Magie et Sorcellerie

Quest privata

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    Your smile, fragments and gentle voice have disappeared to the moon

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    Magie et Sorcellerie


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    Leggera, la pioggia ticchettava contro le finestre alte, generando un rumore costante, ininterrotto, unica cosa che spezzasse il silenzio quasi sacrale della biblioteca. Concentrato, Ingwe girò la pagina, sistemandosi meglio sulla seduta del davanzale.
    Renn e Wilhelm avevano avuto ragione a consigliargli di andare lì nel tempo libero: l'odore dei libri, la quiete che regnava in quell'angolo di castello, l'enorme mole di informazioni che era racchiusa in quegli scaffali… Era una piccola isola di paradiso, un luogo sicuro in cui rifugiarsi tra una riunione e l'altra, tra allenamenti e pattuglie.
    Con un sorriso sciocco si immerse di nuovo nel volume, lasciando da parte quegli stupidi pensieri che già aveva ripetuto nella sua mente centinaia di volte. Delicato mosse un'altra pagina, sfiorando con quanta più gentilezza possibile la carta ingiallita e sottile, decifrando i caratteri scritti a mano con quella grafia che quasi non sembrava essere opera di un umano da quanto precisa era.
    Incantesimi. Magie antiche e teorie che nel suo mondo avevano raggiunto e superato, oppure che nemmeno si sognavano da lontano. Era affascinante, pensò, mentre mormorava una formula sottovoce, e utile e, una volta tanto, non uno strumento per combattere o per difendersi, ma per curare, per aumentare i raccolti e sistemare la casa. Argomenti sciocchi, forse, se si consideravano i tempi, ma non meno interessanti. Avrebbe dovuto ringraziare Nivis, poi, per avergli consigliato di leggere gli scritti di Merlino.
    Veloce, proseguì, scorrendo tra righe, correzioni e formule, immergendosi sempre di più tra le pagine. Fu solo quando un lieve rumore di passi giunse alle sue orecchie che alzò lo sguardo, individuandone l'origine poco distante.
    Una ragazzina, constatò, più giovane di lui.
    Incuriosito dal vedere qualcuno che non fosse un membro del comitato nella biblioteca, inclinò la testa, osservando la figura aggirarsi tra gli scaffali, osservare i libri con fare quasi disorientato, come se stesse cercando qualcosa. Incerto se disturbarla o meno, Ingwe continuò a scrutarla per qualche attimo. Fu solo dopo qualche secondo in cui sembrò che l'altra non avesse fatto alcun progresso nella propria ricerca, che il Custode si decise.
    «Serve una mano?» Chiese con fare calmo dopo essersi schiarito la gola.
    Leggermente agitata, le dita che torcevano la tracolla della borsa, la ragazzina si voltò verso di lui.
    «Ecco...» Cominciò impacciata. «Sarebbe così gentile da indicarmi l'uscita?»
    Trattenendo l'accenno di una risata, Ingwe sorrise. Non poteva negare che fosse facile perdersi, là dentro: dire che la biblioteca di Ansem fosse enorme sarebbe stato riduttivo.
    «Certo,» iniziò a rispondere. «Prosegui fino alla fine dello scaffale, gira a destra alla terza fila e troverai delle scale. Da lì scendi al piano inferiore, prosegui per la prima sezione e-»
    Aggrottando le sopracciglia, si interruppe un attimo: forse non era proprio semplice spiegare come trovare la strada per la funivia. Come minimo l'avrebbe solo fatta perdere di nuovo. Un tonfo secco accompagnò il gesto della sua mano, mentre chiudeva il libro.
    «Ma forse è meglio che ti accompagni.» Riprese con un tono di scuse, mentre si alzava. «È abbastanza un dedalo qui dentro.»
    Il sollievo si dipinse immediatamente sul volto della ragazzina, subito sostituito da un'espressione mortificata.
    «La ringrazio infinitamente. Mi dispiace tantissimo arrecarle questo disturbo, mister...?»
    Quindi era così che lui era suonato a Nivis quando si erano incontrati? Adesso capiva perché l'altra gli avesse detto di smettere di essere così formale, quando le parlava.
    Con un leggera dose di imbarazzo, sorrise e si massaggiò la nuca.
    «Ingwe Tasartir.» Lento, cominciò ad incamminarsi verso il corridoio che aveva indicato prima. «Comunque, nessun problema e, davvero, non è necessaria tutta questa cortesia. Dammi del tu.»
    Con un sorriso e un cenno del capo, invitò la giovane a seguirlo.
    «Mentre, tu saresti?»
    Per un istante sentì esitazione e imbarazzo provenire dalla sua interlocutrice e si chiese se non stesse esagerando con la cordialità e l'assenza del “lei”.
    «Ailis. Solo Ailis.»
    «Capito.» Annuì, voltando il capo. «Piacere di conoscerti.»
    «Il piacere è mio.» Replicò Ailis.
    Di nuovo, Ingwe sorrise. Era… simpatica. Timida, riservata, un po' come Shinan, un po' come lui di fronte a Aqua o Nivis. In fondo la capiva: di fronte a qualcuno che non si conosce o di cui non si sa l'indole era normale approcciarsi con quanta più formalità e pacatezza possibili.
    «È davvero enorme.» Esclamò all'improvviso la ragazza.
    «Hm? Ah, la biblioteca.» Voltandosi appena, Ingwe rallentò il passo, attendendo Ailis e riprendendo a camminare solo quando furono l'uno di fianco all'altra. «Yup, è decisamente enorme. Contiene più o meno di tutto.» Commentò allegro. «Nel senso, da ricettari a libri per bambini, fino a ricerche di stampo scientifico. Ad esempio: il libro che stavo leggendo,» Noncurante sollevò il volume ancora stretto tra le dita, agitandolo un secondo in aria. «Tratta di incantesimi per la casa e per animare gli oggetti in modo che compiano le faccende domestiche da soli.» Il che, fosse riuscito a padroneggiare quegli incantesimi, gli avrebbe regalato una buona fetta in più di tempo libero da sfruttare, permettendogli di smettere di dover calcolare ora per ora il tempo che ci avrebbe messo a prepararsi il pranzo e mangiarlo tra un turno e l'altro di pattuglia.
    «Incantesimi?» La voce giunse incerta e vuota. «Quindi... la magia è, ecco...» Le parole uscivano lente, cariche di esitazione e dubbio. Incuriosito da quel cambio di tono, Ingwe attese. «...normale, qui?»
    Normale. Per un secondo rimase in silenzio, prima di far sfuggire un sospiro tra le sue labbra.
    Sembrava avesse paura, anche se non capiva se della magia e di chi la usava, oppure di chi temeva le arti arcane e perseguitava coloro che le utilizzavano. Serio, annuì.
    «Sì, viene utilizzata quotidianamente.» Replicò senza aggiungere altro, aspettando una reazione.
    Ailis sgranò gli occhi all'improvviso. Le iridi cariche di incredulità, si portò una mano tremante alla bocca. Fu solo dopo alcuni istanti che lo stupore scomparve e che, dopo aver gettato un'occhiata a Ingwe, la ragazza abbassò il braccio e lo sguardo.
    «B-Bene.»
    Perplesso, ancora non del tutto certo su quale delle due opzioni fosse quella giusta, Ingwe strinse le labbra e incrociò le braccia.
    «Tutto ok?»
    L'unica risposta che ottenne fu un cenno di assenso, non un'altra parola uscì dalla bocca di Ailis.
    «Hm.» Nervoso e impacciato, Ingwe riprese a camminare.
    Forse era solo molto timida? Per un istante ripensò a se stesso, a come si sarebbe sentito più a suo agio se fosse stato nella situazione dell'altra. Forse doveva solo continuare a parlare? Di sicuro, nel bene o nel male, la magia sembrava incuriosirla o quantomeno suscitare una sorta di reazione, solo che non era sicuro se si trattasse di qualcosa di negativo o positivo, in quel caso. Forse l'avrebbe solo fatta chiudere di più in se stessa. Indeciso, si morse il labbro inferiore. Tanto valeva provare: se non avesse visto nessun mutamento, avrebbe cambiato argomento o sarebbe rimasto in silenzio.
    «Comunque, sì, ecco...» riprese incerto su cosa dire di preciso. «La magia è decisamente comune, nel senso, anche io sono un mago. Come tutti i miei colleghi, d'altronde.» Per non parlare del fatto che oltre a essere dei maghi di incredibile potenza, metà degli altri membri del comitato possedeva caratteristiche decisamente eccezionali, che si trattasse di forza fisica, con Renn che era capace di sollevarlo con un braccio, di velocità, con Alion che, a quanto gli era stato detto era terrificantemente rapido, o semplicemente del fatto che fossero tutti Custodi.
    Lentamente, gettò un'occhiata ad Ailis, sperando in una qualunque reazione.
    «Quindi,» Riprese la ragazza, mordendosi il labbro inferiore. «non mi prenderesti una pazza se ti dicessi che sono appena arrivata qui da un altro mondo e che non ho la minima idea di che posto sia questo?»
    Sorpreso, Ingwe esitò un istante.
    «Oh!» Esclamò. «No, no, assolutamente no, tranquilla.»
    La sua mente cominciò a lavorare, mentre, rapide, idee e ipotesi si facevano strada tra i suoi pensieri. Subito scartò la possibilità che il suo mondo fosse andato distrutto: Ailis era umana, possedeva un cuore. Lo sentiva, lo percepiva e, nel caso la sua stella fosse stata divorata dagli Heartless, allora la ragazza non sarebbe di sicuro apparsa lì, nella biblioteca di Radiant Garden, ma nella Città di Mezzo. O almeno, quello era ciò che aveva capito dai discorsi di Nivis e Devon. Confuso si grattò un attimo la testa. Quindi come era arrivata lì? Aveva semplicemente aperto un portale a caso ed era giunta in quel luogo? Nella sede del gruppo di Custodi più grande del cosmo? Se davvero fosse stato casuale, allora l'universo doveva proprio divertirsi a giocare con lei.
    Eppure, non sembrava che stesse mentendo. E d'altro canto, pensare che un umano, qualcuno con un cuore non macchiato dall'Oscurità, potesse essere una spia o un alleato di uno dei loro nemici rasentava l'assurdo. Rapido gettò un'occhiata al cuore dell'altra, osservando la Luce e L'oscurità che risiedevano in esso e che le danzavano attorno. Ninete di anormale, niente di assurdo o fuori dall'ordinario.
    Sconfitto, si arrese all'evidenza.
    «No, solo che… diciamo che non è proprio normale apparire in luoghi casuali. Di solito, almeno.» E di sicuro non era normale apparire lì, di tutti i luoghi. Veloce, gettò un'altra occhiata alla ragazza. Nessuna ferita, nessun segno di lotta o di fuga. Decisamente non una rifugiata a causa degli Heartless. Sembrava stare bene, se si escludeva la confusione.
    «Bé, si tratta di un incantesimo particolare.» Cominciò subito a spiegare Ailis. «Collega due spazi diversi attraverso un varco, che viene creato in corrispondenza di una porta. In teoria l'incantesimo può essere più preciso circa la destinazione, ma si dovrebbe avere un'idea ben chiara in mente, delle coordinate, oppure un oggetto originario del luogo in cui si vuole arrivare. Ma non avevo nulla di tutto ciò, per questo sono apparsa qui.» Quello era interessante. Molto interessante. Attento, Ingwe annuì. Funzionava più o meno come i portali di luce e oscurità, escluso il fatto che in questo caso la ragazza necessitava di una porta per attivarli e non era capace di aprire un varco autonomo. In ogni caso, sembrava che almeno adesso Ailis si fosse tranquillizzata e fosse più propensa a parlare. «In effetti sono stata fortunata. Poteva andarmi molto peggio, potevo finire in una prigione, in qualche posto con accesso vietato al pubblico, o riservato... perché questa non è una biblioteca privata, vero?»
    Una smorfia apparve sul volto di Ingwe, mentre piegava leggermente di lato il collo.
    «Err, più o meno. Nel senso, in teoria non è privata, ma in pratica si può accedere solo con permesso scritto.» Spiegò, mentre pensieroso posava l'indice libero sulle labbra. «Ma da quello che racconti, direi che questa si può tranquillamente considerare un'eccezione. Nessun problema.»
    «Oh.» I lineamenti di Ailis si piegarono in un'espressione preoccupata. «Mi dispiace.»
    «No, no,» Veloce, Ingwe riprese a parlare, tentando di rassicurare la sua interlocutrice. «non c'è bisogno di scusarsi: è stato solo un incidente, tranquilla.»
    O almeno così sperava. Si fosse sbagliato e quella ragazza fosse stata pericolosa… Non voleva pensare a possibili conseguenze o a quello che Sariel gli avrebbe fatto. No. Deciso scosse la testa. Non era pericolosa, lo sentiva, era quasi istintivo.
    «Mh.»
    Poco alla volta, la sua mente tornò a prestare attenzione alla ragazzina. Nonostante tutto, sembrava che continuasse a non essere ancora del tutto convinta. In silenzio, Ingwe annuì senza pensarci, rispondendo con un riflesso automatico a quell'ultimo mugolio.
    «Mh.» Disse ancora con voce insicura Ailis. «È un bel posto dove vivere, questo?» La domanda uscì all'improvviso, carica di timore e dubbio. Di nuovo Ingwe si voltò e osservò l'altra qualche istante, chiedendosi il perché di quella domanda, il perché viaggiasse per il mondi. Per un secondo si domandò se, come lui nel suo pianeta natale, anche lei non stesse fuggendo o cercando una vita diversa da quella avuta in precedenza. Quello, oppure si divertiva a scorrazzare in giro alla ricerca di avventure e nuovi luoghi. Anche se di sicuro non riusciva a immaginarsi una persona così remissiva e timida partire per un'avventura.
    Con un sospiro iniziò a racimolare le idee e le parole adatte per offrire una risposta adeguata e non troppo allarmante.
    «Normalmente, sì. Radiant Garden è un bel mondo, la vita è abbastanza semplice, la città sicura e ben protetta, ma...» Escludere dall'elenco quello che era accaduto negli ultimi giorni sarebbe stato del tutto ridicolo e assurdo, sopratutto considerando il fatto che le cicatrici della guerra erano ancora ben visibili per tutto il borgo. «Poche settimane fa la città ha subito un attacco e… In poche parole, deve ancora riprendersi del tutto.»
    Uno smorfia di scuse e un sospiro conclusero il breve discorso, mentre con la coda dell'occhio cercava nuove possibili reazioni. Di sicuro, se non conosceva Radiant Garden, non viaggiava nei mondi da troppo tempo. Dubitava, allora, che conoscesse i dettagli della guerra tra Luce e Oscurità, degli Heartless e dei pericoli che esistevano in giro per l'universo. In dubbio strinse il ponte del naso. Se cercava una vita tranquilla, forse sarebbe stato meglio indicarle Crepuscopoli, ma anche in quel caso, nessuno sapeva quale mondo sarebbe stato attaccato la prossima volta, quale dei tre comitati sarebbe stato il prossimo bersaglio dell'Ordine o dell'Organizzazione. Di sicuro non gli andava di spiegare tutto quanto all'altra: sarebbe stato troppo lungo, tedioso per entrambe le parti e non avrebbe fatto altro che generare molta confusione e, probabilmente, paura.
    «Siete in guerra?» Come aveva previsto, trovò preoccupazione all'interno di quella domanda. «Capitano di frequente simili attacchi?»
    Ovviamente avrebbe chiesto quello. Stupido lui che sperava non avrebbe domandato perché erano in guerra. In silenzio espirò dal naso, mentre si massaggiava una tempia. Sarebbe stata una rottura, ma non poteva rispondere per bene a quella domanda senza spiegare un paio di cose.
    «Hmm, ecco... Ailis,» Cominciò a capo chino, sperando di riuscire a risolvere velocemente la faccenda. «cosa sai degli Heartless?»

