo. Non appena la minaccia si fu allontanata, la tonalità rossastra assunta da quell’unica fiamma viva in un mare buio e morto tornò al suo bianco naturale. Il mondo scuro smise di ondeggiare e di spandere polvere nera nel vuoto, riacquistando la pace come la sua dominatrice, convinta però che il pericolo sarebbe tornato. La cosa positiva, in tutte quelle irrispettose intrusioni, era che il fisico diventava sempre più debole, sempre meno in grado di reggere il peso. Sempre più prossimo alla morte. Compiaciuta, si lasciò cullare dal silenzio e dalla pace, le orecchie tese a captare il prossimo possibile assalto. Il corpo stava cedendo. Finalmente. Carne e spirito si sarebbero separati per sempre.


    Si stavano facendo strada lungo il suo arto, risalendo lungo il collo, fino alla guancia. Scottavano, come marchi impressi col fuoco di una pressa. Ed era sicura che non sarebbero passati tanto inosservati. Il custode si muoveva tra i sedili della Gummiship, avvicinandosi a Xisil per stringerle la mano e presentarsi, e ancora una volta la testa di Noel fu trapassata di netto da una fitta lancinante. Perché lei? Cos’aveva fatto di male per dover soffrire in quel modo ogni volta? Si alzò in piedi, facendo forza sulle gambe che protestarono restando rigide. Si mosse piano, lentamente, senza fare rumore, avvicinandosi alla lamiera dell’abitacolo della navetta, supplicando di sparire, di trovare un posto in cui nascondersi. Ma non c’erano vie di fuga. Non doveva avvicinarsi troppo a Riku. E doveva fare in modo che quei marchi scuri non si vedessero. La parte destra del viso era ormai diventata insensibile e scottava. Abbassò lievemente il capo e si curò bene di controllare che la giacca mettesse in ombra il suo braccio. Ma il volto non dava scampo. Contava molto sul fatto che i giochi delle luci della navetta l’avrebbero aiutata. Almeno un po’. Un minimo, era sufficiente.
    Alzò il viso solo per trovarsi di fronte il custode che avanzava tranquillamente, pronto a tenderle la mano. D’istinto, Noel fece un altro passo indietro, schiena contro la parete. Più sospetta di così non poteva essere. Stupida. Stupida. Realizzò all’istante che quel faccino da brava bambina le sarebbe potuto tornare utile, che magari poteva vendersi come una timida ragazzina impacciata e vergognosa. Ma non stavano effettivamente così le cose? Abbassò immediatamente il capo, in un gesto di scuse. Stupida, stupida.
    «M-mi dispiace, davvero. Non è per te, è solo che...» borbottò, in un tono a metà tra il panico e la rassegnazione.
    È solo che se ti avvicini troppo divento un blocco di marmo in preda alle convulsioni”? Si morse le labbra stringendo le palpebre, intrecciando le dita dietro la sua schiena, i segni sulla pelle nascosti a regola d’arte. Sfiorò i manici dei suoi due Revolver, trovandoli caldi e confortanti, come risposta alle sue ansie. Era solo per merito -o per colpa- loro se era stata inclusa in quella missione di salvataggio. Le suggerivano di tranquillizzarsi, che tutto sarebbe andato bene. Ma no, ne era sicura. Avrebbe fatto uno, dieci, cento, mille passi falsi, rovinando tutto. Una cosa alla volta.
    «Mi dispiace.» ripeté, alzando lievemente il viso e guardandolo supplicante. «Io sono Noel. Spero di essere utile… in qualche modo.»

    Continua a sperare.


    Li aveva notati. Di sicuro. Stupida, stupida!
    «Tranquilla, non c’è bisogno di scusarti. È un piacere, Noel.»
    Pietà. Altra, immensa, vergognosa pietà. Odiava se stessa per l’impressione che aveva dato, ma non aveva altra scelta: o quello o il sospetto di soffrire di chissà quale strana malattia. Noel abbozzò un sorrisino forzato e sollevato, ricambiando quello di Riku.
    «Non hai una bella cera. Cerca di stare tranquilla e riposati un po', siamo quasi arrivati.»
    Non erano ancora arrivati e già si sentiva distrutta. Stupida Noel. Stupida. Stupida! Non si risedette nemmeno, rimase lì per qualche attimo a fissare il nulla di fronte a sé, distratta dalla figura da perfetta idiota che si era appena concessa di fare. Ah, i migliori guerrieri. Con lei, Topolino aveva toppato alla grande. E non poteva biasimare gli altri se pensavano lo stesso. Era tentata di lasciarsi morire alla prima occasione. Non sarebbe stato tanto male. Senza lode e senza infamia. Il custode si era allontanato e la bionda si sentì immediatamente più leggera. Non era più in trappola. Si passò una mano sulla guancia, notando con un certo sollievo che avvertiva il tocco delle sue dita. Stava tornando tutto normale.
    «Le vostre parole mi hanno convinto più di qualsiasi garanzia sua Maestà potesse darmi. Ma vi avviso che là dentro... là dentro non sarà per niente facile. Affronterete paure, ricordi... parti di voi che credevate di aver soppresso per sempre. Quindi ve lo chiedo ancora una volta: siete con me?»
    Con quelle quattro scuse l’aveva davvero persuaso di poter sinceramente combinare qualcosa di positivo? Ah no, certo, parlava degli altri due. Lei era esclusa. Non poteva essere altrimenti. Si ritrovò a pensare al suo passato. E a ciò che temeva di più. Il freddo, la morte, la solitudine, la violenza. E il viso sfuocato di una fanciulla bianca. E se stessa riflessa nello specchio, incatenata, sul punto di spezzarsi. Rabbrividì appena, abbassando lo sguardo. Prese un respiro profondo. Aveva i suoi Bolverk. Finché in battaglia dipendeva da loro aveva qualche possibilità di riuscirci. Mal che fosse andata, poteva sempre gettarsi nello scontro a viso aperto con i suoi timori. I due Revolver glielo consentivano, le parlavano dandole fiducia. Non l’avevano mai abbandonata. Non potevano farlo allora. La invitavano caldamente alla speranza, premendo perché i nervi tesi si distendessero ridonandole la calma.
    Riportò le iridi smeraldine sul custode, che si era rivolto a tutti loro. Mancava solo la sua conferma. Annuì seria, districando il groviglio che aveva creato tra le sue dita quando aveva cercato di nascondere le chiazze viola e chiuse le mani a pugno. Non le importava se si vedevano ancora, più o meno calcate di prima. Maxwell e Xisil erano già consci della sua condizione, non aveva più motivo di celare quella reazione, al più che ora era scongiurato ogni pericolo di contatto. Era giunto il momento di farsi ammazzare. Con dignità.




