Il Quarto Regno

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    Schwarz

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    Soldati dell'Oscurità
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    Sentì una mano spingerlo da parte: il Nesciens si era messo al suo posto, per continuare l'offensiva e dargli modo di evitare ripercussioni. La bestia aveva iniziato a caricarli, ma dopo neanche un passo si ritrovò zampe all'aria sul pavimento dell'ala, come se lo scheletro fosse stato privato della forza che ne teneva insieme le ossa. Tuttavia sembrò approfittarne per lanciare la propria testa contro Azrael, le zanne pronte a ghermirlo.
    Ancora a terra, la belva batté la coda dall'ingombrante estremità sul terreno, provocando onde d'urto che ricordarono a Khan che, nonostante l'oscurità lo stesse sorreggendo, aveva giù superato il proprio limite fisico, e quelle scosse scandivano il conto alla rovescia al corto circuito che l'avrebbe immobilizzato del tutto.
    Non finì lì: anziché battere la coda per terra un seconda volta, il dinosauro sfruttò lo slancio dell'estremità e la punta, quella sfera irta di chiodi, si separò tracciando una curva alla cui estremità si trovava lui, incapace di muoversi in tempo per schivare.
    Aveva già iniziato a comunicare alla spada di trasformarsi quando un pensiero lo attraversò rapido e illuminante, e l'angolo della bocca dell'immortale s'incurvò verso l'alto, mentre uno sbuffo di derisione usciva secco dalle narici- nel tentativo di colpire entrambi, la creatura aveva garantito la propria disfatta: sarebbe bastato utilizzare i due attacchi che aveva lanciato l'uno contro l'altro per strozzare del tutto quel canto del cigno.
    Si voltò, chiamando il compagno: "Azrael!"
    Ma quello sembrava essere giunto alla sua stessa conclusione, e aveva già preso a mulinare il braccio, pronto a ricevere il teschio che si dirigeva a gran velocità verso di lui: "Non ti preoccupare, amico mio, quando si tratta di controbattere so sempre beccare il giusto, il Nesciens accolse la mandibola del mostro con un montante, un crack sonoro e il proiettile stava per cambiare direzione: "ANGOLO!"
    La testa volò spedita verso l'alto e incontrò la palla mortale, ed entrambe sparirono in un lampo accompagnato da un boato, una deflagrazione di colori e pulviscolo iridescente, che vorticò per il corridoio come una pioggia di coriandoli, prima di disperdersi e scomparire.
    Azrael alzò le braccia, esultante: "Ballistica: uno! Mostri poco scientifici: zero!" e prese a battere le mani, sghignazzando.
    Contagiato dall'entusiasmo dell'altro per la vittoria, neanche Khan, pur alterato che fosse, riuscì a trattenere una risata sommessa.
    L'istante successivo, la gamba lo abbandonò del tutto e l'Immortale si ritrovò inginocchiato, l'aura che lo avviluppava si affievoliva in tenui fiamme nere che si sgretolavano in barlumi d'inchiostro e poi in polvere, il respiro affannoso, le forze che pian piano scemavano. Riusciva ancora a vedere, ma sentiva le palpebre pesanti, rigide tanto quanto le estremità delle dita, e gusto e olfatto sembravano essere completamente andati.
    Tutto ciò che riusciva a sentire era una vaga ma invitante sonnolenza, che gli prometteva sollievo dal dolore ancora presente e pulsante ma sovrastato dalla stanchezza.
    Alzò la mano destra, strinse forte ( o quanto riusciva a percepire come 'forte' ) le dita e il cervello si riattivò nel momento in cui registrò un pugno dritto sullo zigomo, che si spaccò e prese a sanguinare, e le endorfine tornarono sotto contollo, regolate da quel meccanismo che, per quanto compromesso, ancora lo rendeva diverso da un essere umano.
    Risolto il problema del non finire col muso per terra, rimaneva quello della gamba: anche se fosse riuscito a rimettersi in piedi e a trovare un modo per camminare senza intoppi, era dubbioso di riuscire a sostenere uno scontro fisico in quelle condizioni, e sentiva di non poter ancora fare troppo affidamento alla magia senza rischiare di rimanere privo di energie.
    Strinse i denti, frustrato dall'inettitudine che stava dimostrando, mentre le orecchie coglievano un rapido tichettio dirigersi verso di lui.
    'Storpio dentro, storpio fuori.'
    Non era tanto l'umiliazione, a bruciare, sapeva che la sua dignità era stata macchiata dal segno che gli attraversava un lato del viso, quanto la vergogna di star rallentando gli altri, di essersi rivelato poco più di un impiccio. Cresciuto per regnare, messo fuori uso da un fiorellino. 'Buffone.' Poggiò la fronte sull'avambraccio, a riposo sul ginocchio sinistro, ma rialzò la testa di scatto, allarmato da una voce che, paradossalmente, se fosse stata più fioca si sarebbe ridotta a un sussurro.
    "Resta fermo, per favore", concentrata sulla gamba lesa, Egeria stava inginocchiata vicino al suo fianco, le mani tese verso la ferita, Forse posso fare qualcosa per la tua gamba.
    Dai palmi della ragazza scaturì un'alone color fogliame, che iniziò ad avvolgere anche l'arto dell'immortale- una magia di cura, intuì dal senso di alleviamento che accarezzava il polpaccio sotto la sciarpa che lo avvolgeva.
    Apprezzava sicuramente il gesto, ma ricordando che poco prima anche lei e Xisl avevano partecipato alla battaglia, si accertò delle sue condizioni: "Hai abbastanza energia per farlo?" chiese con voce rauca e graffiata dallo sforzo, e l'altra incrociò il suo sguardo, limitandosi ad annuire, per poi tornare a prestare attenzione alla ferita.
    Il tepore che gli infondeva cullava le membra e le rinvigoriva, stimolando l'organismo dell'immortale a rigenerarsi e pervadendolo con una sensazione di benessere; mentre la ragazza lo curava, Khan notò come anche lei iniziasse a rilassarsi, assumendo una posizione e un'espressione meno rigide, la tensione del combattimento che lasciava andare le dita, permettendo loro di piegarsi, e i lineamenti, che da tesi tornarono a stendersi nelle dolci curve che aveva visto sulla... gummiship, si chiamava gummiship.
    In una manciata di secondi aveva finito. "Dobbiamo andare", commentò lei, rialzandosi, "O la perderemo." La mente di Khan corse al Nessuno che gli aveva sguinzagliato contro le due belve, e strinse le dita di entrambe le mani, desiderando che sotto la presa ci fosse il collo della donna. La figura da poco che aveva fatto era responsabilità sua, se ne rendeva conto, ma aggiungere beffa al danno era qualcosa per cui le avrebbe fatto pagare caro.
    Questa volta fu lui a guardarla ed annuire.
    Non ebbe alcuna difficoltà a rimettersi in piedi. Battè più volte il piede per terra, l'impatto che riverberava lungo l'arto confermandogli che la cura era stata più che efficace. 'Così piccina, ma così forte...', ai talenti che aveva già dimostrato nel manipolare il metallo che si portava appresso ( Kervion, giusto? Giusto. ), si era aggiunta la capacità di usare magie di quel livello. "Ammirevole", continuò ad alta voce, "Sia il gesto che l'incantesimo."
    Non riuscì a decifrare l'occhiata che gli riservò, se fosse di curiosità, blando disinteresse o diffidenza, come si era aspettato che sarebbe successo una volta scoperte del tutto le proprie carte- d'altronde, era davvero ammirevole che anziché accusarlo fosse giunta in suo soccorso.
    'O ingenuo?'
    Inspirò a pieni polmoni, godendo dell'essere di nuovo in forze e lasciando che i dubbi fluissero via assieme all'aria che espirò. Chinò il capo nello stesso modo in cui aveva fatto quando si erano presentati e concluse, con tono più morbido: "Grazie."
    Una parola che sembrava quasi aver soffiato sul volto di Egeria, che dopo un momento di lieve confusione abbozzò un cenno di sorriso, una risposta semplice e candida ma spiazzante nella sua rarità: l'immortale spalancò leggermente gli occhi, per accertarsi di non avere ancora qualche problema. Incerto e limitato dalla poca abitudina per quanto poteva essere, esprimeva un sentimento di cui raramente, negli ultimi anni della propria vita, era stato reso partecipe: gentilezza.

    Stato fisico: Guarito
    Stato psicologico: Frustrato

    Riassunto di battaglia: tolto di mezzo il corpo principale, l'idea dei secoli: lanciare il teschio del Bone contro la coda, in modo che si spacchino a vicenda.


    Note:

    basssbres_zpsqgygeqkx



    post striminzito causa mancanza d'ispirazione e incapacità cronica di gestire il tempo, ffs.
     
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  2. AzraelParanoia
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    Homerun Boys






