La Polvere e la Memoria

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    L A P O L V E R E E L A M E M O R I A

    Tutt’intorno era il silenzio. E il vuoto. Fatta eccezione per la lastra di terra su cui poggiavano le nere scarpe di cuoio, il Castello dell’Oblio sembrava attorniato da nient’altro che lo spazio più profondo. Ma non c’erano stelle, a incorniciare quel quadro. Solo buio e polveri cangianti, illuminate da luci sinistre dalla provenienza sconosciuta.
         Olson chiuse il varco oscuro con un gesto secco. Non era stato facile raggiungere quel posto, persino con l’ausilio dei corridoi delle tenebre. La sua postazione era sfuggevole, in eterno movimento; come se potesse esistere in un determinato luogo per non più di qualche minuto. Ma ora eccola qui. La leggendaria fortezza di cui tanto Daraeg gli aveva parlato era di fronte ai suoi occhi. Ed era magnifica. Le sue dimensioni erano imponenti: i torrioni, le cinte murarie marrone scuro e i tetti a punta color celeste si estendevano nell’aere per più di cento metri, sfidando e squarciando il buio denso di Nulla. Ma nonostante la mole del castello fosse effettivamente impressionante, non sarebbe mai stata quella la caratteristica a colpire un eventuale osservatore. In primis, perché le torri non si estendevano solo in verticale. Alcune crescevano diagonalmente, altre orizzontalmente, formando una croce con la struttura principale. Non c’era nulla di “sano” o “razionale” in quella visione: le superfici pietrose erano irregolari, a tratti spigolose e a tratti curve, a tratti rientranti e a tratti sporgenti, formavano rigonfiamenti, bozze, figure scomposte. Attorno alla struttura principale, piccole isole fluttuanti davano asilo ad altre torri troppo storte, altri tetti troppo appuntiti. Osservando attentamente, si potevano anche intravedere stralci di edificio che emergevano dalla parte inferiore dell’isola principale, in uno stato che sfidava qualsiasi legge della fisica. Un’immagine di pacata ma viscerale follia.


    senzatitolo12k


    Concetto che piacque all’Uomo col cappello. Era venuto lì per cambiare quel luogo, così come era venuto lì per cambiare l’uomo. Anche l’uomo aveva in sé la follia. Lui l’avrebbe estirpata da entrambi.
         “Posso rivelarti la zona in cui potrai trovarlo, stramaledetto pelato.” Le parole di Daraeg riemersero sferzanti, acide “Ma non credere di poter ottenere qualcosa. Non sei e mai sarai pronto per affrontare quel castello. Nessuno ne è mai uscito come è entrato.”
         Idea di cui Olson non era altrettanto convinto. Se il “potere” del castello era davvero quello descritto da Daraeg, non avrebbe dovuto avere troppi problemi. “In quel posto, trovare è perdere, e perdere è ottenere” ricordò infine. Parole affascinanti, ma fin troppo criptiche. Un ammonimento. Ci aveva rimuginato non poco, dopo l’incontro con l’Avvoltoio alla Città di Mezzo. “E dopo l’assurda esperienza con la Principessa.” Ricordo che Olson avrebbe volentieri estirpato, ma non era una prerogativa. Ciò che importava in quel momento era quella maledetta frase. Un enigma che non era ancora riuscito a risolvere. “Probabilmente, lo capirò solo una volta entrato.”
         Così avanzò. Lo spazio di roccia e terra battuta che lo separava dall’immenso portone in legno era consistente, ma Olson se la prese con calma. Il tempo aveva finito di essere una preoccupazione molti anni prima. Altrettanto non poteva dirsi per la sua gamba: a neanche metà percorso gli stava già dando dolori atroci, costringendolo a rallentare ulteriormente. Il rintoccare del bastone diventava sempre più lento e stremato. Si accorse anche di avere freddo. Non spirava vento, in quel luogo dimenticato da Dio, ma si percepiva una rigidità decisa, spietata. Si concesse un attimo per stringersi meglio nella giacca color catrame, poi continuò ad arrancare.

    Giunse a destinazione più stanco e più dolorante di quanto mai avrebbe pensato. Man mano che si avvicinava al portone, la distanza gli era sembrata aumentare anziché diminuire. “Non esattamente un buon inizio, Wren.”
         Passò le dita della mano libera sulla superficie rugosa del portone e sospirò. Sembrava piuttosto pesante, ma afferrò comunque il grosso chiavistello circolare e tirò. Le ante si spalancarono senza far rumore, come fossero fatte di sughero. Olson sorrise, pregustandosi la chiacchierata che avrebbe avuto da lì a pochi minuti.