    A Thousand Words: Dopo il primo incontro con Nu, Noel ha sviluppato un’abilità piuttosto particolare. A quanto pare, a causa proprio del tocco della ragazza dall’occhio rosso e della sua dubbia natura di fantasma, Noel ha da lei acquisito la capacità di sentire e percepire le anime più forti e complesse delle persone che la circondano, fino ad un massimo di un metro di distanza, non senza riscontri sul suo essere. A seconda della potenza e dell’entità delle anime, la reazione avuta dalla bionda sarà più o meno grave: più segnati e singolari sono gli spiriti, più lunga e intensa è la crisi epilettica che ne consegue. Questo perché, a livello inconscio, l’anima della ragazza entra in contatto, al primo incontro, con quelle altrui, creando un legame fondamentale più o meno resistente, provocandone uno shock fisico e mentale, scatenando inoltre la comparsa di inspiegabili macchie violacee su diverse parti del corpo della giovane. A livello di battaglia, questa abilità non ha alcuna utilità e può essere di relativo intralcio. (Attiva a Costo Nullo)


    Edited by Paranoia~ - 3/11/2013, 21:49
     
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    Non voleva, non poteva darci peso; non in quel momento. Le aveva viste, le macchie sul volto di Noel. L'aveva notato il terrore nel suo sguardo, il disagio nei suoi gesti; aveva visto, anche se solo per un secondo, un briciolo del male che albergava dentro di lei. Ormai era diventato piuttosto bravo, in questo genere di cose. Poteva riconoscere all'istante Heartess in forma umana, soldati dell'Oscurità, umani, persino, che stavano lasciando che il buio si impadronisse di loro. Eppure, Noel era diversa. Diversa da qualsiasi cosa avesse mai sentito o provato. Il “male” in lei era pacato, sottile, nascosto. Qualcosa che, anziché prendere il controllo di lei, la stava logorando lentamente. In realtà, il custode della Via per l'Alba non era neanche sicuro che quell'essere, quell'entità che sembrava struggere Noel potesse essere definito “maligno”. Ma in che altro modo definire qualcosa che fa soffrire a tal punto una povera ragazza?
    Non voleva, non poteva darci peso. Aveva già regalato loro, tutti loro, la sua fiducia; non poteva rimangiarsela così. Era impossibile che Topolino non si fosse accorto di una simile “sottigliezza” nel carattere e nell'essere di una dei candidati; in un modo o nell'altro, doveva averlo calcolato.
    “Già. Per quanto possa sembrare buffo, piccolo e inadeguato, quel topo sa sempre quello che sta facendo.”
    Non doveva dimenticarlo, mai. Nei suoi momenti più bui, Topolino era stato la sua luce guida; doveva solo lasciare che continuasse ad esserlo. Fiducia. In quei giorni di pericolo e morte, era l'unico, vero vantaggio di cui potessero disporre.
    Sospirò, curando di non essere notato. I suoi tre compagni stavano osservando la distesa violacea sotto di loro, quel mare corrotto fatto di morte e ricordi rubati. Riku osservò con loro: tutto sembrava pacifico, tutto sembrava immutato; il mare rimaneva piatto, i pochi massi e le poche piattaforme che emergevano rimanevano immobili, lapidi silenti del Mondo Cimitero.


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    Fu solo quando iniziò la pioggia, che la catastrofe dette atto della sua terribile, inevitabile presenza. Pioggia nera, che cadeva come enormi fiocchi abbandonati ad un aere senza vento. Quando impattavano con il mare sottostante o con la Highwind, scomparivano in un bagliore sinistro. Più la Gummiship avanzava, più la pioggia si infittiva.
    Riku si volse verso i tre guerrieri, freddo in volto, determinato. «Ci siamo quasi.» sussurrò, rivolto a tutti e a nessuno. «Siamo vicini alla spaccatura. Questo posto non è la nostra vera destinazione: è un limbo, una zona di passaggio. Qui vanno a raccogliersi i resti dei mondi che vengono divorati dall'oscurità. Ma nel posto in cui stiamo andando...» gettò lo sguardo avanti a sé, verso un orizzonte che diventava sempre meno viola e sempre più nero «Lì ci sono i veri e propri cuori dei mondi divorati dagli Heartless, nonché la fonte stessa di quelle creature: l'Oscurità più nera. Non è un mondo fatto per noi completi, per noi figli della Luce. Lì le regole sono diverse. Una volta entrati, dovrete essere pronti a tutto.» detto questo, rivolse la sua attenzione a un armadio stretto ed alto, incassato tra il posto del guidatore ed un oblò. «In quell'armadio c'è l'unico scudo che conosciamo contro i poteri di quel Mondo. Niente più che dei cappotti di pelle nera, come potrete vedere. Molti di voi li conosceranno: sono gli stessi cappotti usati come uniforme dall'Organizzazione XIII. Lo so, potrebbe sembrarvi poco... “etico” indossarli, ma vi assicuro che la differenza si noterà. Non sapendo di preciso come fossero fatti i miei compagni ho cercato di prenderli di tutte le dimensioni, ma...» gettò uno sguardo scettico a Maxwell «Non credo che, per quanto siano elastici, possano adattarsi alla tua figura. Tuttavia, Topolino mi ha avvertito di una tua... “particolarità”. Quella da sola dovrebbe fornirti lo stesso livello di protezione del cappotto.» strinse la mascella e si fece ancora più serio, cercando nello sguardo degli altri una determinazione che mai sarebbe bastata «Mentirei se vi dicessi che vi renderanno immuni a ciò che si cela oltre la spaccatura. Ma se volete avere almeno una speranza, se volete avere almeno un'arma che vi permetta di difendervi dai voi stessi che troverete nel Regno dell'Oscurità, allora vi consiglio di indossarli.» aprì l'armadio con un gesto fluido, rivelando una decina di cappotti lunghi, neri, completi di cappuccio; erano appesi a delle stampelle di ferro bianco. In un ripiano soprastante, in ombra, c'erano anche degli stivali, dei guanti e dei pantaloni, in tono con il resto dell'uniforme. «Il cappotto e i guanti da soli basteranno, pantaloni e stivali non sono affatto necessari.» come a voler sottolineare il concetto, il custode dell'Alba allungò una mano verso il cappotto al centro, lo stesso che lo aveva sempre accompagnato nei suoi viaggi alla ricerca di se stesso e, abbassata la lunghissima zip, lo indossò sopra ai suoi vestiti, richiudendolo subito dopo. Con un altro paio di movimenti precisi indossò anche i guanti.
    «Vi consiglio di sbrigarvi.» disse, rivolgendo di nuovo lo sguardo all'orizzonte. «Non manca molto.»