    A tutti gli effetti, l'ultimo gesto del mostro, perlomeno prima di essere ridotto ad un'entità bidimensionale dalle fiamme di Khan e dai miei pugni di pietra, mi fece domandare brevemente se avesse una sorta di forza di volontà che lo spingesse a combattere anche a costo della vita. Un animale morente, se non in casi particolari, difficilmente si mutila per uccidere il proprio avversario, ed invece questo l'aveva fatto. Nel caso fosse stato minimamente senziente, avrei potuto provare una stilla di rispetto, ma sfortunatamente tutto ciò che attendeva il mostro era un'offensiva destinata a fallire. La sua testa si distaccò dal corpo con un rumoroso clic, come se il legame rimosso tra un osso e l'altro fosse composto da vere articolazioni di cartilagine e non da simil-magia come potrebbe essere per me. Fatto questo, pensò bene di rincarare la dose con un secondo attacco, difficile d evitare dato che uno avrebbe colpito da davanti, l'altro dall'alto. Fortunatamente m'ero piazzato di fronte a Khan, e dunque avevo la possibilità di attuare delle difese degne di questo nome.
    Lo spadaccino chiamò il mio nome, probabilmente per consigliarmi un'idea, eppure ero piuttosto sicuro che fossimo giunti alla stessa conclusione. Il potenziale dell'attacco del mostro derivava dal fatto che fossero due offensive consecutive agenti su due luoghi diversi, dunque sarebbe stato difficile reagire ad entrambe. Eppure ciò che probabilmente non era stato calcolato dalla bestia era una possibilità di far incontrare i due attacchi respingendone uno, e dunque dimezzando le perdite necessarie per deviare il colpo.
    -Non ti preoccupare, amico mio, quando si tratta di controbattere so sempre beccare il giusto!-, dissi con sicurezza iniziando a mulinare vorticosamente il braccio destro, imprimendo le mie emozioni all'interno di esso. Per quanto paresse una strana azione da compiere, ero sempre stato abituato a sentirle come qualcosa di concreto, come un carburante che posso utilizzare a volontà per alimentare il mio corpo. Ed in quel momento sentivo ira, per quanto non del genere derivante dall'odio, no. Era un semplice, crudo desiderio di violenza che fece brillare il mio braccio, illuminandolo di fiamme bluastre. Guardai il teschio arrivare a tutta velocità contro di me, ma non agii prima del previsto. Rimasi indietro, prendendo ogni secondo fosse necessario per calcolare l'arco che avrei dovuto fargli compiere. Davanti a me si disegnarono una serie di fili ed archi colorati dove la mia immaginazione dipingeva la direzione che avrebbero dovuto prendere testa e palla chiodata. Una volta determinata l'angolazione giusta, il cranio scheletrico era ormai vicino. -ANGOLO!-, strillai dunque, colpendo con tutta la mia forza la testa della creatura con il montante più violento che avessi mai tirato in tutta la mia esistenza. Non fu un semplice movimento del corpo, non mi limitai a piegare il torace per poi scagliare il pugno verso l'alto, ma fu come se una grande parte della mia essenza fosse esplosa attraverso le mie nocche.
    La testa schizzò come un bolide, percorrendo l'arco fortuitamente calcolato, apparentemente. Tenni le dita incrociate sino a che non incrociò finalmente la letale sfera chiodata, esplodendo insieme ad essa in una deflagrazione multicolore che aleggiò nell'aria un paio di secondi per poi dissiparsi. Piegai il pugno con il quale il montante era stato tirato, lanciandone un altro, stavolta però diretto all'aria e, beh, senza alimentarlo con il concetto astratto della violenza.
    -Balistica: uno! Mostri poco scientifici: zero!-, risi sguaiatamente battendo le mani, seguito da Khan, il quale anch'esso sembrò oltremodo contento del fatto che non fossimo stati ridotti in piadine. Il mio allegro battere le mani e festeggiare non sembrò destinato a durare, però, poiché la gamba di Khan lo abbandonò in maniera improvvisa, facendolo inginocchiare a terra con il respiro affannoso. L'ultimo scontro era stato incredibilmente spossante, rispetto al precedente, e probabilmente il ragazzo non aveva la mia stessa resistenza alla fatica fisica, o l'esperienza delle altre due. Beh, nessuna vergogna in ciò, in fondo era stato ben più che capace di far saltare in aria tutto lo stretto necessario. Mi avvicinai per controllare la situazione, ma fui preceduto da Egeria, che intanto, insieme a Xisil, si era occupata del grosso leone. Che creature potevano essere? Osservai incuriosito il corridoio nel quale la Nessuno era scomparsa, stringendo il pugno e colorando i miei tratti di verde per una buona dozzina di secondi, carico di disprezzo. Non solo ci aveva fatto perdere tempo con le sue idiozie, ma ci aveva anche mandato quelle creature contro per poi darsela a gambe. Aveva deliberatamente deciso di farci perdere tempo, probabilmente.
    Abbandonai i pensieri dedicati alla nostra avversaria e mi girai verso Khan, che intanto era stato rimesso in sesto da un incantesimo curativo tirato da Egeria, e che finalmente era di nuovo capace di usare la gamba come si deve. Annuii a compito fatto e sorrisi. -Ottimo lavoro gente. Mi congratulo con tutti voi. -. Mi mossi verso il corridoio, fermandomi ed indicandolo. -Non possiamo permetterci di restare sugli allori. Non sappiamo più quanto possiamo considerare stabile questo posto. La presenza di quella donna è un indicatore di pericolo più grosso di quanto mi aspettassi.-, dissi concordando con Egeria, che suggerì di muoverci.
    -Ah, e se fosse necessario, anche io conosco un incantesimo curativo, quindi se servisse aiuto potete chiamarmi. Da qui potrebbe rivelarsi molto più pericoloso. E vorrei ne uscissimo tutti vivi.-, conclusi infine, iniziando a muovermi verso il corridoio, attendendo che gli altri mi seguissero. Non mi interessava dell'Organizzazione XIII, e neanche delle stronzate che mi erano state rifilate. Non contavo quanto forte fosse quella donna, dato che in ogni caso eravamo in quattro contro uno. Ciò che mi interessava era strappare le tende di quel ridicolo teatrino e rientrare nella realtà conosciuta.
    Per spezzare la tensione, rallentai il passo, attendendo di ritrovarmi vicino a Khan per potergli sussurrare qualcosa all'orecchio. -Ovviamente, do per scontato il fatto che per quanto anche io possa fare ciò che ha fatto Egeria, preferisci che sia lei a metterti le mani addosso.-, conclusi dunque con un sorriso malizioso. Eh, quei due erano così carini, mi facevano sentire più giovane di... poco, tutto sommato, considerata la mia età.



    Stato Fisico: Lievi "solchi" generati dalla corrosione di entità complessivamente non tecnica.
    Stato Psicologico: Carico e deciso, eccitato dalla prospettiva della battaglia.
    Energia: 58% - 12% = 46%


    CITAZIONE
    Statistiche:

    Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Essenza :
    Punteggio iniziale ( 80 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( 20 ) Totale ( 120 )
    Mente:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 40 )
    Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )
    Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Velocità:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )




    Equipaggiamento

    King Crimson - Arma Magica
    L'unica arma di cui Azrael avrà mai bisogno è se stesso. O perlomeno, l'altro se stesso. King Crimson non è che una manifestazione ESP dell'ego del Nesciens, da lui chiamato "stand", o perlomeno, pensa di averlo chiamato così in un ricordo lontano. Si tratta di una figura alta quanto il suo possessore, il cui corpo è coperto quasi completamente da una "griglia" bianca, con una pelle liscia e rossa al di sotto, escludendo la sua faccia, il collo, due spallacci, gomiti, mani, addome, inguine, caviglie e scarpe.
    I suoi occhi sono due orifizi stretti e sottili, dai quali emergono due occhi più da rettile che da uomo. Qualsiasi espressione faccia, mostra costantemente i denti, in una perenne parvenza d'ira. Sulla sua testa, una corona appiattita, e dalla fronte emerge un livello rialzato, sul quale è presente una piccola faccia ovale, la cui espressione è identica a quella della stand.
    I pugni di King Crimson sono letali. Hanno un potenziale non troppo differente da quello di un martello da guerra, o di un maglio d'acciaio (con le relative resistenze di quest'ultimo, dunque possono cozzare con una lama senza ricevere tagli particolari), ma la sua forza non deriva da nessuna particolare struttura. Esso non è che una manifestazione spirituale concretizzata. Appunto per questo, la potenza dei suoi attacchi dipende dall'Essenza del suo possessore. Per quanto la possibilità di attaccare direttamente con la propria anima sia un grande vantaggio, ci sono dei limiti.
    Prima di tutto, King Crimson non può allontanarsi di più di tre metri da Azrael, in nessun caso. E come seconda cosa, il pericolo in cui si incorre nell'utilizzarlo. Esso è collegato in maniera intrinseca al suo possessore, e ferendolo, si ferisce quest'ultimo. Un attacco che colpisce King Crimson viene direttamente traslato sul suo utente. Un pugno a King Crimson causerà un bel livido ad Azrael. Pugnalandone il braccio, si aprirà spontaneamente una ferita sul braccio del Nesciens, e così via.
    (Capacità di attacco autonomo: Passiva Normale - 20 AP)
    (Capacità di movimento autonomo: Passiva Superiore - 25 AP)
    (+20 Essenza)

    Atarassia Silicata - Arma Normale

    Un paio di guanti da combattimento costruiti appositamente per Azrael. Coprono tutto il dorso della mano con uno strato di pelle borchiata dipinta di viola, e terminano con tre lunghe lame di quarzo che partono dalla prima falange e proseguono oltre la punta delle dita, curvandosi leggermente. Sono fissate alla mano tramite una stretta fascia intorno al palmo ed una chiusura a ganci sul polso. Abbastanza comode e non troppo ingombranti, permettono ad Azrael di utilizzare comunque manovre per il combattimento corpo a corpo, brandire armi, ed altre azioni di questo genere.




    Abilità Passive

    Alterare la Realtà
    Chi sfida Azrael si ritrova immancabilmente a percepire, nell'ardire della sua volontà combattiva, la sua visione personale di ciò che lo circonda. Nel filtro personale attraverso il quale chi sfida Azrael è costretto a vedere si possono vedere dei colori estremamente vividi. Tutto quanto sembra ardere, e la vista è deformata ed ondeggiante, come se si fosse nel bel mezzo di una giornata particolarmente afosa. Non è strano vedere il tutto mutare per assumere un aspetto più monumentale. Un semplice pilastro di pietra può apparire come una colonna antica, raffinata e maestosa. La luce può concentrarsi in punti particolari, mettendo "sotto il riflettore" certi eventi, come se Azrael vedesse il mondo attraverso un film, in cui lui è il protagonista.
    Passiva Inferiore.

    Struttura Elementale
    Ha a che fare con la mia origine. Con le forze che hanno contribuito a darmi questa forma. Intrinsecamente, sono legato a questa distruzione, a queste rovine erose dal tempo. Devo proteggere ciò che non è ancora andato perduto.
    Forse una punizione per ciò che ha deciso di prendere con la sua origine, forse lo scopo che tanto cercava, oppure forse ciò che è sempre stato. Non è rimasto molto di organico in Azrael, che ha accettato di mutare, abbandonando il suo guscio precedente e diventando qualcos'altro. Per dirla con un termine "fantasy" che possa spiegare bene cosa sia ora Azrael, si può usare la parola "elementale". Una manifestazione di un particolare elemento, dotata di un corpo, senziente, viva a tutti gli effetti. La volontà che ha donato questa forma al Nesciens ha fatto attenzione a non omettere da essa la sua vita, le sue emozioni, il suo essere Ambizione, insomma, il nucleo base della sua esistenza.
    Ciò che compone il suo corpo pare carne all'apparenza, ma non è che una composizione di minerali e rocce derivanti dal mondo in cui decide di mettere piede. Volendo fare attenzione a non privarlo della sua "vita", la volontà ha lasciato alcuni tratti umani all'elementale. I suoi sensi sono ancora tutti attivi, questo includendo il tatto, con il quale percepisce ancora le stesse sensazioni, o il gusto, per quanto questo cambi leggermente. In via del tutto teorica, per sopravvivere ora necessita solo di ingerire massa, quindi il cibo non è che un piacere opzionale, come lo è tutto il resto. Opzionale è una parola grossa, dato che la mente di Azrael necessita ancora di essere stimolata.
    Dal punto di vista pratico, questo potere dona al Nesciens tutti i vantaggi dell'essere inorganico. Venendo colpito, la struttura che compone il suo corpo viene indebolita, e l'energia magica che lo tiene integro svanisce sempre di più, affaticandolo ed indebolendolo. Il suo corpo inizia a sgretolarsi e creparsi, avvizzendo per il calo di energia arcana che lo compone.
    [Passiva Superiore]




    Abilità Attive

    Montante Spaccacrani (Pugno Furioso)
    Sei mai stato così arrabbiato da rompere una testa come un guscio d'uovo? Ecco, più o meno ti devi concentrare su quella sensazione, il resto viene da sé...

