"Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze."

Vacuity of the Broken Skies

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  1. Sylar~
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    .Narrato.
    ~Parlato~

    ~Pensato~
    {Extra}


    Continua da qui.




    Come la prima volta, neanche si accorse del suo viaggio interdimensionale. La foresta sembrava la stessa, la luna sembrava la stessa, la notte sembrava la stessa. In effetti, il mondo della piccola creatura era così simile ad Atlas che in pochi avrebbero potuto notarne la differenza. Juza seguì la creatura fino ai confini della selva davanti ad un lungo ponte, preludio di una costruzione che mai aveva notato sorvolando i cieli della Foresta di Illium. La curiosità aveva ormai divorato le questioni che lo avevano spinto a fare una tranquilla passeggiata nel bosco e si avventurò levitando a pochi centimetri da terra su quel ponte, delimitato ai lati da due alte inferriate. Occhi attenti e bocca semiaperta dallo stupore, si era dimenticato persino dalla creaturina nera che ormai aveva perso di vista. Percorso il ponte, nemesi della gravità, giunse di fronte ad un cancello, grande, imponente, e si fermò un momento. Osservò da fuori il grande giardino che ornava quel maniero avvolto dal manto delle tenebre, spostandosi a destra e a manca per eludere le sbarre con lo sguardo.


    {Il vento è energico, ma effimero.
    Può sbattere un drago fuori dal cielo, ma passare indisturbato nella più piccola delle fessure.}



    Allungò una mano e la sua volontà divenne realtà. Il suo corpo evaporò, divenne fumo e gli consentì di attraversare l'inferriata indisturbato, penetrando così all'interno del giardino. Il sentiero di breccia che proseguiva dal ponte conduceva alle porte del castello, mentre simmetricamente siepi e cespugli decoravano quel cortile insieme ad un paio di fontane maestose quanto quel bastione di pietra bianca. Juza disse niente, si fermò appena superato il cancello e scrutò nei più piccoli dettagli quell'edificio, travolto dalla curiosità e dallo stupore per tanta bellezza architettonica.



     
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    È iniziata, vecchio pazzo. La guerra. Quella vera.
    Credi ancora di potertene stare a guardare? Il tuo nuovo giocattolo non ti proteggerà a lungo.
    Il castello racchiude un segreto, un segreto che tutti vogliono scoprire.
    Lo voleva l’Organizzazione di Xemnas, e forse lo vuole anche quello di Derax.
    E l’Ordine, ah. Loro lo vogliono più di tutti.
    Ma cosa più importante, vecchio pazzo, lo voglio io.
    Lo sai che sono un tipo curioso. Lo sai che nulla può tenermi lontano da ciò che voglio scoprire.
    Siamo amici, Olson. Più o meno. Ma la prossima volta che mi farai entrare a difese abbassate, non posso garantirti di fare il buono.
    Hai trovato un grande potere, e lo sai. Il Castello ti obbedisce, accoglie ogni tuo comando.
    Ma quanto credi che durerà? Il suo potere è più grande di te, Olson. La sua magia più antica, più complessa.
    Troverà il modo di rigettarti. Troverà il modo di liberarsi di te.
    E quando lo farà, Wren…
    Quando taglierà i fili ai tuoi burattini e la tua effimera scalata al potere si tramuterà in rovina…
    L’avvoltoio si poserà, e non esiterà a finire il tuo corpo agonizzante.
    Hai la mia parola.


    Il dubbio. Ah, quanto tempo che non ne assaporava il lato più debilitante. Quanto tempo che quella parola non offuscava la visione sul suo operato, sulle sue più ferree certezze.
    Non andava bene. Non andava affatto bene. Non con Daraeg. Poteva permettersi, forse, di dubitare di una sua scelta alla luce di schiaccianti prove empiriche; poteva dubitare, forse, di un’osservazione fatta sul sempre inaspettato, sempre negativamente sorprendente animo umano; ma non su un’affermazione dell’Avvoltoio. Non su una sporca minaccia.
    Perché Olson lo sapeva, oh sì. Lo sapeva che l’Avvoltoio non voleva far altro che spaventarlo, privarlo delle sue certezze sul controllo del Castello dell’Oblio. Era proprio da lui. Era evidente.