     
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    La porta si aprì e Ailis ne venne sbalzata fuori come se qualcuno l'avesse spinta. Mosse qualche sgraziato passo in avanti per mantenere l'equilibrio e il rumore dei suoi tacchi bassi e larghi sul pavimento fu perfettamente udibile in tutta la sala. Sentì l'anta chiudersi da sola alle proprie spalle, quasi volesse dirle che la sua parte l'aveva fatta e che adesso toccava a lei rimboccarsi le maniche e mettersi all'opera.
    Si portò le mani al viso, con le dita che si mossero per strofinare delicatamente le palpebre chiuse. Aveva l'impressione di essersi appena svegliata da un lungo sonno, dal quale era uscita un po' confusa ma più riposata di quanto non lo fosse stata nell'ultima settimana. Dormire era diventato difficile, da quella notte. I sensi di colpa le impedivano di addormentarsi e, quando ci riusciva, gli incubi la tormentavano fino a svegliarla. Apriva gli occhi nel cuore della notte, spesso in lacrime o con un grido ancora in gola che solo per pura fortuna era riuscita a trattenere. Riprendere sonno, dopo, diventava impossibile, e se ne stava rintanata sotto le coperte fino all'alba, a piangere e maledirsi. Ogni cosa in quel mondo le ricordava Valerie ed era insopportabile per lei. Per questo aveva deciso di andarsene. Per questo, e perché era stanca di fingere di essere diversa da ciò che era. Si sarebbe tradita, presto o tardi. Avrebbero scoperto la verità, l'avrebbero etichettata come strega e condannata a morte, perché per quelle come lei non c'è salvezza, solo la speranza che la fine arrivi nel modo più dolce e indolore possibile.
    Ci volle qualche istante perché i suoi occhi riuscissero a mettere a fuoco l'ambiente circostante. Centinaia di volumi delle dimensioni e dei colori più vari si delinearono davanti a lei, stipati in librerie che, pur non raggiungendo il soffitto, erano decisamente più alte di lei. Ai suoi piedi, enormi lastre di un materiale simile alla giada ricoprivano il pavimento. Non c'era un solo elemento che riconoscesse o che le fosse vagamente familiare. Tutto, all'interno di quella sala, le era estraneo. Sentì il proprio stomaco fare le capriole man mano che prendeva coscienza di avercela fatta. Non aveva idea di dove si trovasse, non sapeva nemmeno se quello fosse effettivamente un mondo diverso oppure no, ma voleva essere fiduciosa. Sentiva il bisogno di crederci.
    Si mosse verso la libreria più vicina, appoggiando la mano sul legno scuro, dalle tinte tendenti al rosso, accarezzandone le decorazioni dorate. Fece poi scorrere i polpastrelli sulle costole dei libri, alcune più ruvide, altre più levigate, leggendone attentamente i titoli stampati in caratteri eleganti. Fu un sollievo vedere parole che conosceva, segno che in quel luogo non si parlasse una lingua diversa. Sarebbe stato molto complicato, altrimenti, riuscire a comunicare e a farsi capire. Proseguì con passi lenti, guardandosi attorno senza nemmeno sapere dove stesse andando. La biblioteca sembrava essere infinita, ci avrebbe passato delle ore più che volentieri, se non giornate intere. Così tanto da leggere, studiare, apprendere. Non ci volle molto prima che perdesse del tutto l'orientamento, in quel labirinto fatto di librerie ed enormi pilastri di forma cilindrica posizionati qua e là nell'immensa sala. Cercò di tornare indietro, per ritrovare la porta dalla quale era arrivata, ma non ci riuscì. Si morse appena il labbro inferiore mentre stringeva la tracolla della borsa, frustrata. Da che parte sarebbe dovuta andare?
    «Serve una mano?»
    Una voce maschile la fece voltare e si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo che non doveva essere troppo più grande di lei, molto probabilmente dovevano essere coetanei. Li separavano una buona decina di centimetri di altezza, forse anche qualcosa di più, fatto che la costringeva a tenere il viso sollevato e a guardarlo dal basso. Conficcò le unghie nella striscia di stoffa che le tagliava l'addome in obliquo, torcendolo più di quanto non stesse facendo prima.
    «Ecco...», disse, la voce resa più acuta dall'agitazione. Era il suo primo contatto con qualcuno appartenente ad un altro mondo. Avrebbe dovuto cercare di mostrarsi naturale, tranquilla, invece il suo cervello non riusciva ad elaborare un solo pensiero coerente. Non doveva lasciarsi prendere dal panico. Doveva restare calma e fare di tutto per non sembrare sospetta. «Sarebbe così gentile da indicarmi l'uscita?», domandò. Sì, poteva andare bene. Doveva continuare così e limitarsi a non dare troppo nell'occhio. Uno dei tanti nodi di tensione che sentiva all'altezza dello stomaco si sciolse quando vide il suo interlocutore sorridere. «Certo. Prosegui fino alla fine dello scaffale, gira a destra alla terza fila e troverai delle scale. Da lì scendi al piano inferiore, prosegui per la prima sezione e-». Più il ragazzo parlava, più prendeva corpo la consapevolezza che non sarebbe mai riuscita ad andarsene da quel posto. Era impossibile ricordarsi tutte quelle indicazioni. Il biondo doveva essere arrivato alla sua stessa conclusione, perché lo vide assumere un'espressione dubbiosa prima e chiudere il libro poi. «Ma forse è meglio che ti accompagni. È abbastanza un dedalo qui dentro.»
    Il sollievo si dipinse sul suo viso, ma venne immediatamente sostituito da un'espressione avvilita. Era sempre mortificante vedere come non fosse in grado di cavarsela da sola anche nella semplicità del quotidiano. Doveva sempre fare affidamento su qualcun altro, interrompere le loro attività per aiutarla a fare qualcosa di elementare, ma che a lei non riusciva. Forse sua zia, quando le dava dell'incapace, non aveva poi tutti i torti. «La ringrazio infinitamente», si affrettò a dire. Mostrarsi riconoscente era il minimo che potesse fare. «Mi dispiace tantissimo arrecarle questo disturbo, mister...?», aggiunse, chiedendo implicitamente l'identità dell'altro. Non le piaceva parlare con qualcuno senza sapere come poterlo chiamare.
    «Ingwe Tasartir», si presentò. “Ingwe Tasartir, Ingwe Tasartir, Ingwe Tasartir. Ingwe, Ingwe, Ingwe. Tasartir.”. Lo ripeté più e più volte nella speranza di non dimenticarlo e di aver sentito bene. Quel nome suonava strano alle sue orecchie. Non male, ma bizzarro: era completamente diverso da ciò a cui era abituata. Ad essere sincera, non avrebbe neppure saputo dire quale fosse il cognome e quale il nome. Avrebbe dovuto tirare a indovinare. «Comunque, nessun problema e, davvero, non è necessaria tutta questa cortesia. Dammi del tu.», proseguì mentre cominciava ad avviarsi e Ailis non tardò a seguirlo. Per quanto sperasse di poter tornare in quella biblioteca a leggere, in quel momento la sua priorità era uscire. Voleva vedere in che razza di mondo era capitata e aveva tantissime cose a cui pensare: scoprire se fosse un luogo adatto a lei, trovare un posto dove passare la notte e, qualora avesse deciso di restare, anche un lavoro con cui mantenersi. «Mentre tu saresti?».
    Ailis si morse l'interno della guancia e strinse le labbra, in gesto che tradiva un certo imbarazzo. Di solito era attenta all'educazione, ma in quella situazione era talmente presa dai suoi pensieri da dimenticarsi anche le regole base. Che stupida. E se in quel mondo l'etichetta fosse ancor più importante che nel suo? E se, in quel momento o in uno successivo, avesse compiuto un gesto irrispettoso, o fatto qualcosa che a Hibernia era normale ma che lì invece era considerato uno scandalo? I pensieri, le ipotesi e i timori si ammassavano nella sua mente senza che ci fosse necessariamente un filo conduttore a legarli uno all'altro. L'imbarazzo e la paura si attorcigliavano tra di loro fino a diventare inscindibili. «Ailis. Solo Ailis», rispose con un fil di voce. «Capito. Piacere di conoscerti», lo sentì dire, e lei replicò automaticamente con un: «Il piacere è mio». Ingwe non aveva avuto reazioni strane, nessuna espressione contrariata. Forse non aveva fatto nulla di così irreparabile. Quando il flusso contorto dei suoi pensieri parve calmarsi un po', si chiese se anche lui avesse trovato il suo nome strano, com'era accaduto a lei solo qualche momento prima.
    Dopo quelle presentazioni di circostanza calò il silenzio, intervallato solo dal rumore dei loro passi. Ailis ne approfittò per prendere un bel respiro e cercare di distendere i muscoli tesi, irrigiditi dal timore di stare facendo qualcosa di sbagliato. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma non così tanto. Non credeva che si sarebbe sentita così spossata anche solo dopo aver chiesto delle indicazioni. Si prese il suo tempo e, attenta a restare vicina ad Ingwe e a non perderlo di vista nemmeno per un secondo, si concesse il lusso di guardarsi attorno. La biblioteca sembrava davvero un labirinto, con bivi e svolte improvvise e apparentemente insensate, forse parte di un disegno più grande che però non era in grado di vedere. «È davvero enorme», commentò, quasi senza rendersene conto. I silenzi prolungati la mettevano a disagio.
    «Hm? Ah, la biblioteca. Yup, è decisamente enorme. Contiene più o meno di tutto. Nel senso, da ricettari a libri per bambini, fino a ricerche di stampo scientifico. Ad esempio: il libro che stavo leggendo. Tratta di incantesimi per la casa e per animare gli oggetti in modo che compiano le faccende domestiche da soli.»
    «Incantesimi?». Ailis non aveva sentito nient'altro dopo quella parola. Si era fermata, guardando Ingwe come se fosse un fantasma, o un pazzo. Aveva parlato di magia con una naturalezza che per lei era disarmante. Ma, evidentemente, non lo era per lui. Non sapeva cosa pensare: i cacciatori e l'Inquisizione spesso mandavano le agenti più giovani in incognito, a sondare il terreno per smascherare le streghe più ingenue o inesperte. E non aveva mai sentito parlare di uomini che facessero uso di magia. Esistevano le streghe, non gli stregoni. Decise di rischiare. In fondo la porta dalla quale era arrivata non doveva essere troppo lontana Con un po' di fortuna, nel caso in cui la situazione fosse diventata pericolosa, sarebbe riuscita a trovarla e andarsene. Poteva permettersi di rischiare. «Quindi... la magia è, ecco...». Trovare le parole giuste fu difficile, ma pronunciarle sembrò un'impresa impossibile. Era così abituata a tenere tutto segreto, se non con Valerie e Constance, che parlarne liberamente le sembrava quasi sbagliato. Ogni lettera pesava un macigno sulla sua lingua, come se non volesse essere pronunciata. Deglutì. «...normale, qui?».
    Lo vide sospirare e non seppe come interpretare quella reazione. Era quella annoiata di chi parla con una persona particolarmente ingenua, o quella esasperata di un cacciatore alle prese con una vittima estremamente stupida? Doveva prepararsi a correre o poteva stare tranquilla? Sentì lo stomaco iniziare a contorcersi come se fosse preda delle convulsioni. L'attesa di una risposta, di un gesto, la logorava. «Sì, viene utilizzata quotidianamente.»
    Si portò istantaneamente una mano alla bocca per impedirsi di lasciarsi sfuggire una qualunque esclamazione. Faticava a credere di essere stata così fortunata, capitare al primo tentativo in un mondo in cui potevano capirla e dove la magia veniva usata quotidianamente. Era un sogno. Un sogno che si interruppe quando notò l'espressione perplessa sul volto di Ingwe. Abbassò lentamente la mano e, insieme ad essa, lo sguardo, puntato ora sulla decorazione di una delle lastre verdi ai loro piedi. «B-Bene», fu tutto ciò che disse. Non doveva essere la risposta giusta, o non era stata abbastanza convincente: il biondo incrociò le braccia e la guardò, probabilmente sospettoso o più semplicemente incuriosito dalle sue stranezze. Dissimulare le emozioni, specie quando era agitata, non era proprio il suo forte. «Tutto ok?».
    No, affatto. Andrebbe tutto bene se avessi un manuale di istruzioni, qualcosa con un titolo simile a 'Guida per integrarsi in un mondo estraneo senza destare sospetti e rischiare il rogo'”, ma tenne quel pensiero per sé, e visto che non faceva che peggiorare la situazione ogni volta che apriva bocca, decise di tacere e di rispondere con un semplice cenno di assenso. Non trovò il coraggio di rialzare la testa e si ritenne soddisfatta nel vedere l'altro riprendere a camminare. Pregò che la discussione si concludesse lì. Non perché non volesse parlare di magia, al contrario. Ma aveva paura che fosse tutto un'illusione, un inganno. Non sapeva cosa potersi aspettare e di quella situazione era già stanca. Mentire, tenere segreti per sé, dare informazioni vere solo per metà: lo faceva da una vita, eppure non riusciva ad abituarsi. Era estenuante sapere di non poter essere sincera.
    «Comunque, sì, ecco... La magia è decisamente comune, nel senso, anche io sono un mago. Come tutti i miei colleghi, d'altronde.»
    Maghi, erano maghi. Ripeté quella parola tra sé e sé. Non veniva usata spesso nel suo mondo se non in alcuni testi antichi e solo al femminile. Era un'accezione troppo positiva perché la gente potesse utilizzarla per riferirsi alle streghe, a quei mostri con sembianze umane che sfruttavano la magia per i loro scopi egoistici, lanciando malefici, usando veleni, piegando le menti al loro volere.
    Si chiede se poteva credergli davvero. Ma in fondo, per quale motivo avrebbe dovuto mentirle? Non la conosceva, non sapeva chi fosse. Portò entrambe le mani alla tracolla della borsa e, esattamente come aveva fatto prima, cominciò a stringerla fino a farsi sbiancare le nocche, con le unghie corte che tracciavano delle mezzelune rosse sul palmo. Voleva rischiare? No. Però sentiva il bisogno di farlo e di togliersi un peso. Anche se fosse stato un errore. Ne aveva commessi talmente tanti, nel corso della vita, che uno in più non avrebbe fatto la differenza. «Quindi...» cominciò, e la voce la tradì, calando all'improvviso. Se la schiarì un momento, prima di continuare. «Non mi prenderesti una pazza se ti dicessi che sono appena arrivata qui da un altro mondo e che non ho la minima idea di che posto sia questo?». Ecco, l'aveva detto. Mosse appena un piede indietro, il suo corpo era già pronto a scappare, correre via lungo i corridoi tappezzati di libri. Il cuore le martellava nel petto e sembrava voler scoppiare, il suo battito accelerato era quasi doloroso.
    «Oh! No, no, assolutamente no, tranquilla». Ingwe era sorpreso, ma non incredulo, impressionato. Aveva reagito con quello stupore che ha chi si accorge che ha appena cominciato a piovere. Non sembrava spaventato, non si sentiva minacciato e non la faceva sentire minacciata. Era come se stessero parlando di una cosa di tutti i giorni, nulla di anomalo o fuori dall'ordinario. Quasi si sentì offesa, per lei era stata un'impresa arrivare fin lì, ma il sollievo si impose su tutte le altre emozioni. Ricacciò indietro le lacrime che sentiva pizzicarle gli angoli degli occhi e strinse le labbra per impedire che si vedesse il tremore di quello inferiore. «No, no, solo che...», proseguì, «Diciamo che non è proprio normale apparire in luoghi casuali. Di solito, almeno.»
    Gran parte della tensione di cui era stata prigioniera, semplicemente, svanì, lasciandole i muscoli leggermente intorpiditi. Temette quasi che le gambe non riuscissero a reggerla, ma la possibilità di parlare di magia come avrebbe sempre voluto fare la rese vigile e vitale come non era da tanto tempo. «Bé, si tratta di un incantesimo particolare. Collega due spazi diversi attraverso un varco, che viene creato in corrispondenza di una porta. In teoria l'incantesimo può essere più preciso circa la destinazione, ma si dovrebbe avere un'idea ben chiara in mente, delle coordinate, oppure un oggetto originario del luogo in cui si vuole arrivare. Ma non avevo nulla di tutto ciò, per questo sono apparsa qui». Si sentiva confortata e quello le aveva sciolto la lingua. Avrebbe passato ore a parlare in quel modo. «In effetti sono stata fortunata. Poteva andarmi molto peggio, potevo finire in una prigione, in qualche posto con accesso vietato al pubblico, o riservato... perché questa non è una biblioteca privata, vero?» chiese infine, improvvisamente colta dal dubbio. Commettere un'infrazione o un reato non rientrava nella lista delle cose da fare una volta varcato il portale. L'espressione assunta da Ingwe le fece sospettare che la risposta fosse un sì. «Err, più o meno. Nel senso, in teoria non è privata, ma in pratica si può accedere solo con permesso scritto», disse. La ragazza sospirò, l'entusiasmo di poco prima era scemato del tutto di fronte alla prospettiva di finire nei guai, o di causare problemi a Ingwe, che era stato così gentile da aiutarla. «Oh. Mi dispiace», disse, sincera. Anche lì, il biondo si dimostrò estremamente cordiale, cercando immediatamente di rassicurarla. «No, no, non c'è bisogno di scusarsi: è stato solo un incidente, tranquilla.» «Mh», fu la sua unica risposta. Sperava davvero che non ci fosse alcun tipo di conseguenza, per nessuno dei due. E poi, l'idea di non poter tornare in quel paradiso di carta e inchiostro la intristì. Immaginava non fosse così semplice ottenere un'autorizzazione. Specie perché era un'estranea. Forse dovevano fare dei controlli, chissà. Non riusciva ad immaginare come funzionassero le cose, lì. Già che c'era, poteva anche fargli qualche domanda. Non sapeva cosa aspettarsi, una volta uscita da quella stanza.
    «Mh», mugugnò ancora, e con una fitta dolorosa all'altezza del cuore pensò che, se Constance l'avesse sentita fare un verso simile, per due volte consecutive poi, l'avrebbe rimproverata per almeno venti minuti. No, non era a lei che doveva pensare, e nemmeno a Valerie. Quei giorni non sarebbero più tornati, il rimorso non l'avrebbe mai abbandonata. Doveva lasciarsi tutto alle spalle, se voleva andare avanti. «È un bel posto dove vivere, questo?». Era una domanda piuttosto generica, non aveva chiesto nulla di specifico. Avrebbe potuto arrivarci pian piano.
    «Normalmente, sì. Radiant Garden è un bel mondo, la vita è abbastanza semplice, la città sicura e ben protetta, ma...», cominciò a spiegarle. Stando a quelle parole, Radiant Garden doveva essere il posto in cui avrebbe sempre desiderato essere. Un posto carino in cui nessuno potesse accusarla di stregoneria. C'era un ma, però. L'espressione di Ingwe le fece intuire che si trattava di uno di quei 'ma' difficilmente trascurabili, capaci di far pendere dal suo lato il piatto della bilancia. «Poche settimane fa la città ha subito un attacco e… In poche parole, deve ancora riprendersi del tutto».
    Un attacco. Un attacco significava conflitto, significava guerra. Poteva essere qualunque cosa. A Hibernia anche la resistenza fatta da una donna accusata di stregoneria poteva essere considerato un attacco. Le parole venivano usate con troppa leggerezza a volte. «Siete in guerra?», chiese, sperando di non risultare troppo insistente. Ma era una domanda legittima, in fondo. «Capitano di frequente simili attacchi?».
    Doveva aver toccato un tasto dolente con quelle domande, o una ferita ancora aperta. Forse era stata indelicata, forse Ingwe aveva perso qualcuno di importante. Era stata una stupida a non pensarci. Era pronta a scusarsi, ma il ragazzo fu più rapido nel parlare. «Hmm, ecco... Ailis, cosa sai degli Heartless?»
    Quel nome non le era nuovo. Doveva averlo sentito di recente, ma non riusciva a ricordare in relazione a cosa. Dove l'aveva sentito? O meglio, dove l'aveva letto? Infilò la mano destra nella borsa e ne estrasse uno spesso tomo dalla copertina rossa e privo di titolo. Ne accarezzò con un gesto delicato il dorso, ignorando tutti i sentimenti che quel libro scatenava. Alcune pagine erano ingiallite dal tempo, altre invece erano molto più chiare, probabilmente aggiunte di recente. Senza indugiare oltre andò in fondo al libro e si mise a cercare. Eccoli lì, infatti, gli Heartless. Se li ricordava perché quelle pagine erano state scritte da Valerie e perché, ad una prima occhiata, le illustrazioni di quegli esseri neri dagli occhi gialli le erano sembrate tante macchie d'inchiostro. C'era una breve descrizione accanto alle figure che li classificava come creature estremamente pericolose che si nutrivano dei cuori altrui. L'ordinata calligrafia della sua maestra consigliava caldamente di fuggire casomai ci si fosse imbattuti in una di quelle creature, anche a costo di cambiare mondo. Ailis ruotò il volume e lo mostrò a Ingwe. «Questi Heartless?», chiese, anche se dubitava ci potessero essere più entità con un nome simile.
    «Hm-hm, esatto», fece il giovane dopo aver letto quelle poche pagine. «Sono stati questi Heartless ad attaccarvi?». Dalle parole di Valerie si riusciva quasi a percepire la paura che aveva di quelle creature. In effetti, non sapeva molto della sua vita prima del loro incontro. Era sempre stata molto vaga al riguardo e lei aveva rispettato la sua riservatezza senza fare troppe domande. Possibile che fosse scappata dal suo mondo per fuggire da creature simili? Se era così... anche Valerie si era ritrovata nella sua stessa situazione, sola in un mondo estraneo? «Possono causare danni così gravi persino alle costruzioni?».
    «Esatto». Ingwe parlava lentamente, ma non avrebbe saputo dire se lo facesse perché l'argomento fosse particolarmente delicato o perché stesse cercando le parole adatte, scegliendo cosa dire e cosa omettere. Probabilmente entrambe le cose. «Hmm, normalmente gli Heartless non agiscono pensando a quello che fanno, seguono solo il loro istinto, la loro fame di cuori.» Riprese. «Si muovono di mondo in mondo come uno sciame di parassiti, attaccando gli esseri viventi presenti su di esso fino a quando non trovano il cuore del mondo. Una volta trovato il cuore del mondo, lo consumano, distruggendo il mondo in questione».
    Ailis inarcò la fronte nel sentire quella spiegazione. Dal suo punto di vista era difficile accettare l'esistenza di creature capaci di spostarsi da un posto all'altro e affamate di cuori – ma poi, in che senso cuori? In senso letterale o figurato? - figuriamoci doversi immaginare che un mondo potesse avere un proprio cuore. Se quello che Ingwe diceva era vero, e, alla luce delle parole scritte sul grimorio, non aveva motivo di dubitarne , nessun posto era davvero al sicuro. «E c'è un modo per fermarli?». Le dispiaceva tartassare Ingwe in quel modo, ma sentiva il bisogno di sapere. Voleva conoscere i pericoli in cui sarebbe potuta incorrere se fosse rimasta lì. E poi... era curiosa. Com'erano nate creature simili? Come facevano a nutrirsi dei cuori delle persone e del mondo? E com'era fatto il cuore del mondo? Strinse le labbra per impedirsi di dare voce a tutti quegli interrogativi. La cosa, da un lato, la fece stupire di se stessa. Non era da lei parlare così tanto con qualcuno appena conosciuto. Ma c'era così tanto da imparare e da conoscere, come poteva non fare domande su domande per saperne di più?
    «Se intendi se esiste un modo per impedire che distruggano i mondi, allora, sì, esiste. Da quanto so, basta sigillare l'ingresso del cuore del mondo. In tal modo gli Heartless non sarebbero più in grado di accedervi e di consumarlo». E per farlo veniva usata una qualche magia particolarmente complessa o era un procedimento meccanizzato? Si morse la lingua. Doveva limitarsi alle domande più urgenti e utili. «E per quanto riguarda i cuori delle persone?» domandò, con un tono di voce più incerto. Dal modo in cui Ingwe aveva evitato l'argomento, sospettava di conoscere già la risposta. Quando lo vide abbassare e scuotere la testa, si morse appena il labbro inferiore in un gesto dettato dall'inquietudine. Era... allarmante. Avrebbe dovuto riflettere sul da farsi, scegliere se restare o meno. Per ora, voleva solo vedere cosa si celasse fuori da quelle spesse mura e quanto fosse grande la ferita lasciata dagli Heartless in quel mondo. Tacque per qualche secondo, lo sguardo basso, poi si sforzò di abbozzare un accenno di sorriso, il primo da quando aveva messo piede lì. Era uno sforzo per lei, ma tanti anni passati a lavorare in un negozio le avevano insegnato che un sorriso e una parola gentile potevano mettere a suo agio qualunque cliente. L'aria si era fatta pesante a causa della loro discussione e il fastidio che sentiva all'altezza dello stomaco le suggeriva che fosse ora di parlare di qualcosa di più allegro. «Manca molto all'uscita? Sono curiosa di vedere cosa ci sia fuori».
    La risata del ragazzo le diede la certezza di aver fatto centro e il suo sorriso divenne un po' più spontaneo. «Humm, dipende se intendi l'uscita della biblioteca o del castello». Ailis sgranò gli occhi. «C-Castello?» ripeté con voce improvvisamente stridula. «Che intendi per castello? Una fortezza intesa come base difensiva? O castello inteso come... castello castello? Con famiglia reale e tutto?» chiese, colta dal panico. Quanto effettivamente era grave la sua presenza lì? Lanciò un'occhiata a Ingwe, squadrandolo dalla testa ai piedi. Non aveva l'aspetto di una guarda, di un cavaliere o qualcosa del genere. Il suo incarnato già pallido perse ogni traccia di colore. «Non è che...?» mormorò. E se fosse stato un componente della famiglia reale?
    «No, no, no, no, no» si affrettò a rispondere, accompagnato da un movimento delle mani che doveva sottolineare le sue parole. «Nessuna famiglia reale, tranquilla. Al massimo base difensiva, ma non è chiusa al pubblico o altro».
    Tirò un enorme sospiro di sollievo, portando la mano destra al petto mentre riprendeva fiato. Doveva aver perso dieci anni di vita solo a sentire la parola 'castello'. In pochi secondi aveva visto davanti a sé tutto quello che sarebbe potuto accaderle se quella fosse stata una reggia e Ingwe una guardia ben addestrata. In effetti era stata molto fortunata. L'incantesimo era da perfezionare: se avesse deciso di usarlo ancora, non voleva rischiare. Tentennò un po' prima di alzare lo sguardo. Doveva aver fatto la figura della stupida, agitandosi per così poco. «In ogni caso, grazie di non avermi arrestata» disse, anche se sembrava spossata. La paura la lasciava sempre prosciugata.
    Fu contenta di non vederlo ridere per quella sua reazione probabilmente eccessiva. Certo, probabilmente l'aveva trovata buffa o ridicola, ma apprezzava il fatto che non lo desse a vedere apertamente. Le stava simpatico, aveva deciso. «Non sembri essere pericolosa e non credo di aver motivo di dubitare quello che dici. Oltretutto, non sono proprio una guardia. Ma, in ogni caso, non c'è di che».
    Quelle parole fecero lentamente svanire il suo sorriso. In un altro qualunque momento della propria vita, gli avrebbe dato ragione senza battere ciglio. Una come lei, minuta, debole, sciocca, non poteva essere pericolosa. Ma non poteva farlo, non quando la ferita che lei stessa si era inferta era così fresca e purulenta, infetta. E non riusciva a trovare il modo di guarirla. Forse l'avrebbe uccisa prima ancora di trovare una cura. «Potresti esserne sorpreso...» mormorò con un filo di voce, probabilmente non voleva nemmeno che sentisse. Avrebbe implicato spiegazioni che non voleva dare. Era scappata per non essere costretta a rivangare l'accaduto in ogni momento, ma i suoi fantasmi continuavano a seguirla, le accarezzavano i capelli e poi glieli strattonavano senza preavviso, le sussurravano parole dolci all'orecchio e poi la maledivano. Si illudeva di poter vivere felice ma poi qualcosa la faceva tornare alla realtà. Scosse la testa, tenendo gli occhi chiusi per impedirsi di piangere. «Vogliamo proseguire?» domandò, in un impacciato tentativo di glissare sulla questione. Doveva lasciarsi tutto alle spalle. Tutto, tutto, tutto.



    giuro di non sapere cos'accidenti ne sia venuto fuori. ad un certo punto credo di essere anche andata ooc e spero di essermi salvata in corner. mamma mia, mai più D:
     