    La tecnica ha natura Fisica. Il caster, mutando le proprie emozioni e facendo sì che il proprio corpo venga pervaso dall'ira, aumenta a dismisura la potenza di un singolo colpo effettuato a mani nude che effettuerà entro il turno in cui la tecnica è stata attivata. Tale colpo, intriso del potere emotivo dell'utilizzatore, avrà a tutti gli effetti la stessa entità (quindi velocità e potenza) di una tecnica Media.
    Appena sferrato il colpo la tecnica avrà fine.
    Costo. Medio




    Riassunto Post

    BALISTIC SKILLS. Con un Montante Spaccacrani (Attacco Fisico Medio) respinge il cranio, facendolo collidere sulla palla.
     
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  3. Xisil
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    Xisil seguì con lo sguardo la traiettoria dei suoi dardi, convinta ormai che non vi fosse più alcuno scampo per la belva incatenata al pavimento dal potere di Egeria. In quell’istante la battaglia decorse verso la sua inevitabile fine, ma non nel modo in cui la guerriera si sarebbe aspettata, e nemmeno la migliore. La sagoma brillante della creatura si fece indefinita per pochi attimi, emanando forti bagliori che si rifransero sul marmo lucido del salone. Xisil strizzò gli occhi credendo di scorgere attraverso il riverbero le forme sfumate del felino sdoppiarsi, socchiuse gli occhi credendo che la forte e improvvisa luce avesse giocato un brutto scherzo alla sua vista già menomata, ma quando il bagliore si fu finalmente attenuato, non vi fu alcun dubbio che di fronte a loro i nemici fossero raddoppiati, due sagome identiche nelle fattezze e nelle movenze, sfuocate come delle proiezioni inconsistenti. Prima che Xisil potesse prendere atto delle nuove circostanze e modificare la sua tattica di conseguenza, le sue frecce riapparvero sibilando alle spalle dei nemici, trapassando una delle due presenze sfumate come non fosse fatta d’altro che di vapore, terminando la loro corsa ad alcuni centimetri dai suoi piedi, conficcandosi nelle piastrelle lucenti. Entrambe le magie, la sua e quella del mostro, si dissolsero come cenere spazzata dal vento, senza lasciare alcuna traccia. Ma la seconda delle due illusioni decise di non concedere alle due donne altro tempo: mentre ancora quella che sembrava soltanto una massa d’energia assumeva nuovamente consistenza fisica, rivelandosi agli occhi degli opponenti per l’unico, vero nemico, essa inarcò la schiena, piegando le zampe posteriori come fosse sul punto di caricare un poderoso balzo. In un attimo il felino risucchiò nelle sue fauci quanta più aria poté, per poi prorompere in un potente e assordante ruggito che si impose su qualunque altro rumore presente in quella stanza. Xisil avvertì le membra fremere mentre, in quello stesso attimo in cui il verso rombò violento nelle sue orecchie, allungò il braccio disarmato verso la creatura, pronta a indirizzare altre due frecce verso la creatura, certa che questa volta non sarebbe potuta sfuggirle. Troppo tardi si accorse del reale pericolo che stava correndo in quel momento.

    Un’aura incantata di notevoli proporzioni e velocità, un enorme felino fiammeggiante si manifestò davanti ai suoi occhi scagliandosi con un solo, poderoso balzo nella sua direzione. La vista di tale magia fu incredibile e terrificante al tempo stesso, come un’enorme onda infuocata pronta a impattare da un momento all’altro; la guerriera ebbe appena il tempo di indietreggiare di un passo, piegare le gambe in vista dell’impatto e cercare, a qualunque costo, di richiamare l’energia necessaria per tentare di difendersi dall’attacco. Chiuse gli occhi in un estremo tentativo di concentrarsi. Ciò che seguì fu il boato assordante di una deflagrazione avvolto nell’ombra.

    Non sempre il gioco vale la candela…



    Il pavimento tremò sotto i suoi piedi, Xisil vacillò mentre quel boato assordante scuoteva i sensi, tappava le orecchie rendendole insensibili, trasformandosi in un rombo sordo e ovattato. Egeria l’aveva preceduta erigendo una barriera, una lastra scura dal cui limitare facevano capolino lingue di luce ed energia come raggi di un sole eclissato. Molto probabilmente la giovane le aveva salvato la vita. Quando gli ultimi sprazzi dell’esplosione si furono esauriti lo scudo si ritirò come metallo liquefatto, mostrando il corpo del nemico riverso su un fianco, squarciato da una profonda ferita: l’immagine della bestia agonizzante lasciò la guerriera attonita, immobile nel ritrovato silenzio disturbato solamente da un fischio continuo che esisteva soltanto nella sua testa.

    Frastornata, si voltò a guardare Egeria richiamare a sé quel versatile elemento. “Grazie” provò ad articolare, ancora scossa. Le labbra si mossero, ma a stento udì qualche suono uscire dalla sua bocca. Lasciò la ragazza ai suoi pensieri, guardandola dirigersi verso il resto del gruppo, e dopo essersi accertata con lo sguardo delle loro condizioni si diresse là dove giaceva inerme la creatura che li aveva attaccati, recuperando lungo il cammino la freccia rimasta sul campo di battaglia, fredda e inutile, un po’ come lei si sentiva in quel momento. La donna dell’Organizzazione era scappata di nuovo dopo aver raccontato loro un mare di menzogne, lei era viva e incolume grazie a Egeria e ancora non avevano una chiara visione di quello che stava accadendo. Con cautela Xisil si avvicinò al corpo straziato del grosso felino, che riverso su un fianco respirava a fatica emettendo pietosi guaiti rotti dal dolore, mentre con pochi tocchi delle dita l’arco della guerriera assumeva nuovamente la forma di una spada. Una creatura così maestosa e potente avrebbe potuto rivelarsi molto utile, magari permettendo loro di risalire all’origine di quegli strani eventi, ma ormai era troppo tardi: provare a guarire una ferita così profonda si sarebbe rivelato un’inutile sforzo e non avrebbe alleviato di molto le sofferenze della bestia, senza contare che la guerriera non possedeva l’arte necessaria per compiere tale gesto. Con un gesto fermo e deciso la lama penetrò nella gola della creatura, smorzandone il respiro, spezzando la spina dorsale là sotto la nuca. Una fine rapida, dignitosa, indolore. Si congedò dalla creatura per raggiungere il resto del gruppo, mentre questa alle sue spalle si dissolse in una nube di vapore multicolore.

    “Ottimo lavoro gente. Mi congratulo con tutti voi.” Al suo ritorno tutti erano pronti per cominciare l’inseguimento, persino Khan sembrava guarito dalla precedente ferita alla gamba. Sorrise ai suoi compagni, visibilmente poco convinta che i complimenti del Nesciens fossero rivolti anche a lei.
    "Dobbiamo andare, o la perderemo." Xisil annuì rivolta alla ragazza. Senza esitare si incamminò verso lo stesso corridoio in cui poco prima di era diretta la scia di tenebra. Se non vi erano altre alternative che seguire le indicazioni di Merlino, allora tanto valeva sbrigarsi.
    “Non possiamo permetterci di restare sugli allori. Non sappiamo più quanto possiamo considerare stabile questo posto. La presenza di quella donna è un indicatore di pericolo più grosso di quanto mi aspettassi.” Giunta di fronte all’ingresso del corridoio Xisil si arrestò, voltandosi verso il Nessuno intento a raggiungerla. Non puoi immaginare quanto… sembrava volergli trasmettere con un’espressione tesa.
    "Non posso lasciare che sparisca un'altra volta" rispose ella scuotendo appena il capo prima di dare inizio all’inseguimento. Davvero, non aveva idea di quanto quella donna fosse pericolosa.
    E forse nemmeno lei.


    [Corpo - 55] | [Esn. - 105] | [Mente - 40] | [Conc. - 75] | [Dest - 100] | [Vel. - 100]



    Energia: 76 - 24 = 52%

    Stato Fisico: ustioni superficiali dal precedente scontro

    Stato Psicologico: Determinata

    Equipaggiamento:

    Arandil II: Il valore affettivo della spada originaria di Xisil era troppo grande perché ella potesse liberarsene: la sacralità del duello a fil di spada fra guerrieri e l’onore che da questo deriva, come insegnatole sin dal principio, non è mai sfuggito dalla sua mente. Senza mai rinnegare la sua arte, il suo passato, decise semplicemente di rendere la sua arma molto più versatile e adatta a combattimenti che non contemplassero solo e unicamente tale concetto di battaglia.
    Dopo un duro lavoro di manodopera, tale spada è stata modellata nuovamente mantenendo il materiale originale della lama, ovvero il diamante. Tuttavia, la nuova Arandil presenta modifiche non irrilevanti. I due tagli della spada si dividono perfettamente al centro, le due lame si ripiegano verso l’elsa, ruotando su un perno posto in cima ad essa, rivelando una serie di sottili corde incrociate, prima celati in una sottilissima fenditura nel filo della spada, e agganciati alla lama in più di un punto, che costituisce la corda resistente di un arco molto preciso. L’elsa, estratta, diviene il punto d’aggancio della freccia nel momento in cui viene incoccata. L’arma non riporta colori sgargianti, presentando invece le sfumature tipiche del metallo e del diamante. La lunghezza complessiva della lama è 90 cm, 120 contando anche l’elsa. Una volta esteso, l’arco è lungo 150 cm. Il tempo d’attivazione del meccanismo è tanto veloce da risultare ininfluente in battaglia. (arma meccanizzata)

    Agganciate ad una fascia molto aderente e celata dalla gonna della guerriera, spuntando da sotto il tessuto quanto basta per essere afferrate con facilità, le frecce hanno le dimensioni poco superiori a quelle di un dardo; costituite da una serie di cilindri resistenti inseriti l’uno nell’altro, una volta estratti i piccoli dardi si estendono raggiungendo le dimensioni di una freccia ordinaria. Il loro danno fa riferimento al parametro Destrezza (18 - 2= 16)

    Abilità Passive:

    Blurred images: Grazie all’elevata destrezza, i movimenti compiuti da Xisil con la spada appaiono sfocati e difficili da seguire, producendo l’illusione nell’avversario di immagini permanenti in modo indefinito nel vuoto, rendendo difficile individuare e parare i reali colpi della guerriera. (Passiva basata sulla destrezza, normale)



    Riassunto della battaglia: Xisil cerca di scagliare altre due frecce magiche sul nemico, ma viene anticipata dallo scudo di Egeria. Scampato il pericolo, finisce il mostro con un colpo di spada.
    Post scarno, praticamente Xisil non fa nulla. Rimedierò al prossimo giro.