    Passò appena qualche minuto, prima che la Spaccatura divenisse visibile. Fedele messaggera, la pioggia lenta, deviante, si faceva sempre più fitta, sempre più ipnotica.
    E insieme ad essa, gli Heartless. ancora prima che il portale fosse visibile, il mare viola era già macchiato della moltitudine nera ed oro. Camminavano frenetici, ammassati l'uno sull'altro, prima di scomparire in una sfera nera. Riku strinse i denti: ogni Heartless che se ne andava era un assediante in più per la Città di Mezzo e per Radiant Garden. Dovevano sbrigarsi. Dovevano trovare Aqua e chiudere il portale.
    La spaccatura apparve quasi a tradimento, quasi inaspettata. Apparve sopra di loro, semicelata da nubi nere e fulmini viola. Come un vortice senza fondo, che genera e non risucchia, permetteva il passaggio alla progenie nera, che in quel punto, appena qualche decina di metri sotto di loro, sembrava oscurare qualsiasi altro colore.


    4cpw



    Riku non esitò. Deciso, inflessibile, riprese il posto del guidatore, intimando implicitamente agli altri di mettersi a loro volta a sedere. E quando fu talmente vicino da vedere solo nero, quando i fulmini e il vento generato dal vortice sembravano talmente forti da far esplodere la gummiship, virò verso l'alto, verso il cuore stesso del ciclone.
    «TENETEVI FORTE!» urlò, a sovrastare il frastuono «FATELO E ANDRÀ TUTTO BENE!»
    Per un attimo, credette di perdere conoscenza. Ma fu solo un attimo. L'istante dopo, tutto era di nuovo calmo.
    E intorno a loro c'era solo la stasi del buio più fitto.



    Poco da dire. Il post non mi soddisfa granché, ma volevo evitare di farvi aspettare troppo, dato che siamo già in ritardo sulla tabella di marcia.
    Come forse sarà intuibile, il vostro prossimo post non dovrà essere altro che la narrazione dal punto di vista del vostro personaggio di tutto ciò che ho già descritto con Riku. Dal prossimo giro, chiuderò questa discussione e ne aprirò un'altra nel Regno dell'Oscurità. E... direi sia tutto. Mi raccomando, pensateci bene prima di rifiutare i cappotti :'D
     
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    Siegfried era preoccupato. Certo, come poteva non esserlo, alla fine? Avrebbe voluto rivedere Noel, ma non in quel frangente, non durante una missione così pericolosa, non mentre sentiva che il loro corpo non era ancora pronto ad affrontare ciò che gli stava davanti. Ormai aveva controllato una decina di volte tutti i loro sistemi, e il risultato era sempre lo stesso: la loro performance era solo basilare. I muscoli avevano la forza di un umano addestrato, il generatore forniva abbastanza energia magica da operare il prototipo di cannone a particelle, la mobilità delle giunture e dei sistemi idraulici gli consentiva movimenti rapidi e mediamente acrobatici… eppure, anche se ci aggiungeva le capacità Destroyer’s Heritage, non sembrava ancora abbastanza. Perché? Perché non riusciva a togliersi quelle preoccupazioni di dosso?! Era a causa del ricordo della morte di Steven? Quella volta non poteva combattere su un terreno pericoloso, ma anche adesso che era in grado di sorvolare letteralmente questo ostacolo, non faceva che trovare altre debolezze nei loro sistemi… e non ne capiva il motivo. Non a fondo, almeno. Forse non voleva ancora accettarlo, non poteva ancora accettarlo, ma questo non cambiava certo che stavano andando completamente alla cieca in territorio ostile, e lui doveva fare più di un salto nel buio...


    … Sentiva che c’era qualcosa di strano nella sua personalità elettronica, ma non riusciva a capire cosa. Anzi, no: lo comprendeva, e sarebbe stato ipocrita se avesse detto che quello non era il momento per farlo, anche lui avrebbe avuto quelle stesse preoccupazioni al suo posto. Tuttavia, in quel momento aveva bisogno dello stupido computer, gli serviva quella metà del suo essere capace di riportarlo indietro anche dalla sua parte più istintiva… aveva bisogno di quel suo “fratello”. La gente dice che puoi sentire il bisogno di una certa persona solo nel momento più buio, e quello era il suo caso. Stavano per avventurarsi in un luogo ancora più ostile della pancia della balena, erano diretti verso il grembo da cui nascevano gli Heartless, e per quanto potesse fare affidamento su Riku, Xisil o Noel, se LUI voleva aiutare LORO, gli serviva quel brontolone di Siegfried.