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    Magie et Sorcellerie


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    La prima cosa che sentì in risposta a quella domanda fu il frusciare delle pagine, leggero e delicato. Incuriosito, si voltò verso Ailis, osservandola mentre sfogliava un pesante tomo dalla copertina rossa e consunta. Per un istante attese, chiedendosi cosa stesse cercando là dentro la ragazzina. Pochi secondi dopo, l'altra voltò il libro nella sua direzione, mostrandogli una pagina scritta a mano con grafia minuta e precisa. Un disegno piuttosto elementare di alcuni Shadow accompagnava il testo.
    «Questi Heartless?»
    «Hm-hm, esatto.»
    Interessato lesse velocemente il paragrafo relativo alla descrizione delle creature. Fu sorpreso di vedere quanto chi aveva scritto quel libro sapesse su quelle creature, sopratutto del fatto che conoscesse di cosa si nutrivano. Non era niente di troppo specifico o dettagliato, ma offriva comunque una buona idea su quanto potessero essere pericolosi.
    «Sono stati questi Heartless ad attaccarvi? Possono causare danni così gravi persino alle costruzioni?» Domandò.
    «Esatto.» Rispose lentamente, prima di interrompersi per riflettere. «Hmm, normalmente gli Heartless non agiscono pensando a quello che fanno, seguono solo il loro istinto, la loro fame di cuori.» Riprese. «Si muovono di mondo in mondo come uno sciame di parassiti, attaccando gli esseri viventi presenti su di esso fino a quando non trovano il cuore del mondo. Una volta trovato il cuore del mondo, lo consumano, distruggendo il mondo in questione.»
    Si trattava di una spiegazione rozza e appena sufficiente a coprire le basi di ciò che facevano gli Heartless e delle verità di quell'universo, ma non se la sentiva di parlare dell'Ordine, di un argomento così terrificante e potenzialmente pericoloso con una sconosciuta.
    Il libro venne riposto con cura nella borsa.
    «E c'è un modo per fermarli?»
    Di nuovo attese prima di rispondere, di nuovo soppesò parole e quello che poteva e non poteva dire.
    «Se intendi se esiste un modo per impedire che distruggano i mondi, allora, sì, esiste.» Cominciò, lento, trascinando il tono della voce e delle parole. «Da quanto so, basta sigillare l'ingresso del cuore del mondo. In tal modo gli Heartless non sarebbero più in grado di accedervi e di consumarlo.»
    «E per quanto riguarda i cuori delle persone?»
    Incapace di rispondere, Ingwe abbassò la testa e scosse il capo. Per quanto riguardava le persone non si poteva far molto, solo pregare, solo essere forti. Lui stesso in prima persona aveva sperimentato quanto potesse essere terribile l'Oscurità, quanto i demoni nati da essa potessero essere terrificanti, quanto dolore potessero infliggere.
    «Manca molto all'uscita? Sono curiosa di vedere cosa ci sia fuori.»
    Un sorriso timido era comparso sul volto di Ailis, il primo che le avesse mai visto fare. Senza pensarci nemmeno, Ingwe ricambiò.
    «Hmm, dipende se intendi l'uscita della biblioteca o del castello.» Rispose con una risata leggera.
    «C-Castello?» Ripeté con voce improvvisamente stridula la ragazzina. «Che intendi per castello? Una fortezza intesa come base difensiva? O castello inteso come... castello castello? Con famiglia reale e tutto?»
    Non fece in tempo a replicare o a interrompere: Ailis andava troppo veloce, abbastanza da impedirgli di intromettersi tra una parola e l'altra. In tutta onestà, considerando la grandezza del Radiant Bastion e il fatto che ospitava il comitato, lo si sarebbe potuto definire una fortezza difensiva, visto sopratutto che, in casi di emergenza, almeno, avrebbe potuto ospitare l'intera popolazione del borgo e resistere a un assedio. Però, famiglia reale? No, quello assolutamente no. Almeno da quanto lui sapeva, poi, nessuno dei suoi compagni aveva sangue nobile nelle vene.
    «Non è che...?»
    La voce scemò, la frase rimase incompleta. Veloce, approfittando dell'apertura, Ingwe si intromise.
    «No, no, no, no, no.» Disse agitato, scuotendo la mano libera davanti al volto. «Nessuna famiglia reale, tranquilla. Al massimo base difensiva, ma non è chiusa al pubblico o altro.»
    «In ogni caso, grazie di non avermi arrestata.» Riprese Ailis, con voce sommessa.
    Di nuovo, Ingwe osservò l'altra per qualche secondo. Remissiva, tranquilla e leggermente impacciata, o, almeno, quella era la sua prima impressione. Di sicuro non sembrava una minaccia.
    Accompagnando il gesto con un sorriso timido, scrollò le spalle.
    «Non sembri essere pericolosa e non credo di aver motivo di dubitare quello che dici. Oltretutto, non sono proprio una guardia.» Divertito da quella mezza bugia, trattenne l'accenno di riso che gli era nato in gola. «Ma, in ogni caso, non c'è di che.»
    Un mormorio giunse da vicino a lui. Incuriosito, si voltò, pronto a chiedere di cosa si trattasse, ma la ragazza fu più veloce di lui.
    «Vogliamo proseguire?»
    Per un attimo esitò, incerto se indagare o meno. No, non importava si disse: probabilmente non era niente di più che un nuovo commento sulla biblioteca e sull'ambiente, una semplice domanda retorica di una ragazzina spaventata, approdata per la prima volta in un nuovo mondo. Con una scrollata di spalle rafforzò quella sua convinzione e si decise a passare oltre.
    «Certo.»
    Lento, un passo dopo l'altro, riprese a camminare, svoltando dopo uno scaffale, ritrovandosi in cima alla scalinata in legno che portava al piano inferiore. Fuori dalle finestre che affiancavano i gradini, la pioggia continuava a cadere impetuosa, e il cielo grigio offuscava l'arancio e il giallo del vetro.
    «Ingwe.» Titubante, Ailis lo chiamò. «Per caso c'è un posto nelle vicinanze in cui poter stare? Una locanda, o qualcuno disposto ad affittare una camera per una notte?»
    Riflettendo, Ingwe posò l'indice sulle labbra.
    «Se si tratta solo di una notte, dovrebbe bastare cercare nel borgo: è pieno di locande o alberghi.» Ancora pensieroso, cercò di fare mente locale sullo stato della città: era vero che il borgo era pieno, ma non sapeva come la guerra e i lavori di ricostruzione stessero influenzando la quantità di persone senza dimora. Sapeva, aveva visto in prima persona, che diverse abitazioni e svariati negozi erano andati distrutti, consumati dal fuoco che l'Ordine aveva scatenato sulla città, ma era da due settimane, quasi, che non tornava veramente in città: da quando era stato trasportato al castello dell'Oblio fino ad allora non ne aveva mai avuto veramente occasione né voglia.
    Gli occhi chiusi, sbuffò appena e si grattò uno zigomo, proprio mentre i piedi tornavano a camminare sulla pietra verde.
    «Non credo dovresti avere difficoltà a trovare una stanza, anche se non sono del tutto sicuro di come sia la situazione dopo quello che è successo. In caso, se proprio non ce la facessi, potrei aiutarti.»
    O magari dirigerla a Crepuscopoli per la notte. Dopotutto, la città del tramonto non era stata toccata dalla guerra e forse, sarebbe stato più semplice trovare un posto letto. In fondo, non era che ci fossero molte alternative: la Città di Mezzo aveva subito danni peggiori di Radiant Garden e Crescentia non l'avrebbe consigliata nemmeno al suo peggior nemico, figurarsi a una ragazzina.
    In silenzio, pregò mentalmente che quella frase restasse semplicemente una forma di cortesia e che non dovesse metterla in atto. Considerando i doveri del Comitato, aveva già abbastanza poco tempo libero.
    «Oh, no! Stai facendo anche troppo. Non intendo disturbarti ulteriormente.»
    Imbarazzato, Ingwe sorrise, incapace di inorgoglirsi per quel complimento dopo ciò che aveva pensato.
    «Tranquilla, non c'è problema.»
    Continuarono a camminare in silenzio, nessuna guardia o collega del Comitato in vista. Per un po', Ingwe attese che l'altra riprendesse a parlare, ma si faceva sempre più chiaro a ogni passo, a ogni metro percorso che Ailis non sembrava intenzionata a continuare il discorso di sua iniziativa. A disagio a causa di quel silenzio, Ingwe proseguì.
    Erano quasi arrivati all'uscita della sezione, quando il Custode si ricordò del libro che teneva ancora in mano. Portarlo fuori dalla biblioteca era fuori questione, ma allo stesso tempo non poteva lasciarlo in giro: se Renn l'avesse in qualche modo scoperto, gli avrebbe fatto una ramanzina assurda.
    Agitato, Ingwe voltò il capo a destra e sinistra, cercando di ricordare dove si trovasse lo scaffale di appartenenza del tomo. Il piede batté più volte per terra, mentre l'irritazione montava dentro di lui.
    Il ricordo giunse all'improvviso, dopo alcuni secondi di riflessione.
    Ovviamente era al piano di sopra, stupido anche lui che non se ne era ricordato prima. Infastidito, sbuffò.
    «Ailis, scusa, potresti aspettare un attimo qui?» Con un sorriso di scuse, chinò il capo e alzò il braccio, cercando di portare l'attenzione sul libro che aveva in mano. «Dovrei mettere questo a posto.»
    Ci avrebbe messo poco, solo il tempo di volare sopra la balconata del piano superiore e percorrere di corsa due scaffali.
    «Certamente.» Replicò con tono mortificato la ragazzina. «Anzi, scusa ancora se ho interrotto i tuoi studi. Mi sdebiterò, in un modo o nell'altro.»
    «Tranquilla.» Aveva già iniziato a volare prima di rispondere. «Nessun problema!»
    Rapido, si mosse verso il primo piano. Quella ragazza si scusava fin troppo, non c'era alcun bisogno di tutto quello, commentò tra sé e sé mentre si dirigeva verso la sua destinazione. Non che lui potesse rimproverarla per quell'atteggiamento remissivo, visto che, almeno quando si trovava di fronte a persone più anziane o importanti di lui, era lo stesso che lo caratterizzava.
    Forse, ammise con un sospiro, anche lui avrebbe dovuto lavorarci sopra, considerando quanto tutte quelle scuse lo stavano mettendo a disagio e come, probabilmente, accadeva lo stesso ai suoi interlocutori.
    Si era sempre criticato sotto quasi qualunque possibile punto di vista immaginabile, ma non aveva mai nemmeno pensato che quei suoi atteggiamento, quella forma di quasi eccessivo rispetto, potesse essere così imbarazzante.
    Di nuovo, mentre scavalcava la ringhiera in legno che separava i due piani della biblioteca e fluttuava verso Ailis, sospirò.
    «Stai volando.»
    Perplesso, piegò il capo di lato, ricordandosi solo con leggero ritardo che non tutti erano abituati a vederlo volare in quel modo. Il sorriso si fece nuovamente strada sulle sue labbra, questa volta allegro e sincero.
    «Yup.» Rispose, mentre posava i piedi per terra. «Forse avrei dovuto avvisare.» Si scusò scherzosamente. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, riconobbe i sentimenti che si agitavano dietro di essi. Li aveva già visti prima, Vanessa glieli aveva già mostrati. Senza riuscire a trattenersi, si ritrovò a mostrare un sorriso sciocco di fronte a quell'espressione.
    «È... difficile?»
    Allegro, Ingwe scosse la testa.
    «Non molto.»
    Era curiosa, glielo si leggeva in faccia. E, tutto sommato, Ingwe si trovò ad ammettere che gli faceva piacere. Stava per chiederle se fosse curiosa, se volesse saperne di più, ma Ailis lo precedette.
    «Ehm, ecco...» Con un sorriso distese le spalle e la lasciò parlare. «P-Puoi dirmi come fai?»
    In silenzio chiuse gli occhi, perdendosi nei ricordi, perdendosi nel ritmo di un valzer immaginario danzato nei cieli di Radiant Garden. Un velo di tristezza offuscò la gioia che permeava quei ricordi, così come il senso di lontananza e quella lieve malinconia che la distanza generava accarezzavano delicati il suo petto.
    Lento, rialzò le palpebre, abbandonando i ricordi e le emozioni legate a essi. Con un gesto gentile, annuì.
    «È facile, ci sono diversi modi.» Cominciò. «Quello che preferisco, e che io utilizzo, consiste nel manipolare la gravità che agisce sul mio corpo. Modificandola tramite sequenze di comandi e annullandola o diminuendola, riesco a muovermi nello spazio.» Lento, alzò entrambe le gambe in aria, rimanendo sospeso nel nulla, in modo da mostrare quello di cui stava parlando. Concentrato, strinse le palpebre, manipolando l'energia e l'essenza che influenzavano la gravità e il suo corpo, spingendo al limite estremo la magia. Quando le sollevò di nuovo sul mondo che lo circondava, sia i suoi capelli che i suoi vestiti stavano ondeggiando nel vuoto, esattamente come se il suo corpo fosse immerso nell'acqua, invece che sospeso nell'aria.
    «Così, ecco.»
    Espirando dal naso, lasciò fluire la magia, abbandonando l'incantesimo e annullando i comandi che aveva attivato. Prima il destro, poi il sinistro, i piedi tornarono a posarsi delicatamente a terra.
    «Tuttavia, conosco diversi altri modi, alcuni che si basano sulla quantità di potere magico del mago o maga che li utilizza, altri invece che prevedono anche lo sfruttare della sua forza fisica tramite la creazione di delle sorta di “ali di energia”.»
    Sovrappensiero, cercando di riportare alla mente ciò che aveva detto a Vanessa e quello che si ricordava, si grattò la guancia.
    «In ogni caso, dipende tutto dalle esigenze di chi desidera volare.»
    Ailis rifletteva, mano posata sul mento e occhi persi nei suoi pensieri.
    «Non è poi così semplice...» Mormorò infine.
    «No, no!» Riprese subito Ingwe. Poteva capire da dove venisse quel dubbio, considerando che era lo stesso che lo aveva attanagliato quando era stato il momento per lui di imparare a volare. Non era difficile. Almeno, per lui non lo era stato: si era solo trattato di memorizzare delle formule distinte e renderle degli automatismi, esattamente come quando si manipolava un elemento. Nessun mago esistente si sarebbe mai messo ogni volta che praticava magia a elencare i singoli comandi che imponeva alla materia: troppo lungo, troppo complesso. Come in quei casi, si trattava semplicemente di rendere i comandi degli automatismi, di rendere la manipolazione dell'energia e del piano fisico un qualcosa di naturale, di immediato. «Sono solo io che mi spiego male.» Proseguì. Veloce, ripeté a voce quello che aveva pensato pochi istanti prima, fornendo ad Ailis una spiegazione relativamente sintetica dei comandi e del dominio della materia che erano alla base della magia del suo mondo.
    «Forse,» Riprese a parlare l'altra dopo qualche istante di pausa. «mi risulta difficile perché sono abituata ad un tipo di magia diverso. Per esempio: spostare gli oggetti con l'uso della magia dovrebbe essere, a livello teorico, simile a volare. Però non l'ho mai considerato come una manipolazione della gravità, quanto più una manifestazione della volontà della strega»
    Battendo leggermente l'indice sul labbro superiore, Ingwe rifletté qualche secondo sulla spiegazione ricevuta.
    «Hmm...» Poteva iniziare a formulare un'ipotesi su come funzionava la magia del mondo dell'altra, o su come la utilizzavano, ma non aveva ancora abbastanza elementi per essere sicuro di ciò che diceva. No, non aveva senso farsi delle idee prive di fondamento quando aveva di fronte a sé una persona che poteva spiegargli per bene l'argomento.
    «Potresti parlarmi un po' della magia del tuo mondo?»

    Da rileggere, che di sicuro ci sono errori .asd


     
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    Fu un sollievo sapere che non l'aveva sentita o che aveva ignorato le sue parole. Le aveva pronunciate senza riflettere, senza nemmeno pensare che avrebbero comportato domande e spiegazioni che non voleva dare, non in quel momento, non a uno sconosciuto che non di lei non sapeva nulla e che avrebbe potuto giudicarla con troppa leggerezza. «Certo» disse il ragazzo in risposta al suo invito a proseguire. Voleva uscire, voleva vedere Radiant Garden e perdersi in esso, voleva che lo stupore e la meraviglia riempissero ogni angolo del suo essere fino ad impedirle di pensare ad altro. Lanciò un'occhiata al di là delle ampie finestre quando vi passarono accanto, ma il vetro colorato e la pioggia le diedero un'immagine distorta del paesaggio su cui si affacciavano. Avrebbe dovuto aspettare ancora un po' prima di smarrirsi tra le strade e gli edifici di quel mondo ignoto. Appoggiò una mano sulla massiccia ringhiera in legno mentre scendevano lungo la scalinata, accarezzandone la superficie liscia e tiepida mentre la sua mente vagava altrove, fuori da quelle mura. Cos'avrebbe fatto una volta fuori? Innanzitutto doveva pensare alle cose fondamentali, come trovarsi un tetto sopra la testa. Fece per chiamare il ragazzo ma, una volta aperta la bocca, la richiuse istantaneamente, colta da un dubbio. Qual era il suo nome, esattamente? Suonava simile Inique Tosator, ma di certo non poteva chiamarlo così, nemmeno per sbaglio. Rifletté per qualche istante, cercando di riportarlo alla mente in modo corretto. Era Ingwe. Ingwe... Tasartir? Sul Tasartir non era del tutto certa. Non l'avrebbe usato finché non avesse avuto la sicurezza che fosse effettivamente così. «Ingwe», lo chiamò, incerta. Non sapeva nemmeno se dovesse chiamarlo per nome o per cognome. Non che potesse esserle utile, non sarebbe stata in grado di dire, tra Ingwe e Tasartir, quale fosse cosa. Se tutti i nomi in quel mondo erano così, avrebbe avuto un po' di difficoltà a livello di etichetta e buona educazione. Il solo pensiero la fece rabbrividire. «Per caso c'è un posto nelle vicinanze in cui poter stare? Una locanda, o qualcuno disposto ad affittare una camera per una notte?».
    «Se si tratta solo di una notte, dovrebbe bastare cercare nel borgo: è pieno di locande o alberghi». Il biondo rifletté qualche secondo prima di proseguire. Nel frattempo erano giunti alla fine della scalinata e Ailis dovette abbandonare l'appoggio sicuro del corrimano. «Non credo dovresti avere difficoltà a trovare una stanza, anche se non sono del tutto sicuro di come sia la situazione dopo quello che è successo. In caso, se proprio non ce la facessi, potrei aiutarti».
    «Oh, no! Stai facendo anche troppo. Non intendo disturbarti ulteriormente» si affrettò a rispondere. In effetti non aveva preso in considerazione lo stato in cui poteva trovarsi Radiant Garden dopo un attacco. Probabilmente degli edifici erano stati distrutti e dovevano esserci degli sfollati. Era plausibile che le locande avessero aperto loro le porte e in tal caso sarebbe stato difficile trovare una stanza libera. «Tranquilla, non c'è problema» le rispose, accompagnato da una nota di imbarazzo che non seppe spiegarsi e che decise di ignorare per non metterlo ulteriormente a disagio.