    Edited by Xisil - 30/9/2016, 15:39
     
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    Ogni notte si ripresentava lo stesso incubo, ogni notte si ritrovava faccia a faccia con le sue colpe. Era piccolo, ma i mostri avevano già smesso di spaventarlo. Non c'era il buio nei suoi sogni, né insetti, né abissi infiniti. Vedeva solo un terreno scarno,una lastra di un marrone polveroso che soffocava ogni tralcio d'erba, permettendo solo a sporadici steli di poter vedere la luce. Non vi era civiltà, non vi era natura, non vi era nulla; neppure l'orizzonte si mostrava a lui, nascosto da un leggero velo di nebbia che assottigliava in un vortice grigio il confine tra terra e cielo. In quel mondo vuoto, tuttavia, lui non era mai solo: una schiera di persone lo circondava, occhi lattei che lo fissavano in silenzio, senza sussurrare alcun sentimento. Volti che riconosceva, che voleva dimenticare, volti che lo perseguitavano ogni notte, aumentando assieme ai suoi anni. Restavano lì, immobili, lo incatenavano a terra con il solo sguardo. Nessuno tentava di fargli del male, a parte lui stesso e la sua coscienza. Non correva alcun pericolo, non c'era una fine violenta, e proprio per quel motivo svegliarsi era sempre difficile; fino a quel momento non poteva fare altro che aspettare e rimpiangere se stesso.

    Remda si svegliò lentamente. Si portò a sedere ignorando il formicolio alla schiena e posò una mano sulla sua fronte, con una carezza si asciugò il sudore gelido che gli imperlava la fronte. Ancora una volta la stessa esperienza, ancora una volta il senso di colpa. Deglutì, nel tentativo di sciogliere lo spesso nodo che gli occludeva la gola. Provò a stringere con rabbia le coperte, ma si rese presto conto che gli mancava persino la forza per riuscire in quell'azione; con un sospiro stanco, si limitò a strofinarsi gli occhi pesanti, rigati da pesanti linee scure.
    Restò immobile per dei secondi interminabili, contemplando il nulla nella speranza di allontanare ogni ricordo, magari di cancellare la sua coscienza: udiva lo schiamazzare di altri bambini attraverso la finestra chiusa, un brusio ovattato che lo alienava ancora più dal mondo attorno a lui, il sole brillava tiepido lanciando ombre grigie nella camera. Colse dei passi, allora, ed un bussare sordo. Ponderò i suoni per qualche istante, prima di comprendere cosa fossero, e come la sua mente si fu svegliata del tutto dal letargo, voltò il capo verso la porta, con le labbra schiuse dallo stupore.
    -A... Avanti.- bofonchiò insicuro, battendo più volte le ciglia.
    -Scusa se ti disturbo, Rem... ti ho svegliato?- la voce acuta e agitata fu la prima risposta e solo dopo la porta si aprì appena, abbastanza da far apparire un viso timido che lo fissava a distanza con un cipiglio timoroso e disgustato allo stesso tempo.
    Il bambino scosse appena la testa alla domanda di cortesia e spalancando gli occhi scuri domandò in silenzio il motivo della visita.
    -Ecco...- balbettò la ragazza, anche la sua mano apparve per un istante mentre quella si grattava la testa tra i capelli rossicci. -... c'è un uomo che desidera incontrarti e... sì, ecco, vi lascio soli!- senza nemmeno aprire del tutto l'uscio per mostrargli chi si trovasse dall'altro lato, la tutrice scomparve con passo rapido giù dalle scale, nulla si mosse finché il suono dei suoi passi non svanì lontano.
    Di nuovo bussarono alla porta, con più forza e fermezza di prima. -Permesso.- chiese una voce più profonda e calda, la luce del corridoio inondò la camera mentre il la porta si spalancava del tutto, facendo spazio ad un uomo che Rem non aveva mai visto prima.
    Con stupore, subito notò il sorriso sul volto dello sconosciuto: lo fissò rapito, incredulo, perché era qualcosa che da troppo tempo gli era sconosciuto. Senza nemmeno sbattere le palpebre, lo seguì con lo sguardo mentre egli si avvicinava con passi silenziosi: si portò affianco a lui, con modi pacati si ravvivò la giacca bianca e si sedette sul bordo del letto. Posò gli occhi azzurro cielo sul bambino e gli sorrise gentile. -Ti chiami Remda, giusto?-
    Il piccolo annuì col capo.
    -Piacere di conoscerti, il mio nome è Devon.-
    Per un lungo istante, Rem rimase in silenzio con le labbra dischiuse. Abbassò lo sguardo ed aggrottò la fronte, cercando di ricordare dove avesse già sentito quel nome, senza accorgersene gonfiò le guance.
    -E sono un Custode.- aggiunse l'uomo, intrecciando le mani al grembo.
    Il bambino sussultò,si rivolse di nuovo a lui con stupore ed ammirazione, si sporse in avanti per poterlo vedere meglio, per toccarlo davvero. Si bloccò a metà, però, appena realizzò “chi” davvero aveva davanti. Scattante si spinse indietro con i piedi, scivolò fin contro in muro, le coperte strette tra le piccole mani. -Cosa... Cosa volete da me?- balbettò impaurito. -Io... Io non ho fatto niente, davvero!-
    -No, no, no.- la voce di Devon fu quasi sussurrata, tanto da obbligare il giovane a calmarsi e fare silenzio per udirla. -Non hai fatto nulla di male, non è colpa tua. Voglio solo chiederti cosa è successo... no, cosa sta succedendo a te.-
    Rem non seppe rispondere, rimase fermo al suo posto, le lenzuola tirate fino al volto.
    -Voglio solo aiutarti.- insistette l'uomo un'ultima volta.
    Il bambino ebbe un fremito. Strinse i pugni sulla coperta, ma lentamente la abbassò fino a scoprirsi di nuovo, lo sguardo basso. -Io...- incespicò terrorizzato sulle sue parole. -Io... li ho uccisi io. Sono io a farli morire.-
    il Custode lo ascoltò in silenzio, ma quella quiete aveva il solo effetto di rendere ancora più forte il rimbombo della sua stessa voce dentro a Rem. Ogni secondo che passava, la consapevolezza delle sue colpe si faceva più palese, impossibile da ignorare. -Lo giuro, io non volevo!- gridò con voce strozzata, mentre le prime lacrime bruciavano agli angoli dei suoi occhi. -I miei genitori non avevano più tempo per me da quando era cominciata la ricostruzione della città... ero arrabbiato, ma non volevo... non volevo fare quel sogno! Non li volevo davvero spingere giù dal tetto nel sogno e... e... non sapevo non si sarebbero più svegliati!-
    All'inizio riusciva a controllarli in parte, all'inizio si lasciava trasportare dalla corrente, inerte di fronte allo scorrere di sogni che, credeva, si sarebbero dissolti una volta risvegliato, ma ogni volta che si lasciava trascinare nelle sue fantasie, ogni volta che si vendicava su chi gli infliggeva un torto, scopriva che i suoi nemici non aprivano più gli occhi, che in qualche modo lui c'entrava ogni volta. E più sporcava le sue mani di sangue, più diventava semplice spettatore dei suoi incubi, incapace di controllare il se stesso che si muoveva al loro interno.
    -Non volevo, giuro che non volevo! I miei genitori, i compagni, la maestra...-
    Tra i singhiozzi ed i fremiti, Rem sentì una presa forte sulle sue spalle: alzò gli occhi coperti da un velo di lacrime, riconobbe la sagoma confusa di Devon che lo fissava con comprensione e gentilezza. -Lo so che non volevi, è per questo che sono qui.- gli passò il pollice sulle guance, il bambino strinse gli occhi come un gatto mentre veniva pulito. -Tu hai ricevuto un dono molto difficile, ma che io e i miei compagni possiamo insegnarti a controllare. Un dono che potrebbe permetterti di salvare molte più vite di quelle che ha mietuto.- si interruppe per un istante, come per dare maggior peso alle sue parole: soffocando i singhiozzi, il bambino non poté fare altro che trattenere il fiato ed ascoltare.
    -Io credo... che tu abbia il potenziale per essere un Custode.-





    Remda allungò il braccio di fronte a sé, strinse gli occhi e piegò con rigidità le dita: spire oscure attraversarono il suo braccio sibilando d'elettricità, un lieve fumo violaceo si addensò di fronte a lui, prese forma e presto un'arma apparve stretta nella sua mano: una corta spada scura come la notte, dall'ampia elsa pallida come la luna, terminante con una peculiare dentatura affilata, che lo rendeva estremamente simile ad una chiave.
    -Il mio Keyblade...- mormorò, stringendo la presa con decisione e disperazione. -È solo grazie a lui e a Xophiab se sono arrivato fin qui.- strinse l'arma al petto, chiuse gli occhi spaventato, ma il freddo metallo premuto contro il volto riusciva in qualche modo a calmarlo. Aprì di nuovo i suoi occhi scuri, li fissò verso il portone di fronte a sé, il portone chiuso oltre il quale la sua alleata attendeva i nemici.
    -Nessuno... Non lascerò che nessuno rovini tutto!-


    Il combattimento era terminato, ma la donna dell'Organizzazione si era oramai dileguata, fuggita lontano forse oltre il corridoio a cui aveva fatto la guardia. I quattro mercenari sfruttarono al massimo quel breve attimo di pace per recuperare le forze e curarsi dalle ferite di due estenuanti battaglie. Erano ben consci della scarsità di tempo a loro direzione ed erano preparati a sfruttare al meglio ogni istante. Ciò che non sapevano, tuttavia, era che quanto restava loro era molto meno del previsto.
    Proprio mentre stava per rimettersi in marcia, una strana atmosfera cominciò ad ampliarsi per tutto l'atrio: i flutti rosati erano svaniti e, dissolsasi la presa che essi avevano sulla gente attorno a loro, le guardie e gli impiegati del Castello cominciarono a ridestarsi lentamente, uno dopo l'altro. I primi sbadigli si alzarono attorno a loro, il misterioso silenzio in cui era crollato il salone era ormai stato scacciato e sarebbe stata questione solo di pochi minuti, se non secondi, prima che la gente attorno a loro diventasse abbastanza cosciente da comprendere cosa stava loro attorno: segni di una violenta battaglia, crepe e crateri a rovinare il pavimento della stanza e, nel mezzo di tutto ciò, quattro mercenari armati di tutto punto. Sospetto se non di più, senza alcun dubbio; ma se le profezie di Xophiab rispondevano a verità e c'era davvero un orologio ticchettante che pendeva sopra le loro teste, allora forse perdere prezioso tempo a fornire tutte le spiegazioni di sorte agli astanti era un lusso che non potevano concedersi.