    Doveva incontrare un Keyblader. Ne aveva sentito parlare nel corso delle sue peregrinazioni, così aveva chiesto a Daraeg di scoprirne l’attuale posizione. Incredibilmente, l’Avvoltoio aveva acconsentito a muovere i suoi informatori senza fare troppe storie. L’unica spiegazione logica per quel comportamento, si era detto Olson, era che le vicende di quel custode rinnegato interessassero anche lui in prima persona. Del resto era sempre stato così tra di loro: un rapporto che nulla aveva a che fare con l’amicizia e che quasi tutto condivideva col mero scambio d’interessi. E nonostante il suo berciare apocalittico, Daraeg sapeva che Olson era l’uomo giusto per andare a cercare il Keyblader al Castello dell’Oblio, se era davvero lì che si era rintanato. “Rintanato… o intrappolato?”
         Daraeg sapeva quasi per certo che si trovasse lì, e altrettanto per certo sapeva che non ne era uscito. “Chiedi di Kevan Raynolds, quando incontrerai la prima anima viva.” Gli aveva detto “Quasi per certo sarà lui. Non sono altrettanto sicuro che il suo nome se lo ricordi.”
         Perché era quello, il potere del Castello: manipolare i ricordi, disperderli fino a gettare chiunque nell’oblio più totale. Un incantesimo potente, terribile… ma non incontrastabile. Nel corso degli anni, Olson si era più volte accertato che nulla, dalla magia più infima a quella più potente, potesse anche solo sperare di scalfire i suoi ricordi. Nemmeno la magia del leggendario Castello dell’Oblio.

    Davanti a lui si stagliava un corridoio bianco. Bianco il pavimento, bianche le pareti, bianco il soffitto. Nessun mobilio di sorta, solo un doppio colonnato che seguiva i lati lunghi e una porta in legno preceduta da una pedana con scalini. Sul soffitto e tra le colonne, si potevano scorgere altorilievi di decorazione e armoniche forme geometriche. Incredibilmente, stavolta, l’Uomo col Cappello si riscoprì soddisfatto da ciò che stava vedendo. Il bianco l’aveva sempre rilassato, e la fondamentale vuotezza e sobrietà della stanza lo rilassava ancora di più. Forse i “lavori di ristrutturazione” non sarebbero stati così estenuanti. Senza neanche accorgersene, aveva già fatto un passo avanti. Fece seguire il bastone e l’altro piede, si voltò e richiuse lentamente l’immenso portone. Il momento della Verità.
         Là dentro il silenzio era ancora più opprimente. Perfino il cigolare del portone o lo stesso rumore del respiro di Olson sembravano assordanti in un simile contesto.
         “Trovare è perdere, e perdere è ottenere. Questa è la via del Castello dell’Oblio.” Ripeté di nuovo mentalmente. Ora restava da verificare se questa via si applicasse anche a lui. Se davvero fosse stato così stupido da provarci, gli aveva detto Daraeg, avrebbe dovuto per prima cosa verificare se fosse ancora stato in grado di utilizzare i suoi poteri. Le abilità e le magie erano la prima cosa ad essere colpite nel castello: dopo un solo passo al suo interno, anche il più temuto tra i membri dell’Ordine sarebbe divenuto un semplice “essere umano”. Tuttavia Olson non esitò a richiamare l’oscurità. E l’oscurità rispose. Il bastone venne avvolto nell’ormai familiare patina viola scuro, mandando inquietanti riflessi sul marmo lucidato del pavimento. E a quel punto, l’Uomo senza Ricordi seppe che il Castello dell’Oblio già gli apparteneva.