    Calò di nuovo il silenzio mentre proseguivano con un'andatura tranquilla lungo la sezione. Più andavano avanti, più Ailis era certa che, se Ingwe non l'avesse accompagnata personalmente, avrebbe continuato a vagare in eterno nella biblioteca, incapace di trovarne l'uscita. Era sconfinata e bellissima e ricolma di libri più o meno voluminosi e, per lei, tutti interessanti. In effetti perdersi e passare il resto della propria vita lì dentro non sarebbe stato poi così male. Se si fosse trovata all'inferno e quella fosse stata la sua condanna, l'avrebbe accettata di buon grado. Avrebbe potuto legger e studiare per l'eternità.
    Alcuni gesti improvvisi del suo accompagnatore – guardarsi a destra e a sinistra, sbattere il piede per terra – attirarono la sua attenzione. Lo vide assumere un cipiglio preoccupato e fece per domandargli cosa non andasse, ma il biondo la precedette con un sorriso sulle labbra, segno che, qualunque cosa l'avesse turbato non era poi così grave. «Ailis, scusa, potresti aspettare un attimo qui?» fece, alzando il braccio per attirare l'attenzione sul libro che teneva ancora in mano. «Dovrei mettere questo a posto».
    Annuì di rimando, senza nemmeno esitare. «Certamente» rispose, quindi strinse un po' le labbra e abbassò lo sguardo. «Anzi, scusa ancora se ho interrotto i tuoi studi. Mi sdebiterò, in un modo o nell'altro».
    «Tranquilla. Nessun problema!». Ailis chiuse gli occhi e sospirò impercettibilmente. Parlavano da sì e no dieci minuti e le loro conversazioni erano un intervallarsi di scuse e rassicurazioni. Doveva smetterla di essere così insicura, impacciata e incapace di sostenere una discussione senza sentirsi a disagio e senza bloccarsi, andare nel panico, cadere in silenzi imbarazzanti e quant'altro. Quando tornò con i piedi per terra e alzò lo sguardo, notò che Ingwe non aveva seguito il suo esempio, quantomeno non in senso letterale: si ritrovò le scarpe del ragazzo all'altezza del viso e seguì il suo volo fino al piano superiore con gli occhi sgranati e le labbra aperte in una 'o' di stupore. Ne osservò affascinata i movimenti mentre raggiungeva il piano superiore e ricollocava il libro al suo posto, facendo qualche passo indietro per vedere meglio. Non riuscì a distogliere lo sguardo né a dissimulare l'ammirazione mentre Ingwe scendeva nuovamente, fino ad atterrarle di fronte. «Stai volando» disse, e per quanto fosse un'affermazione abbastanza ovvia e superflua, pronunciarla ad alta voce l'aiutò a realizzare che una cosa del genere fosse reale e possibile. Vide la perplessità dipingersi sul volto del ragazzo, seguita da un sorriso spontaneo, allegro. Immaginava di avere un'espressione particolarmente buffa in quel momento – Valerie una volta le aveva fatto notare che le accadeva ogni volta che scopriva qualcosa di nuovo che le interessava e a quel pensiero sentì il cuore mancare un battito.
    «Yup» rispose, senza perdere quella sua espressione divertita. «Forse avrei dovuto avvisare».
    Ailis schiuse le labbra con l'intenzione di parlare, ma immediatamente si fermò, sigillandole e mordendosi la lingua per tacere. Stava per chiedergli di insegnarle, ma Ingwe non era Valerie, non era Constance, e non poteva chiedergli dal nulla di istruirla nel fare qualcosa che, per quel che ne sapeva, avrebbe potuto richiedere anni di tentativi. Però accidenti, stava volando. Non credeva nemmeno potesse essere possibile e faticava a nascondere l'ammirazione che provava per lui e per ciò che gli aveva visto fare. Era fenomenale. Si morse la lingua, sperando che il dolore fisico l'aiutasse a pensare più lucidamente. Quando si trattava di magia, finiva col perdere completamente la testa. «È...» si fermò. ”Non devo chiedergli di insegnarmi, non devo chiederglielo. No, no e no”. «difficile?» domandò.
    Con una certa sorpresa, Ingwe parve quasi felice di sentirselo chiedere. «Non molto» rispose, accompagnando alle parole un gesto del capo.
    Ailis si morse il labbro inferiore. Era curiosa. Anche lei voleva imparare a volare. Magari quella che utilizzava Ingwe era una variante della magia con cui si potevano spostare gli oggetti? Era piuttosto brava con quella, quando lavorava alla sartoria molti abiti li aveva confezionati senza mai toccare la stoffa o gli strumenti. Non le era mai passato per la testa di applicarla al corpo umano. Non era certa che potesse essere possibile, ma era un'idea, uno spunto su cui lavorare. Ma se non fosse stato così? Forse non avrebbe mai più rivisto il ragazzo, forse volare era una cosa normale lì, ma se non lo fosse stata? E se, con i suoi timori, stesse perdendo un'occasione ghiottissima? «Ehm, ecco...», balbettò, ancora incerta. “Glielo chiedo o no? Sì o no? Sì o no? Sì”. «P-Puoi dirmi come fai?».
    Per un attimo le parve che Ingwe avesse la testa altrove. Stava pensando a qualcos'altro, glielo leggeva in faccia. Qualcosa che lo rendeva felice, qualcosa che lo faceva stare bene, ma che allo stesso tempo lo rendeva triste e il cui ricordo lo feriva. Sapeva riconoscere bene quelle emozioni. Provò un profondo dispiacere nel sapere che la sua sciocca curiosità lo aveva costretto a rivangare ricordi più o meno dolorosi. Capiva come poteva sentirsi. “Chissà se ho anch'io quell'espressione”, pensò tra sé e sé. Probabilmente sì.
    Ingwe sollevò le palpebre, lasciandosi alle spalle tutte le emozioni che quella sua infantile richiesta avevano scatenato. «È facile, ci sono diversi modi», cominciò a spiegarle. «Quello che preferisco, e che io utilizzo, consiste nel manipolare la gravità che agisce sul mio corpo. Modificandola tramite sequenze di comandi e annullandola o diminuendola, riesco a muovermi nello spazio». Scelse di darle una dimostrazione pratica, sollevandosi nuovamente dal pavimento e rimanendo sospeso nel nulla. Vederlo così le fece, forse un po' egoisticamente, dimenticare tutte le remore di poco prima, la sua attenzione catturata dalla magia come un insetto nella tela del ragno. «Così, ecco» disse ancora, mentre i suoi capelli e i suoi vestiti si muovevano lenti, in balia di un vento pigro che esisteva solo per loro, come se stesse galleggiando sull'acqua piuttosto che a mezz'aria. Espirò e, un piede dopo l'altro, tornò a terra. «Tuttavia, conosco diversi altri modi, alcuni che si basano sulla quantità di potere magico del mago o maga che li utilizza, altri invece che prevedono anche lo sfruttare della sua forza fisica tramite la creazione di delle sorta di “ali di energia”. In ogni caso, dipende tutto dalle esigenze di chi desidera volare», concluse.
    Ailis tacque per tutta la durata della spiegazione, senza mai interromperlo o fare domande, attenta e interessata. Osservò ogni suo gesto nei minimi particolari, forse sperando di vedere materialmente la magia fluire dal suo corpo e permettergli di volare. Si portò la destra a coprire le labbra, il pollice appoggiato su una guancia e l'indice che sfiorava appena l'altra, piegato poi verso il mento. Abbassò appena lo sguardo mentre rifletteva, concentrata nei suoi pensieri. L'opzione delle ali di energia era da escludere a prescindere, a casa era rinomata per la sua forza fisica inesistente, e dubitava di essere capace di manipolare la gravità in quel modo. «Non è poi così semplice...» commentò a bassa voce.
    «No, no!». L'esclamazione del ragazzo la spinse a tornare a guardarlo. «Sono solo io che mi spiego male» disse, e nuovamente le spiegò gli stessi concetti con termini diversi, più semplici e in modo più sintetico. La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro, un po' rassegnato. Aveva capito le meccaniche, la tecnica, ma per lei sembrava comunque molto difficile, quasi impossibile. Questo non poteva che accrescere la stima che provava per il giovane mago. Riuscire a volare, specie dopo quella spiegazione, le sembrava sempre più stupefacente. «Forse mi risulta difficile perché sono abituata ad un tipo di magia diverso. Per esempio: spostare gli oggetti con l'uso della magia dovrebbe essere, a livello teorico, simile a volare. Però non l'ho mai considerato come una manipolazione della gravità, quanto più una manifestazione della volontà della strega» disse, pregando di essersi fatta capire. Era difficile spiegare concetti che per lei erano semplici a qualcuno che non li conosceva, o che dava loro una spiegazione diversa. Come aveva fatto Val ad insegnarle? Si diede subito la risposta: è facile dipingere su una tela bianca. Probabilmente Ingwe stava giungendo alla sua stessa conclusione, a giudicare dall'espressione pensosa che aveva assunto. Lo vide battere un indice sul labbro superiore in un modo che trovò simile al suo coprirsi la bocca con la mano quando cercava di riflettere. «Hmm... Potresti parlarmi un po' della magia del tuo mondo?».
    Quella domanda la colse di sorpresa, anche se in effetti non avrebbe dovuto. Supponeva fosse normale, per un mago o strega che fosse, interessarsi di altri tipo di magia. Spostò il peso da una gamba all'altra e con la mano destra afferrò il braccio sinistro, poco sopra il gomito, accompagnando quel gesto con un lieve cenno di assenso. «Fondamentalmente si compone di due elementi: potere magico e volontà, ed entrambe influiscono in egual modo sulle capacità della strega. Usiamo l'espressione potere magico per indicare l'effettiva capacità della persona di gestire la magia. Ogni strega nasce con un potere magico più o meno forte, a seconda di un'infinità di fattori diversi, che può aumentare nel corso della vita con l'esercizio», fece, sperando di essere stata abbastanza chiara e comprensibile. Per lei era qualcosa di semplice, non sapeva in che altro modo potersi esprimere. «Per quanto riguarda la volontà, è il semplice desiderio di voler fare qualcosa. Allo stesso tempo, però, costituisce un ordine che si dà all'ambiente circostante, si impone sulla natura e sugli elementi. Per poter eseguire un incantesimo bisogna avere sufficiente potere magico e abbastanza volontà da imporsi su eventuali resistenze. Per esempio: se io volessi prendere un libro senza muovermi, dovrei utilizzare una certa quantità di potere magico ed esercitare una volontà sufficienti a vincere l'attrito, la gravità, eventuali correnti d'aria e così via. Ovviamente, una cosa del genere non richiede molto sforzo. Ma, dal mio punto di vista, riuscire a volare, considerando tutti i fattori e le forze coinvolte, è quasi impensabile. Non credo di avere abbastanza potere magico per riuscirci» concluse, sollevando le spalle, già rassegnata alla triste consapevolezza che per lei, volare, era un obiettivo irraggiungibile. Ingwe però non doveva essere dello stesso avviso. Le sembrava quasi di vedere gli ingranaggi nel suo cervello che continuavano a muoversi, a ruotare su se stessi e a elaborare ancora e ancora e ancora. «Solo una domanda: per potere magico tu cosa intendi? La scuola di magia tramite la quale ho imparato divide il potere magico in Mana e Illi. Per farla semplice, il mana è il potere magico di ogni individuo, le riserve di energia che una persona è in grado di contenere all'interno del suo corpo o spirito e viene prodotto costantemente. In maniera diversa, l'Illi è... Hmm, in poche parole è l'energia che viene prodotta dal mondo o dall'universo stesso. In sostanza, la maggiore differenza tra Illi e Mana è la quantità che i maghi riescono ad utilizzare: le riserve del corpo umano sono limitate, fino a un certo punto, mentre quelle prodotte dal Mondo sono quasi infinite, a disposizione di tutti gli esseri viventi; tuttavia, anche l'Illi non può essere usato all'infinito, ma solo in quantità modeste, in quanto anche esso viene conservato all'interno del corpo o dello spirito umano e una volta esaurito necessita di tempo per venire accumulato nuovamente» spiegò, interrompendosi di quando in quanto per riordinare le idee, cercare le parole adatte per permetterle di capire e metterle insieme fino a creare un discorso semplice e scorrevole. Ailis capì al volo cosa intendeva, ma era complicato immaginare persone attingere al potere prodotto dal pianeta. Non riusciva nemmeno ad immaginare come il mondo potesse avere un proprio potere magico anche se, dopo la scoperta del cuore, la cosa non la sorprendeva più di tanto. Forse tutti i processi naturali erano dovuti alla magia? L'idea la elettrizzò. Se così fosse stato e se fosse riuscita a dimostrarlo, chissà come avrebbero reagito gli Inquisitori. L'entusiasmo scemò non appena realizzò che l'avrebbero comunque messa al rogo, indipendentemente da quanto le sue affermazioni potessero essere vere e inconfutabili. «Suppongo che sia il Mana. Nel mio mondo non esiste il concetto di Illi» disse mentre cercava di immaginare come potesse funzionare. Come si faceva ad attingere ad esso? Era un procedimento naturale per il corpo o veniva fatto attraverso qualche oggetto capace di deviarne il flusso dal mondo al mago, magari qualcosa di piccolo come un ciondolo o un amuleto? «Ma può anche darsi che includa entrambi. Il fatto che nessuno da noi abbia teorizzato l'esistenza di un potere magico derivante dalla natura, non vuol dire che non esista» rifletté.
    Vide Ingwe annuire con un cenno del capo. Il suo interesse la rassicurava. Quantomeno, oltre ad averlo disturbato e interrotto, non lo stava annoiando. «Sì, è vero, nel tuo mondo potreste utilizzare l'energia che nel mio viene definita Illi inconsciamente, senza distinguere tra questa e mana, ma... Potrebbe anche essere che rispetto a noi abbiate trovato un modo più efficiente di utilizzare il mana, in modo da non dover ricorrere all'Illi. Non sarebbe una teoria così assurda: dopotutto si tratta di stelle differenti, di luoghi che probabilmente non hanno mai avuto un punto di contatto da quando sono nati. Di sicuro è affascinante come idea, nel senso, se fosse davvero possibile utilizzare solo il Mana e non anche l'Illi, dalle mie parti sarebbe un concetto quasi rivoluzionario, capace di scuotere alcune delle teorie e delle basi della magia che ho imparato! In realtà sono stupido io, nel senso, tutti questi mesi in un altro mondo e ancora non mi ero mai chiesto niente sulle basi della magia del luogo!» disse, spinto da un entusiasmo che le era familiare e che li accomunava. A giudicare dalle sue parole, nemmeno lui doveva essere originario di Radiant Garden. Era probabile quindi che lì si utilizzasse un tipo di magia ancora differente? Sarebbe stato meraviglioso poter mettere a confronto i vari sistemi e le arti arcane tipiche di ciascun luogo, o anche solo accertare chi di loro due avesse ragione sulla questione Mana e Illi. Peccato che non fosse possibile: non avrebbe consigliato a nessuno di andare a Hibernia. Non per studi magici, almeno. Senza farlo, però, non sarebbero riusciti a trovare una risposta definitiva. Lei non sapeva cosa volesse dire sfruttare l'Illi e Ingwe, probabilmente, cosa volesse dire non sfruttarlo affatto. «Scusa, mi sono lasciato trasportare… Stavamo dicendo?».
    «D-Del volo, credo» balbettò, con un certo imbarazzo. Esattamente come il biondo, si era lasciata trasportare da quella discussione al punto da dimenticarsi dell'argomento da cui erano partiti. Avrebbe parlato per ore di magia, in tutte le sue forme, le sue varianti. Era un argomento di conversazione e di conoscenza pressoché infinito. Come poteva essere considerata un male per partito preso, solo perché i più non riuscivano a comprenderla?
    «Uh... Vero» fece Ingwe, tacendo per qualche secondo nel tentativo di riprendere il filo del discorso. Avevano cominciato a divagare a briglia sciolta e... era stato bello. Non era qualcosa cui fosse abituata. Valerie le aveva insegnato ciò che sapeva, ma si rendeva conto solo ora che, per quanto fosse brava, la sua conoscenza era fortemente limitata. Se c'erano tanti mondi, là fuori, dovevano esserci tanti tipi di magia. Voleva studiarli tutti, o almeno il più possibile. La sola idea la elettrizzava. «Hmm, ma guarda, più o meno tutto qui: per il volo non viene utilizzata molta energia ed esiste un'enorme varietà di tecniche diverse che consentono di volare. Se poi ciò che ti preoccupa sono i consumi non c'è problema, si basano interamente sull'Illi, senza richiedere un intervento del Mana. Oltretutto, non è difficile: gli ordini cerimoniali, i comandi necessari per volare sono pochi e relativamente istintivi. È simile a quando un bambino impara a camminare, normalmente». Il problema, per Ailis, era sempre quello, l'Illi. Non sapeva come sfruttarlo e, dato che per il mago sembrava una cosa naturale come respirare, probabilmente avrebbe avuto difficoltà a spiegarglielo. Forse doveva rinunciare. Più il suo interlocutore parlava, più le sembrava semplice e fattibile, ma allo stesso tempo irrealizzabile. Una vocina nella sua testa le impediva di essere ottimista. La scacciò, come se fosse un insetto particolarmente fastidioso. Per il momento, si accontentò di sapere che una cosa del genere fosse fattibile. Anzi, no: doveva trovare una tecnica di volo da sfruttare col suo tipo di magia. Grazie Ingwe aveva delle forti basi su cui lavorare, doveva solo applicarsi e sperimentare. E lì, a Radiant Garden, avrebbe potuto farlo. Sempre che quegli esseri neri dagli occhi gialli non fossero tornati ad attaccare. «E, più o meno questo è tutto quello che so dirti sulle tecniche di volo del mio mondo senza scendere troppo nel dettaglio».
    Ascoltando quelle parole, mentre rifletteva tra sé e sé, Ailis si ritrovò a sorridere. Era bello poter parlare di ciò che amava senza doversi guardare alle spalle, senza avere paura. Gli era sinceramente riconoscente per averle permesso di farlo, per averle mostrato come quello che credeva impossibile – come volare, poteva essere fatto qualcosa del genere, come poteva esserci qualcosa di davvero impossibile? - fosse invece facilmente realizzabile. Provava una gratitudine quasi infinita, anche se non riusciva a dimostrarlo come avrebbe voluto, anche se probabilmente lui non avrebbe capito. «Grazie, Ingwe».