     
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    IL QUARTO REGNO

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    Improvviso come si era manifestato il fumo sparì: come se un’impercettibile brezza, soffiando delicata, l’avesse respinto nel suo regno d’impossibilità e menzogne.
    Egeria osservò i fumi voluminosi sparire con crescente consapevolezza. Più il rosa tornava a dare respiro al resto dei colori, più comprendeva: che il fumo aveva fatto addormentare gli abitanti del castello; che, sparendo, li avrebbe fatti risvegliare. Che nessuno, oltre a loro, sapeva che i fumi e i danni fossero stati causati da una battaglia, che non fosse un loro banale atto di vandalismo o, peggio, di ostilità verso il comitato. Con la consapevolezza cresceva l’urgenza: le palpebre sbarrate, la mandibola serrata, ricercava con lo sguardo l’intenzione dei suoi compagni, ormai tutti riuniti in mezzo al salone. Le bastò un istante a rassicurarla che tutti avessero capito: dovevano andarsene. Correre, dileguarsi prima che le guardie si risvegliassero e individuassero loro come unici possibili sospetti. Non potevano permettersi di spiegare loro qualcosa che non avevano visto. Non potevano permettersi di perdere altro tempo.
    Cominciarono a correre quasi all’unisono, seguendo la traccia di oscurità in mezzo agli ultimi flutti di fumo rosato che, silenziosi, tornavano ai loro incensi invisibili.
    Egeria non pensava più: non poteva permetterselo. Si costringeva a concentrarsi sul suo respiro, pesante a causa del dispendio di energia magica, sulle sue gambe che faticavano a mantenere un ritmo di corsa adeguato, sul sangue che batteva contro le tempie, sulle sottili gocce di sudore che le imperlavano il collo e scivolavano sul petto; sul pulsare, basso ma inquieto, del Kervion che sfrecciava fischiante al suo fianco.
    Solo estemporanee scaglie di paure e dubbi penetravano quel flusso incessante di sensazioni: ogni volta li scacciò correndo più forte.

    “Se seguirete l’oscurità” ripeté ancora tra sé, obliando ogni altra cosa, “Troverete tutte le risposte”.

    Infine la pista violacea giunse a una funivia che si affacciava sul vuoto. Oltre il portone, oltre i corridoi, oltre lunghi secondi di corsa estraniata. Una piattaforma, rotonda e priva di parapetti, era collegata a un filo azzurrino tramite tanti, stretti bracci metallici. Come una gabbia, questi avvolgevano la base del sistema di trasporto formando una cupola. La scia oscura proseguiva oltre, parallela al filo della funivia: verso il basso, verso il buio.
    Prima di salirvi, Egeria aveva temuto che non si sarebbe mossa. Tra filo e braccia non sembrava essere compreso alcun tipo di sistema di trazione, e la tenue luce azzurrina non si presentava come una fonte d’energia plausibile. Non vedeva interruttori, non vedeva leve: una volta saliti, come l’avrebbero fatta partire?
    Eppure la funivia partì. Questione di pochi istanti, e la luce sopra le loro teste si fece più intensa: una lieve scossa, un mormorio ferreo, ed erano in moto. “Magia” constatò Egeria osservando la luce azzurrina che si estendeva al resto del filo. Non poteva essere altrimenti.
    Si allontanò dal gruppo per riprendere fiato. Il busto leggermente inclinato in avanti, il petto che si alzava e si abbassava, le labbra appena dischiuse. Guardò di fronte a sé, seguendo con il percorso del filo, cercando di scorgere, tra le ombre, un’eventuale stazione d’arrivo: non ne vide. A giudicare dalla lentezza del mezzo di trasporto, potevano permettersi di riprendere fiato e fare il punto della situazione. Deglutì a vuoto: in qualche modo, il pensiero non la rassicurava affatto.

    «Spero questo sia l'unico mezzo disponibile» esordì Xisil, rompendo il silenzio. Voltatasi verso di lei, Egeria la vide estrarre la mappa del castello. «Non possiamo permetterci di pensare anche alle guardie proprio adesso».

    Khan fu il primo ad avvicinarsi. Accennò alla mappa con un rapido movimento del viso. «Ci sono indicazioni che potrebbero tornare utili sulla mappa del castello?» chiese.

    Xisil srotolò la mappa e la osservò per qualche istante, concentrata e in silenzio. Più osservava, più i suoi lineamenti sembravano contrarsi: preoccupazione? Confusione? Egeria non seppe dirlo.
    Passò qualche altro istante prima che la guerriera abbassasse la mappa e permettesse al resto del gruppo di osservarla insieme a lei. Egeria si avvicinò di un paio di passi, il necessario perché il suo sguardo potesse mettere a fuoco con chiarezza le sottili linee nere che delimitavano stanze, corridoi e torri. Xisil aveva individuato il percorso della funivia, e lo stava seguendo col dito. Si fermò davanti a una porta calcata di nero, più grande e più evidente di tutte le altre. Una piccola scritta, vicino alle ante particolareggiate con cura, recitava “altare del cuore”.
    Egeria riportò la sua attenzione al volto di Xisil: vi lesse preoccupazione e allarme.
    “Altare del cuore” ripeté tra sé. “Altare del cuore…”
    Una morsa fredda le avvolse la gola, una scomoda conclusione che si faceva prepotentemente strada tra i suoi pensieri. Provò a scacciarla, a deglutire il freddo: non ci riuscì.

    «Ci stiamo spingendo troppo in là» decretò Xisil, sempre più a disagio. Il dito puntato sulla porta si ritrasse lentamente. «Rischiamo di causare danni irreparabili, se non prestiamo cautela».

    Troppo in là. Danni irreparabili. La testa di Egeria era di nuovo in subbuglio: ipotesi, paure, riscontri. Era di nuovo al punto di partenza, e non poteva più fuggire. Dove si stavano spingendo? Questo “altare del cuore” era davvero così importante? Era a quello che puntava la donna in nero? Il “cuore” era lo stesso concetto metafisico a cui le sue letture facevano riferimento parlando degli Heartless e del loro potere?

    Khan incrociò le braccia al petto. «Se non ci spingiamo in profondità, a causare danno saranno loro» osservò. Nonostante Egeria continuasse a non capire, il senso di disagio non faceva che aumentare. «Ma concordo: bisogna eliminare quella cagna e chiunque stia scortando il più in fretta possibile». E detto questo, fece una pausa. Egeria lo osservò attentamente mentre inclinava il capo e assottigliava le palpebre pensieroso. Nonostante i dubbi, sembrava ancora perfettamente a suo agio, in controllo. Uno stato di cui Egeria, nonostante l’apparente apatia del suo viso, non poteva più vantarsi. «Altare del cuore...»

    «Il cuore del mondo...» completò Xisil al suo posto. «Che cosa vuole davvero? Ammesso che lei si trovi laggiù, perché prendersi il disturbo di incontrarci invece di farci scomparire assieme a questo posto?»

    La morsa stringeva, le iridi tremolavano intorno a una pupilla sempre più piccola. Ogni parola di quel discorso la stava spingendo sempre più verso la conclusione che si era imposta di aggirare. Era vero, dunque. Il concetto di “cuore” era lo stesso a cui facevano riferimento le sue letture nella Città di Mezzo. Una sorta di anima, un’energia invisibile, potente ma corruttibile. Lei aveva letto dei “cuori” delle persone: le parole di Xisil avevano confermato l’esistenza di un “cuore” dei mondi. E se il cuore delle persone era corruttibile dagli Heartless…

    Il discorso continuava.

    «Teatralità?» si intromise Azrael, rispondendo a una domanda che Egeria aveva già dimenticato. «I Nessuno ne hanno una?» Fece una pausa. «In che senso il Cuore del Mondo, comunque? Dubito si stia parlando di quello letterale, dato che lì potremmo soffrire leggermente il caldo».

    «È l'essenza stessa di un mondo» chiarì subito Xisil, «proprio come il cuore umano, ed è l'energia che sorregge l'intero pianeta».

    La conferma definitiva dei suoi dubbi giunse violenta come un pugno in pieno viso.
    Egeria distolse lo sguardo e si strinse tra le braccia. Era finita, dunque. Tutto si spiegava. Tutto aveva un senso. Gli Heartless. Oriam. Il naufragio. Sua madre, Celia, loro…
    Non finì il pensiero. Chiuse gli occhi e ricacciò indietro una lacrima. Quando li riaprì, li sentì umidi.
    Cosa diamine stava facendo?
    Concentrati. Devi sopravvivere. Devi finire quello che hai iniziato. Non pensarci, non puoi, non ora. Potrebbe ancora esserci una speranza. Ti stai facendo condizionare. Non giungere a conclusioni affrettate. Concentrati.

    Il discorso continuava.

    «Ah, capisco. Il flusso energetico che sorregge il mondo». Azrael incrociò le braccia al petto e picchiettò le dita sui bicipiti. «Mi correggo. I Nessuno sono senza dubbio teatrali».

    A quel punto, qualcosa dentro Egeria esplose. Non ce la faceva più. Non ce la faceva più a tenere per sé quel dubbio. Doveva tirarlo fuori. «E se dovesse succedere qualcosa al cuore?» chiese all’improvviso, rivolta a Xisil. «Non può essere un caso che la pista di oscurità conduca lì. Se lo scopo della donna fosse danneggiare questo...» esitò «”cuore”... che accadrebbe, se ci riuscisse?»

    Xisil esitò. La osservò per un istante, poi distolse lo sguardo. La morsa strinse ancora. «Se questa fosse davvero la Radiant Garden che cerchiamo... collasserebbe». La guerriera si fermò, come se non trovasse le parole. Egeria aveva già abbassato lo sguardo. «Eppure tutta questa situazione ancora non mi convince. Tutto sembra così... diverso».

    Azrael annuì. «Concordo. Sarei molto più preoccupato se la situazione non fosse così bizzarra».

    Le dita di Egeria grattarono contro i palmi guantati.
    “Se”, ripeté pensando alle teorie di Xisil e Azrael. Sì, certo. Avevano ragione. Esisteva sempre la possibilità che quella non fosse la vera Radiant Garden; che il “cuore” del Mondo non esistesse in quella dimensione, che la pista d’oscurità puntasse a quella stanza per puro caso. Ma anche se fosse stato così…
    Serrò la mandibola e le palpebre, colta da un improvviso senso di nausea. Anche se fosse stato così, le sue conclusioni su Oriam rimanevano le più logiche. Negare l’evidenza, a quel punto, era puerile. Che senso aveva, quindi, andare avanti? Che senso aveva, se tutto ciò per cui stava combattendo era già morto?
    Nel suo campo visivo reso opaco dal dubbio, Khan aveva allungato la mano destra. Tenendo il palmo rivolto verso l’altro aveva creato, dal nulla, una piccola sfera di energia rossa. Egeria la vide senza guardare davvero, senza capire. Non riusciva a distogliere lo sguardo.
    Tutt’a un tratto, le fiamme: nere e viola come l’oscurità, divorarono la sfera in pochi istanti. Quando la sfera ne fu invasa completamente, Khan chiuse la mano a pugno; dopo averla riaperta, la sfera era sparita.
    Egeria distolse lo sguardo. Aveva capito. Non c’era bisogno di rimarcare in quel modo. Deglutì. Calma. Calma. Ispirò piano una, due volte. No. Non doveva pensarci. La speranza di rivedere Celia, di rivedere Helena era l’unico appiglio al quale era rimasta aggrappata: aveva combattuto minacce sconosciute, se l’era cavata in universo pericoloso e assurdo. Per tutto quel tempo la speranza di ritrovare il suo mondo e la sua famiglia era stata flebile e puerile – e lo sapeva: eppure era andata avanti. Eppure ci aveva creduto. Non poteva lasciare che tutto cambiasse adesso; non poteva essere così egoista da abbandonare la speranza in quel momento.
    Rialzò appena il capo, una nuova, flebile luce a ravvivarle i lineamenti. Lei era viva. Lei c’era riuscita. Come le, potevano essersela cavata anche sua madre e sua sorella. Non doveva dimenticarlo.