    Lo trovò dopo troppe stanze bianche e troppi piani tutti uguali. Avendo ormai verificato di essere immune al suo potere, il Castello dell’Oblio aveva perso per Olson qualsiasi fascino tremendo o aura reverenziale, fatto che non contribuì a rendere più eccitanti le svariate rampe di scale e i lunghi corridoi, perlomeno non per la sua gamba malata.



    kingdomheartschainofmem


    La stanza in cui Kevan si era “rintanato” era più piccola della maggior parte delle stanze incontrate finora: dalla pianta quadrata, era probabilmente l’unica di tutto il castello con una parvenza di mobilia. Un piccolo divano, un tavolo con tre sedie e una libreria -tutti bianchi- la riempivano a malapena, rendendola più surreale e spoglia di quanto probabilmente non lo sarebbe stata senza.
         Il Keyblader era seduto sul divano, e fissava il vuoto. Non doveva avere più di trent’anni, valutò Olson. “Del resto, ne aveva diciotto ai tempi in cui esisteva ancora la land of Departure”.
         Non sembrava aver notato l’ingresso del fu psicologo. I suoi occhi color nocciola da poco affacciatisi alla piena maturità erano spenti, inespressivi, così come tutto il resto di lui: il suo fisico, probabilmente imponente al momento dell’ingresso nel castello, sembrava aver subito una sorta di invecchiamento prematuro; le spalle erano gobbe, i muscoli delle braccia lasciate scoperte dall’uniforme lievemente flaccidi. Anche i capelli non sembravano quelli di un trentenne: crespi, lunghi fino alle spalle, erano raccolti in una coda che lasciava intravedere qualche riflesso di grigio. Su un uniforme vecchia e scolorita, con due strisce di stoffa nera poste a “x” su una maglietta blu notte, ricadeva una barba incolta tendente al nero slavato. Probabilmente, in altri tempi e in altri luoghi, era stato un bell’uomo.
         “Non tutti hanno la mia fortuna”, pensò cupamente Olson. “Senza una guida, questo posto può rivelarsi una trappola mortale.” Si avvicinò a passi cauti, sistemandosi con la mano libera la tesa del cappello. Giunto in prossimità del divano, si sedette.
         «Aqua…»
    Olson dovette far uso di tutto il suo autocontrollo per non trasalire. Era stato Kevan a parlare. Non sembrava affatto essere uscito dal suo stato pseudo-catatonico, ma aveva comunque parlato: una voce roca, flebile, eppure rimbombante in quella piccola stanza permea di silenzio.
    L’uomo col cappello prese il bastone tra le mani e attese, paziente, conscio che ormai quell’uomo non aveva alcun modo di fargli del male. Non passò troppo tempo prima che il Keyblader parlasse di nuovo.
         «Tu… tu sai dov’è Aqua?»
    In altre circostanze, sarebbe stato impossibile capire che il Keyblader si stesse riferendo a lui. Per qualche secondo, Olson pensò addirittura che stesse parlando ad un miraggio frutto dei poteri del Castello, ma non ebbe dubbi che quelle parole fossero in realtà destinate a lui, quando l’altro voltò il capo.
    “Se non altro, sembra ancora possedere un barlume di ragione” constatò Olson, notando che un pizzico di consapevolezza andava a riempire i suoi occhi vuoti “Forse potrebbe davvero rivelarsi utile.”
         «Mi dispiace,» ammise, cercando di dare al suo tono atono uno sprizzo d’umanità «Non so di chi tu stia parlando.»
         Kevan sembrò dispiaciuto dalla risposta. «Oh… peccato. Sai, ero convinto che fosse in questa stanza. Ma magari sarà nella prossima. Sì, sono sicuro che la troverò nella prossima. Quando… quando avrò voglia di alzarmi. La troverò, sì.» tornò a fissare il vuoto davanti a sé.
         Olson si concesse qualche secondo per riflettere. Non aveva mai sentito quel nome in vita sua, ma se dopo tutti i tormenti del Castello Kevan era ancora in grado di ricordarlo, doveva indubbiamente essere qualcuno di importante; la persona che l’aveva spinto ad intraprendere quella ricerca disperata, forse. Eppure… “Vuoi trovare la famosa stanza che cercava l’Organizzazione, non cercare di nascondermelo” furono le parole di Daraeg quando gli espose l’idea di andare al castello “Ma è tutta fatica sprecata. Forse sarai anche immune ai poteri che influiscono sui ricordi. Ma il castello dell’Oblio possiede altre difese per nascondere ciò che deve. È una magia che va al di là della mia comprensione, della tua, e anche quella dell’Organizzazione, che l’Oscurità se li divori. Quella stanza è fatta per essere trovata solo da chi deve trovarla davvero.” Parole che, come probabilmente Daraeg sapeva, anziché desistere Olson l’avevano motivato ancora di più. Trovare la leggendaria stanza nel Castello dell’Oblio che nemmeno la prima Organizzazione era riuscita a trovare era stato un suo piccolo sogno nel cassetto fin dalla prima volta in cui l’Avvoltoio gliene aveva parlato.