     
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    Magie et Sorcellerie


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    Per qualche secondo, Ailis sembrò meditare sulla sua risposta.
    «Fondamentalmente si compone di due elementi: potere magico e volontà, ed entrambe influiscono in egual modo sulle capacità della strega. Usiamo l'espressione potere magico per indicare l'effettiva capacità della persona di gestire la magia. Ogni strega nasce con un potere magico più o meno forte, a seconda di un'infinità di fattori diversi, che può aumentare nel corso della vita con l'esercizio. Per quanto riguarda la volontà, è il semplice desiderio di voler fare qualcosa. Allo stesso tempo, però, costituisce un ordine che si dà all'ambiente circostante, si impone sulla natura e sugli elementi. Per poter eseguire un incantesimo bisogna avere sufficiente potere magico e abbastanza volontà da imporsi su eventuali resistenze. Per esempio: se io volessi prendere un libro senza muovermi, dovrei utilizzare una certa quantità di potere magico ed esercitare una volontà sufficienti a vincere l'attrito, la gravità, eventuali correnti d'aria e così via. Ovviamente, una cosa del genere non richiede molto sforzo. Ma, dal mio punto di vista, riuscire a volare, considerando tutti i fattori e le forze coinvolte, è quasi impensabile. Non credo di avere abbastanza potere magico per riuscirci.»
    Più volte Ingwe annuì, mentre iniziava a farsi un'idea relativamente chiara della magia che la ragazza era solita praticare. Era senza dubbio diversa dalla sua, tuttavia alcuni elementi base su come affrontare gli incantesimi e distorcere e manipolare le leggi della fisica erano condivisi.
    Senza dubbio entrambe le scuole avevano in comune i concetti di talento e volontà, sebbene la seconda avesse un influenza minore rispetto a quella che la tecnica del mago e gli ordini cerimoniali possedevano. Con la destra si massaggiò il mento, lo sguardo perso nel nulla. Per quanto riguardava il potere magico, invece, avrebbe dovuto indagare di più se entrambi pensavano alla stessa cosa.
    «Solo una domanda: per potere magico tu cosa intendi? La scuola di magia tramite la quale ho imparato divide quello che molti chiamano potere magico in Mana e Illi.» Cercando di spiegarsi tese prima una mano e poi l'altra, nel tentativo di mostrare la differenza tra le due già con i movimenti del corpo. «Per farla semplice, il Mana è il potere magico di ogni individuo, le riserve di energia che una persona è in grado di contenere all'interno del suo corpo o spirito e viene prodotto costantemente. In maniera diversa, l'Illi è...» Incerto su come definire precisamente quel tipo di energia, strinse la labbra. «Hmm, in poche parole è l'energia che viene prodotta dal mondo o dall'universo stesso. In sostanza, la maggiore differenza tra Illi e Mana è la quantità che i maghi riescono a utilizzare: le energie prodotte dal corpo umano sono limitate, fino a un certo punto, in quanto la maggio parte di esse viene consumata per mantenere in vita l'essere umano, mentre quelle prodotte dal Mondo sono quasi infinite, a disposizione di tutti gli esseri viventi; tuttavia, anche l'Illi non può essere usato all'infinito, ma solo in quantità modeste, in quanto esso viene filtrato all'interno del corpo o dello spirito umano e deve essere mescolato col Mana per poter essere utilizzabile.» Lentamente, gettò un'occhiata ad Ailis, come se volesse avere conferma che la ragazza stesse seguendo il suo discorso fin lì.
    «Suppongo che sia il Mana. Nel mio mondo non esiste il concetto di Illi.» Commentò a mezza voce la più giovane. «Ma può anche darsi che includa entrambi. Il fatto che nessuno da noi abbia teorizzato l'esistenza di un potere magico derivante dalla natura, non vuol dire che non esista.»
    Concordando su quell'affermazione, Ingwe annuì.
    «Sì, è vero, nel tuo mondo potreste utilizzare l'energia che nel mio viene definita Illi inconsciamente, senza distinguere tra questa e Mana, ma...» Lentamente alzò l'indice della destra. «…Potrebbe anche essere che rispetto a noi abbiate trovato un metodo più efficiente di utilizzare il Mana, in modo da non dover ricorrere all'Illi. Non sarebbe una teoria così assurda: dopotutto si tratta di stelle differenti, di luoghi che probabilmente non hanno mai avuto un punto di contatto da quando sono nati. Di sicuro è affascinante come idea, nel senso, se fosse davvero possibile utilizzare solo il Mana senza dover sfruttare anche l'Illi, dalle mie parti sarebbe un concetto quasi rivoluzionario, capace di scuotere alcune delle teorie e delle basi della magia che ho imparato! In realtà sono stupido io, nel senso, tutti questi mesi in un altro mondo e raramente sono andato a grattare sotto la superficie degli studi del luo-» Di scatto si interruppe. Stava divagando, si era lasciato andare e prendere dall'eccitazione una volta contemplata quella possibilità. Forse, piuttosto che con una ragazzina appena conosciuta, avrebbe dovuto affrontare quegli argomenti con Nivis o Sariel… Nervoso scosse la testa. Avrebbe chiesto, dopo, ma adesso non era il momento di perdersi in quelle congetture e fantasie. Con un'espressione mortificata e un colpo di tosse di imbarazzo, tornò a concentrarsi su Ailis, cercando di percorrere all'indietro il sentiero sul quale la sua mente si era persa.
    «Scusa, mi sono lasciato trasportare… Stavamo dicendo?»
    «D-Del volo, credo.» Rispose lei con una nota di disagio.
    «Uh… Vero.» Per qualche istante rimase in silenzio, mentre tentava di riprendere il discorso. «Hmm, ma guarda, più o meno tutto qui: per il volo non viene utilizzata molta energia ed esiste un'enorme varietà di tecniche diverse che consentono di volare.» Con lentezza ripeté in silenzio le frasi e le parole dell'altra, cercando le domande a cui ancora non aveva dato risposta. Lo sguardo perso verso il soffitto, si grattò il mento e riprese a parlare. «Se poi ciò che ti preoccupa sono i consumi non c'è problema, si basano interamente sull'Illi, senza richiedere un intervento del Mana. Oltretutto, non è difficile: gli ordini cerimoniali, i comandi necessari per volare sono pochi e relativamente istintivi.» Con un sorriso stupido pensò al primo volo di Vanessa, al puro terrore che lo aveva attanagliato quando l'aveva vista schizzare verso l'alto a quella velocità assurda e all'ammirazione che era subito seguita. «È simile a quando un bambino impara a camminare, normalmente.»
    Di nuovo tornò a posare lo sguardo su Ailis, un sorriso gentile a piegare gli angoli delle labbra.
    «E… più o meno questo è tutto quello che so dirti sulle tecniche di volo del mio mondo senza scendere troppo nel dettaglio.» Anche perché se fosse andato a spiegare nel dettaglio tutti i particolari le avrebbe anche dovuto spiegare il concetto dietro agli ordini cerimoniali e le teorie su come memorizzarli e non era qualcosa che aveva estremamente voglia di affrontare al momento. Troppo lungo, come argomento, troppo impegnativo.
    «Grazie, Ingwe.»
    «Di niente.» Annuendo in risposta, aprì la porta della biblioteca, tenendola ferma per far passare Ailis.
    Per qualche secondo, l’altra continuò a osservare la stanza in cui erano appena entrati. Un gorgoglio leggero permeava l’aria, proveniente dalla fontana a metà altezza tra il pian terreno e il primo. Sotto i loro piedi, la pietra verde scintillava, pulita e lucida e le colonne che delimitavano il passaggio sopraelevato su cui si trovavano si ergevano spesse e imponenti.
    «C'è persino una fontana...»
    Il commento arrivò smorzato, appena sussurrato. Strofinandosi il labbro superiore con una nocca, Ingwe ridacchiò a bocca chiusa: a quel punto, chissà quale sarebbe stata la reazione di fronte all’ingresso principale del castello?
    Con un gesto, tentò di richiamare l’attenzione di Ailis e di invitarla e seguirlo mentre si dirigeva verso le scale.
    «Sembra che il castello ti piaccia, per ora.» Riprese il custode con l’intenzione di continuare a chiacchierare.
    «P-Più che altro sono sorpresa. È molto diverso da casa mia»
    Non era una sorpresa: dopotutto, quello era un mondo diverso da quello di Ailis e il Radiant Bastion era… particolare, di sicuro. Certo, non si avvicinava nemmeno alla stravaganza del Castello Disney, ma per quanto riguardava la bellezza e la maestosità degli ambienti rimaneva comunque assolutamente eccezionale.
    «Non mi sorprende.» Rispose con un sorriso il ragazzo. «Anche io quando sono entrato qui per la prima volta mi sono ritrovato a paragonarlo con palazzi e castelli del mio mondo.»
    «Se posso chiedere, che posto è il mondo da cui vieni?» Domandò l’altra con curiosità, mentre lo sguardo si spostava da Ingwe alla stanza e poi di nuovo a Ingwe.
    «Hmm, di sicuro diverso da questo.» Rispose l’altro titubando appena. «Non c’è molto da dire, comunque: rispetto ad altri mondi –rispetto a questo mondo- non è molto avanzato tecnologicamente. Si potrebbe dire che non è abbastanza carino a livello naturale, ecco.» Per qualche attimo rimase in silenzio, pensando a cos’altro potesse aggiungere. «Ah! Probabilmente la maggiore particolarità è il fatto che le stagioni sono fisse, ma oltre a questo… non c’è molto da dire.»
    Come se le sue parole la avessero confusa, Ailis aggrottò le sopracciglia. «In che senso le stagioni sono fisse?»
    «Per farla semplice,» riprese Ingwe massaggiandosi il collo. «Nel nord è sempre inverno e più si scende verso sud più il clima si fa caldo, fino ad arrivare all’estremo sud, che in pratica è un solo grande deserto.» Con un gesto quasi annoiato scrollò le spalle. «In ogni caso non è così spettacolare: a Radiant Garden il clima è temperato per la maggior parte dell’anno, come se fosse sempre primavera ed esiste un mondo in cui il sole è sempre fermo all’altezza dell’orizzonte, immobile in un tramonto perenne. Quasi poetico, no?» Concluse voltandosi verso Ailis, mentre una risata leggera accompagnava la domanda.
    «Oh! Chissà da cosa dipendono tutte queste differenze.»
    «Boh.» Aveva risposto senza pensare, diretto. Se avesse potuto teorizzare e parlare liberamente avrebbe ricollegato il tutto alla Guerra dei Keyblade e a quando tutti i mondi erano uno, ma… Come prima, quando non aveva voluto parlare del Comitato e del Keyblade, non era sicuro che condividere informazioni così rilevanti a qualcuno di appena conosciuto fosse saggio. In effetti, forse aveva sbagliato prima a parlare dei cuori dei mondi. Immerso nei suoi pensieri, non aggiunse altro. No, eventualmente avrebbe comunque scoperto prima o poi del cuore dei mondi, soprattutto se avesse indagato sugli Heartless. Tuttavia non sapeva quanto il pubblico fosse a conoscenza del Keyblade e del disastro che i Custodi avevano portato secoli prima. Forse, rifletté, era meglio così; la guerra e la crisi attuali erano abbastanza preoccupanti da sole: rivangare colpe del passato non avrebbe fatto bene a nessuno se non ai loro nemici.
    Convinto scosse la testa e riportò la propria attenzione sulla realtà che lo circondava al momento. Con passi veloci percorse gli ultimi gradini della scalinata e si voltò verso Ailis.
    «Il tuo mondo, invece? Com’è?»
    «Abbiamo inverni molto lunghi e molto rigidi.» Iniziò quasi subito l’altra con una punta di timidezza. «Ci ritroviamo sommersi da metri di neve e ghiaccio dal giorno alla notte. Però l'estate è piuttosto calda, e in quei mesi le pianure si tingono di un verde talmente intenso che, dopo tutto quel bianco, sembra irreale.»
    Lento, mentre Ingwe ascoltava, un sorriso si aprì sul suo volto. La mente vagò un istante, perdendosi nel ricordo dei mesi passati con Failariel e delle terre fredde dove aveva imparato a utilizzare la magia. Con un sospiro leggero, ripensò all’aurora e al cielo che era possibile osservare in quei luoghi, allo spettacolo di luci che illuminava quasi a giorno alcune notti.
    «Sembra molto bello...» Commentò sincero.
    «Lo è, ma è anche molto difficile. Le temperature si fanno molto rigide, anche un semplice raffreddore può portare alla morte. Molti bambini e persone anziane non riescono a resistere.»
    Era normale. Anche da lui era normale. Per questo nel loro villaggio, Failariel era così necessaria. Nessuno credeva fosse una maga, fortunatamente, sia per loro che per lei: l’avessero scoperto, avessero tentato di cacciarla via, avrebbero perso qualcuno di troppo importante, qualcuno che con le proprie arti li aveva aiutati a sopravvivere per decenni. Con un sospiro si rese conto di quanto tutto quello fosse ingiusto e insensato, di come una persona che non aveva fatto altro che aiutare il prossimo per tutta la sua vita dovesse comunque nascondersi dal mondo.
    «Capito.» La parola uscì tinta di una sfumatura amara e triste.
    Avrebbe voluto dire a Failariel di andarsene, che gli abitanti del villaggio non la meritavano, ma quella sarebbe stata una bugia. Era un controsenso, ma esclusa quella ridicola paura della magia, quell’odio insensato per le streghe, quelle persone non avevano mai fatto niente di male: lo avevano accolto, gli avevano dato una casa assieme all’anziana. Erano cordiali, gentili, si aiutavano l’un l’altro nel momento del bisogno. Se solo fosse stato possibile far capire loro che la magia non era il male, che se i loro figli erano ancora in vita, che se le malattie che li avevano colpiti non erano state fatali era solo merito di una maga…
    «Ho... ho detto qualcosa di sbagliato?» Allarmata, la voce di Ailis lo ricondusse alla realtà.
    «Io…» Lento scosse la testa, mentre un sorriso riaffiorava sulle labbra. «No, tranquilla.»
    Per qualche attimo seguì il silenzio, l’unico rumore nel salone vuoto il ritmo tranquillo dei loro passi. Fu solo quando il Custode aprì il portone della sala che riprese parola.
    «Piuttosto, come mai sei qui? Nel senso, non qui-qui, ma come mai hai deciso di andare in un altro mondo?»
    Nonostante non avesse posto quella domanda prima e avesse sfruttato la domanda per mandare di nuovo avanti la conversazione, era genuinamente curioso, e il sentimento trapelava dalla sua voce.
    «Hibernia non è un bel posto in cui vivere per... per quelli come noi. Praticare la magia è un reato punibile con la morte e i processi sono solo una farsa. Le streghe, o anche solo donne normali accusate di essere tali, vengono impiccate o messe al rogo, a volte annegate. Non volevo fare quella fine.»
    Un brivido corse lungo la sua schiena, mentre il freddo e il disagio si facevano strada nel suo corpo pulsando sgradevolmente al ritmo delle parole di Ailis.
    «Oh.» Non seppe come altro rispondere, solo “oh”, solo un verso di stupore e tristezza e scuse.
    «Mi spiace.» Era serio, non si trattava solo di parole di circostanza. Non era quello il motivo che si era aspettato, non era una fuga da paura e dolore quello che credeva avrebbe sentito. Proprio come nel suo mondo, anche in quello di Ailis la magia veniva vista come qualcosa di negativo, veniva vista come qualcosa capace solo di seminare male e pestilenza. «Io…» Per un istante solo tentennò, indeciso se cambiare argomento o proseguire, incapace di capire se avrebbe fatto del bene o del male. «Capisco bene la tua situazione.» Con un sospiro decise di andare avanti, di offrire conforto e comprensione. «Anche nel mio mondo la magia non è vista in una luce prettamente positiva e coloro che la utilizzano vengono braccati. Però…» Deciso scosse la testa, mentre la voce riprendeva d’animo e una scintilla di determinazione e sicurezza brillava nei suoi occhi. «Qui è diverso. In questo mondo coloro che utilizzano la magia non vengono discriminati, anzi, molti oggetti e strumenti di utilizzo quotidiano funzionano grazie ad essa.» Rapide nella mente guizzarono immagini della funivia e dell’intero sistema di alimentazione e sicurezza che sostentava la città. «Ma non è solo qui: anche in mondi nelle vicinanze essere maghi e studiare la magia non è in alcun modo problematico o visto come qualcosa di negativo.»
    «Non augurerei a nessuno di trovarsi in una situazione simile. Mi dispiace che sia capitato anche a te.»
    Con un movimento delicato scosse la testa e sorrise, tentando di far capire che, almeno per lui, non si trattava di niente di così doloroso o pesante. In fondo, quando avrebbe dovuto provare paura di quello che sarebbe potuto accadere se lo avessero scoperto era stato durante quei due anni. Solo se ci ripensava adesso capiva il pericolo che aveva incorso.
    «Tranquilla, non sono mai stato scoperto, quindi la mia vita è stata abbastanza tranquilla sotto quel fronte.»
    «Meno male.»
    Con un sorriso amaro e leggermente sarcastico, si voltò vero Ailis.
    «Già.» Ammise mentre apriva l’uscita del salone. Di nuovo fece un cenno alla ragazza di andare prima lei.
    «Qui dentro potrebbe benissimo viverci tutta la popolazione della mia città, e staremmo anche parecchio larghi.» Commentò Ailis mentre tornavano a camminare.
    «Probabile.» Ammise Ingwe con una risata sommessa. «In fondo, in caso di guerra o assedio il castello dovrebbe riuscire a contenere l’intera popolazione di Radiant Garden.» Per un attimo strinse le labbra, ripensando al Biofago e alla battaglia del tunnel. «Ovviamente, tutti sperano di non arrivare mai al punto di dover abbandonare la città.» Quel mondo era troppo importante, troppo prezioso per poter essere abbandonato o per poter cadere nelle mani dei loro nemici. Le ricerche di Ansem il saggio, le ricerche di Xehanort e di Malefica, il Comitato. Avessero perso quel baluardo sarebbe stato difficile eliminare il vantaggio che l’Ordine e l’Organizzazione avrebbero guadagnato.
    «In ogni caso,» proseguì con un tono che sperava fosse incoraggiante, «non c’è di che preoccuparsi: la città è ben difesa sia dal comitato di sicurezza che dal sistema di sicurezza.»
    «Sistema di sicurezza?» Ripeté Ailis con curiosità.
    «Sì, il Claymore.» Tamburellando con l’indice contro lo zigomo, proseguì. «Non so di preciso come funzioni, ma aiuta a mantenere gli Heartless fuori dalla città e a proteggere le vie. In teoria dovrebbe reagire all’Oscurità presente nel cuore di un persona o degli Heartless, ma non so dire molto altro, scusa.» Concluse con un sorriso imbarazzato.
    «Oh!» Perplessa, la ragazzina chinò il capo di lato. «Cosa intendi con l'Oscurità nel cuore delle persone?»
    «Ah, vero.» Non aveva spiegato bene cosa fossero gli Heartless, prima, si era limitato solo a dire cosa facessero. Pensieroso, assottigliò le palpebre, mentre un’ombra calava sul suo volto. «Ti ricordi prima, quando ti ho parlato degli Heartless? Un Heartless in poche parole è la manifestazione fisica dell’Oscurità che risiede in una persona. L’Oscurità, invece…» La voce rallentò, mentre tentava di riordinare i pensieri. «L’universo come lo conosciamo potremmo dividerlo in tre parti: la prima, quella in cui si trovano quasi tutti i mondi è quello che viene detto il Regno della Luce, la seconda, quella da cui nascono gli Heartless è il Regno dell’Oscurità; la terza, infine, è il Regno di Mezzo, una striscia di universo che si trova sul confine tra gli altri due Regni.» Per un istante si interruppe. Quando riprese, il tono era grave, tinto di una sfumatura pesante. «Undici anni fa…» La mente tornò alla storia di Aqua e del Re, a ciò che era successo allora, alla scintilla che aveva scatenato quella guerra in cui si trovavano. «… a causa di alcuni eventi, gli Heartless si sono fatti strada nel Regno della Luce; è da allora che minacciano l’universo e i mondi.»
    Un sospiro leggero sfuggì alla sue labbra.
    «L’Oscurità è una delle due forze che si contendono il dominio dell’universo. Per farla breve, è come un fenomeno fisico, quasi, una forma di energia. Si potrebbe anche dire che, allo stesso tempo, è dotata di una volontà, esattamente come la Luce e, così come la Luce, viene alimentata dalle persone e dai loro sentimenti.» Nervoso si grattò la nuca. Era un argomento complicato, troppo per essere affrontato durante una camminata. «In sostanza, se la Luce è alimentata da sentimenti comunemente intesi come positivi, allora l’Oscurità è alimentata da quelli che normalmente intendiamo essere negativi. Quando un umano raggiunge un determinato limite, quando non riesce più a controllare questi sentimenti e diventa vittima di essi, si tramuta in Heartless. Tuttavia, non è un assoluto: ogni essere umano prova invidia, odio, rancore, ma non per questo significa che stiano alimentando l’Oscurità o stiano per cadere vittima di essa: tutto deve essere preso in moderazione. Molti sentimenti generalmente considerati positivi, se in eccesso possono portare ad uno squilibrio e possono nutrire l’Oscurità.» Lento, si massaggiò le tempie con movimenti circolari, cercando di riportare ordine nella sua testa. «In ogni caso, è un argomento molto ampio da affrontare: quello che ti ho appena detto sono le basi, forse anche di meno. Non è qualcosa così semplice da spiegare…»