    Il discorso continuava.

    «Hm. Beh, è un'illustrazione affascinante» commentò Azrael, osservando la mano di Khan. «E soprattutto mi fa capire una cosa importante. Non voglio essere lì».

    «È così che gli heartless divorano i mondi, dunque». La voce le uscì bassa, quasi rassegnata; come se stesse parlando a se stessa, dando voce a un pensiero che, nonostante tutto, tornava a tormentarla. «Basta davvero così poco?»

    «Hai mai usato una bilancia, Egeria?» chiese Khan.

    Egeria impiegò un istante a metabolizzare la domanda; sulle prime, non fu neanche sicura di averla compresa. Si stava davvero rivolgendo a lei? Ripercorse mentalmente ciò che la sua percezione aveva passivamente memorizzato: “Hai mai usato una bilancia, Egeria?” Assottigliò le labbra. Dove voleva arrivare? «Certo» tagliò corto, confusa.

    Khan respirò come chi sa di dover parlare a lungo. La destinazione della funivia non era ancora in vista. «Ripensa alle volte in cui hai dovuto mettere i piatti in equilibrio, togliendo all'uno, aggiungendo all'altro e così via. Non è difficile, basta qualche tentativo e si ritrovano sullo stesso piano». Alzò un dito. «Ma basta un peso, uno solo, per rompere quell'equilibrio. Funziona così per tutto: composti, relazioni, ecosistemi, governi, persone. L'armonia tra gli elementi è di per sé precaria, molto più di quella tra i piatti di una bilancia, senza contare che le istanze in cui siamo deboli o vulnerabili si perdono in una lista interminabile: non ci vuole granché a lasciarsi dominare dai propri istinti più bassi o ad abbandonarsi ad una cieca fede in ciò che reputiamo sacro e puro. E le persone possono reagire, combattere se stesse e le forze che cercano di influenzarle, ma un mondo? Cosa c'è di più indifeso di un nucleo statico?» Si interruppe per grattarsi il mento. «Per rispondere in maniera breve e forse meno pomposa alla tua domanda: sì. è così facile che un mondo cada preda dell'oscurità. Ma è per questo che siamo su questo ascensore: per evitare che accada». Si fermò ancora e fissò lo sguardo tra le ombre oltre la funivia. «Sempre che sia ciò a cui effettivamente puntano i nostri ospiti».

    Egeria lo ascoltò passiva, sempre più cupa mano a mano che Khan parlava. «Capisco» disse senza guardarlo, la malinconia che trasmetteva appena dalla voce esitante. «Ha senso».

    Deglutì, una sensazione peculiare e acidula che le risaliva la gola. Impiegò qualche istante a decifrarla: “senso di colpa”, ammise sospirando. Per essersi buttata giù in quel modo, per aver chiesto domande più attinenti alla sua situazione personale che alla missione, per aver sminuito il lungo discorso di Khan che, era sicura, mirava probabilmente a ravvivarle lo spirito.
    “Mi dispiace”, avrebbe dovuto dire. A Khan, a Xisil, ad Azrael. Non lo fece.
    La funivia rallentava.
    Ormai erano arrivati.

    “Per evitare che accada” ripeté a se stessa.

    La funivia si fermò.