    Ma allora perché?


    Perché, se davvero lo sapeva, non riusciva a chiudere occhio? Perché, se davvero era sicuro che il castello ubbidisse a ogni suo comando, continuava a sentire interferenze, tanto che poco prima aveva vissuto un ricordo che sarebbe dovuto essere stato definitivamente ERADICATO?
    E cos’era, quel calore proveniente dal centro del petto? Cos’era, quel pugno chiuso con forza contro la scrivania bianca? Rabbia? No. No, lui non provava rabbia. Non più. Non più!
    Condizionamento. Sì, sì, doveva trattarsi di condizionamento. Un trucco di Daraeg, nulla di più. Forse persino magia, illusione; l’Avvoltoio ne era capace.
    Accennò un sorriso, distendendo i nervi e rilassandosi sulla sedia. Un po’ d’aria. Non gli serviva altro che un po’ d’aria. Un viaggio, magari. In una delle tante mete che, prima o poi, aveva intenzione di affidare a Kagen, uno dei tanti luoghi designati per il reclutamento di nuovi membri per la loro famiglia. Non gli avrebbe fatto male. E poi il Keyblader rinnegato sembrava in ritardo dalla sua visita a Port Royal, quindi… Sì. Sì, avrebbe fatto così. Avrebbe accelerato il reclutamento, fatto meglio il lavoro, visto un colore diverso dal bianco e… e avrebbe preso un po’ d’aria.
    Sì. Non gli serviva altro che un po’ d’aria.


    pba



    La notte era fredda, la foresta silenziosa. Quando era uscito dal varco oscuro, avvolto nei suoi soliti abiti nero pece, soltanto il soffio del vento tra gli abeti gli aveva dato il benvenuto. Li faceva ululare, scricchiolare, frusciare. Per un attimo gli fece quasi volare via il cappello, ma l’uomo senza ricordi lo tenne saldo con la mano libera.
    Prese un profondo respiro. Sì. Sì, era quello ciò che gli serviva. Aria pulita, vento freddo sulla pelle… e qualche zoticone da condurre sulla via della verità. Non dovevano mancarne, in quel mondo. Nonostante fosse estremamente piccolo, erano comunque molte le cittadine di villani senza cultura. Certo, avrebbe preferito portare dalla sua parte individui effettivamente utili; guerrieri, maghi, sapienti… ma come aveva detto al Keyblade rinnegato, bisognava cominciare dal basso. Sperimentare, verificare quanto potevano spingersi in là grazie ai poteri del castello.



    … Troverà il modo di rigettarti. Troverà il modo di liberarsi di te …



    NO! No… No, non aveva paura. Era solo precauzione. Solo legittima pazienza. Aveva scelto questo modus operandi molto prima delle sciocche minacce dell’avvoltoio. Non doveva, non poteva permettergli di condizionarlo a tal punto. Uno sporco trucchetto, nient’altro. Era da lui. Era da lui.
    Inspirò ancora, cercando di calmarsi e di dimenticare, a fatica, quelle dita serrate sull’impugnatura del bastone. Attese che il vento si placasse per gli istanti necessari a liberare la mano che teneva il cappello, e si sistemò gli occhiali.
    Cominciò a camminare verso delle luci in lontananza, mentre il varco oscuro veniva spazzato via dal vento.