    -… Argh, ok, ho capito, puoi contare su di me, moccioso. Ho le tue spalle per qualsiasi trappola quel posto possa tirarti addosso. Lo dico anche per te, Noel… farò tutto il possibile per farvi uscire vivi da lì.-

    A sentire quelle parole, Maxwell avrebbe sorriso, se fosse stato in forma umana, almeno. Sapeva che, molto probabilmente, neanche la sua altra metà si sentiva pienamente pronta per affrontare le creature di quel luogo, ma due teste erano meglio di una, in entrambi i casi.
    Improvvisamente, l’automa fu risvegliato dai suoi pensieri da uno strano bagliore, che lo fece sussultare leggermente sulla sedia: erano arrivati ai Confini del Mondo, ed erano in mezzo a ciò che sembrava un bombardamento. Fuori dall’abitacolo era visibile una pioggia di sfere oscure, dei grandi “fiocchi” di energia maligna che scomparivano appena impattavano con qualcosa, inclusa la loro gummiship, lasciando solo quella strana luce malefica al loro posto. Già quello sembrava un evento sovrannaturale, ma guardando meglio i suoi dintorni, l’automa poté vedere che quello era un mondo completamente diverso da quelli che aveva visitato in precedenza. Intorno a loro c’erano solo un cielo dal colore indescrivibile, privo di nubi e martoriato dalla pioggia di quei globi oscuri, e la “terra” era sostituita da un mare completamente immobile, in cui quelle sfere nere si immergevano con una sinistra naturalezza, passando anche attraverso le pietre che saltuariamente spiccavano in mezzo a quelle acque.
    Il primo pensiero che si presentò nella mente dell’automa a quello spettacolo fu “Questo non è un cielo in cui vorrei volare”. Tuttavia, non era solo a causa di quel bombardamento d’oscurità: fino a quel momento aveva sentito come un istinto per il volo, anche nello spazio, le ali di quell’armatura sembravano fargli sentire il richiamo dei cieli, ma in quella volta celeste c’era qualcosa che non gli piaceva. Aveva qualcosa di morto, di troppo statico, qualcosa che frenava i suoi istinti e lo metteva in guardia… così come la loro guida.
    Lo sguardo di Maxwell, che fino a pochi attimi prima era rivolto verso l’alto, tornò verso il basso quando il Custode ricominciò a dar loro delle istruzioni sul da farsi. Apparentemente quella era solo l’anticamera dell’inferno, il luogo in cui finivano tutti i frammenti rimasti dei mondi distrutti dalle creature dell’oscurità, ma sarebbero arrivati a destinazione in poco tempo. Di fronte ai loro occhi si poteva vedere un nero sempre più profondo, un colore così denso che sembrava volersi espandere per inghiottire tutto quello spazio, e forse questa sua impressione non era del tutto sbagliata, poiché il ragazzo spiegò in breve la natura del Regno dell’Oscurità. Un luogo ostile ai “figli” della luce, un posto dove dovevano essere pronti a tutto… dannazione, ricominciava?!

    -Sei sempre più rassicurante argentino, vai così.-

    Non sapeva su cosa concentrarsi, se sul ritorno del sarcasmo –e dei soprannomi casuali- di Siegfried o sul fatto che, purtroppo, aveva ragione. Certo, non poteva biasimare Riku per la sua prudenza, ma quando cominciava a ripetere quegli avvertimenti con tanta assiduità, non faceva altro che abbassare il morale della truppa. Andare in guerra credendo che il nemico ti concederà la vittoria è male, ma pensare che potresti morire da un momento all’altro è anche peggio, e se erano troppo occupati a guardarsi le spalle non avrebbero trovato quella donna neanche in un centinaio d’anni. Tuttavia, ringraziando Asura, il ragazzo limitò i suoi moniti, e portò la sua attenzione su quello che sembrava un armadio incassato nella parete dell’abitacolo, un guardaroba che apparentemente conteneva l’unica difesa passiva contro l’Oscurità… e alla vista di cosa fosse, il cyborg ebbe un sussulto. Riconosceva quei cappotti neri, e il Custode confermò le sue supposizioni, erano gli stessi che i membri di quell’organizzazione indossavano… be’, forse non era molto “etico”, proprio come aveva detto Riku, ma se funzionavano davvero preferiva assomigliare a Troth piuttosto che rischiare di essere schiacciato nuovamente da una forza oscura. Però, stranamente, il giovane diede un’occhiata scettica al corpo dell’automa, sottolineando sia come non ci potessero essere possibilmente abiti della sua taglia…

    -Grazie, un po’ di tempo fa ci avevano proposto di indossare una tovaglia a fiori, non serve che ce lo ricordi.-