     
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    Un sibilo sommesso, simile a quello di un ciottolo lungo una lama, li accompagnava lungo la discesa, mentre il nero dell'abisso sotto di loro lasciava spazio alle interiora del castello, il flusso di energia il loro unico compagno di viaggio.
    Dileguatasi la cortina rosata assieme ai resti dei due spettri, segno che l'incanto che aeva addormentato gli altri si stesse scigliendo, si erano lasciati il corridoio e le guardie che probabilmente stavano già ispezionano il luogo dello scontro alle spalle, onde evitare malintesi che non avrebbero fatto altro che intralciarli e far perdere loro tempo.
    Khan serrò la mascella: oltre ad averli ostacolati, il Nessuno rischiava pure di incastarli di fronte alle autorità locali, continuando a dargli un motivo per far sì che lei e chiunque le avessero appioppato si pentissero amaramente di averli presi in giro in quel modo.
    Polverizzare le articolazioni di lui fino a quando non avesse chiesto scusa, strappargli il cuore e darlo a lei, farle passare quei pochi istanti di rinnovata sensibilità nello scorticamento, scotennare entrambi e gettarli in un bagno d'acido, i loro cervelli unico testimonio della loro esistenza, in modo che potessero aprirli in due ed estrarre le informazioni necessarie, e buttarli in pasto ai cani una volta finito. Non sarebbe successo, ma aveva un che di catartico crogiolarsi in quelle fantasie di ultraviolenza.
    Cominciò a sentire le unghie della mano che stava grattano il dorso del collo inumidirsi di plasma, quindi decise di fermarsi.
    Una cosa era certa: che fosse stato lui stesso o che avesse solo contribuito, avrebbe visto quale che fosse il piano di chi era dietro collassare in tanti piccoli pezzi.
    Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Le tempie pulsavano regolarmente, i muscoli erano tesi ma non doloranti, pronti a scattare al primo segnale, le orecchie ronzavano per il rumore dell'ascensore, mentre la mente tornava ad essere una camera fredda e vuota.
    Riaprì gli occhi e volse lo sguardo verso i compagni, che occupavano i restanti tre angoli della piattaforma su cui si erano affrettati, un piacevole rimando agli ascensori che aveva studiato assieme agli ingegneri di corte un decennio prima- anziché utilizzare un sistema di funi, era alimentato dalla magia, seguendo un vettore prestabilito. Azrael aveva tirato fuori due lattine uguali a quella che aveva consumato nella casa dello stregone, e fece per porgergliene una; l'immortale rifiutò chinando il capo e agitando piano la mano.
    L'altro si strinse nelle spalle e rimise a posto le birre. 'Ci sarà tempo per bere una volta finita la missione', si promise, 'Magari un buon liquore di prugne.'
    La voce di Xisil colse la sua attenzione: "Spero questo sia l'unico mezzo disponibile", la vide estrarre la mappa che avevano trovato da Merlino, che andava srotolandosi tra le mani, "Non possiamo permetterci di pensare anche alle guardie proprio adesso."
    "Ci sono indicazioni che potrebbero tornare utili sulla mappa del castello?", chiese, indicandola con un cenno del mento.
    La donna teneva l'occhio blu fisso sul foglio, muovendolo leggermente per studiare i percorsi dei corridoi di quella fortezza, alla ricerca di una risposta alla domanda postale.
    Un secondo, due, tre, e quella girò la mappa verso di loro, indicando col dito il percorso dell'ascensore: al termine del viaggio, si sarebbero trovati di fronte a una porta che, stando a quanto appuntato, conduceva all'altare del cuore; stando all'espressione congestionata che contraeva il volto di Xisil, non era una buona notizia, e bastò un minimo d'inferenza a Khan per arrivare alla stessa conclusione della compagna: stavano scendendo in profondità, verso un luogo che, pareva, era stato preso di mira da Nessuno e chissà quale altro tipo di creatura.
    Lo stesso nome lasciava poco spazio all'immaginazione: erano diretti verso il cuore di Radiant Garden.
    "Ci stiamo spingendo troppo in là", Xisil confermò la sua conclusione, "Rischiamo di causare danni irreparabili, se non prestiamo cautela."
    'Questo è ciò che succede quando ti voti alla luce', si astenne dal dire ad alta voce, 'Anche solo il minimo attacco può mettere a repentaglio tutto e far crollare ogni sicurezza'
    Era ovvio che non intendesse ritirarsi dal confronto, ma la preoccupazione che provava era tangibile, per cui decise di controbilanciare il disagio che trasmetteva: "Se non ci spingiamo in profondità, a causare danno saranno loro.", commentò, poi incrociò le braccia al petto, "Ma concordo: bisogna eliminare quella cagna e chiunque stia scortando il più in fretta possibile."
    'Se non facciamo niente, faranno danni. Se proviamo a fermarli, rischiamo di fare danni noi stessi. Tanto vale rischiare, in ogni caso abbiamo tutto da perdere.'
    Inclinò la testa e socchiuse gli occhi, riflettendo su quanto fosse ovvio, forse troppo ovvio, il loro obbiettivo: "Altare del cuore..."
    "Il cuore del mondo...", gli fece eco Xisil, "Che cosa vuole davvero? Ammesso che lei si trovi laggiù, perché prendersi il disturbo di incontrarci invece di farci scomparire assieme a questo posto?"
    'Giusta osservazione. Perché?' Capiva la volontà di liberarsi di eventuali seccature il prima possibile e magari nella maniera meno violenta, specie visto gli effetti che la loro vittoria aveva sortito, ma c'era qualcosa, non sapeva di preciso cosa, che non gli quadrava.
    'A meno che...'
    A meno che non volesse tenerli il più lontano possibile dal suo protetto, senza che potessero anche solo identificarlo. Che non fosse in grado di combattere ( ma anche se fosse stato, non ci sarebbe stata pietà per lui )?
    Azrael provò a rispondere: "Teatralità? I Nessuno ne hanno una?"
    Nessuno di loro era convinto.
    "In che senso il Cuore del Mondo, comunque? Dubito si stia parlando di quello letterale, dato che lì potremmo soffrire leggermente il caldo." Incalzò il Nesciens, e Khan alzò un sopracciglio: era peculiare che un abitante di quell'universo, tanto più una creatura strettamente legata al fenomeno del 'cuore', facesse così tanta fatica ad afferrare concetti che sembravano all'ordine del giorno, e su cui perfino lui, arenato e disperso da un'altra dimensione, era riuscito a documentarsi.
    'Natura e cultura sono due cose diverse, immagino...'
    Ad offrirgli delucidazioni fu Xisil: "È l'essenza stessa di un mondo, proprio come il cuore umano, ed è l'energia che sorregge l'intero pianeta."
    E di nuovo cascava l'asino: perché imbastire tutta quella farsa, se il loro fine era quello di fare ciò che solo loro sapevano di voler fare col nucleo di Radiant Garden? Credevano davvero che la scomparsa di un intero mondo dagli occhi di tutti avrebbe permesso loro di continuare indisturbati? O forse erano sicuri che nessuno sarebbe mai riuscito a penetrare la barriera che pareva obliterare qualsiasi cosa si avvicinasse al pianeta? Eppure loro erano riusciti a entrare.
    Che l'incontro che avevano avuto fosse stata una manovra d'emergenza, un tentativo di porre rimedio alla falla nel piano?
    'Ma fare infiltrare qualcuno? Spie? Sono riusciti a far sparire l'intero mondo sotto il naso di tutti, un paio di agenti sotto copertura mi sembra una bazzeccola, al confronto., ricordava di aver fatto così con un signorotto influente delle montagne che aveva appoggiato diversi suoi oppositori: aveva pagato due consiglieri per fargli accogliere una piccola missione di soldati travestiti da sacerdoti 'per benedire le strade del villaggio e garantirgli una vittoria contro il tiranno'. Tempo tre notti e i cittadini scappavano urlanti e in fiamme, mentre i suoi si allontanavano con la testa del pollo su una picca, ancora cosciente. L'aveva rispedito indietro solo dopo che si era fatto giurare che gli avrebbe comunicato chi si fosse rivolto a lui con l'intenzione di fare cosa ai danni dell'Imperatore.
    Si chiese se anche in quel momento, con lui fuori dai piedi, quel povero fesso passasse le notti a piangere in preda agli incubi di quell'esperienza.
    Azrael interruppe il flusso di coscienza: "Ah, capisco. Il flusso energetico che sorregge il mondo." Sentenziò, infine: "<b>Mi correggo. I Nessuno sono senza dubbio teatrali."
    Un'altra voce si aggiunse alla conversazione: "E se dovesse succedere qualcosa al cuore?<b>", Egeria guardava Xisil, con la stessa espressione e lo stesso tono di una bambina che chiedeva spiegazioni alla maestra: "<b>Non può essere un caso che la pista di oscurità conduca lì. Se lo scopo della donna fosse danneggiare questo...", un momento d'esitazione, "'cuore'... che accadrebbe, se ci riuscisse?"
    Ancora una volta, la tensione era palpabile: Egeria stava immobile, i pugni serrati, come se la risposta a quella domanda avrebbe decretato la salvezza o la condanna a morte di qualcuno. Data la natura della domanda e dell'apprensione che traspariva non tanto dall'espressione apparentemente calma, quanto dal linguaggio del corpo, non fu difficile intuire il perché avesse chiesto una cosa del genere.
    Khan tirò un sospiro imbarazzato e si strinse nelle braccia, affondando le unghie nel tessuto di maglia mentre Xisil distoglieva lo sguardo da quello dell'altra: "Se questa fosse davvero la Radiant Garden che cerchiamo... collasserebbe".
    Egeria chinò la testa alla risposta. Il punot non era ciò che era successo a Radiant Garden. In quel momento, Radiant Garden era forse l'ultimo dei problemi, almeno per lei.
    L'immortale sentì una mano gelida stringergli la gola, mentre ancora una volta riconosceva nella figura della ragazza il peso dello sconforto e della solitudine che aveva provato e che talvolta ancora provava.
    Proiezione? Forse, ma, d'altronde, non c'era cosa che più si poteva capire degli altri che ciò che si era provato sulla propria pelle.
    Tese una mano davanti a sé, mentre con l'altra stringeva il pomello di Bekh- nel giro di pochi secondi lucciole scarlatte danzavano attorno al braccio di Khan, andando a raccogliersi in un piccolo globo ad un paio di centimetri dal suo palmo;'angolo destro della bocca fu preso da uno spasmo impercettibile- usare anche il più piccolo ammontare di energia per un teatrino simile non era la più saggia delle mosse. Spalancò leggermente gli occhi, e fiamme nere avvolsero la sfera, pervadendola completamente, poi chiuse la mano a pugno, stringendola forte e riaprendola poco dopo.
    Vuoto.
    Scostata da quella dimostrazione, Egeria distolse lo sguardo.
    'No, bambina, non chiudere gli occhi. Prima accetti la realtà, prima sarai in grado di andare avanti.' Avrebbe voluto dirle, quelle parole, ma come poteva permettersi di farlo, quando neanche la conosceva? Più volte aveva visto un volto come quello rabbuiarsi, più volte aveva visto una testolina piegarsi e cercare di trattenere i singhiozzi, più volte aveva visto una giovane donna capace tornare una bambina spaesata. E in quelle volte gli era bastato avvicinarsi, abbracciarla, accarezzarle i capelli e sorriderle, ma ora letteralmente tutto era diverso.
    Sospirò di nuovo, sentendosi improvvisamente, stranamente, incredibilmente stanco.
    Azrael guardava la mano di Khan come se avesse visto qualcuno venir preso a calci nelle palle: "Hm. Be', è un'illustrazione affascinante. E soprattutto mi fa capire una cosa importante. Non voglio essere lì." Ci mancava solo che si stringesse l'inguine fra le mani.
    "È così che gli heartless divorano i mondi, dunque." Intervenne Egeria, con un filo di voce, lo sguardo perso in un punto non meglio specificato, "Basta davvero così poco?"
    "Hai mai usato una bilancia, Egeria?"
    Non ce l'aveva fatta. Non era riuscito a starsene zitto e lasciare che si occupasse del proprio cordoglio da sola- per certi versi, sentivo di non poter lasciare che se ne occupasse da sola, non in quel momento almeno. Stavano per avvicinarsi a quella che sembrava essere la destinazione finale del viaggio che avevano iniziato alla Città di Mezzo, non potevano permettersi di perdersi di morale proprio a un passo dalla fine.
    Appena recepì quella domanda, Egeria lo guardò come un gatto che osservava il padrone fare qualcosa di stupido: "<b>Certo
    ", replicò con circospezione, quasi fosse una domanda tranello.
    "Ripensa alle volte in cui hai dovuto mettere i piatti in equilibrio, togliendo all'uno, aggiungendo all'altro e così via. Non è difficile, basta qualche tentativo e si ritrovano sullo stesso piano", alzò l'indice, piantando le iridi feline in quelle vacue della ragazza, cercando di richiamarne il più possibile l'attenzione, "Ma basta un peso, uno solo, per rompere quell'equilibrio. Funziona così per tutto: composti, relazioni, ecosistemi, governi, persone. L'armonia tra gli elementi è di per sé precaria, molto più di quella tra i piatti di una bilancia, senza contare che le istanze in cui siamo deboli o vulnerabili si perdono in una lista interminabile: non ci vuole granché a lasciarsi dominare dai propri istinti più bassi o ad abbandonarsi ad una cieca fede in ciò che reputiamo sacro e puro. E le persone possono reagire, combattere se stesse e le forze che cercano di influenzarle, ma un mondo? Cosa c'è di più indifeso di un nucleo statico?"
    Si fermò. Forse l'aveva tirata un po' troppo per le lunghe. "Per rispondere in maniera breve e forse meno pomposa alla tua domanda: sì. è così facile che un mondo cada preda dell'oscurità." prese a grattarci il mento, cercando di enfatizzare la trivialità di una cosa tanto grave, " Ma è per questo che siamo su questo ascensore: per evitare che accada." Concluse, poi lasciò andare lo sguardo verso il vuoto, quasi dubbioso, "Sempre che sia ciò a cui effettivamente puntano i nostri ospiti."
    Aveva temporaneamente rinunciato a provare a venire a capo della cosa, ma non riusciva a scollarsi di dosso la sensazione di star abboccando a una palese, sfacciata trappola. Era davvero quello l'obbiettivo del Nessuno e del suo collaboratore? O forse li stavano guidando come un asino con la carota? Che quella scia nera e violastra fosse stata messa lì apposta per depistarli? La lettera di Merlino diceva di seguire l'oscurità, certo, ma chi poteva garantire loro che fosse effettivamente sua? Era rivolta a loro quattro, ma se a scriverla fosse stato qualcuno tra le file nemiche che aveva previsto il loro arrivo in qualche modo?
    Tutto poteva essere tutto e il contrario di tutto.
    "Capisco", rispose Egeria, forse ancora più abbattuta di prima. "Ha senso."
    Ci aveva provato. Ora toccava a lei provare a risollevarsi.
    Avrebbe voluto parlarle, ma non era né il momento, né il caso. Sapere di più, capire meglio cos'avesse passato e cosa stesse provando per poterle dire qualcosa che potesse essere più d'aiuto del primo panegirico che gli era venuto in mente.
    'Forse ci sarà l'occasione. Forse. Rilassati.'
    Aveva tutto il tempo del mondo, d'altronde.

    Note:

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    Edited by fugue - 10/1/2017, 23:13
     
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  7. AzraelParanoia
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    Our Last Ride






    Lo stridere costante dei cavi della funivia incantata accompagnò il flusso dei miei pensieri mentre, reggendomi ad uno dei bracci metallici, guardavo fuori con espressione preoccupata. Seguiti dal flusso di energia che ci avrebbe condotto al nostro obiettivo, potevamo osservare l'abisso oscuro espanso sotto ai nostri piedi. Non soffrivo certo di vertigini, ma quella vista riusciva comunque a nausearmi, per via del fatto che fissando quell'interminabile notte dinnanzi a me, non potevo che pensare al fatto che, nel caso avessimo fallito, l'intero mondo sarebbe diventato come quel burrone. Vacuo, freddo e privo di vita. Certo, come avevo prima supposto, poteva perfettamente essere una sua simulazione, e dunque non ci saremmo davvero ritrovati ad avere a che fare come qualcosa di grosso come l'intera distruzione del mondo, ma contando come tutto era iniziato... quel mondo in cui tutti parevano ignorare le difficoltà provenienti dall'esterno, barcollando ebbri verso il proprio oblio, come in un macabro coma collettivo.
    Cercando di distrarmi da quella prospettiva, misi mano allo zaino, trascinandolo lungo la tracolla in pelle ed aprendolo, tirando fuori due delle lattine di birra rimaste, offrendone una a Khan, che intanto sembrava anche lui osservare l'abisso, con un'espressione leggermente meno preoccupata, e forse più riflessiva. Quell'uomo... per dirla in quei termini che detestavo tanto usare, si era allontanato dalla Luce, o forse non aveva mai avuto a che fare con essa. Non ero nessuno per giudicarlo, certamente, completamente cieco come sono dinnanzi sia alla Luce che all'Oscurità. Gli avvicinai una lattina, facendo un cenno con il capo per fargli intuire che si trattasse di un'offerta, ma quest'ultima venne cortesemente rifiutata con un gesto silenzioso. Scrollai le spalle, riponendole entrambe nello zaino. Forse, in effetti, sarebbe stato il caso di bere a missione conclusa, per festeggiare. Quella sorta di accettazione silenziosa avrebbe vincolato la mutua promessa di sopravvivere tutti, uscendo da quell'abisso più o meno intatti.