         «Sai una volta… io la amavo.» Kevan era tornato a voltarsi verso di lui; ad ogni parola il suo discorso sembrava assumere maggiore consapevolezza «Era così brava, così piena di talento. Candidata a Maestro del Keyblade a soli sedici anni, quando io a diciotto non avevo ancora combinato niente. E poi era così bella… così bella…»
         Olson elaborò e pensò in fretta. Le cose iniziavano a farsi più chiare: la misteriosa Aqua era dunque una ex apprendista alla Land of Departure, probabilmente divenuta maestra del Keyblade. Ma perché mai Kevan poteva pensare che si trovasse nel Castello dell’Oblio? Decise di lasciarlo parlare ancora.
         «Non le ho mai detto ciò che provavo. In realtà, eravamo poco più che conoscenti. Ma la cercai, quando se ne andò. Fui codardo a fuggire dopo la morte di Eraqus, ma… no, no, era solo per cercare lei. E Terra, lui… lui non doveva, l’ho inseguito. Per inseguire lui, per trovare lei. No, non sono un codardo.»
         Fu con riluttanza che Olson comprese che molte di quelle parole non avevano un effettivo senso logico, almeno non per lui. Kevan continuava ad ammassare nomi ed eventi, sensi di colpa e rimpianti, ma nemmeno un ex psicologo come lui poteva cavare un ragno dal buco di quel caos. «Sono sicuro che tu non lo sia.» intervenne Olson, pacato, fissando quegli occhi nocciola sempre più simili a quelli di un essere umano «Ma dimmi, perché la stai cercando qui? Il Castello dell’Oblio non è certo un luogo saggio in cui nascondersi, neanche per una maestra del Keyblade.»
         «Invece è qui. Deve essere qui.» Stavolta la risposta fu immediata «La sua magia permea tutto il Castello. DEVE essere qui!»
         Stavolta, Olson intravide anche un barlume di rabbia nell’improbabile Keyblader. “Lo sto aiutando a ricordare…” Realizzò ad un tratto l’Uomo col Cappello “E più elementi ricorda, più torna in se stesso.” Decise di insistere. «Vuoi forse dire… che l’incantesimo che permea il Castello è opera sua?» Non riusciva neanche a credere a ciò che aveva appena domandato. Aveva sempre dato per scontato che il Castello fosse una struttura antica, creata da chissà quanti potenti maghi per proteggere il loro segreto. Ma una sola persona? Era possibile? Intanto, Kevan aveva annuito cupamente.
         «Li… li avevo spiati, lei e Eraqus. Non avrei dovuto farlo, si trattava di segreti riservati ai soli maestri. Ma li ho spiati lo stesso. Lui le ha detto qualcosa riguardo alla Land of Departure: “se il mondo sprofonda nell’oscurità, utilizza questo incantesimo. È in grado di trasformare la nostra terra in qualcosa che sappia difendere da sola i propri segreti.”» il castano rise in un modo che rasentava l’isterico «E quale altro posto, se non questo?»
         Olson era sconcertato, ma riuscì comunque a mantenere la sua proverbiale freddezza. Allora era davvero come aveva sospettato: l’intero Castello era opera di una singola persona! E cosa ancora più sconvolgente, quello non era un posto qualsiasi; ma la leggendaria, perduta Land of Departure, trasformata per proteggere il suo segreto! Ma QUAL ERA questo segreto? Inspirò a fondo, tenendo stretto il bastone tra le mani e cercando di elaborare in fretta una risposta. «Dimmi, Kevan… Nella tua ricerca, sei riuscito a trovare il segreto del Castello? Per quello che so, si tratta di una stanza molto particolare.»
         «Nessuno può trovarla.» La risposta del Keyblader fu così rapida e glaciale che Olson ne rimase spiazzato «Aqua l’ha nascosta. Nessuno può competere con la sua magia. Se sei qui solo per trovare la Stanza del Riposo, vattene.»