    Pagos e i suoi primi tentativi di worldbuilding e di post senza troppe tare mentali.
    Spero di non aver dimenticato niente, forse edito una volta riletto molto per bene .asd



    Edited by pagos - 15/5/2017, 20:53
     
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    «Di niente» fu l'unica risposta del ragazzo mentre le apriva la porta, facendole segno di proseguire. Mosse qualche passo in avanti, varcando finalmente la soglia che li avrebbe condotti fuori dalla biblioteca. Lanciò un'occhiata dietro di sé, combattuta. Da un lato non vedeva l'ora di uscire, dall'altro avrebbe voluto restare lì per sempre, vivere di sola lettura, nutrirsi di tutta quella conoscenza e dissetarsi con l'inchiostro con cui ogni parola era stata scritta o stampata. Chissà se sarebbe stato difficile ottenere l'autorizzazione per accedere al castello. Sperava davvero di no, le sarebbe piaciuto passare del tempo lì o prendere qualche libro in prestito. Ammesso e concesso che, trovato un lavoro, avesse delle ore libere a disposizione. Ammesso e concesso che riuscisse a trovarlo, un lavoro.
    Un gorgogliare vicino attirò la sua attenzione, ma non riuscì a capire da dove provenisse finché non cominciarono a scendere una delle due scalinate che portavano al piano inferiore, tra le quali notò una fontana. La osservò, impressionata, concentrata più su quella che sui gradini che stava percorrendo. «C'è persino una fontana...» commentò. Non si accorse di averlo detto ad alta voce fino a quando non sentì Ingwe ridere sommessamente. «Sembra che il castello ti piaccia, per ora».
    Quel commento la fece imbarazzare più del dovuto. Doveva essergli sembrata molto infantile, oppure una sempliciotta. Purtroppo, era più forte di lei. Non riusciva a restare impassibile di fronte a ciò che la stupiva, alle novità. Considerando poi che si trovava in un mondo nuovo – cosa che ancora stentava a credere – il suo autocontrollo svaniva del tutto. «P-Più che altro sono sorpresa» balbettò, nel tentativo di articolare una giustificazione che non la facesse sembrare del tutto stupida. «È molto diverso da casa mia» concluse, lanciando un'occhiata all'intricato disegno riportato sul pavimento sotto di loro, di quelle che le sembravano essere infinite sfumature di blu. Chissà quanti anni era durata la costruzione di un castello così grande e curato nei minimi particolari. Non c'era un solo dettaglio che fosse fuori posto.
    «Non mi sorprende» disse il ragazzo mentre percorrevano la scalinata. «Anche io quando sono entrato qui per la prima volta mi sono ritrovato a paragonarlo con palazzi e castelli del mio mondo». Bastarono quelle poche parole a suscitare la sua curiosità. «Se posso chiedere, che posto è il mondo da cui vieni?» domandò senza rifletterci troppo, sovrappensiero, mentre lo sguardo si alternava tra quel nuovo ambiente e Ingwe. Si morse la lingua. Si stava rendendo davvero indisponente con tutte quelle domande. Prima Radiant Garden, poi l'attacco, il volo e adesso questo. Doveva imparare a cucirsi la bocca prima che qualcuno lo facesse al posto suo, letteralmente. Per fortuna, il custode non parve disturbato dal suo ennesimo quesito. «Hmm, di sicuro diverso da questo» premetté, probabilmente cercando di individuare qualcosa di particolare da usare per la descrizione. «Non c’è molto da dire, comunque: rispetto ad altri mondi –rispetto a questo mondo- non è molto avanzato tecnologicamente. Si potrebbe dire che non è abbastanza carino a livello naturale, ecco. Ah! Probabilmente la maggiore particolarità è il fatto che le stagioni sono fisse, ma oltre a questo… non c’è molto da dire». Ailis aggrottò la fronte, come se qualcosa l'avesse lasciata perplessa o confusa. «In che senso le stagioni sono fisse?» chiese ancora. «Per farla semplice, nel nord è sempre inverno e più si scende verso sud più il clima si fa caldo, fino ad arrivare all’estremo sud, che in pratica è un solo grande deserto» spiegò mentre portava una mano alla nuca per massaggiarsi il collo. «In ogni caso non è così spettacolare: a Radiant Garden il clima è temperato per la maggior parte dell’anno, come se fosse sempre primavera ed esiste un mondo in cui il sole è sempre fermo all’altezza dell’orizzonte, immobile in un tramonto perenne. Quasi poetico, no?».
    «Oh!» esclamò, capendo finalmente cosa intendesse. Le sarebbe piaciuto vedere un mondo in cui c'era un crepuscolo eterno, il tempo sospeso in un attimo infinito per chissà quale capriccio della natura. «Chissà da cosa dipendono tutte queste differenze» si chiese tra sé e sé, quasi sovrappensiero. «Boh» fu la risposta secca e immediata del ragazzo, che in parte contribuì a smorzare il suo entusiasmo. Non che si aspettasse una risposta compiuta – l'ennesima – però...
    Dopo quell'ultimo scambio di battute, Ingwe era rimasto in silenzio per un po', pensando a chissà cosa. Non era brava a leggere le persone, non sarebbe stata in grado di capirlo. Percorse i pochi gradini che la separavano dal pianterreno e, all'ultimo, vide il ragazzo voltarsi in sua direzione. «Il tuo mondo, invece? Com’è?».
    Abbassò lo sguardo per un istante nel tentativo di riordinare le idee. Non che ci fosse molto da dire, in realtà, almeno a livello di clima e ambiente. «Abbiamo inverni molto lunghi e rigidi. Ci ritroviamo sommersi da metri di neve e ghiaccio dal giorno alla notte» cominciò. «Però l'estate è piuttosto calda e in quei mesi le pianure si tingono di un verde talmente intenso che, dopo tutto quel bianco, sembra irreale». Hibernia era bella, indiscutibilmente. Al di là dei suoi pericoli, era capace di fornire, in ogni momento dell'anno, paesaggi talmente belli da mozzare il fiato. Nei mesi più freddi l'acqua delle cascate si congelava e andava a formare decine di stalattiti, alcune finivano per fondersi alle altre fino a formare quello che, da lontano, sembrava essere uno spesso telo, come quelli che si calano a teatro tra un atto e un altro. Se si aguzzava la vista, sui vetri delle finestre si potevano vedere piccoli cristalli di ghiaccio che si facevano strada pian piano sulla superficie fredda. E poi il bianco, quel bianco così puro e limpido da ferire gli occhi con la sua bellezza. Hibernia era una distesa bianca e soffice per quasi tutto l'anno, e l'amava. Nei mesi estivi, poi, non era meno bella. Quando le temperature cominciavano a scaldarsi, la natura sembrava rifiorire, come se il gelo non l'avesse mai toccata e le pianure che circondavano la città si tingevano di mille tonalità di verde e di quelle più variopinte dei fiori che si facevano strada nel terreno ancora freddo.
    «Sembra molto bello...» commentò il ragazzo con un sorriso.
    «Lo è» confermò immediatamente, «ma è anche molto difficile. Le temperature si fanno molto rigide, anche un semplice raffreddore può portare alla morte. Molti bambini e persone anziane non riescono a sopravvivere» disse, perdendo qualunque traccia di allegria. La bellezza del suo mondo era controbilanciata dalla pericolosità dell'ambiente. Certo, ormai la popolazione era ben preparata. Si facevano scorte di medicinali prima dell'inverno, e anche di legna, cibo e tutto il necessario per la sopravvivenza, ma non sempre era sufficiente. «Capito» si limitò a dire l'altro. Calò nuovamente il silenzio e Ailis intuì di aver parlato troppo, di nuovo. «Ho... ho detto qualcosa di sbagliato?» domandò in un balbettio, pronta a scusarsi. In effetti non è che avesse parlato di cose allegre e piacevoli. Forse aveva esagerato.
    «Io...» vide Ingwe scuotere la testa e poi sorridere. «No, tranquilla». Ailis distolse lo sguardo mentre scendeva gli ultimi gradini, sperando che fosse davvero così, ma senza crederci davvero. Raggiunsero il portone senza dire più nulla, sperando che l'ambiente successivo sarebbe stato all'esterno. «Piuttosto», iniziò il ragazzo, catturando la sua attenzione. «come mai sei qui? Nel senso, non qui-qui, ma come mai hai deciso di andare in un altro mondo?».
    Trattenne il respiro per un istante, sentendo una morsa allo stomaco. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rispondere a quella domanda. Non voleva mentire, ma non voleva nemmeno dire la verità. Aveva troppa paura delle conseguenze e anche solo ripensarci faceva troppo male. Inspirò a fondo per mantenere la calma. Andare nel pallone non sarebbe servito a nulla. «Hibernia non è un bel posto in cui vivere per...» tentennò un solo istante. «per quelli come noi. Praticare la magia è un reato punibile con la morte e i processi sono solo una farsa. Le streghe, o anche solo donne normali accusate di essere tali, vengono impiccate o messe al rogo, a volte annegate. Non volevo fare quella fine».
    «Oh» fece. Era difficile trovare qualcosa da dire in simili circostanze. «Mi dispiace». In risposta, Ailis scrollò le spalle, come a dire che era una cosa che avrebbe superato, prima o poi. Quantomeno, adesso Ingwe avrebbe capito perché si era comportata in modo così inusuale all'inizio, quando aveva paura anche solo di pensare la parola 'magia'. «Capisco bene la tua situazione». La ragazza lo guardò, stavolta era lei quella stupita. Aveva ipotizzato che nel mondo di Ingwe la magia fosse permessa, ma con quella premessa, era evidente che si fosse sbagliata. «Anche nel mio mondo la magia non è vista in una luce prettamente positiva e coloro che la utilizzano vengono braccati. Però…» Ingwe si interruppe per un momento e Ailis non poté non capirlo. Era difficile parlarne. «Qui è diverso. In questo mondo coloro che utilizzano la magia non vengono discriminati, anzi, molti oggetti e strumenti di utilizzo quotidiano funzionano grazie ad essa. Ma non è solo qui: anche in mondi nelle vicinanze essere maghi e studiare la magia non è in alcun modo problematico o visto come qualcosa di negativo».
    Ancor più di prima, Ailis si considerò incredibilmente fortunata. Tra tutti i mondi possibili, era capitata proprio lì, a Radiant Garden, dove la magia veniva utilizzata liberamente e nessuno avrebbe potuto accusarla e farle del male. «Non augurerei a nessuno di trovarsi in una situazione simile» mormorò. La paura e quelle sensazioni erano ancora troppo vicine e vivide perché potesse riuscire a parlarne senza lasciarsi sommergere da quelle emozioni. «Mi dispiace che sia capitato anche a te» disse, sincera. Ingwe era stato gentile e cordiale con lei, ma non le era passata di mente che avesse trascorso brutte esperienze, al suo pari. Era stato molto sciocco, da parte sua, e se ne vergognava.
    Lo vide sorridere e scuotere la testa, come per liquidare il tutto con un 'niente di che'. «Tranquilla, non sono mai stato scoperto, quindi la mia vita è stata abbastanza tranquilla sotto quel fronte». Avrebbe voluto dire che non essere scoperti non significava necessariamente vivere una vita serena, perché la paura di farsi scoprire, il costante doversi guardar le spalle, il sospetto che qualcuno potesse aver notato le sue stranezze, il timore di un futuro quanto mai incerto, erano tutti fattori che contribuivano a rovinare un'esistenza, non a renderla piacevole. Ma non lo fece, non pronunciando nemmeno una parola al riguardo. Avrebbe preferito non scendere nello specifico più di così. Non c'era nulla di piacevole da raccontare o ricordare. Era solo doloroso e se n'era andata proprio perché non riusciva a sopportare tutta quella sofferenza. «Meno male» disse, senza aggiungere nient'altro. Era tentata di chiedergli cos'avesse spinto lui a lasciare il suo mondo, ma non osò. Le premesse non erano delle migliori, e non voleva scatenare in lui altri ricordi spiacevoli. Se per lui la paura di essere scoperto era poca cosa, non osava immaginare le motivazioni che lo avevano portato fino a Radiant Garden. «Già» fu l'unico commento del ragazzo mentre apriva la porta che conduceva ad un nuovo ambiente. Anche questa volta la fece passare per prima e lei l'aspettò subito dopo aver varcato la soglia, guardandosi attorno. Non riusciva a credere che esistesse un edificio così grande, tant'è che cominciava a chiedersi se mai ne avrebbe visto l'uscita. Di certo, non sarebbe stata mai in grado di trovarla da sola e provò ancora una volta molta gratitudine nei confronti di Ingwe che la stava accompagnando. «Qui dentro potrebbe benissimo viverci tutta la popolazione della mia città, e staremmo piuttosto larghi» commentò.
    «Probabile» disse Ingwe, accompagnando quell'unica parola con una leggera risata. Doveva trovare molto buffi il suo stupore e le sue osservazioni e quel pensiero la spinse a incassare la testa nelle spalle, imbarazzata. «In fondo, in caso di guerra o assedio il castello dovrebbe riuscire a contenere l’intera popolazione di Radiant Garden». Ecco spiegato il perché di quelle stanze immense. In effetti era logico. Se non c'era una famiglia reale o una corte da ospitare, l'unica utilità di un castello era di fungere da fortezza, ultimo baluardo di quella cittadina. «Ovviamente, tutti sperano di non arrivare mai al punto di dover abbandonare la città» aggiunse. «In ogni caso, non c’è di che preoccuparsi: la città è ben difesa sia dal comitato di sicurezza che dal sistema di sicurezza» proseguì, con un tono più incoraggiante, quasi volesse assicurarla che sì, Radiant Garden aveva subito un attacco, ma che era ben protetto e avrebbe resistito a qualunque cosa cercasse si colpirlo.
    Peccato che la ragazza non avesse la benché minima idea di cosa Ingwe stesse parlando. «Sistema di sicurezza?» ripeté piano quelle parole, con un'intonazione che lasciava intendere la sua ignoranza sull'argomento.
    «Sì, il Claymore» disse, quasi come se quel nome si spiegasse da solo. Lo vide picchiettarsi lo zigomo con l'indice, forse in un ennesimo tentativo di spiegarle in modo semplice qualcosa di complicato. «Non so di preciso come funzioni, ma aiuta a mantenere gli Heartless fuori dalla città e a proteggere le vie. In teoria dovrebbe reagire all’Oscurità presente nel cuore di un persona o degli Heartless, ma non so dire molto altro, scusa» concluse.
    «Oh!» fece, senza però riuscire ad immaginare in cosa potesse consistere materialmente, né come potesse funzionare. Era qualcosa di troppo astratto di lei, qualcosa che apparteneva a quel mondo nuovo e che non era in grado di capire, almeno per il momento. Qualcos'altro all'interno del discorso attirò la sua attenzione. «Cosa intendi con l'Oscurità nel cuore delle persone?».
    «Ah, vero» fece il ragazzo. Forse era convinto di averle già spiegato il concetto, o aveva dato per scontato che sapesse o che l'avesse capito. Assunse un'espressione più seria e grave, come quella che aveva mentre gli aveva raccontato, poco prima, dell'attacco alla città. «Ti ricordi prima, quando ti ho parlato degli Heartless? Un Heartless in poche parole è la manifestazione fisica dell’Oscurità che risiede in una persona. L’Oscurità, invece…», rallentò, cominciando a parlare più lentamente. «L’universo come lo conosciamo potremmo dividerlo in tre parti: la prima, quella in cui si trovano quasi tutti i mondi è quello che viene detto il Regno della Luce, la seconda, quella da cui nascono gli Heartless è il Regno dell’Oscurità; la terza, infine, è il Regno di Mezzo, una striscia di universo che si trova sul confine tra gli altri due Regni. Undici anni fa... a causa di alcuni eventi, gli Heartless si sono fatti strada nel Regno della Luce; è da allora che minacciano l’universo e i mondi». Ingwe sospirò. Doveva essere una spiegazione molto più lunga e complicata di quanto Ailis immaginasse. Avrebbe dovuto trovare il modo di sdebitarsi con lui per tutte quelle informazioni che si rivelavano man mano sempre più vitali per la sopravvivenza fuori dal suo mondo. «L’Oscurità è una delle due forze che si contendono il dominio dell’universo. Per farla breve, è come un fenomeno fisico, quasi, una forma di energia. Si potrebbe anche dire che, allo stesso tempo, è dotata di una volontà, esattamente come la Luce e, così come la Luce, viene alimentata dalle persone e dai loro sentimenti». Lo vide grattarsi la nuca con fare nervoso, prendendosi qualche secondo. «In sostanza, se la Luce è alimentata da sentimenti comunemente intesi come positivi, allora l’Oscurità è alimentata da quelli che normalmente intendiamo essere negativi. Quando un umano raggiunge un determinato limite, quando non riesce più a controllare questi sentimenti e diventa vittima di essi, si tramuta in Heartless. Tuttavia, non è un assoluto: ogni essere umano prova invidia, odio, rancore, ma non per questo significa che stiano alimentando l’Oscurità o stiano per cadere vittima di essa: tutto deve essere preso in moderazione. Molti sentimenti generalmente considerati positivi, se in eccesso possono portare ad uno squilibrio e possono nutrire l’Oscurità. In ogni caso, è un argomento molto ampio da affrontare: quello che ti ho appena detto sono le basi, forse anche di meno. Non è qualcosa così semplice da spiegare…».
    Ailis annuì, facendo cenno di aver a grandi linee compreso i concetti che Ingwe aveva cercato di spiegarle. Era difficile digerire l'idea che un posto sicuro, davvero sicuro, fosse impossibile da trovare. «È... strano» mormorò, come se stesse parlando tra sé e sé. «Credevo che la cosa più pericolosa davanti alla quale potessi trovarmi fossero gli inquisitori» ammise. Quelle che Ingwe le aveva fornito, su sua richiesta poi, erano forse un po' troppe informazioni tutte assieme, qualcosa l'avrebbe dimenticato o le era sfuggito. A grandi linee, però, era riuscita a cogliere le cose fondamentali. Sentimenti negativi alimentano l'Oscurità, che crea gli Heartless, che sono pericolosi. Si abbandonò a un sospiro, rassegnata. «Nuovo mondo, nuovi pericoli, suppongo».
    Le sue parole suscitarono una reazione apparentemente divertita in Ingwe, che accennò una risata. «Già», concordò. «Nuovi pericoli, ma non solo». Si voltò a guardarlo e notò un certo imbarazzo da parte sua, accentuato dal gesto della mano che si massaggiava la nuca. «Spesso si tratta anche di nuove conoscenze, nuovi amici. A volte persino una nuova vita, se è ciò che uno cerca».
    Si ritrovò, inaspettatamente anche per se stessa, a sorridere. Un accenno, un leggero incurvarsi di labbra. «Lo spero». Di cuore, pensò tra sé e sé. A forza di parlare con Ingwe del più e del meno, cominciava a rilassarsi. Non poteva dire di essersi sciolta del tutto, ancora inquieta all'idea di trovarsi in una realtà diversa da quella da cui proveniva, però sentiva di star migliorando, poco a poco. Nessuno le faceva fretta, nessuno la obbligava a fare niente. Forse, per la prima volta in vita sua, era davvero libera di fare e pensare quello che voleva, senza costrizioni, senza influenze, senza dover scendere a compromessi.
    «Dunque». Mentre Ingwe riaccendeva la discussione, svoltarono in un corridoio costeggiato da ampie vetrate che lasciavano penetrare la luce dall'esterno. «sei una maga, giusto?».
    Tentennò un istante prima di rispondere. Non per timore, quanto per una questione di semplice significato. Strega aveva un'accezione più negativa di maga, ma c'erano ulteriori differenze? «Non ci chiamano così da dove vengo io, ma sì» disse. «E non sai che sollievo sapere che qui la magia non viene demonizzata». Il sollievo traspariva dalle parole e dalla sua espressione, dai movimenti, più rilassati rispetto a prima. Sarebbe andata bene. Doveva andare bene.
    Il suo sguardo cadde al di là delle finestre, oltre il vetro non più colorato che le permetteva di avere il primo, vero scorcio di Radiant Garden. I tetti rossi e color ruggine, i mattoncini chiari della pavimentazione e tanto, tanto verde ovunque. Ingwe l'aveva già rassicurata in proposito, ma vedere con i proprio occhi che non c'era nulla di particolarmente strano o bizzarro le diede la conferma, almeno temporanea, di non aver fatto una sciocchezza. Quello poteva essere il posto giusto per ricominciare. «È... è più simile al mio di quanto immaginassi». Si ritrovò a combattere contro l'istinto di incollarsi al vetro e continuare a guardare, curiosa, cercando di cogliere qualche dettaglio particolare, qualche persona.
    «Spero ti piaccia». Non vide Ingwe sorridere mentre parlava, ma le parve quasi di percepirlo.
    «Sembra davvero bella» mormorò in un soffio, apparentemente incapace di distogliere lo sguardo. Avrebbe potuto ambientarsi, lasciarsi tutto alle spalle. Sì, ce l'avrebbe fatta.
    «Comunque, tornando all'argomento di prima: sei specializzata in qualche branca magica particolare oppure ti destreggi un po' su tutti i campi?» le chiese il ragazzo. Tornare all'argomento di discussione principale riportò la sua mente all'interno delle mura della fortezza e a Ingwe.
    La mano destra andò ad afferrare le dita della sinistra, stringendole, accarezzandole, graffiandole appena. «Dire che sono una specialista sarebbe esagerato, però me la cavo con la manipolazione del ghiaccio. Oh, e come ti ho detto prima, a spostare le cose senza toccarle» spiegò, accompagnando le ultime parole ad un leggero scrollare delle spalle. «È comodo cucire senza pungerti le dita con l'ago o tagliarti con le forbici» aggiunse, pensando a tutte le volte che aveva sporcato la stoffa di sangue, prima di rassegnarsi a usare i ditali e prima ancora di riuscire a farlo con la magia. Si ritrovò automaticamente a pensare al lavoro: chissà se c'era una sartoria che cercava apprendiste, in quel mondo. Le avrebbe fatto piacere continuare a svolgere quell'attività. Si voltò per poterlo guardare in viso, sollevando un po' la testa. «Tu, invece?» si ritrovò a domandare di rimando, interessata. Per lei, scegliere quell'elemento, era stato naturale quasi come respirare. Ci si era trovata subito in sintonia. Il freddo la accarezzava senza ferirla, l'acqua si cristallizzava e poi la plasmava a suo piacimento. C'era un che di meraviglioso nel ghiaccio, nel modo in cui ogni fiocco di neve era diverso dagli altri e comunque perfetto, in cui le temperature rigide trasformavano la pioggia in piccoli batuffoli bianchi che poi ricoprivano ogni cosa, facendole cambiare aspetto come un vestito nuovo e scintillante.
    Ingwe parve leggermente imbarazzato prima di rispondere. Forse la domanda l'aveva messo a disagio, forse non era molto abituato a parlare di magia con qualcuno, o forse nessuna delle due, ma non le veniva altro in mente. «Luce. Sia quella di cui ti ho detto prima, che quella più...», tentennò un istante alla ricerca della parola più giusta per esprimere il concetto, «materiale? Oltre a ciò, me la cavo un po' con la magia non-elementale e, come te, a spostare gli oggetti senza toccarli. Ah, e direi che ho una discreta conoscenza anche di alcuni incantesimi di guarigione. Poi, anche se più di recente, sto tentando di cimentarmi nella manipolazione del fuoco e del vetro». Tacque per qualche istante, perso in pensieri che Ailis non riusciva a decifrare e nemmeno a scorgere. Le sembrava quasi frustrato, infastidito, e subito dopo capì il perché. «Nonostante i risultati lascino abbastanza a desiderare. E poi c'è il volo, come hai visto prima».
    Si ritrovò a guardarlo senza sapere se sentirsi sorpresa, colpita o cos'altro. «Si può alterare qualcosa che non sia un elemento?» gli chiese quando il ragazzo fece riferimento al vetro. «Solo che... come pensi di utilizzarlo? Non è un po' troppo fragile?» chiese. Senti chi parla. si ritrovò a pensare. Alzò gli occhi al cielo. «Anche se può sembrare strano detto da una che usa il ghiaccio. Però quello almeno è freddo».
    A fronte delle difficoltà del ragazzo, le venne spontaneo sorridere mentre alzava una mano chiusa a pugno, fatta eccezione per l'indice che era teso e puntato verso il soffitto. «La mia maestra diceva che la pratica rende perfetti. La mia compagna di studi, che se una cosa non ti riesce è perché non ti stai impegnando abbastanza». Venne colta da un prevedibile e calcolato moto di tristezza non appena diede voce a quei pensieri, ma lo scacciò immediatamente. Voleva riuscire a parlare di loro senza stare male, pensare alle cose belle, a come tutto era iniziato, piuttosto a come si era tragicamente concluso. «In sintesi, devi solo continuare a provare. Mi hai appena dimostrato che quello che credevo impossibile è realtà. Quindi puoi riuscire a destreggiarti con fuoco e vetro». Aveva detto cose sicuramente banali, ma purtroppo non le veniva nient'altro in mente per incoraggiarlo un po'. Forse però, poteva dargli un aiuto un po' più concreto. Quando si parlava di fuoco, la prima persona che le veniva in mente era Valerie – la seconda era Zaher e il ricordo della Giudice e di quello che aveva fatto le causò una fitta al petto - che poteva renderlo un docile gattino così come un mostro infernale. Era abbastanza sicura che ci fosse qualcosa al riguardo scritto di suo pugno nel grimorio. Una mano corse alla borsa, accarezzando delicatamente la copertina del libro prima di fare qualunque altra cosa. Esitò un istante prima di afferrarlo e porgerlo al ragazzo. «La strega che mi ha fatto da insegnante era davvero abile con le fiamme. Magari qui c'è scritto qualcosa che può aiutarti... puoi dargli un'occhiata, se vuoi». Solo mentre tendeva il tomo verso Ingwe si rese conto di quanto sarebbe stato incredibilmente doloroso separarsene, anche solo per pochi istanti. Era tutto quello che le restava della sua vita prima di giungere lì, quella che voleva dimenticare ma alla quale si sentiva ancora legata. Voleva andare avanti ma non riusciva a farlo senza guardarsi indietro.
    «Non è necessario, grazie. Non credo servirebbe». Se da un lato fu un dispiacere l'idea di non poterlo aiutare, dall'altro fu sollevata di poter rimettere il grimorio al suo posto, accanto alla pistola, dentro la borsa. «È un qualcosa che posso e che devo fare da solo». Ebbe la sensazione di vedere qualcosa sul suo viso, come un'ombra, qualcosa che non voleva dirle. Le dispiaceva, ma in fondo lo capiva e non poteva di certo biasimarlo. Qualunque fosse il problema, in ogni caso, sperava riuscisse a risolverlo. «In ogni caso, Il dominio del vetro non è un dominio privo di elemento: immaginalo come se fosse un'unione del fuoco, della terra e della luce». Lo vide imitare il suo gesto di sollevare il dito prima di riprendere la spiegazione. Ailis fece per aprire bocca, le labbra socchiuse, ma ci ripensò immediatamente e tacque prima ancora di prendere la parola. In effetti aveva senso. Le era difficile crederlo, ma aveva decisamente senso. Accidenti, quanto lo invidiava. Voleva diventare anche lei così capace. Doveva assolutamente riprendere gli studi, era un imperativo categorico. «Pensato così non sembra più tanto fragile, no? Certo, la struttura molecolare del vetro in sé non è molto solida, ma se la rafforzi utilizzando la magia, potrebbe diventare un materiale più resistente di molti metalli. Per non parlare, essendo il vetro collegato al fuoco, alla possibilità di utilizzarlo anche in stato liquido, riscaldandolo oltre la temperatura di fusione». Nel ricordare l'ustione che aveva subito quando era stata esaminata e pensando a quanto il ghiaccio fuso a contatto con la carne potesse essere doloroso, fu scossa da un forte brivido che la costrinse, per un istante, a stringere gli occhi. Sperava di non doverlo mai provare sulla pelle.
    «In effetti non l'avevo mai visto in quest'ottica» confessò, senza riuscire a celare quanto fosse colpita. Era quasi imbarazzante capire quanto la sua visione della magia, fino a quel momento, fosse stata limitata. Oh, ma aveva tutta l'intenzione di rimediare. I suoi pensieri corsero al libro che aveva in borsa. Forse qualche pagina avrebbe potuto scriverla lei: chissà quanti e quali altri materiali potevano essere gestiti allo stesso modo.
    «Ho un'arma, una spada, che funziona in maniera simile a come ho in mente il dominio del vetro».
    «Bé, hai già un'idea precisa dalla quale partire». Era molto più di quanto lei avesse avuto all'inizio, quando i suoi poteri avevano cominciato a manifestarsi e non sapeva come controllarsi. Era stato un brutto periodo della sua vita, uno dei peggiori.
    Trattenne uno sbuffò divertito quando Ingwe annuì, con una soddisfazione tale che persino lei riuscì a leggerla nel suo sguardo. «Più che altro è semplicemente che l'ho già visto in azione. Tutto quello che ho detto prima riguardo fuoco, terra e luce è solo speculazione da parte mia. Può anche essere che sia possibile manipolare direttamente il vetro senza dover prima imparare a controllare gli altri tre elementi. Posso solo continuare provare. So di potercela fare, ne sono sicuro. Devo solo capire come».
    «Però non è un ragionamento così scontato. Se si rivelasse corretto potrebbe essere la chiave per riuscire a sfruttare il vetro. Però posso capire la difficoltà, sarebbe come utilizzare tre elementi contemporaneamente» rifletté, stirando le labbra. Riusciva solo ad immaginare quanto potesse essere complicato. A quel che le aveva detto riguardo alle sue capacità, Ingwe doveva essere un mago di talento, ma forse quello era troppo anche per lui. Anzi, no: il ragazzo aveva fatto cose che per lei erano impossibili. Manipolare il vetro non era impossibile, solo complicato.
    «Già. Probabilmente quasi troppo difficile. Una soluzione potrebbe essere manipolare il vetro senza crearlo, quindi partendo da quello già presente nelle vicinanze. Solo che... L'ho già visto venire utilizzato, venire creato dal nulla. È diventata quasi una questione di principio».
    Ah, come lo capiva. Le era capitato spesso di intestardirsi su una particolare formula o incantesimo che non riusciva a eseguire. Poteva anche essere la magia più banale e inutile del mondo, ma doveva impararla. E poi a volte bastava prendersi una paura, o affrontare tutto con un diverso approccio. «Potresti sempre iniziare a manipolare il vetro già esistente e, una volta acquisita una certa scioltezza, potresti provare a crearlo. Nessuno ti obbliga a partire dalle cose più difficili. Forse hai bisogno di... abituarti al vetro, per così dire» tentò. Non sapeva quanto le sue parole potessero essere veritiere o utili, ma voleva almeno provare a dargli una mano, come Ingwe stava facendo con lei da quando l'aveva vista uscire da quella porta della biblioteca.
    Ingwe parve dubbioso, ma annuì. «Non so. Tentar non nuoce, comunque». Calò il silenzio e, intuendo che il ragazzo stesse macchinando qualcosa, non osò interromperlo né disturbarlo. Non durò comunque a lungo, perché parve ricordarsi di lei e subito tornò a parlarle. «Per quanto riguarda te, invece?» domandò. «Hai voglia di studiare qualche nuovo elemento o branca della magia?».
    La domanda la colse un po' impreparata. L'idea era davvero allettante e la discussione con il ragazzo non aveva fatto altro che alimentarla, tuttavia dubitava di essere pronta a compiere un simile passo e non aveva mai preso realmente in considerazione quell'eventualità. «N-Non saprei» balbettò. «Credo che la mia manipolazione del ghiaccio sia lontana dall'essere eccellente, quindi non ho mai pensato ad ampliare gli studi ad altre branche. P-Però mi piacerebbe, sì» ammise, timidamente. Si sentiva una maga davvero mediocre in confronto a lui.
    «Capisco. Non conosco le tue capacità riguardo il dominio del ghiaccio, ma se davvero sai trasportarti di mondo in mondo tramite la magia dubito che avrai qualche problema a perfezionare la manipolazione dell'elemento» disse il ragazzo con un sorriso. Si ritrovò ad arrossire e abbassò lo sguardo, mentre con la sinistra si massaggiava una guancia. «Non è una formula così complicata, in realtà» farfugliò, imbarazzata.