    r1dz



    Arrivò al castello dopo una lunga, faticosa ora di cammino. In realtà, non era neanche quella la sua destinazione. Non voleva avere nulla a che fare con un principe sul quale conto giravano voci su una certa maledizione. Insomma, lo affascinava, ma… non era quello il momento. Avere a che fare con un monarca significava avere a che fare con guardie energumene in armatura, fastidio che non poteva permettersi di prendere così alla leggera; non ancora, almeno. No, il villaggio poco più avanti era decisamente una meta più appetibile, e uno zotico ubriaco un bersaglio più adatto. Col tempo, magari…
    Rumore di passi. Dal castello, in lontananza. Una figura in nero aveva appena varcato il cancello, percorrendo a passi cadenzati il viale. Olson si bloccò, appoggiandosi ad un ramo per tenersi in equilibrio ed osservare meglio la scena: era strano, molto. E… interessante. Non poteva essere un semplice viandante. Non a quell’ora della notte. Non considerando…
    Che il cancello che aveva appena varcato era chiuso.
    Sorrise.
    Ah, la curiosità. L’unico vizio che ancora si concedeva. L’unica passione umana davvero produttiva. Fu lei, a muovere il suo primo passo. La ragione fece il resto. In fondo, cosa aveva da perdere? Era da solo, sembrava disorientato. E poi... non voleva far altro che scambiarci due parole. Due innocue, veloci parole.
    Con un rapido gesto della mano, aprì un varco oscuro. L'altro, dal quale uscì pochi istanti dopo, era stato aperto a qualche metro dall'uomo in nero, direttamente dentro il giardino.


    «Buonasera.»
    Esordì, sorriso affabile e bastone ben saldo in entrambe le mani.
    «Perdoni la franchezza, ma fossi in lei me ne andrei. Il castello è abitato, e il suo padrone -si dice- non è affatto gentile.»
    Poteva bastare, per il momento. Quell'uomo -un giovane, all'apparenza-, ancora così avvolto nel mistero, doveva essere trattato con cautela.


    Ma in fondo...
    Lui voleva solo scambiare due parole.


    wrene



    Abilità passive


    L'analisi: Che Olson fosse uno psicologo è già stato più volte rimarcato, ma non è mai stato detto se fosse bravo nel suo lavoro. In realtà, nonostante le critiche mossegli dai colleghi, Olson era effettivamente piuttosto talentuoso nel suo mestiere. Aveva imparato a conoscere la mente umana in maniera accurata, per quanto, ovviamente, quei meccanismi caotici potessero essere razionalizzati. Che poi avesse deciso di estraniarsi da tutto quello, è un'altra questione. Ciò che è più importante, è che la sua già iniziale bravura, combinata con il generale miglioramento portatogli dall'ingresso dell'oscurità nel suo corpo, hanno fatto sì che l'uomo col cappello diventasse un maestro nell'interpretazione dei comportamenti umani. Trovandosi di fronte ad un individuo, di fatti, Olson potrà dire con quasi assoluta certezza se il suo cuore sia più incline alle concezioni comuni di bene e male, se, cioè, in lui sia dominante la luce o l'oscurità o se, nei casi estremi, il cuore l'individuo non ce l'abbia affatto (Passiva razziale - Perspicacia). Ma la capacità di analisi di Olson va ben oltre il semplice saper determinare un allineamento. L'uomo col cappello è molto più esperto, molto più avanzato di così. Ogni movimento, ogni espressione, ogni parola può suggerire in lui un pensiero o un meccanismo particolare del subconscio. In realtà, grazie anche e soprattutto al potere dell'oscurità, tale strabiliante capacità tende a sfiorare la lettura del pensiero. Olson è di fatti così esperto nella lettura, nell'interpretazione e nell'associazione, che a volte la semplice intuizione rompe le barriere del buonsenso e sfocia direttamente nella psiche dell'altro, nei suoi recessi più nascosti. Ovviamente, tutto ciò ha la durata di un effimero secondo, l'entità di un'unica immagine. Se ad esempio l'individuo di fronte a lui avesse una particolare reazione -sia essa più o meno evidente-, Olson potrebbe riuscire a captare il ricordo, l'input che ha causato quel comportamento. E diciamocelo: a volte, vedere che chi sia ha di fronte riesce quasi a leggerti nel pensiero, anche se solo per un secondo, potrebbe essere un colpo ben più doloroso di un pugno in pieno muso. Tale abilità è considerabile come un'influenza psionica passiva, ed è come tale contrastabile ("Le movenze della psiche", Passiva normale - 20 AP). Tra le altre cose, il fatto di conoscere alla perfezione i meccanismi mentali, unito all'impareggiabile padronanza conferitagli dalla sua nuova mente iper-razionale, hanno reso Olson anche estremamente "resistente" ad eventuali trucchi simili ai suoi: chiunque cercherà, verbalmente parlando, di fuorviarlo dai suoi scopi, dai suoi sacri intenti, troverà a riceverlo una volontà ferrea, inamovibile, temprata dalla consapevolezza psicologica e interiore di essere nel giusto (Passiva razziale - Tenacia).