    … Sia come lui, apparentemente, avesse già una difesa contro l’influenza di quel mondo ostile. A sentire quell’affermazione, Maxwell sgranò gli occhi: di che diamine stava parlando? Era qualcosa che gli aveva detto quel topo re, ma l’unica cosa che aveva mai visto di “particolare” in lui era…!
    La realizzazione fece rabbrividire per un attimo l’ex-uomo, e la sua mano destra andò lentamente sulla parte della sua corazza che proteggeva il petto. Si riferiva davvero a Destroyer’s Heritage? Aveva già constatato che quest’ultima gli consentiva di sopravvivere nello spazio profondo senza problemi, si poteva librare nel vuoto cosmico come quel pesce troppo cresciuto, ma non avrebbe mai immaginato che lo avrebbe difeso anche da qualcosa del genere. Ma soprattutto, come faceva quel “Topolino” a sapere di quella particolarità? Lui stava cercando in ogni modo di comprendere cosa fosse esattamente quel potere che gli era finito tra le mani, almeno entro certi limiti, ma non credeva che avrebbe ricevuto un indizio del genere in quel frangente! Il Custode continuò a spiegare qualcosa nello stesso tempo, ma la mente dell’automa era immersa in quei pensieri… appena gli fosse stato possibile avrebbe dovuto fare due chiacchere con quel sapientone, a quel punto meritava di saperne di più. Maxwell gli ridiede attenzione solo quando consigliò a tutti di sbrigarsi con le ultime preparazioni, e anche se lui apparentemente non ne aveva bisogno, voleva comunque controllare una cosa.
    Una volta terminato il discorso del loro pilota, quindi, il cyborg si sarebbe alzato dal suo posto, che emise un sinistro scricchiolio metallico, e vi appoggiò sopra Enter the Gunner. Si fidava delle parole di Riku, ma nonostante questo decise di avvicinarsi all’armadio aperto, giusto per prendere e osservare la manica di uno di quei cappotti con la mancina, mentre poggiava la destra sul collare della sua corazza. Anche le sue mani potevano sentire che quel capo di abbigliamento era fatto di una stoffa flessibile, cosa che fu confermata quando cercò di allungare un po’ la parte di indumento che aveva afferrato, ma niente di più. Neanche lui era sicuro di cosa stesse cercando di appurare con quel gesto, forse si aspettava di sentire le stesse strane vibrazioni che sembravano provenire da Destroyer’s Heritage, ma niente, per quanto cercasse di trovarvi qualcosa di particolare, quelli erano solo degli abiti. A quella realizzazione, l’automa si limitò a scuotere leggermente la testa, tornando con calma al suo posto mentre Xisil e Noel indossavano i cappotti.

    Maxwell rimase in un profondo silenzio nei minuti successivi, cercando di liberarsi della tensione che gli era rimasta, quando a un tratto la vide. Alla fine, era impossibile non posarvi gli occhi, soprattutto a quella distanza: un globo dell’energia più nera, qualcosa che sembrava far gridare di paura anche la sua corazza nata dalle tenebre, e dal quale fuoriusciva un’armata infinita di Heartless. Se quello doveva essere il colpo di fortuna che li avrebbe portati a un’alleata, non osava immaginare cosa potesse essere la sventura che portava un nuovo nemico.

    -… Speriamo che il tuo Dio dei Guerrieri ci dia una mano, moccioso.-

    “Asura, protettore di noi combattenti, donaci la forza necessaria per affrontare le avversità che ci aspettano. Da essa faremo nascere il coraggio di un drago.”
    Che Siegfried scherzasse o no, lui avrebbe intonato quella silente preghiera verso l’essere da cui nascevano i suoi poteri, sperando che gli potesse dare un po’ di forza. Fece giusto in tempo, perché subito dopo aver richiesto la protezione di quella divinità, la gummiship virò verso quella sfera oscura, una manovra che riempì l’abitacolo di un gran frastuono che Riku cercò di superare gridando. Tenetevi forte, e andrà tutto bene. Be’, non per essere volgare, ma il suo grosso culo metallico da tre quintali era ben saldo sul sedile che ormai reclamava pietà, quindi non avrebbe avuto grossi problemi. E poi, non era quello il suo problema principale. La sua mancina strinse di più la tonfa, quasi come se stesse cercando di spaccarla, e i suoi occhi, ridotti a fessure, erano fissi verso la loro destinazione, il cuore di quella turbolenza creata dalle tenebre. Non avrebbe distolto lo sguardo, aveva fatto una promessa a tutti i presenti, un giuramento che solo la sua morte avrebbe spezzato… e, fino a quel momento, non avrebbe mai smesso di guardare avanti.
    Per qualche attimo, tutto diventò nero. Era sicuro di avere gli occhi aperti, o almeno socchiusi, ma non riusciva a vedere niente. Era una situazione fin troppo familiare, ma questa volta non c’era nessuna voce a tentarlo con promesse di potere. L’unica cosa che riuscì a sentire fu un sussurro da cui non riuscì a carpire alcuna parola, ma pochi attimi dopo riuscì a vedere nuovamente l’interno dell’abitacolo, anche se intorno alla Highwind non riusciva a vedere altro che l’oscurità più nera.


    «Finalmente ci ritroviamo, o portatore di rovina. Sono solo un frammento nato dal tuo potere, ma… mi chiedo se mi sentirai, così come io sento la tua presenza, in mezzo a questo mondo di ombre… Settimo.»



    Piccole note di chiusura... come vedete è tornato il vecchio Sieg alla carica :v:
    Comunque, volevo sottolineare una cosa: le strane sensazioni che avverte Maxwell sono legate puramente a qualcosa del suo background generale, un piccolo "uovo di pasqua", diciamo. Frenzo dovrebbe sapere di cosa sto parlando, e queste sensazioni andranno avanti anche durante il resto della quest, ma non influiranno sullo stato di Maxwell per quanto sono leggere, m'kay?