    sarà sicuramente pieno di errori, confido di correggerli quando sarò più capace di intendere e volere çwç
     
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    «È... strano. Credevo che la cosa più pericolosa davanti alla quale potessi trovarmi fossero gli inquisitori.» Con un sorriso quasi indulgente, Ingwe annuì. Se solo la cosa più pericolosa fossero stati comuni esseri umani, forse il suo lavoro sarebbe stato più semplice. «Nuovo mondo, nuovi pericoli, suppongo.»
    La risata smorzata uscì dal naso sotto forma di un grugnito leggero.
    «Già.» Concordò con Ailis. «Nuovi pericoli, ma non solo.» Impacciato, portò la destra alla nuca e la massaggiò. «Spesso si tratta anche di nuove conoscenze, nuovi amici. A volte persino una nuova vita, se è ciò che uno cerca.»
    «Lo spero.» L'ombra di un sorriso comparve sul profilo della ragazzina. Adesso in silenzio, i due continuarono a camminare, svoltando in un corridoio laterale. Alla calda luce artificiale si sostituì quella naturale e grigia del pomeriggio primaverile. Lontani, oltre le alte finestre che percorrevano la parete di destra da pavimento a soffitto, metri e metri sotto di loro, si potevano intravedere i tetti colorati del borgo, lucidi e luminosi a causa della pioggia.
    «Dunque,» riprese Ingwe, riportando la mente sull'argomento che aveva preceduto la loro chiacchierata riguardo la natura dell'universo. «sei una maga, giusto?»
    «Non ci chiamano così nel mio mondo, ma sì.» Iniziò subito a rispondere l'altra. «E non sai che sollievo sapere che qui la magia non viene demonizzata.» Con un sospiro, Ingwe osservò Ailis. Sperava davvero che si sarebbe trovata bene, lì, che non avrebbe dovuto soffrire più di quanto non avesse già fatto. Lo sperava con tutto il cuore. «È... è più simile al mio mondo di quanto immaginassi.»
    Fortunatamente lo sarebbe stato solo per l'aspetto e nient'altro. Sorridendo con fare gentile, annuì.
    «Spero ti piaccia.»
    Di nuovo percorsero qualche metro, entrambi intenti a osservare fuori dalle finestre. Poco alla volta, il suo sguardo si spinse in avanti, spostandosi dai tetti del borgo alle mura grigie che circondavano la città in un abbraccio protettivo, sino alle colline che si estendevano per lunghi chilometri oltre il centro abitato, verso la minaccia che risiedeva in quel mondo. Per un istante il suo sguardo si rabbuiò, mentre un leggero senso di malinconia e di sconsolatezza, un'invidia per Ailis, per la vita che lui probabilmente non sarebbe mai più riuscito ad avere, si faceva strada nel suo petto.
    «Sembra davvero bella.» Commentò Ailis riferendosi alla città con la voce carica di meraviglia.
    «Comunque,» Rapido si riprese, scacciando quell'orribile sentimento, allontanandosi dall'autocommiserazione e dai rimpianti. «tornando all'argomento di prima: sei specializzata in qualche branca magica particolare oppure ti destreggi un po' su tutti i campi?»
    «Dire che sono una specialista sarebbe esagerato,» proseguì subito la ragazzina, «però me la cavo con la manipolazione del ghiaccio. Oh, e come ti ho detto prima, me la cavo a spostare cose senza toccarle.» Ascoltando concentrato, Ingwe annuì, facendo cenno di star capendo. «È comodo cucire senza pungerti le dita con l'ago o tagliarti con le forbici.»
    Uno sbuffo divertito uscì dalle narici del ragazzo, mentre ripensava al libro che stava leggendo quando aveva notato Ailis la prima volta.
    «Tu, invece?»
    Un sorriso, una scrollata di spalle e un leggero rossore alle guance furono la risposta iniziale, seguita poco dopo dalle parole.
    «Luce. Sia quella di cui ti ho detto prima, che quella più...» Per un istante tentennò, alla ricerca della parola giusta. «...materiale?» La testa leggermente inclinata di lato pensò un secondo al termine che aveva scelto, insicuro, solo per dirsi subito dopo che non importava. «Oltre a ciò, me la cavo un po' con la magia non-elementale e, come te, a spostare gli oggetti senza toccarli. Ah, e direi che ho una discreta conoscenza anche di alcuni incantesimi di guarigione. Poi, anche se più di recente, sto tentando di cimentarmi nella manipolazione del fuoco e del vetro.» Per quanto gli desse fastidio ammetterlo, gli incantesimi utilizzati da Froheim nel loro scontro erano stati impressionanti e, essendo quell'essere l'incarnazione della sua Oscurità, gli era venuto naturale pensare che forse anche lui sarebbe stato in grado di utilizzare quei poteri. Preferibilmente senza attingere direttamente a qualunque cosa fosse restata dell'altro dentro di lui; se poi fosse stato possibile evitare che il suo aspetto venisse ulteriormente influenzato da quello dell'altro, ne sarebbe stato davvero grato. «Nonostante i risultati lascino abbastanza a desiderare.» Ammise, riprendendosi dai suoi pensieri. «E poi c'è il volo, come hai visto prima.»
    «Si può manipolare qualcosa che non sia un elemento?» Incuriosito dallo stupore e dall'interesse che sentiva nella sua voce si voltò verso Ailis. «Solo che... come pensi di utilizzarlo? Non è un po' troppo fragile? Anche se può sembrare strano detto da una che manipola il ghiaccio. Però quello almeno è freddo.»
    Nascondendo il sorriso col dorso della mano di fronte all'improvviso mutamento caratteriale dell'altra, Ingwe annuì.
    «La mia maestra» proseguì Ailis, braccio alto e indice teso verso il soffitto. «diceva che la pratica rende perfetti. La mia compagna di studi, che se una cosa non ti riesce è perché non ti stai impegnando abbastanza. In sintesi, devi solo continuare a provare. Mi hai appena dimostrato che quello che credevo impossibile è realtà. Quindi puoi riuscire a destreggiarti con fuoco e vetro.» L'indice si abbassò e la mano corse verso la borsa. Incuriosito, il Custode attese, mentre Ailis esitava prima di estrarre il tomo che gli aveva mostrato già prima. «La strega che mi ha fatto da insegnante manipolava il fuoco, principalmente. Magari c'è qualcosa che può aiutarti... puoi dargli un'occhiata, se vuoi.»
    Colpito, Ingwe batté velocemente le palpebre, prima di scuotere la testa, un'espressione di scuse e gratitudine in volto.
    «Non è necessario, grazie. Non credo servirebbe.» Non era un qualcosa di risolvibile con lo studio o semplice pratica, quello: se gli elementi che voleva padroneggiare erano in mano a Froheim, allora voleva dire che era lui che doveva trovarli dentro di sé per poterne assumere il controllo. Dubitava che la maestra di Ailis avesse qualche suggerimento adatto alla sua situazione. Fu pensando a quello che si fermò e si voltò verso la ragazzina, cercando di fornire un'ulteriore spiegazione a fronte del suo rifiuto. «È un qualcosa che posso e che devo fare da solo.»
    Rapido sorrise, nel tentativo di scacciare l'ombra che era calata sul suo volto e di rassicurare qualunque dubbio o ansia l'altra potesse celare.
    «In ogni caso,» Riprese subito, mentre tornava a camminare. «Il dominio del vetro non è un dominio privo di elemento: immaginalo come se fosse un'unione del fuoco, della terra e della luce.» Questa volta fu il suo turno di alzare l'indice in aria. «Pensato così non sembra più tanto fragile, no? Certo, la struttura molecolare del vetro in sé non è molto solida, ma se la rafforzi utilizzando la magia, potrebbe diventare un materiale più resistente di molti metalli. Per non parlare, essendo il vetro collegato al fuoco, alla possibilità di utilizzarlo anche in stato liquido, riscaldandolo oltre la temperatura di fusione.» La sua mente tornò al combattimento contro Froheim, alle magie che aveva visto venire utilizzate contro di lui, a tutto quello che gli era stato scagliato contro. «Ho un'arma, una spada, che funziona in maniera simile a come ho in mente il dominio del vetro.»
    «Oh! In effetti non l'avevo mai visto in quest'ottica. Bé, hai già un'idea precisa dalla quale partire.»
    Soddisfatto e in un certo senso inorgoglito dalle parole dell'altra, Ingwe annuì.
    «Più che altro è semplicemente che l'ho già visto in azione. Tutto quello che ho detto prima riguardo fuoco, terra e luce è solo speculazione da parte mia. Può anche essere che sia possibile manipolare direttamente il vetro senza dover prima imparare a controllare gli altri tre elementi. Posso solo continuare provare. So di potercela fare, ne sono sicuro. Devo solo capire come.» Come superare quel muro invisibile contro cui si scontrava ogni volta, come superare le barriere che gli impedivano di accedere ai poteri di Froheim, a quei poteri che avrebbe potuto utilizzare come Custode, per aiutare i suoi compagni e dimostrare di essere veramente degno di far parte di quel gruppo.
    «Però non è un ragionamento così scontato. Se si rivelasse corretto potrebbe essere la chiave per riuscire a sfruttare il vetro. Però posso capire la difficoltà, sarebbe come utilizzare tre elementi contemporaneamente.»
    Ingwe annuì, trovandosi d'accordo con le idee appena espresse dall'altra.
    «Già. Probabilmente quasi troppo difficile. Una soluzione potrebbe essere manipolare il vetro senza crearlo, quindi partendo da quello già presente nelle vicinanze. Solo che...» Non era quella la strada che voleva intraprendere. Irritato colpì con la punta dell'indice lo zigomo. «L'ho già visto venire utilizzato, venire creato dal nulla. È diventata quasi una questione di principio.»
    «Potresti sempre iniziare a manipolare il vetro già esistente e, una volta acquisita una certa scioltezza, potresti provare a crearlo. Nessuno ti obbliga a partire dalle cose più difficili. Forse hai bisogno di... abituarti al vetro, per così dire.»
    Normalmente sarebbe potuta essere un'idea, ma data la sua situazione attuale dubitava che quel consiglio potesse essergli di qualche aiuto.
    Un'espressione dubbiosa in volto, annuì.
    «Non so. Tentar non nuoce, comunque.» Pensando alle possibilità, il giovane continuò a camminare, perso in congetture e idee, mormorando sottovoce tra se e se, appuntando mentalmente idee e pensieri. Fu solo dopo lunghi secondi di borbottii che si ricordò di avere una persona vicino. «Per quanto riguarda te, invece?» Iniziò lentamente. «Hai voglia di studiare qualche nuovo elemento o branca della magia?»
    «N-Non saprei. Credo che la mia manipolazione del ghiaccio sia lontana dall'essere eccellente, quindi non ho mai pensato ad ampliare gli studi ad altre branche. P-Però mi piacerebbe, sì.» Rispose tra i balbettii Ailis.
    Di nuovo Ingwe sorrise, divertito dalla reazione e dal comportamento della ragazzina.
    «Capisco. Non conosco le tue capacità riguardo il dominio del ghiaccio, ma se davvero sai trasportarti di mondo in mondo tramite la magia dubito che avrai qualche problema a perfezionare la manipolazione dell'elemento.»
    «Non è una formula così complicata, in realtà.» Sentì farfugliare poco lontano da lui.
    La risata, sincera, leggera e gentile, priva di scherno, uscì spontanea. «Potrà anche essere, ma resta di fatto resta vero che conosco davvero pochi maghi che sono riusciti a imparare un incantesimo simile grazie ai libri.»
    Un nuovo balbettio giunse alle sue orecchie, un ringraziamento sottovoce. Con uno sbuffo e un sorriso si voltò verso Ailis.
    «Di niente.»
    «Se...» Ancora esitazione e dubbio, misti a una punta di imbarazzo. «se volessi cimentarmi con qualcos'altro, cosa mi consiglieresti?»
    Sorpreso, Ingwe inarcò le sopracciglia, prima di aggrottarle l'istante successivo ritirandosi nei suoi pensieri. In tutta onestà non ne aveva idea. Immediatamente collegati all'elemento del ghiaccio potevano esserci aria e acqua, ma se non aveva ancora completo dominio sul gelo forse sarebbe stato meglio rimanere concentrati su quello, prima.
    «Hm.» Per qualche secondo rimase in silenzio, il pollice a massaggiare la linea della mascella. «Probabilmente l'ideale sarebbe passare dal ghiaccio all'acqua. Potresti farlo anche adesso, se te la sentissi, ma prima finirei di specializzarmi nel controllo del gelo. E poi,» proseguì sorridendo, «devi prima imparare a volare, no?» Con un grugnito si stiracchiò, portando le braccia sopra la testa. «Una cosa alla volta, quindi.»
    Non che avesse proprio il diritto di parlare e offrire consigli al riguardo, visto come si stava impegnando su più argomenti allo stesso tempo.
    «Giusto.»
    Come a sottolineare l'affermazione dell'altra, Ingwe annuì. No, anche se lui non stesso non stava seguendo il proprio consiglio, le loro situazioni erano diverse, molto. Non avrebbe avuto senso per lui concentrarsi solo su fuoco o vetro: Froheim era il fattore che collegava e univa quelle abilità. Era su di lui che doveva concentrarsi. Lentamente il suo sguardo si spostò in avanti, alla ricerca della sua destinazione: non troppo lontano, alla sua sinistra, lungo la parete interna, il giovane poté scorgere la nicchia vuota di una delle funivie che percorrevano il castello. Di nuovo osservò oltre le finestre, verso il cielo nuvoloso che minacciava di non voler smettere di far piovere per ancora un bel po' di tempo. In caso, Ailis avrebbe atteso nell'ingresso del bastione fino a quando non fosse tornato il sole. Forse sarebbe anche dovuto restare a farle compagnia, vista la situazione dell'altra. Non che fosse un problema, ammise con un accenno di un sorriso sul volto: non era male parlare con Ailis, si trattava di una buona interlocutrice, sopratutto visto il loro interesse comune nei confronti della magia. Forse si sarebbero potuti rivedere, se fosse rimasta a Radiant Garden.
    Il Custode aggrottò un attimo le sopracciglia, mentre un piccolo dubbio prendeva forma nella sua mente. L'aveva rassicurata riguardo le locande e la possibilità di trovare un alloggio, ma c'era una cosa che non si era chiesto: come avrebbe fatto a pagarsi una stanza? Le avrebbe potuto prestare una piccola somma di denaro, abbastanza per potersi permettere due o tre notti sotto un tetto e con del cibo caldo, ma non poteva -e in tutta onestà non voleva- darle niente di più. Se fosse stato necessario l'avrebbe aiutata a trovare un lavoro, ma dubitava ci sarebbe stato bisogno di un suo intervento: la città era in disperato bisogno di aiuto per ricostruire le case e liberare le strade dalle macerie al momento e ogni paio di mani in più era gradito e ricompensato. Ciò non toglieva che fosse comunque preoccupato al riguardo.
    «Hmm, hai già qualche idea su cosa fare per vivere?» Chiese finalmente, un po' curioso e un po' all'erta.
    «Se possibile, mi piacerebbe tornare a fare la sarta. Però penso che mi accontenterei di qualunque cosa mi permetta di avere un tetto sopra la testa.» Non così sorpreso come sarebbe dovuto realmente essere, Ingwe annuì. Si era dimenticato che l'altra aveva accennato prima a cucire senza pungersi le dita. Certo, sul momento non aveva pensato si trattasse di lavoro, ma più di un passatempo o una necessità. «Tu, invece? Sei uno studente o lavori? O entrambe le cose?»
    Di nuovo sorrise, mentre con una leggera punta di imbarazzo distoglieva lo sguardo e lo posava verso il pavimento.
    «Lavoro. Faccio parte del Comitato di Sicurezza della città.» Sesto seggio su otto, ultimo arrivato e ultimo Custode conosciuto ad avere ottenuto un Keyblade. Per ora. Con tutta probabilità, considerando la guerra attualmente in corso e quello che gli era stato detto dai suoi compagni, c'era già qualcun altro che stava venendo sottoposto all'esame della Chiave.
    «Mi sembri giovane, però.»
    In silenzio sorrise. Non che il Keyblade tenesse molto conto dell'età di chi sceglieva. In fondo, Sora aveva ottenuto l'arma ad appena quindici anni e lo stesso discorso valeva per Maestra Aqua e Ventus. Una smorfia che tradiva un leggero fastidio apparve sul suo volto.
    «Lo sono.» Che poi, chi era il più vecchio all'interno del Comitato? Eccetto lui e Nivis, gli altri membri erano tutti tra i venti e i trent'anni. «Nessuno dei miei compagni supera i trenta.»
    Forse Re Topolino si stava dirigendo verso i quaranta. Non che fosse capace di decifrare l'età del monarca, dopotutto. Ma d'altronde, il Re Custode ancora adesso rimaneva un mistero ai suoi occhi.
    «Davvero?» La voce della ragazzina lo fece tornare bruscamente alla realtà. «Tu, comunque, mi sembri molto più che sotto i trenta.»
    Di nuovo rise, colto alla sprovvista da quell'affermazione così sincera.
    «Grazie e per fortuna, oserei aggiungere.» Riprese senza riuscire a togliersi un ghigno divertito dal volto. «Credo che a pochi piacerebbe dimostrare quasi il doppio dei propri anni.»
    Un sorriso incurvò le labbra dell'altra. «Ma allora sei più giovane di me.»
    Interdetto e sorpreso, Ingwe osservò il vuoto, un sorriso vago ancora presente sulle labbra. «Come?»
    No, Ailis poteva essere più giovane. O se lo era, allora mostrava davvero molti anni di meno di quanti ne avesse veramente.
    «Se trent'anni sono più o meno il doppio della tua età, vuol dire che hai tra i quattordici e i sedici anni, no? O giù di lì. Io ne ho quasi venti. Diciannove, per la precisione.»
    Aveva preso la sua precedente affermazione troppo letteralmente. Tentando di nascondere lo stupore e lo sciocco sorriso comparsi sul suo volto, sbuffò dal naso.
    «Diciotto il tredici luglio. E pensare che credevo fossi più piccola di me.» Ammise distogliendo lo sguardo.
    «Resto comunque la più grande.» Replicò Ailis con una risata leggera. Con uno sbuffo divertito, Ingwe imitò l'altra, mentre le guance si coloravano di rosa. «In molti sbagliano. Dicono tutti che sembro più piccola.» Con leggero imbarazzo, il giovane si massaggiò la nuca.
    «Hm...» Non era nuovo a quel genere di discorsi, visto che accadeva spesso anche con lui. Molti lo credevano di uno o due anni più giovane di quanto non fosse, per non parlare poi che nessuno si sarebbe aspettato vedendolo che fosse un Custode o anche solo capace di combattere. Incuriosito tornò ad osservare Ailis, mentre arricciava il labbro superiore in un sorriso divertito. «A tal proposito, quanti anni pensavi avessi?»
    Con un movimento morbido si fermò di fronte al vano della funivia e poggiò una mano sul pannello alla sua sinistra, richiamando la cabina.
    «A guardarti, massimo massimo sedici. Diciassette ad essere generosi.»
    Non era sorpreso, e la risatina soddisfatta che si fece sfuggire ne era la prova.
    «Funziona con la magia?»
    Subito comprese a cosa la ragazza si riferisse. Il filo azzurrino tremolava mentre l'energia che lo attraversava muoveva le piattaforme e le cabine parte della funivia.
    «Esatto.» Rispose rispondendo affermativamente alla domanda dell'altra. «Non saprei dirti di preciso come, tuttavia. So solo che le cabine si muovono grazie a vari sistemi magici su tracciati predefiniti e che queste-» Così come aveva fatto Nivis la prima volta che gli aveva mostrato la funivia, Ingwe batté due nocche in aria. Due cerchi dalle sfumature dorate e lilla apparvero laddove la sua pelle aveva sfiorato la barriera, rivelandone la presenza. «-barriere sono alimentate dallo stesso sistema.»
    «E... cosa fa, precisamente?» Sfrigolando e sferragliando, la cabina si stava lentamente avvicinando a loro.
    «Serve per muoversi più velocemente all'interno del castello. Districarsi quotidianamente a piedi tra tutti i corridoi, saloni, scale e torri considerando l'ampiezza del bastione richiederebbe davvero troppo tempo altrimenti.» Per non parlare del fatto che quel luogo era un vero e proprio labirinto. Aveva provato una volta a esplorare a piedi il castello, ma aveva dovuto rinunciare dopo diverse ore in cui aveva continuato a vagare per stanze e luoghi che non aveva mai visto senza riuscire a trovare la strada per tornare nella torre degli alloggi o in un qualunque luogo a lui noto. Alla fine aveva risolto il problema alla radice saltando fuori da una finestra e tornando in volo all'entrata. Con un brivido di paura si ricordò di come il castello si estendesse più sottoterra che sulla superficie e di come in caso si fosse perso nei sotterranei non ci sarebbe stata nessuna finestra da cui saltare fuori.
    «Oh! Immagino che il primo requisito per entrare a far parte del Comitato sia avere un'ottima memoria, per ricordare la strada verso l'uscita.» Esclamò l'altra, tentando di fare una battuta.
    Più per gentilezza che non per vero divertimento, Ingwe ridacchiò.
    «Forse non proprio il primo, ma di sicuro è un requisito indispensabile.» Un fruscio e la barriera di fronte a loro scomparve, lasciandoli liberi di accedere alla cabina. Cortese, il Custode rimase fermo, facendo cenno all'altra di entrare.
    La vide titubare e muovere incerta le gambe, ma alla fine Ailis salì sulla piattaforma.
    «È come una carrozza. Ma più piccola. E senza cavalli. Né conducente.»
    Sorridendo, Ingwe la seguì a bordo. Una piccola idea scintillò nel retro della sua mente, attirando la sua attenzione.
    «E vola.» Iniziò ad aggiungere con un sorriso furbo in volto, mentre la cabina partiva. «E si muove da sola. E potrebbe scontrarsi con un'altra cabina che viene dalla direzione opposta.»
    «Oh bé, quello lo fanno anche le carrozz—come potrebbe scontrarsi?!»
    Di nuovo rise, divertito più di quanto avesse previsto dalla reazione e dalla faccia dell'altra, una mano davanti alla bocca in modo da coprire labbra e denti scoperti.
    «Scherzavo, scusa.» Ammise, per niente dispiaciuto, strofinando con la nocca dell'indice contro il naso. Senza pietà, lo sguardo accusatorio di Ailis restò fermo su di lui per diversi secondi, alimentando l'imbarazzo che provava.
    Una risata spezzata e sottovoce sfuggì di nuovo alle sue labbra, mentre abbassava gli occhi verso il pavimento metallico, tentando di evitare il contatto visivo.
    «È stato uno scherzo di pessimo gusto.»
    Forse aveva esagerato a prendersi una simile confidenza con una persona che aveva appena conosciuto, ammise.
    «Scusa.» Disse con tono pacato ma decisamente più dispiaciuto di prima. Un nuovo sfrigolio accompagnò la sua voce, mentre la funivia svoltava verso destra. Lontana, in fondo al corridoio, una luce ambrata si spingeva fino a loro.
    Un broncio fin troppo visibilmente finto era comparso sul volto dell'altra, accompagnato da guance gonfiate in maniera ridicola.
    «Scuse accettate.» Mordendosi il labbro inferiore, trattene la risata e spostò di nuovo lo sguardo.
    In silenzio si appoggiò a uno dei bracci metallici della cabina, lo sguardo perso di fronte a lui, verso la luce del salone principale.
    «Mi ci vorrà un po' per abituarmi a tutto questo.»
    Il divertimento e la spensieratezza vennero spazzati velocemente via dal tono assunto dall'altra. Fu quasi con tristezza che tornò ad osservare Ailis. Per un momento rimase in silenzio, riflettendo su quell'ultima affermazione, su come nemmeno lui fosse ancora veramente abituato a tutto quello.
    «È normale. Ancora non mi ci sono del tutto abituato nemmeno io.» Per un istante attese, riprendendo fiato, l'espressione che mostrava la sua incertezza. «Spesso potrà sembrare che le cose vadano troppo velocemente, che gli eventi accadono troppo in fretta, che non riesci a stargli dietro. Ogni volta che credi di essere riuscito a comprendere tutto quello che c'era da sapere, accade qualcosa di nuovo, qualcosa che sconvolge il tuo mondo e ti fa ripensare a tutto quello che è successo sin da quando sei qui. È come se il tempo scorresse più velocemente del normale.» Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno c'era sempre qualcosa di nuovo, qualche imprevisto, qualche incidente, qualche Heartless o Nessuno. Di sicuro la vita non era monotona da quelle parti, si trovò a commentare con una buona dose di sarcasmo nella sua mente. «Però, forse, è meglio così.» Di nuovo i suoi pensieri vagarono, allontanandosi da Ailis e tornando a tutte le amicizie che aveva fatto, alle persone che aveva incontrato. «Niente ristagna e tutto continua a scorrere in avanti.» Possibilmente, aggiunse tra se e se, senza dare voce a quel pensiero, verso un finale in cui nessuno di loro avrebbe avuto rimpianti.
    «Non è poi così male. Certo, forse si ha la sensazione di restare indietro, ma in fondo ognuno si muove al proprio passo. Bisogna solo trovare un compromesso.»
    In silenzio, trattenendo un sospiro, Ingwe si morse l'interno delle guance. Aveva ragione: era quello che lui aveva fatto e, in tutta onestà, ne era stato più che soddisfatto. Certo, aveva ottenuto il Keyblade, assicurazione del fatto che avrebbe avuto una vita ardua e incerta -a dir poco-, ma allo stesso tempo aveva trovato il Comitato, aveva trovato nuovi amici, nuovi compagni, persone forti che lo circondavano e lo rassicuravano, persone che sapeva sarebbe stato difficile perdere. E ciò lo rendeva felice, più di quanto probabilmente non fosse mai stato in tutta la sua vita. Un sorriso sciocco prese forma sul suo viso, mentre si voltava verso Ailis.
    «In fondo, la vita è fatta di compromessi, no? Forse non è molto incoraggiante detta così, ma… dipende tutto dal compromesso che uno trova. Credo.» Concluse grattandosi di nuovo la guancia con palese imbarazzo. Non era bravo a parlare di queste cose: finiva sempre con fare discorsi sdolcinati.
    «Immagino di sì.»
    Più convinto di prima, annuì.