    Note: Post di cui non vado particolarmente fiero, specie considerando quanto vi ho fatto aspettare. Vedrò di rifarmi con i prossimi^^
     
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  3. Tied for a While
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    Segue da qui.

    Dapprima furono gli occhi,
    e non quelle due pozze catramose incastonate ai lati di quel suo naso dritto e sottile, ma quelli dell'anima. Li usava ben più dei primi e in maniera certo più oscura e quella volta erano mossi da un'eccitazione frenetica, alla continua ricerca di un qualcosa - o di un qualcuno - che trovarono molto presto. Ed osservarono, a loro modo, con una febbrile sete di sapere: erano allora due persone che per prime affluirono alla sua coscienza, differenti per animo quanto unite da un improbabile carattere in comune, quello di una curiosità che si articolava in maniera molto personale. La prima era avvolta dallo stupore del fanciullo, la seconda sembrava essere ben più calcolata e pesata, voluta in una molto dubbia ironia che si sforzò di non analizzare oltre. Quella, i suoi veri occhi la temevano in modi inesplicabili e inesplicati e si limitarono a disperdere l'attenzione.
    Fu la volta, quindi, del corpo materiale: si snodò in un attimo, cancellò l'aria pesante e andò sostituendola con ossa e carne. Quando il Principe ricominciò a sentire
    dal tatto o dall'olfatto o dai sensi comuni, tutto il suo corpo era già stato creato e i suoi piedi affondarono nel bel saldo terreno con familiarità e fiducia. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato dal portale che aveva attraversato, ma quando gli occhi umani incrociarono quelli degli astanti un brivido scosse membra e ragione, come se il ratto del dubbio si insinuasse fin dentro le ossa. Riconobbe infatti la prima figura come quel Juza che aveva incontrato nell'ovest della sua Atlas e la preoccupazione legittima che non avesse realmente abbandonato la sua terra fu tale da lasciarlo basito. Scostò i capelli corvini dal volto e fece per massaggiarsi le tempie, vagamente spazientito.
    Il caso era solito giocargli pessimi scherzi e dei razionali perché si accavallarono nella sua mente senza rispetto: quando riacquistò un contegno sufficiente si presentò con un mezzo inchino come era uso nella sua società, spezzando quell'attesa e quel clima così teso che, probabilmente, era stato proprio lui a creare.

    «Buonasera,» Fece, e solo allora realizzò quelle che erano solo nozioni comuni. «buonasera. Rewich La Kruiser, ambasciatore aliothiano.»

    Si incamminò verso i due con fare gioviale, consapevole di essere a diversi metri di distanza da loro. Avessero mosso dubbi o altro, si sarebbe immediatamente arrestato, alla ricerca di un successivo e reciproco scambio di fiducia.
    Quando finalmente si concedeva uno sguardo intorno, il Potere dei Re riprendeva con simile estro ad espandersi in ogni direzione: fontane e siepi sconosciute adornavano un giardinetto dal gusto, avrebbe detto, molto occidentale ed altrettanto simile era il castello oltre il verde. Il cielo era basso, oscurato da nubi temporalesche e oltremodo pesante. Una cappa molto simile ad un coperchio che stava stretta a chiunque,
    esattamente come lo era la situazione voluta dal fato.