    Edited by AlexMockushin - 8/11/2013, 01:23
     
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  13. Xisil
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    Dead space all around
    Grey shades, not one sound
    Dark thoughts, half-alive
    Chaos born, life denied


    Pioggia nera cadde in sordi tonfi sulla superficie metallica della navicella. Pioggia impura, come raccogliesse al suo transitare, nella sua pesante caduta da un luogo indeterminato, ciò che restava del passaggio di una fiamma devastatrice, trascinando con sé solo sudicia cenere, oscura poltiglia della quale non più si poteva distinguere la materia originaria, dove uomo e vegetale, animato e inanimato erano diventati una cosa sola, senza più distinzione alcuna.
    Ed ella rivide davanti ai suoi occhi i campi arsi dal fuoco, i corpi avviluppati dalle fiamme corrosi con esasperante lentezza, poi di nuovo le parve di percepire sulla sua pelle il nero sudiciume trasportato da una brezza appesantitasi dal grave fardello, le parve ancora di vedere le dita delicate macchiate della nera poltiglia posatasi sulla corteccia di un albero contaminata la sua bellezza secolare. E nel vagheggiare della sua mente, nel risvegliarsi di ricordi, forse mai davvero assopitisi, una catena composta da anelli della stessa, unica lega infame, il suo cuore prese a martellare con forza, come il destino fosse giunto a bussare infine anche alla sua porta, allo stesso ritmo con il quale le pesanti chiazze si affacciavano nell’abitacolo a scrutare gli incauti visitatori.
    “Qui vanno a raccogliersi i resti dei mondi che vengono divorati dall'oscurità.”
    Fissò inerme, incapace di parlare. Tutto ciò che restava del suo mondo, del suo passato, forse anche solo la più infima stilla di quella gloria passata, giaceva ora in qualche luogo sconosciuto oltre quello squarcio, solo il cielo sa dove nelle tenebre oltre il punto di non ritorno. Chissà se davvero, dopo quanto accaduto alla sua terra, ancora si sarebbe potuto parlare di un antico splendore, o se ciò che avrebbe rivisto sarebbe stato solo un’ultima traccia di un mondo corrotto, grandi spiriti ottenebrati e tanti, troppi tristi ricordi.
    “Lì ci sono i veri e propri cuori dei mondi divorati dagli Heartless, nonché la fonte stessa di quelle creature: l'Oscurità più nera. Non è un mondo fatto per noi completi, per noi figli della Luce.”
    Ed era proprio lì che ella era diretta, decisa a combattere quella nera peste dal focolaio stesso da cui scaturiva. Ne era consapevole, conosceva i rischi, sarebbe entrata in contatto con qualcosa che, almeno fino a quel momento, aveva sempre considerato opposto, contrario, avverso a tutto il suo essere. Cominciava, tuttavia, a non essere più così certa di questo, cominciava a dubitare, con sempre maggior vigore, di potersi definire “figlia della luce”, quanto più cresceva in lei la consapevolezza di una dualità, una frattura del suo spirito, una scissione fra le due forze universali che fino ad allora aveva sempre e solo ritenuto permeare il cosmo più vasto e profondo, senza mai indagare a sufficienza negli spazi più reconditi di qualcosa di gran lunga più vicino a se stessa. Il suo sguardo mirava all’infinito, allo spazio, alle stelle sopra la sua testa, senza mai aver volto uno sguardo più attento e severo dentro di sé.
    E come attratta da qualcosa che ormai si era fatto così simile a lei, quasi congenito in lei, le prime ombre del suo cuore tendevano a tornare al loro luogo d’origine, per aggregarsi nuovamente, farsi più forti e minacciose, ed ella sapeva anche che laddove il seme dell’oscurità sembrava già aver attecchito, quasi avesse trovato in un ambiente tanto avverso, anche la più misera zolla di terreno fertile, se ben nutrita nulla avrebbe più potuto fermare questa sua crescita: avrebbe rischiato di gettare solamente benzina su un fuoco che al contrario avrebbe voluto sopprimere.
    Tuttavia ecco che colei che già ebbe un approccio, seppur senza conseguenze evidenti, con quella pericolosa infezione dell’animo suo, meno spaventoso e deleterio avrebbe percepito un secondo scontro, ben più violento, con il morbo infettante. In un certo senso, il suo corpo aveva già cominciato a sperimentare le tenebre. Xisil già immaginava a cosa sarebbe andato incontro. Ma ancora non poteva dirsi salva, o dannata a seconda del punto di vista, e tale ambivalenza rispecchiava anche il suo stato d’animo: sollevata, perché ancora in lei la luce non si era spenta; nervosa e pronta al peggio, perché ciò che sarebbe accaduto di lì a poco sarebbe andato ben oltre quello che già con grande fatica aveva sopportato sino a quel momento.

    I neri guanti scivolarono sulla pelle liscia delle sue mani con spaventosa facilità, come ogni singolo pezzo di quel singolare abbigliamento fosse stato creato appositamente per lei, come fosse stato stabilito dal destino che, prima o poi, ella avrebbe dovuto indossarlo: dentro di sé sperava solo che tale occasione sarebbe venuta una volta, ed una solamente in tutta la sua vita. La consapevolezza di star indossando quella nera divisa le fece accapponare la pelle, quasi fosse per lei un nero sudario simbolo macabro di una vita persa per sempre e memento mori, perenne monito di cosa l’avrebbe attesa se avesse imboccato la strada sbagliata. Ebbe cura di legare la spada dietro la schiena, sopra il nero cappotto, così da rendere per lei più facile afferrarla in caso di bisogno, senza l’ingombro della pesante stoffa come ostacolo fra la sua lesta mano e la compagna di battaglia.

    Si sedette al suo posto, allacciò le cinture, puntò istintivamente i piedi al suolo irrigidendosi, spingendo la schiena in tutta la sua lunghezza contro lo schienale.
    Non poteva più nascondersi da alcuna parte, né per celare al mondo il suo lento declino, marcire dell’immagine di valore, certezza da lei sempre sostenuta di essere sopra ogni cosa degna paladina della luce nell’eterna lotta per l’equilibrio, né per sfuggire a quella stessa ombra che ormai attanagliava il suo cuore e assedia il suo spirito. Non le restava più altra scelta: mentire a se stessa e al mondo, o accettare la verità e affrontarla.

    Darkened entity
    Chasing loneliness
    Nowhere I can hide
    One choice: truth or lie?