     
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    La risata di Ingwe le parve così spontanea che non si sentì presa in giro. Anche volendo, non sarebbe riuscita a offendersi. Si passò il palmo aperto della mano destra sulla guancia, forse nella speranza che il gesto potesse far sparire la prova evidente del suo imbarazzo. I complimenti la mettevano sempre un po' a disagio: non sapeva come rispondere, come gestirli, era complicato e non era mai riuscita a capire quale fosse il modo corretto di porsi in quelle circostanze.
    «Potrà anche essere, ma resta di fatto vero che conosco davvero pochi maghi che sono riusciti a imparare un incantesimo simile grazie ai libri» proseguì il ragazzo e di conseguenza Ailis si ritrovò ad arrossire ancora di più, con le orecchie calde al punto che sembravano andare a fuoco. La magia era una delle poche cose in cui era minimamente capace e ricevere degli elogi in quel campo la lusingava e allo stesso tempo la riempiva di vergogna. Balbettò un ringraziamento a bassa voce, con gli occhi abbassati, e non ebbe bisogno di guardare Ingwe per percepire il suo sorriso gentile mentre chiudeva la questione: «Di niente».
    Aspettò qualche istante, giusto il tempo di sentire il calore che le bruciava il viso scemare un po' e avere la certezza di aver ripreso un colorito normale, prima di prendere la parola. Ancora faticava a credere che il Custode riuscisse a destreggiarsi in più campi della magia e puntasse a specializzarsi in altri ancora. Chissà, con un po' di allenamento avrebbe potuto riuscirci anche lei? «Se...» cominciò, titubante. Forse non era il caso di disturbarlo per simili sciocchezze. Però allo stesso tempo era curiosa, desiderava imparare e... forse era un'opportunista. No, anzi, lo era sicuramente. Ma aveva l'occasione di avere un parere da qualcuno più esperto di lei. Per quanto potesse cavarsela, studiava la magia da pochissimo tempo e sfortunatamente non in modo assiduo e continuativo come avrebbe voluto. «Se volessi cimentarmi con qualcos'altro, cosa mi consiglieresti?» chiese.
    Lo vide dubbioso mentre rifletteva sulla risposta da darle. «Hm» mugugnò, prendendosi qualche altro secondo per riflettere. «Probabilmente l'ideale sarebbe passare dal ghiaccio all'acqua. Potresti farlo anche adesso, se te la sentissi, ma prima finirei di specializzarmi nel controllo del gelo. E poi, devi prima imparare a volare, no?» le fece notare con un sorriso, per poi alzare le braccia e stiracchiarsi. «Una cosa alla volta, quindi».
    Forse si stava illudendo, forse aveva frainteso, forse il custode aveva usato una pessima scelta di parole, ma sembrava quasi una velata promessa di insegnarle, o forse anche solo un'esortazione, come a dirle che poteva farcela. Andava bene in ogni caso e si ritrovò a sorridere senza nemmeno rendersene conto. «Giusto» concordò, mentre i suoi pensieri si allontanavano da lì, pensando a tutto quello che avrebbe potuto fare. Una volta perfezionato il dominio del ghiaccio avrebbe potuto provare con l'acqua o con l'aria, o forse con entrambi. Per non parlare del volo. La sola idea di librarsi in cielo, priva di peso, la elettrizzava al punto che in altre circostanze si sarebbe messa a saltellare e gridacchiare in modo molto poco dignitoso e consono.
    La sua mente ancora vagava nel mare di opportunità che aveva davanti quando Ingwe le parlò, cambiando completamente argomento. «Hmm, hai già qualche idea su cosa fare per vivere?».
    Annuì. «Se possibile, mi piacerebbe tornare a fare la sarta. Però penso che mi accontenterei di qualunque cosa mi permetta di avere un tetto sopra la testa». Rimettersi a fare quel lavoro avrebbe senz'altro comportato essere vittima di ricordi dolorosi, ma in cuor suo sapeva di non poter fare troppo la schizzinosa. Era l'unico mestiere di cui fosse pratica e aveva bisogno di soldi. E aveva orgoglio a sufficienza per impedirsi di chiedere denaro ad altri. «Tu, invece? Sei uno studente o lavori? O entrambe le cose?».
    «Lavoro» rispose prontamente l'altro. «Faccio parte del Comitato di Sicurezza della città».
    Bé, ma allora era effettivamente una guardia, o comunque qualcosa del genere. Nel scoprirlo, si sentì ancor più fortunata e riconoscente per il fatto che non l'avesse arrestata o chissà cos'altro. Allo stesso tempo, però, aggrottò appena la fronte. «Mi sembri giovane, però» notò. Chissà cosa l'aveva spinto ad unirsi ad un'organizzazione simile. Oppure c'era la leva obbligatoria in quel mondo? Non che avesse il diritto di lamentarsi, dopotutto: la sua famiglia aveva tentato di addestrarla fin da piccola. Però non le sembrava comunque giusto, specie perché non si trattava di una scelta, ma di un'imposizione.
    «Eh» commentò il ragazzo. «Nessuno dei miei compagni supera i trenta».
    La notizia parve stupirla. «Davvero?» chiese. C'era da domandarsi sul perché, in realtà. Si veniva congedati quando si era ancora relativamente giovani? Sperava che non fosse perché tutti i componenti del Comitato sopra quella soglia d'età fossero morti in missione. I Cacciatori, da dove proveniva, lasciavano il loro ruolo solo quando diventava loro impossibile combattere, per l'avanzare dell'età o per qualche grave ferita riportata negli scontri. «Tu, comunque, mi sembri molto più che sotto i trenta» disse, nel tentativo di non pensare all'eventualità della morte prematura di giovani guardie.
    Qualcosa nelle sue parole suscitò una risata improvvisa in Ingwe. «Grazie e per fortuna, oserei aggiungere. Credo che a pochi piacerebbe dimostrare quasi il doppio dei propri anni» chiarì, senza perdere l'espressione divertita che aveva in viso.
    Ailis aprì la bocca per scusarsi di essere stata indelicata e maleducata, ma si interruppe prima ancora di cominciare e arricciò le labbra. Si fece due rapidi conti e poi le sfuggì un sorriso. «Ma allora sei più giovane di me» concluse.
    «Come?» fece lui dopo qualche istante di esitazione.
    Non era la prima volta che vedeva quell'espressione stupita sul volto delle persone nello scoprire che era più grande di quanto apparisse. La cosa la divertiva un po', a essere sincera. «Se trent'anni sono più o meno il doppio della tua età, vuol dire che hai tra i quattordici e i sedici anni, no? O giù di lì. Io ne ho quasi venti. Diciannove, per la precisione».
    Ingwe sbuffò, cercando di nascondere un sorriso. «Diciotto il tredici luglio» precisò. «E pensare che credevo fossi più piccola di me».
    «Resto comunque la più grande» cinguettò allegramente, senza riuscire a privarsi dell'espressione compiaciuta che aveva stampata in faccia. La differenza d'età tra di loro non era così grande come aveva ipotizzato in un primo momento, ma quell'anno o poco più di vantaggio le dava automaticamente – dal suo punto di vista – il diritto di considerarsi e diventare una sorta di mamma chioccia. «In molti sbagliano. Dicono tutti che sembro più piccola».
    «A tal proposito, quanti anni pensavi avessi?» chiese, a quel punto giustamente incuriosito.
    «A guardarti, massimo massimo sedici. Diciassette ad essere generosi» rivelò. Mentre parlava, colse il gesto del ragazzo nell'appoggiarsi ad un pannello, ma non capì a cosa servisse. Quasi temette un suo malore e pensò di quei movimenti come la ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi per non cadere, ma Ingwe sembrava stare bene. I rumori del macchinario che si attivava la colsero impreparata e la spaventarono, facendola sobbalzare. Si voltò nel tentativo di individuare da dove provenissero quei suoni e notò una sorta di... grossa scatola che si stava dirigendo verso di loro, sospesa nel vuoto. La guardò con un misto di stupore e curiosità, ma anche con un certo timore. «Funziona con la magia?» domandò – e c'era d'aspettarselo che la prima cosa che avrebbe chiesto al riguardo sarebbe stata di quel tenore.
    «Esatto. Non saprei dirti di preciso come, tuttavia. So solo che le cabine si muovono grazie a vari sistemi magici su tracciati predefiniti e che queste-», accompagnò le parole ad un leggero colpo delle dita contro quella che doveva essere una sorta di superficie invisibile, perché subito dopo dei cerchi colorati apparvero proprio nel punto in cui le nocche si erano appoggiate, «-barriere sono alimentate dallo stesso sistema».
    Se avesse avuto carta e penna a disposizione – non il grimorio, però – si sarebbe messa a prendere appunti al riguardo. Doveva essere meraviglioso un mondo in cui la magia veniva usata anche per le cose di tutti i giorni, come quella... qualunque cosa fosse. Non vedeva l'ora di scoprire per cos'altro venisse usata, cos'avevano inventato e come avessero deciso di impiegarla. ««E... cosa fa, precisamente?»» domandò, mentre osservava in lontananza quella specie di grossa... cos'era? Una gabbia? Una specie di gazebo?
    «Serve per muoversi più velocemente all'interno del castello. Districarsi quotidianamente a piedi tra tutti i corridoi, saloni, scale e torri considerando l'ampiezza del bastione richiederebbe davvero troppo tempo altrimenti».
    «Oh!» esclamò la ragazza, impressionata. In effetti quel posto era immenso e labirintico. Non poteva biasimarli per aver adottato una soluzione decisamente più comoda. «Immagino che il primo requisito per entrare a far parte del Comitato sia avere un'ottima memoria, per ricordare la strada verso l'uscita» commentò, in un pessimo tentativo di fare una battuta. Ingwe ridacchiò, ma dubitava che fosse realmente divertito. «Forse non proprio il primo, ma di sicuro è un requisito indispensabile».
    Un fruscio di fronte a loro le suggerì che la barriera invisibile fosse svanita e il Custode le fece cenno di andare. Mosse prima una mano in avanti per assicurarsi che non ci fossero più ostacoli. Un po' titubante – quella cosa non le sembrava esattamente stabile – mise un piede in avanti per entrare e poi anche l'altro. Si spostò di lato per lasciare al ragazzo lo spazio per passare. «È come una carrozza. Ma più piccola. E senza cavalli. Né conducente» disse, ma più a se stessa per tranquillizzarsi che a Ingwe.
    «E vola. E si muove da sola» proseguì lui. «E potrebbe scontrarsi con un'altra cabina che viene dalla direzione opposta».
    «Oh bé, quello lo fanno anche le carrozz—come potrebbe scontrarsi?!» esclamò con voce stridula non appena si rese effettivamente conto di quel che Ingwe aveva appena detto. L'idea di stare in quel veicolo, sospesa nel vuoto, col rischio di schiantarsi contro un'altra cabina e precipitare per chissà quanti metri, adesso la terrorizzava.
    La risata del ragazzo che seguì subito dopo – e che lui tentava malamente di mascherare coprendosi il viso con una mano - sciolse buona parte della tensione che si era creata, anche se qualche nodo, quando lanciò un'occhiata sotto di loro, rimase bello stretto. Non soffriva di vertigini, ma nel caso di una qualche avaria la caduta sarebbe stata bella lunga. «Scherzavo, scusa».
    Guardò Ingwe come se avesse appena cercato di attentare alla sua vita, ma non riuscì a celare quel sollievo che l'aveva pervasa nello scoprire che non stava dicendo sul serio. «È stato uno scherzo di pessimo gusto» borbottò. Non si era offesa, solo sinceramente spaventata – per quanto fosse in parte colpa sua, avrebbe dovuto intuirlo subito. Avrebbe dovuto averci fatto l'abitudine, ormai. Valerie, spesso con la complicità di Constance, si divertivano molto a farsi beffe di lei. Una volta le avevano fatto credere che uno spirito maligno dimorasse in uno degli armadi del negozio e per un mese intero se ne era tenuta alla larga e aveva ricercato un modo per scacciarlo. Inutile dire che quelle due streghe – inteso in ogni possibile accezione del termine – si erano sbellicate dalle risate ai suoi danni.
    Quando Ingwe parlò di nuovo, le parve sinceramente dispiaciuto. «Scusa» disse con tono pacato. Forse aveva esagerato: non era davvero arrabbiata oppure offesa, solo un po' spaventata. Il terrore l'attanagliò per un istante mentre la cabina svoltava a destra, ma quando ebbe l'impressione che si fosse tutto stabilizzato, si tranquillizzò.
    Guardò il ragazzo mentre gonfiava le guance per assumere il broncio più finto e buffo che riusciva a fare. Si sciolse poi, e sorrise ancora. «Scuse accettate» disse. Portò una mano sulla parete della cabina, muovendola appena come se stesse cercando di aggraziarsi un animale feroce con delle coccole. «Mi ci vorrà un po' per abituarmi a tutto questo».
    «È normale. Ancora non mi ci sono del tutto abituato nemmeno io» fu la risposta di Ingwe. Le parve che il ragazzo esitasse un momento, forse solo uno di troppo, prima di continuare a parlare. «Spesso potrà sembrare che le cose vanno troppo velocemente, che gli eventi accadono troppo in fretta, che non riesci a stargli dietro. Ogni volta che credi di essere riuscito a comprendere tutto quello che c'era da sapere, accade qualcosa di nuovo, qualcosa che sconvolge il tuo mondo e ti fa ripensare a tutto quello che è successo sin da quando sei qui. È come se il tempo scorresse più velocemente del normale». Non c'era bisogno di essere un genio per capire che qualcosa non andava. O meglio, che qualcosa, in passato, non era andato come Ingwe avrebbe voluto, o era semplicemente successo e aveva cambiato tutto, probabilmente non in meglio. «Però, forse, è meglio così. Niente ristagna e tutto continua a scorrere in avanti».
    Mosse appena le dita appoggiate sul metallo della struttura, piegandole come se avesse avuto l'impulso di chiuderle a pugno, ma senza portare il gesto a compimento. «Non è poi così male» mormorò. Ailis sapeva di avere un bisogno quasi viscerale di cambiamenti e, più velocemente fossero arrivati, meglio sarebbe stato. Era stanca di... di ristagnare. Di restare lì, ferma, senza concludere niente. Senza mai fare nulla di buono, nulla che potesse rendere felice lei o chi le stava attorno. Si schiarì appena la voce, rendendosi conto che Ingwe doveva averla sentita a malapena. «Certo, forse si ha la sensazione di restare indietro, ma in fondo ognuno si muove al proprio passo. Bisogna solo trovare un compromesso». Forse era ipocrita che proprio Ailis parlasse così, lei che scappava ogni volta per evitare il confronto.
    Fu inaspettato, data la situazione, vederlo sorridere. «In fondo, la vita è fatta di compromessi, no? Forse non è molto incoraggiante detta così, ma… dipende tutto dal compromesso che uno trova. Credo». Sembrava un po' imbarazzato nel fare simili discorsi. La cosa la intenerì un po'. «Immagino di sì».
    La cabina continuava a muoversi a velocità costante, fortunatamente senza oscillare e senza fare rumori troppo strani che potessero farle presagire una morte improvvisa e prematura. Forse poteva anche cominciare a rilassarsi un po' e godersi il viaggio e gli agi che comportava quella... quella cosa che li trasportava da una parte all'altra.
    «Se posso sapere... come mai siete tutti così giovani nel Comitato? Non ci sono, non so, veterani?» domandò.
    Probabilmente la sua curiosità lo aveva messo in difficoltà. Lo notò nel suo stringere le labbra, negli occhi che si spostavano altrove, nella mano che saliva verso la guancia, nel sospiro che abbandonò le sue labbra prima che le rispondesse. «Dipende da cosa intendi con veterani. La nostra… “professione” di solito non ci permette di continuare a lavorare anche da anziani. Oltre a ciò, a causa di alcuni eventi relativamente recenti, quasi tutte le persone con i requisiti adatti per entrare a far parte del Comitato sono scomparse dall'universo per dieci anni. Si può dire che siamo quasi andati estinti».
    Non era certa di voler sapere altro al riguardo. Le sembrava una storia triste in partenza, fin dalle premesse. «Capisco» mormorò. Si morse il labbro inferiore, un po' tesa. «Ci sono... ci sono così tanti rischi in quello che fate?» si azzardò a chiedere. C'era una punta di autentica apprensione nella sua voce. Forse era esagerato preoccuparsi per qualcuno che aveva appena conosciuto, ma non riusciva a farne a meno.
    «Abbastanza» lo sentì mormorare. Il ragazzo la guardò in modo gentile, e quasi non riuscì a capire quell'espressione. Lo stava quasi obbligando a parlare di cose spiacevoli a cui probabilmente avrebbe preferito non pensare. Avrebbe potuto allontanarla, ignorarla, risponderle che in fondo non erano affari suoi e che avrebbe fatto meglio a non impicciarsi... ma non l'aveva fatto. E nemmeno sembrava che l'idea gli fosse passata di mente. «Da quanto so, tuttavia, la situazione è stata questa solo negli ultimi anni, solo da quando gli Heartless sono comparsi nel Regno della Luce. Prima di allora, il nostro compito era quello di mantenere intatto l'ordine dei mondi e intervenire in quei rari casi le forze dell'Oscurità avessero minacciato l'universo». La spiegazione venne interrotta dall'ingresso della cabina nella torre centrale, dove i colori sembravano essere più caldi e intensi. Quando Ingwe alzò lo sguardo verso l'alto e lo imitò, capì il motivo. Sopra le loro teste capeggiava un rosone dalle vetrate colorate. Tutto, di quel posto, le sembrava maestoso, incredibile. «Quando riusciremo a porre fine alla crisi in corso, allora il nostro lavoro tornerà a essere quello dei nostri predecessori».
    La prima cosa che, istintivamente, le venne da dire, era che le dispiaceva. Si morse la lingua in tempo, per fortuna. Parlare in quel modo sarebbe stato come insinuare che non ce l'avrebbe fatta, che non sarebbe sopravvissuto o che sarebbe scomparso come quegli altri suoi compagni. No. Se c'era una cosa che aveva imparato, quando si parlava con persone che rischiavano la vita ogni giorno, era proprio quello. Piuttosto, si doveva pensare al futuro, parlare di cosa sarebbe successo una volta superata la crisi. Fece ricorso a tutto l'ottimismo che aveva in corpo e si esibì in quello che doveva essere un sorriso incoraggiante. «Quando accadrà, cosa farete? Nel senso. Sarà qualcosa di cui festeggiare. Ci hai già pensato?» domandò. Pensare positivo non era proprio da lei. E probabilmente nel parlare così avrebbe fatto la figura della sciocca, ma era comunque un'eventualità migliore di incupirlo ulteriormente.
    Ingwe trattenne una risata e quel gesto la fece ben sperare. Forse, una volta tanto, aveva detto la cosa giusta. «Vedremo» le disse, con una punta di allegria nella voce. «Si tratta di un traguardo ancora così lontano che non ha mai avuto modo di pensarci seriamente». Ailis annuì a quelle parole. Era normalissimo, però farlo poteva essere uno sprone a fare del proprio meglio e, allo stesso tempo, cercare di sopravvivere. Si ritrovò a essere contenta di averlo spinto a pensarci. «Probabilmente...» cominciò, incerto. «Probabilmente sarei felice di continuare a studiare la magia. Forse viaggiare tra i mondi non sarebbe male. Ma anche continuare a vivere qui a Radiant Garden non sarebbe male. Una piccola casa nel borgo, magari, in un zona tranquilla».
    «Nessuno ti impedisce di fare tutte e tre le cose. Puoi studiare la magia dei vari mondi in cui vorrai andare, e quando sei stanco puoi tornare qui, a casa tua» propose. Non le sembrava un'idea irrealizzabile.
    Il ragazzo si lasciò andare a una risata sommessa. «Potrei. Non sarebbe male. Ma prima c'è da uscire da questa situazione. Poi ci si penserà meglio».
    «Però non è male fare dei progetti» disse lei.
    La cabina cominciò a rallentare la propria corsa fino a quando non si fermò. Non si azzardò a fare nemmeno un passo, però. Non sapeva se dovesse essere attivato o disattivato qualcosa, quindi lasciò che fosse Ingwe il primo a muoversi. Si sentirono uno sfrigolio e poi un sibilo. Il custode si spostò di lato in modo da permetterle di passare per prima e, con un cenno del capo in segno di ringraziamento, proseguì oltre, scendendo da quel macchinario che con ogni probabilità avrebbe abitato i suoi incubi per almeno una settimana.
    «Manca ancora molto all'uscita?» si ritrovò a chiedere. Stava diventando impaziente: la curiosità, insieme a una buona dose di timore, la stava logorando dall'interno. Ingwe scosse la testa. «No. Giusto pochi metri».
    La conferma delle sue parole le venne data da un chiacchiericcio di cui, se ne era resa conto solo in quel momento, aveva sentito la mancanza. Il vociare delle persone sembrava rendere tutto meno fittizio, come se la presenza di altri esseri umani nello stesso spazio potesse garantirle che ciò che vedeva era reale – avrebbe potuto trattarsi di un'illusione, ma sperava di cuore che non fosse così, non per la seconda volta di seguito. Senza quasi accorgersene, si ritrovò a inspirare col naso e trarre un profondo sospiro di sollievo. A quel punto si guardò intorno e immediatamente sgranò gli occhi mentre la sua bocca assumeva la forma di una “o” piena di stupore.
    «Certo che se non fate le cose in grande, non potete dirvi soddisfatti» balbettò mentre cerava di capire esattamente quanto quel salone fosse esteso. Il soffitto doveva trovarsi una ventina di metri sopra le loro teste e quasi le venne un capogiro mentre lo osservava. L'ingresso del castello era ampio, immenso quasi. La faceva sentire davvero minuscola.
    «Ehi, non includermi» borbottò il ragazzo. «E poi il castello è antico, avrà minimo qualche centinaio d'anni». Lo seguì lungo la scalinata, scendendo un gradino dopo l'altro e portando entrambe le mani a stringere la tracolla tra le dita. Era un gesto istintivo: era abituata a strade piene di ladruncoli e borseggiatori, e teneva troppo al libro che aveva con sé per permettere che qualcuno glielo rubasse. Per non parlare poi che i pochi soldi che aveva erano dentro la borsa. Non sapeva nemmeno se la valuta fosse la stessa, ma alla peggio avrebbe potuto rivendere le monete a qualche eccentrico collezionista? Qualcosa avrebbe dovuto fare.
    «Ti ringrazio per avermi accompagnata fin qui, Ingwe» disse con un sorriso leggero sulle labbra e tanta, tanta gratitudine. «Non credo che sarei stata in grado di arrivare fin qui da sola».

     
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    «Se posso sapere... come mai siete tutti così giovani nel Comitato? Non ci sono, non so, veterani?»
    Accompagnando il gesto con un mugugno basso, Ingwe strinse le labbra. La mano corse verso la guancia, mentre lo sguardo si spostava di lato, perdendosi nel vuoto. Quanto poteva dire? Quanto poteva rivelare di tutto quello senza scendere nel dettaglio? Sospirando con fare quasi stanco, scosse la testa.
    «Dipende da cosa intendi con veterani. La nostra… “professione” di solito non ci permette di continuare a lavorare anche da anziani.» Anche perché molti Custodi non arrivavano ad avere abbastanza anni d'età per essere considerati anziani. «Oltre a ciò, a causa di alcuni eventi relativamente recenti,» a causa degli eventi che avevano coinvolto Aqua e i suoi amici, «quasi tutte le persone con i requisiti adatti per entrare a far parte del Comitato sono scomparse dall'universo per dieci anni. Si può dire che siamo quasi andati estinti.» Di nuovo sospirò. Non era un segreto che il comitato di Radiant Garden fosse composto da Custodi: qualche settimana di vita nel borgo o anche nella Città di Mezzo o Crepuscopoli e Ailis sarebbe venuta a saperlo da sola.
    «Capisco. Ci sono... ci sono così tanti rischi in quello che fate?» Sentendo la preoccupazione nel tono della voce, Ingwe tornò ad osservare la ragazza, tentando di sembrare rassicurante. Fu solo quando si rese conto che avrebbe dovuto mentire per tranquillizzare l'altra in un qualunque modo, che l'espressione che aveva in volto si sciolse, lasciando il posto a una più neutra.
    «Abbastanza.» Mormorò. Lentamente abbassò le palpebre, espirando con calma dal naso. Quando il suo sguardo si posò di nuovo su Ailis un'altra espressione, una di gentilezza, era visibile sul suo volto. «Da quanto so, tuttavia, la situazione è stata questa solo negli ultimi anni, solo da quando gli Heartless sono comparsi nel Regno della Luce. Prima di allora, il nostro compito era quello di mantenere intatto l'ordine dei mondi e intervenire in quei rari casi le forze dell'Oscurità avessero minacciato l'universo.» La cabina si spinse nella torre centrale e un sorriso leggero si aprì sulle sue labbra, mentre i suoi occhi volavano verso l'alto, verso il rosone dalle tinte calde lontano sopra di loro. «Quando riusciremo a porre fine alla crisi in corso, allora il nostro lavoro tornerà a essere quello dei nostri predecessori.» Erano forti. Ce l'avrebbero fatta, avrebbero sconfitto l'Ordine e... l'Organizzazione. Sarebbero riusciti a vivere una vita tranquilla, una vita senza guerra.
    «Quando accadrà, cosa farete? Nel senso. Sarà qualcosa di cui festeggiare. Ci hai già pensato?»
    Imbarazzato di fronte al sorriso incoraggiante di Ailis, Ingwe trattenne una risata. Aveva delle idee, delle speranze, dei sogni per una volta che fosse finita la guerra, ma era tutto così lontano al momento che non aveva ancora iniziato a pensarci seriamente.
    «Vedremo.» Con una punta di allegria e spensieratezza nello sguardo, ricambiò il sorriso della ragazza. «Si tratta di un traguardo ancora così lontano che non ha mai avuto modo di pensarci seriamente.» Per non parlare delle variabili, poi: i mondi sarebbero ancora stati divisi alla fine di quella guerra? Oppure l'universo sarebbe tornato ad essere quello di una volta? Cosa sarebbe successo a loro, ai Custodi? Avrebbero perso i Keyblade o no? Troppe domande, troppe incognite che non gli permettevano di pensare in maniera concreta a un possibile futuro. «Probabilmente...» Per un attimo esitò, incerto. «Probabilmente sarei felice di continuare a studiare la magia. Forse viaggiare tra i mondi non sarebbe male.» Senza rendersene conto aveva iniziato ad alzare le dita delle destra mentre parlava, come se stesse elencando una lista di desideri. «Ma anche continuare a vivere qui a Radiant Garden non sarebbe male. Una piccola casa nel borgo, magari, in un zona tranquilla.» E poi, forse, anche una famiglia non sarebbe stata male. Non che avesse mai visto come dei genitori normali crescevano un figlio o come due persone decenti si comportassero in una relazione, ma era abbastanza certo che sarebbe riuscito a fare meglio di suo padre e sua madre. Il quinto dito si alzò la solo, mentre la sua bocca rimase chiusa, l'ultimo desiderio ben nascosto dietro a labbra serrate.
    «Nessuno ti impedisce di fare tutte e tre le cose. Puoi studiare la magia dei vari mondi in cui vorrai andare, e quando sei stanco puoi tornare qui, a casa tua.»
    Ancora perso nei suoi pensieri, Ingwe rise. Fu un suono sommesso e delicato, privo di malizia che si spense con la stessa velocità con cui era iniziato.
    «Potrei. Non mi dispiacerebbe.» Con uno sbuffo e un ghigno spensierato sul volto, il custode si risollevò, allontanandosi dal braccio metallico a cui si era appoggiato per tutto il tempo del tragitto. «Ma prima c'è da uscire da questa situazione. Poi ci si penserà meglio.»
    «Però non è male fare dei progetti.» Replicò quasi subito Ailis convinta.
    Con meno sicurezza dell'altra, Ingwe annuì. Finché rimanevano solo sogni distanti, però, preferiva non perdersi in essi, dimenticando il presente e le responsabilità che il suo ruolo comportava.
    Sopra di loro la magia che trasportava la cabina sfrigolò e si spense. Un sibilo e le barriere che li separavano dalla loro fermata si abbassarono. Erano arrivati. Con un sorriso di cortesia, Ingwe si fece da parte con l'intenzione di far uscire Ailis per prima.
    «Manca ancora molto all'uscita?»
    Ingwe scosse la testa, in segno di diniego.
    «No.» Replicò, avanzando nel breve corridoio che li avrebbe portati alla scalinata principale. «Giusto pochi metri.»
    Furono il rumore e il brusio che avvolgevano costantemente il salone principale ad accoglierli il momento in cui spuntarono nell'ingresso del castello. Di fronte e sotto a loro decine di persone continuavano nelle loro faccende, indifferenti alla loro presenza. Una luce tenue illuminava l'intera stanza, come se fosse generata dalle pareti stesse, più vivida e chiara del cupo grigiore che si estendeva fuori dai portoni adesso chiusi del bastione.
    «Certo che se non fate le cose in grande, non potete dirvi soddisfatti.»
    Una sfumatura rossa tinse le sue guance, mentre con un broncio in volto il giovane puntava lo sguardo verso i suoi piedi.
    «Ehi, non includermi.» Borbottò con finta irritazione. «E poi il castello è antico, avrà minimo qualche centinaio d'anni.»
    Spalle strette e testa bassa, rivolse uno sguardo divertito all'altra. Fu con uno sbuffo che si concesse una mezza risata e iniziò a scendere le scale, ignorando le guardie poco vicine.
    «Ti ringrazio per avermi accompagnata fin qui, Ingwe. Non credo che sarei stata in grado di arrivare fin qui da sola.»
    Di nuovo Ingwe sorrise, liquidando il ringraziamento con un movimento della mano.
    «Di niente.» Era una cosa che chiunque là dentro avrebbe fatto. Forse non con la stessa gentilezza e magari un pizzico in più di sospetto, ma in ogni caso l'avrebbero aiutata a uscire dal castello.
    Il suono dei loro passi mentre scendevano le scale veniva sommerso dal brusio pochi metri più in basso, fu con una smorfia di fastidio che per farsi sentire, Ingwe si ritrovò costretto ad alzare la voce leggermente di più di quanto fosse abituato.
    «Hmm, sembra che stia ancora piovendo.» Affermò, accennando con il capo al mastodontico portone chiuso sulla parete di fronte a loro. «Hai modo di ripararti dalla pioggia?»
    «Penso di sì.» Replicò quasi immediatamente l'altra. «E in ogni caso, un po' d'acqua non mi ucciderà.»
    Soddisfatto della risposta, Ingwe annuì.
    In silenzio proseguirono lungo la navata centrale dell'atrio, evitando di scontrarsi contro avventurieri o guardie e semplicemente contro gli impiegati del castello.
    Fu con un sorriso che il giovane si fermò a pochi passi dal portone, vicino a una uscita più piccola incastrata nell'anta di destra.
    «Direi che siamo arrivati.»
    Di fuori la pioggia continuava a battere sonoramente contro il pavé del belvedere, visibile attraverso la porticina aperta sull'esterno.
    «So che l'ho già detto poco fa, probabilmente penserai che sono ripetitiva ma... grazie davvero. Mi hai aiutata tantissimo e non so come sdebitarmi. N-Non ora almeno. Ma in futuro intendo farlo.»
    Un angolo della bocca si arricciò verso l'alto, mentre il ragazzo osservava Ailis inciampare sulle sue stesse parole e stringere nervosamente la tracolla. Con uno sbuffo divertito, Ingwe tese la mano all'altra.
    «Ehi, non farlo suonare come se fosse un addio.» La mano libera corse al fianco, mentre il sorriso sul volto si allargava. «Devo ancora insegnarti a volare e tu mi devi parlare meglio della magia del tuo mondo.»
    Senza riuscire a parlare, Ailis mosse le labbra per qualche secondo.
    «Sarebbe un vero piacere.»
    Sembrava felice, notò Ingwe mentre l'altra ricambiava la stretta di mano. Un leggero calore formicolò nel suo petto di fronte alla reazione della ragazza, contento di essere riuscito a rassicurarla e aiutarla, anche se solo in parte. Tra se se, senza osare aprire bocca, ammise che forse già non vedeva l'ora di incontrarsi di nuovo Ailis, di parlare di magia, di insegnarle a volare e di apprendere di più sulle arti arcane del suo mondo.
    Lentamente, quasi con una punta di riluttanza, separò la stretta di mano che li univa.
    «A presto, allora, Ailis. Spero che ti troverai bene qui.»
    «Lo spero anch'io.»

     
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