    Passiva,

    CITAZIONE
    » L'Empatia
    « Behind my eyes is rage alone / but you don't understand it wasn't all home-grown »

    Il Potere dei Re sembra esprimersi nei corpi e nelle menti dei suoi eredi andando contro le loro inclinazioni naturali. Se tale è davvero l'obiettivo, come teorizzato dallo stesso principe, la Vera Trama potrebbe essere volta al perfezionamento del portatore abbattendo i suoi limiti naturali.
    In una persona così unilaterale come Rewich, la trama infatti tenta di smontare pezzo dopo pezzo un ego così smisurato donandogli una forma totalizzante di empatia. Quella, tuttavia, non si limita solo a percepire le emozioni altrui bensì scava nel cuore del portatore tanto in profondità da instillarle con una calma inesorabile. In concreto, l'empatia del portatore del Potere dei Re è tale che il percepito diventa il provato.
    Il potere imprime in quel dato momento nel cuore del principe le memorie di quel dato flusso emotivo affinché egli possa trarre da ognuna di loro una forza che non sarebbe capace di conoscere altrimenti. Ed allora il possessore può comprendere, forte della sua empatia, il proprio alleato o nemico in modi e tempi impensabili - ma è questa, va ricordato, una capacità instabile: talvolta accade che il canale empatico si leghi a livello completo con astanti o, nel più affascinante dei casi, luoghi fisici. Ciò rende il portatore incapace di distinguere le proprie emozioni dal flusso percepito pur concedendo una conoscenza spesso esatta della ragione del flusso emotivo e non di meno una quantità illimitata di quella che è chiamata Materia Prima. In termini tecnici, il primo potere si configura con un'empatia che progredisce fino al suo limite massimo in maniera inesorabile fino a configurarsi con un vero e proprio auspex emotivo.

    - Mi scuso per il ritardo, ma fra problemi di salute e inizio dell'uni ho avuto avuto non poche difficoltà a fare il post. La situazione dovrebbe essersi stabilizzata, quindi dovrei essere più costante d'ora in poi.
     
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  4. Sylar~
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    Continua da qui.




    Un saluto ed un invito a lasciare il posto, così si presentò il primo, giunto da chissà dove attraverso un varco oscuro. L'esule spavaldo rispose a tono.

    ~Perché non segui il tuo stesso consiglio? Che venisse, il padrone, saprò come accettare la sua ospitalità!~

    Ed un sorriso di sfida e forse un po' troppo sicuro di sé si dipende sul volto del giovane, i lineamenti puliti di un viso mai ferito. Teneva le braccia stese, lungo il corpo, l'intento era quello di trasmettere calma e tranquillità, contraddicendo con i gesti le parole ardite che aveva pronunciato. Teneva gli occhi sul suo interlocutore, per nulla intimorito dalla sua figura ma senza mai abbassare la guardia o mostrarsi vulnerabile, sapeva meglio di chiunque altro quanto può ingannare l'apparenza.

    Giunse allora il secondo. Salutò anch'egli e si presentò: la voce ed i lineamenti erano familiare a Juza, ma l'aspetto era in qualche modo sconosciuto - diverso dal loro primo incontro - quindi non fu in grado di riconoscere in Rewich lo straniero che l'aveva aiutato al Villaggio Tre Pietre. Si limitò a copiare il suo inchino, accennandolo appena con il capo.

    ~Il mio nome è Juza, ma sono sicuro che la mia fama mi preceda. Che ci fate vuoi due nella Foresta di Illium a quest'ora?~

    L'attenzione verso il castello passò in secondo piano, dopotutto non era da molto che abitava Atlas dunque era lecito per lui non conoscere ogni anfratto del continente.



     
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