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    «And I'm caught
    In the crossfire
    Of my own
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    Si era appena riaccoccolata contro lo schienale del suo sedile, raccogliendo le gambe al petto e abbracciandole forte. Appoggiò il viso sulle ginocchia e si convinse con tutte le sue forze -ah, divertente- che ormai non poteva più tornare indietro. Doveva permettersi un certo ottimismo, soprattutto in situazioni così avverse, altrimenti avrebbe finito col portare un’immensa depressione anche tra i suoi compagni. Sorridere di più, magari. Essere più accomodante e partecipe, forse. Peccato che lei non avesse un carattere troppo incline alla conversazione, almeno finché qualcuno non le provocava la parlantina spiccia tipica di chi si sente minacciato. Sospirò appena, sistemandosi i capelli che le ricadevano sulle fronte, indecisa se catalogarli come ciuffo o come frangetta. Anche il suo intero aspetto era un completo disastro, e non solo per quella malattia assurda e senza senso che si portava dietro da ormai un bel pezzo. Fortunatamente, Riku aveva reagito meglio del previsto, ma era certa di non aver fatto proprio un’ottima impressione. D'altronde, non aveva il controllo sulle cause scatenanti e sulle reazioni del suo corpo, e se doveva andare in missione con lui tanto valeva dargli la notizia nel modo più diretto possibile. Poi che traesse le sue conclusioni, a lei non importava più di tanto. Non poteva farci nulla. Da sempre tutti la giudicavano per ciò che vedevano al di fuori, ma il vero problema, il caos più violento e sconvolgente stava all’interno, nascosto in quel turbine di emozioni contrastanti che venivano represse in continuazione. Anche la sua preghiera di essere lasciata in pace, di poter passare inosservata e il conseguente fallimento erano andati condensandosi in una sintesi di nervosismo e dispiacere, che si sforzava di far sprofondare dentro di sé, fino a farla scomparire. Invece che eclissarsi, tuttavia, si accumulava e restava sopita, pronta ad esplodere al risveglio: una fitta profonda al cuore tutte le volte che ingoiava l’umiliazione ed ecco sparire ogni traccia di avvilimento, per lasciare il posto ad un sottile imbarazzo. Non voleva esprimersi, non aveva intenzione di doversi vergognare per qualcos’altro, oltre che per la sua stupidità.

    Alzò appena lo sguardo verso lo spazio profondo e non poté non trasformare i suoi problemi in un altrettanto sconfinato universo di rimpianti. Non riusciva a sentirsi piccola, di fronte a quel fin troppo vasto nulla. Lei nel nulla ci era già stata, nel vuoto c’era ogni singolo giorno. Era l’elemento a lei più affine. Lo accarezzava con gli occhi sconsolati, sentendo chiaro e forte l’invito a lasciarsi inglobare. Mosse lentamente una mano, allungando le dita, il palmo immobile, verso il placido buio fuori dall’abitacolo. “Accoglimi”, sembrava volergli chiedere. “Dammi rifugio.” Si perse per qualche istante, estraniandosi da ciò che la circondava, allontanandosi da tutto e da tutti. Era fatta per stare lì, per non essere più raggiungibile da niente e nessuno, per stare isolata, per nascondersi e non essere mai più rintracciabile. Era fatta per tacere, per tenere la testa bassa e subire, e sopportare, e incassare ogni affondo.

    «… Argh, ok, ho capito, puoi contare su di me, moccioso. Ho le tue spalle per qualsiasi trappola quel posto possa tirarti addosso. Lo dico anche per te, Noel… farò tutto il possibile per farvi uscire vivi da lì.»


    Si intrufolò nella sua testa e Noel si irrigidì d’istinto. Non si sarebbe mai abituata. Abbozzò un debole sorriso, ma in ogni caso non aveva né intenzione di girarsi né di rispondergli. Tutta fatica sprecata. Non era pronta, non era in grado di fare niente ma comunque non prendeva neanche in considerazione l’idea di dover dipendere, anche solo minimamente, da Maxwell e Siegfried. Mai. Piuttosto si sarebbe arrangiata, crollando e morendo. Certo, lui non aveva detto proprio così, ma contava di non essere andata troppo distante a interpretazione.
    Scosse piano la testa, cercando di dimenticare l’intervento in quella modulazione dissonante che si era scontrato con i suoi pensieri. Riposarsi, aveva detto Riku. Riposarsi, ovviamente. Riposarsi come? L’unico modo che aveva per riprendersi consisteva nel stare lontana dal mondo, da qualunque essere vivente. Abbastanza impossibile. Il brividio continuo per la vicinanza del custode non accennava a diminuire e le sue armi le suggerivano di mantenere la calma. Ma non era agitata. Era scivolata l’attimo successivo a quel breve dialogo in uno stato a metà tra l’insofferenza e l’indifferenza. Non le importava più di niente. Ci avrebbe provato, avrebbe fallito. Nessun rimpianto, nessuna colpa da imputarsi.

    L’albino parlava e Noel seguiva i suoi discorsi senza scomporsi minimamente, azzerando temporaneamente ogni pensiero e ogni valutazione. Cuori dei mondi, oscurità, Heartless. E pericoli ovunque. Ormai non riusciva neanche più a temere per se stessa. E poi aveva virato sull’argomento “cappotti dell’organizzazione”. Fantastico. Era prontissima a sentirsi ridicola, a sembrare una deficiente non meglio definibile con addosso la cappa nera con cui sarebbe andata incontro al suo funerale. E poi, a meno che non avesse taglie per nanette, molto probabilmente si sarebbe dovuta accontentare di un abito più grande di lei che le avrebbe fatto da strascico funebre spazzando la polvere al suo passaggio. Quanto avrebbe voluto ridere di fronte a quell’immagine. Ma il pensiero che quella bambola vestita in nero sarebbe stata lei le scavava una voragine senza fondo nell’anima, cancellando anche la più sottile traccia di ironia.

    «Grazie, un po’ di tempo fa ci avevano proposto di indossare una tovaglia a fiori, non serve che ce lo ricordi.»