         In un certo senso se l’era aspettato. Kevan aveva smesso di essere un burattino senz’anima: aiutandolo a parlare, aveva fatto affiorare i suoi ricordi, e con i suoi ricordi la sua coscienza. Non si sarebbe stupito se…
         Un rumore metallico seguito dal freddo contatto dell’acciaio sulla gola interruppe i suoi pensieri. “Bravo, Wren, complimenti. Rimetti in sesto il povero Keyblader senza ricordi, una volta riacquisiti non sospetterà minimamente di un uomo in nero che cerca informazioni su uno dei più grossi segreti dell’universo.”
         Kevan era balzato in piedi in un battito di ciglia, aveva evocato il Keyblade e gliel’aveva puntato contro. In quel momento, Olson aveva troppa premura di pensare a quali parole gli avrebbero evitato un simpatico sorriso rosso sulla gola per ammirarne le fattezze.
         «Chi sei tu?» Il tono di Kevan non era decisamente amichevole. “È rinsavito totalmente, ed è arrabbiato. Questo potrebbe essere un problema.”
         «Solo un povero vecchio storpio.»
         «Ho conosciuto poveri vecchi con la gobba che avevano il potere di uccidere un uomo in un istante.»
         «Sono sicuro che avranno avuto ciò che meritavano.»
         «Non prendermi in giro, non sei nella posizione.» il ferro dell’arma leggendaria si fece più pressante sulla sua gola «Ora tu mi dirai come hai fatto ad arrivare fin qui.»
         Olson sospirò «Non credo di poterlo fare. E non credo tu lo voglia sapere.» Per un attimo, credette di aver osato troppo. Credette che Kevan avrebbe deciso di essere stanco di quell’insolente vecchietto col bastone e di lordare il bianco perfetto di quella stanza col suo sangue. Ma non lo fece. Anzi, ebbe una reazione che mai Olson avrebbe potuto lontanamente sperare.
         «Forse hai ragione…» la pressione del Keyblade venne allentata «Forse non lo voglio sapere. Non ho ragione di volerlo.»
         Cosa… Cosa diamine era appena successo? “Ha ubbidito” realizzò “Forse non si è ancora ripreso abbastanza da essere davvero padrone di se stesso. Ma anche così…” Anche così non aveva senso. Decise di fare un altro tentativo.
         «Mi hai detto di amare quella ragazza, Aqua… Ne sei proprio sicuro? Sono invece abbastanza certo che tu la odiassi dal più profondo del cuore. Non te lo ricordi? La odiasti fin dal primo momento.»
         Gli occhi del castano si dilatarono. «Sì… sì ora ricordo! Io la odiavo!» strinse con forza l’elsa dell’arma tra le mani, allontanandola definitivamente da Olson «L’ho sempre odiata, fin dal primo giorno. Quella stupida saputella e quel suo talento immeritato. È sempre stata migliore di me! Perché avrei dovuto amarla?» con la mano libera afferrò una delle sedie e la scaraventò a terra con violenza.
         Il sorriso che comparve sulle labbra di Olson fu il sorriso più soddisfatto dai tempi del primo e unico scacco matto contro Daraeg. Non era una manipolazione della volontà. Era una manipolazione dei ricordi. La magia di quel posto era così simile alla sua che, evidentemente, si stavano fondendo. E non sarebbe stato il primo caso: anche Naminè, una strega Nessuno, era in grado di manipolare i ricordi di chi entrava nel castello, “asservendo” quella magia al suo volere. Era grazie a lei che l’Organizzazione era in grado di aggirarsi senza problemi per quei corridoi. Ed era grazie a lei che Sora aveva recuperato le sue memorie. Tutto ciò era… semplicemente magnifico! Al diavolo la Stanza del Riposo! Al diavolo i segreti al suo interno! Aveva appena trovato un luogo che gli permetteva di espandere i suoi potere di manipolazione, cancellazione e creazione dei ricordi anche agli altri individui! Se prima non fosse stato convinto fino in fondo a prendere il castello come sua sede, ora lo sarebbe stato di certo. «E dimmi, Kevan. Tu credi più alla tua parte emotiva o alla tua parte razionale?»
         Il Keyblader sembrò spiazzato. «Perché questa domanda?» Chiese infatti, mansueto, come se avesse paura dell’eventualità di dare una risposta sbagliata. Fatto che fece allargare ancor più il sorriso di Olson.