    Eh?
    Inarcò un sopracciglio, raggiungendo Xisil che già si era alzata per prendere uno dei tanti cappotti scuri, guardando Maxwell –e quindi, per forza di cose, Siegfried- con espressione dubbiosa. Una tovaglia a fiori. …perché? Provò a immaginarseli, ma il risultato fu talmente raccapricciante che si risolse scuotendo la testa per scacciare la visione che avrebbe rivisto solo nei suoi incubi più strani. Dopo aver mangiato pesante. Era positivo poter sentire i commenti della seconda personalità dell’automa. Almeno qualcosa riusciva a distrarla dal torrente di accuse sotto al quale lei stessa si era gettata. Per quanto tempo ancora, però, sarebbe bastata una semplice distrazione?

    Stranamente, l’uniforme le andava quasi bene. Quasi, per gli standard generali: un po’ troppo lunga, come aveva previsto, e larga a sufficienza da caderle dritta e farla sembrare una completa deficiente. Ma non tanto deficiente quanto si era aspettata. L’unico problema restavano i suoi Bolverk. Non poteva tenerli sotto il cappotto chiuso. L’apoteosi dell’inutilità. Indugiava sulla cerniera, mordendosi le guance, il cappuccio alzato dopo essersi lievemente chinata in avanti mentre lo indossava. Doveva averli direttamente a portata di mano. Scrollò le spalle e sfilò le fondine dalla sua cintura, ferma nei passanti della gonna, agganciandosele dietro la schiena sul cinturino dell’abito nero. Se non altro, il nero la snelliva. I guanti non erano stati un problema, in quanto a taglia. Ed era sempre stata abituata a maneggiare i Bolverk con le dita coperte. Almeno sotto quell’aspetto, il cambio d’abito non le sarebbe stato d’impaccio. E anche la lunghezza eccessiva poteva essere ovviata. Giocò per un attimo con la doppia zip, allargando e aprendo un po’ i due lembi finali del cappotto, quel tanto che le bastava per avere migliore mobilità.
    Riabbassò il cappuccio e, dopo aver richiuso delicatamente l’anta dell’armadietto con un sospiro, si avviò nuovamente verso il suo sedile, il più distante possibile da Riku. Si ancorò fisicamente al suo posto, decisa a rimanervi fino al loro arrivo, rifugiandosi in un’immobilità stoica, grattando appena con gli stivali il pavimento. Sprofondò con il viso nella stoffa del colletto, le dita strette ai bordi della sua postazione, prendendo un lungo respiro e scuotendo lievemente il capo. Ridicolo.
    La pioggia aveva cominciato a picchiettare con sempre più insistenza contro le lamiere della navetta e ormai Noel aveva isolato quel suono per potervisi concentrare e dimenticare tutto il resto. Chiuse gli occhi. Solo pochi istanti. Un ultimo, breve barlume di fittizia tranquillità.

    Non era quello il suo posto, ne era sicura: ricevere un altro affondo, un’ennesima stoccata. In quello stato non avrebbe retto. E allora, stancamente, sotto la pioggia battente di un temporale sanguinolento, riprendeva a correre per trovare un rifugio. Non importava quale, un riparo qualsiasi sarebbe andato comunque bene per lei. Purtroppo, non esisteva nessun luogo infimo al punto da ospitare spazzatura. Quelle tiepide gocce corrodevano la carne, quel ticchettio continuo portava alla follia: addormentava i suoi sensi con l’unico scopo di potersi amplificare sotto forma di nevrotica isteria nel suo inconscio. Un interminabile martellare di peccati, di vergogne, di sbagli, di torture, di angoscia.


    E poi il rombo di tuono, il fragore della tempesta avvolgente, del vento che frustava lo spazio e il buio attorno a sé. Dentro e fuori. In lei. Fu proprio quell’oscurità a riportare una placida lucidità nel suo temporaneo isolamento. Non sobbalzò, non si mosse, non si stupì. Era la fine dell’apparente vittimismo. Era giunto il momento di testare il proprio autocontrollo. Silenzio, calma. Tranquillità. Doveva solo ricordarsi di non essere sola. E che in quel luogo non c’era il bianco fantasma che aveva scosso il suo essere da cima a fondo. Doveva confinare gli ultimi avvenimenti in un angolo della sua mente e concentrarsi unicamente sull’impresa impossibile in cui si era imboscata. Affondò in una luce brillante che non proveniva dal mondo che la circondava, gli occhi socchiusi che scorgevano la console dei comandi della Gummiship. C’era uno specchio davanti a lei, che rimandava indietro la sua intera figura. Eppure quella Noel sorrideva, rideva, guardandola con aria di superiorità. Sorse spontaneo anche sul suo volto un flebile sorriso, che sollevò un angolo della sua bocca in una breve smorfia inosservata. Che ridesse pure, finché ne aveva il tempo. Anche quello specchio sarebbe andato in frantumi, come tutta l’impalcatura che reggeva la pagliacciata assurda della sua esistenza.




    A Thousand Words: Dopo il primo incontro con Nu, Noel ha sviluppato un’abilità piuttosto particolare. A quanto pare, a causa proprio del tocco della ragazza dall’occhio rosso e della sua dubbia natura di fantasma, Noel ha da lei acquisito la capacità di sentire e percepire le anime più forti e complesse delle persone che la circondano, fino ad un massimo di un metro di distanza, non senza riscontri sul suo essere. A seconda della potenza e dell’entità delle anime, la reazione avuta dalla bionda sarà più o meno grave: più segnati e singolari sono gli spiriti, più lunga e intensa è la crisi epilettica che ne consegue. Questo perché, a livello inconscio, l’anima della ragazza entra in contatto, al primo incontro, con quelle altrui, creando un legame fondamentale più o meno resistente, provocandone uno shock fisico e mentale, scatenando inoltre la comparsa di inspiegabili macchie violacee su diverse parti del corpo della giovane. A livello di battaglia, questa abilità non ha alcuna utilità e può essere di relativo intralcio. (Attiva a Costo Nullo)
     
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