         «Perché vedi… Da quello che ho sentito su di te hai sempre disprezzato le tue pulsioni. Come quando pur odiando Aqua eri comunque attratto dal suo fisico, dal suo viso, dai suoi occhi. Odiasti profondamente te stesso in quei momenti. Eppure, consapevole che avresti vissuto meglio senza, ti sei sempre detto che, in fondo, l’uomo era fatto così. Ti disprezzavi, ma non avevi gli strumenti per cambiare le cose.»
         Kevan annuì, gli occhi dilatati pieni di accondiscendenza. «Sì, sì è così. Ho sempre pensato che le pulsioni e i sentimenti fossero una parte deplorevole di ognuno di noi. Ma come liberarsene? Sono radicate più a fondo di quanto un uomo possa sognare di scavare.» la sua voce era roca e debole, le sue sopracciglia aggrottate.
         “Funziona!” «No, vecchio amico mio, ti sbagli. Non ricordi le nostre chiacchierate alla Città di Mezzo? Ti dissi che stavo lavorando ad un metodo per estirpare definitivamente questo deficit dall’uomo. Ebbene…»
         «L’hai trovato?» Kevan si era avvicinato a lui come una zanzara a una lanterna, gli occhi dilatati e pieni di aspettative.
         Olson si sistemò gli occhiali col palmo della mano. «Sì.» Rispose, mellifluo «Sì, certo che l’ho trovato. Non ricordi? Ti sei sempre potuto fidare di me. Mai Wren Olson ti ha dato motivo di delusione.»
         L’uomo invecchiato troppo presto annuì, volgendo lo sguardo verso il basso mentre il ricordo fittizio andava creandosi nella sua mente. «Hai ragione Wren, hai ragione. Scusa se ho dubitato di te. Ci sei sempre stato quando ne avevo bisogno, non mi hai mai deluso.»
         «Proprio così.»
         «Quindi puoi… davvero rendermi come te?»
         Olson fece forza sul bastone con entrambe le mani e si alzò in piedi. «Certo che posso, mio vecchio amico. E lo farò, non dubitarne.» E detto questo, avanzò faticosamente verso la prossima stanza. Come previsto, Kevan lo seguì, obediente come un cagnolino ammaestrato.
         Per un attimo, uno solo, l’Uomo senza Ricordi pensò di aver fatto una cosa orribile. Aveva creato nell’altro dei ricordi mai esistiti in modo che potesse vedere il vecchio con gli occhiali come un amico, in modo che potesse fidarsi di lui. Ma del resto, la situazione di pericolo lo richiedeva. Col tempo, con l’approvazione forzata dell’altro, avrebbe proceduto ad eliminare i ricordi non necessari e a ristabilire quelli necessari. Così, finché fosse rimasto all’interno del Castello, Kevan sarebbe stato esattamente come lui. Un altro uomo perfetto sarebbe nato quel giorno. E avrebbe fatto tutto ciò che Olson gli avrebbe chiesto.
         Quando strinse tra le dita il pomello della porta, scoprì di sentirsi immensamente bene. Non doveva biasimarsi per ciò che aveva appena fatto. Fin dal principio sapeva che l’uomo come specie non avrebbe potuto abbandonare la sua parte irrazionale, se non “forzato”. Kevan era stato solo il primo passo. Un passo necessario. Un passo fondamentale. E nell’aprirsi cigolante della porta, nel percorrere l’ennesimo corridoio bianco, Olson non poté fare a meno di abbandonare ogni risentimento e accettare ciò che veramente provava: imporre la Verità, la “vera” Verità, era stato dannatamente magnifico.
         «Quindi, ora che si fa?» chiese d’un tratto il Keyblader, accostandosi a lui. «Cerchiamo Aqua o la stanza segreta?»
         Olson mantenne lo sguardo fisso avanti a sé. «Nessuna delle due. Ora penseremo a come allargare la nostra famiglia.»
         Il nuovo padrone del Castello dell’Oblio non poté non concedersi una risata.

    CITAZIONE
    Il testo è lo stesso presentato per il contest "Riflessione", ma essendo piuttosto importante anche ai fini di sviluppo della trama lo posto anche nell'appropriata sezione d'ambientazione. Com'è infatti ben evidente, Olson prende il possesso del Castello dell'Oblio, sfruttando il suo potere che gli permette di non essere attaccabile da qualsivoglia forma di magia che mira al suo passato. Immune dunque al letale potere del castello, incontra e convince (con mezzi assai poco leciti) Kevan, un Keyblader rinnegato, ad unirsi a lui. Olson scopre infatti non solo di essere immune al potere del castello, ma di poterlo anche controllare.
    E con il castello dell'Oblio tra le sue mani, l'Uomo col Cappello è ormai una minaccia che non potrà più essere ignorata.

     
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