    Quella situazione di simil-sogno, così come descritto nella provocazione della donna in nero, che quasi ci accusò di star rovinando una qualche ipotetica, idilliaca fuga dalla realtà. Quelle persone erano inconsapevoli cadaveri, e stavano marcendo. Personalmente, non l'avrei permesso. Certo, non osavo definirmi un eroe, un salvatore, ma semplicemente una persona desiderosa di fare qualcosa di grande. E senza un mondo in cui farlo, come potevo realizzare il mio desiderio? E, come se non bastasse, migliaia, milioni di altre persone avrebbero perso i loro desideri, morendo prima di poter compiere i loro sogni, costruendoli con le loro mani. Questo comportamento era per me incomprensibile, da parte di un Nessuno. In fondo, che guadagno potevano trarre da un'azione simile? Per quanto, naturalmente, non fossero giustificati a farlo, la fame degli Heartless era una delle ragioni per le quali l'oscurità divorava i mondi, ma perché dovrebbero ricevere supporto dai Nessuno? Faceva parte di un qualche piano per recuperare il cuore perduto? Era per semplice invidia nei confronti di chi ne possedeva uno? Erano tutte risposte che comunque non presupponevano un pensiero razionale dietro alla scelta. Brutalizzare un mondo non sarebbe mai dovuta essere una scelta, dato che la morte di Radiant Garden avrebbe completamente destabilizzato l'equilibrio di tutti i mondi ai quali esso era collegato. Sarebbe stata una reazione a catena assolutamente distruttiva, e non parliamo dell'ovvia paura che si spargerebbe ovunque, se si sapesse della possibilità di distruggere completamente un mondo. Chi ti assicurerà che il tuo mondo è al sicuro? Già, in effetti... considerati gli ultimi eventi, un gruppo di persone simili, come un Comitato, ma privato, non sarebbero state una cattiva idea. Forse avrei dovuto pensarci, una volta fuori dall'incubo.
    «Ci stiamo spingendo troppo in là» affermò una Xisil preoccupata. «Rischiamo di causare danni irreparabili, se non prestiamo cautela». Le sue parole spezzarono il silenzio che si era formato nella mia testa, facendomi ignorare ciò che era stato detto prima. La spadaccina aveva tra le mani una mappa, osservandola nel più totale sconforto, concentrandosi nello specifico in un luogo chiamato "Altare del Cuore".

    Girai lo sguardo, sospirando e supponendo di che si potesse trattare. Era per caso il "nucleo del mondo"? Quel luogo da dove tutti i flussi energetici entrano ed escono, come una sorta di Cuore, dotato di aorte e ventricoli? Mi segnai di chiederlo a Xisil, lasciando però posto a Khan, che commentò senza troppi mezzi termini sulla situazione, con un "«Ma concordo: bisogna eliminare quella cagna e chiunque stia scortando il più in fretta possibile»". Annuii scuotendo la testa. Non potevo che dargli ragione, ma ogni volta vedere quell'individuo statuario e dall'espressione statica esprimersi in una maniera tanto brutale mi faceva prudere il retro della testa, come se quelle frasi pronunciate da quella bocca fossero un ossimoro.
    Anche lui espresse i suoi dubbi su quel termine, nonché, come completò Xisil per il fatto che la Nessuno ci stava attirando all'interno dell'Altare, quando invece avrebbe potuto distruggere il mondo e farla finita con noi come se niente fosse mai successo, in uno schiocco di dita. Non aveva tempo per concludere ciò che doveva fare? Aveva bisogno della nostra presenza, nel suo piano? Oppure...
    «Teatralità?» mi dissi schioccando le dita. «I Nessuno ne hanno una?» Dissi, poi fermandomi per una piccola pausa, alzando gli occhi al cielo. «In che senso il Cuore del Mondo, comunque? Dubito si stia parlando di quello letterale, dato che lì potremmo soffrire leggermente il caldo», chiesi dunque, giusto per essere sicuro di aver capito ciò di cui si stava parlando.
    «È l'essenza stessa di un mondo» spiegò brevemente la donna, «proprio come il cuore umano, ed è l'energia che sorregge l'intero pianeta».
    Dunque non ci ero andato così lontano, eh? Era il centro del flusso del mana, o generalmente dell'energia, qualunque fosse il modo con il quale la si voleva chiamare. Distruggere quella avrebbe completamente "spento" il pianeta, lasciandolo a sgretolarsi nello Spazio Profondo. Risposi dunque alla donna, alzando lo sguardo, incrociando le braccia e picchiettando sui bicipiti per mantenere una parvenza di calma.
    «Ah, capisco. Il flusso energetico che sorregge il mondo». Beh, questo mi faceva senza dubbio rivalutare la mia "terza ipotesi". «Mi correggo. I Nessuno sono senza dubbio teatrali».
    Dunque era così che architettava la nostra fine. Magari ci avrebbe gettato in quello stesso nucleo, sperando di mettere fine alla nostra opposizione con uno scontro finale al cardiopalma. Questo mi fece riflettere su qualcosa che lessi sui Nessuno tempo prima. Per quanto non fossero capaci di provare emozioni, erano più che esperti nel simularle, e forse una simile esagerazione e teatralità poteva essere risultato della loro "deformazione". Non sarebbe stato completamente insensato.
    Ascoltai la discussione di Egeria con Xisil, alla quale fu chiesto cosa accadrebbe nel caso fosse successo qualcosa al cuore. Abbassai lo sguardo desolato, già consapevole di quale fosse la risposta. Senza l'energia a reggerla, sarebbe diventata fredda, desolata, e, per logica... facile preda per l'oscurità. Quest'ipotetica nuvola di Heartless, questa fame infinita che vagava per lo Spazio alla ricerca di pianeti da annichilire.
    Fortunatamente, come notò la spadaccina, c'era sempre la possibilità che questa non fosse la "Vera" Radiant Garden, e che dunque non fossimo particolarmente a rischio distruzione planetaria. Concordai, ma per quanto dissi di non essere particolarmente preoccupato, una parte di me teneva ancora in considerazione la possibilità che fossimo letteralmente davanti alla fine del mondo.
    Khan dedicò al gruppo una spiegazione con tanto di proiezione olografica didattica. Una sferetta di luce iniziò a scintillare nel palmo dell'uomo, avvolgendosi poi con un manto di fiamme scure che iniziò a consumarla, eventualmente mettendo fine alla sua esistenza. Sul palmo dello stregone giaceva il vuoto. Guardai con sconforto l'esibizione, ma non allontanai la vista, in fondo era vero. Quelle sarebbero state le conseguenze.
    «Hm. Beh, è un'illustrazione affascinante» commentai facendo trasparire il mio disagio. «E soprattutto mi fa capire una cosa importante. Non voglio essere lì», conclusi con sprezzo.

    «È così che gli heartless divorano i mondi, dunque», disse Egeria con tono flebile, quasi rassegnato. «Basta davvero così poco?». La sua voce mi fece sentire un nodo all'altezza del petto. Aveva paura, e come darle torto? Eravamo davanti ad una possibilità di totale annichilimento di un pianeta. Non avere paura sarebbe stato irrazionale.
    Khan chiese alla ragazza qualcosa su una bilancia, lasciandosi ad uno scambio di parole che precedette la spiegazione dell'uomo dalla pelle scura. Era senza dubbio un esperto sull'argomento. Aveva già assistito a qualcosa di simile? Forse ne era stato partecipe in prima persona? Mi passai una mano sui capelli, grattandoli nervosamente, conscio del fatto che non avrei avuto una risposta, ma che in ogni caso quella spiegazione non avrebbe portato a nulla di gradevole.
    «Ripensa alle volte in cui hai dovuto mettere i piatti in equilibrio, togliendo all'uno, aggiungendo all'altro e così via. Non è difficile, basta qualche tentativo e si ritrovano sullo stesso piano». Alzò un dito. «Ma basta un peso, uno solo, per rompere quell'equilibrio. Funziona così per tutto: composti, relazioni, ecosistemi, governi, persone. L'armonia tra gli elementi è di per sé precaria, molto più di quella tra i piatti di una bilancia, senza contare che le istanze in cui siamo deboli o vulnerabili si perdono in una lista interminabile: non ci vuole granché a lasciarsi dominare dai propri istinti più bassi o ad abbandonarsi ad una cieca fede in ciò che reputiamo sacro e puro. E le persone possono reagire, combattere se stesse e le forze che cercano di influenzarle, ma un mondo? Cosa c'è di più indifeso di un nucleo statico?» Si interruppe per grattarsi il mento. «Per rispondere in maniera breve e forse meno pomposa alla tua domanda: sì. è così facile che un mondo cada preda dell'oscurità. Ma è per questo che siamo su questo ascensore: per evitare che accada». Si fermò ancora e fissò lo sguardo tra le ombre oltre la funivia. «Sempre che sia ciò a cui effettivamente puntano i nostri ospiti».
    Non aveva tutti i torti. Per distruggere un mondo nella sua manifestazione più fisica dovevi metterti di impegno. Avevi bisogno di una forza incredibile, capace di comprimerlo, farlo esplodere, o farlo assimilare da qualcosa di ben più grosso. Ma far divorare un "mondo" dall'oscurità? Far finire il suo flusso? Quello era facile, bastava solo una stilla che, come un cancro, si sarebbe moltiplicata all'infinito senza la stessa difesa che avrebbe avuto la volontà di un individuo. Un processo senza dubbio più lento, ma più difficile da fermare. Ma per fortuna, come disse l'uomo... noi eravamo lì proprio per quello.

    Salvare il mondo, salvare i miei compagni, salvare me stesso. Una grande quantità di responsabilità si erano posate sulle mie mani, e non potevo lasciarle andare. Un mio errore avrebbe potuto mettere fine a migliaia di esistenze, sia in maniera diretta che indiretta. Quel potere assoluto, capace di schiacciare le vite così facilmente, distruggendo la civiltà e lasciando delle lande desolate popolate solo da qualche fottuto heartless, non andava usato, se non per casi di estrema necessità. Era la morte non solo di una manciata di vite, come se ciò non fosse abbastanza, ma anche di secoli di storia, nella forma di racconti, di edifici, di libri e di ricordi. Gli Heartless erano il regresso, e corrompendo il mondo con l'Oscurità quella donna non stava facendo altro che alimentarlo. Qualunque fosse il piano dietro ad un'azione tanto stupida, il gioco non valeva la candela.
    Aprii il palmo, facendo scivolare fuori da esso una statuetta d'ossidiana, rappresentante in maniera grezza ma riconoscibile la donna incappucciata. La strinsi con forza, alzando lo sguardo determinato e rivolgendomi agli altri tre. A quelle tre persone che come me, sorreggevano un peso che forse non sarebbe stato adatto a milioni di persone insieme.
    -Qualunque cosa ci ritroveremo davanti, fermarci non è una possibilità. La fine di un mondo non è, e ripeto, non è contemplabile. Se ciò che abbiamo discusso è vero, il nostro nemico potrebbe distruggere migliaia, milioni di esistenze, destabilizzando completamente l'equilibrio dei mondi. In fondo, Radiant Garden è un elemento centrale, tra di essi.-. Strinsi progressivamente la statua nel mezzo del discorso, sino a che un suono secco non echeggiò per l'abisso. Aperto il palmo, la testa rotolò per terra, cadendo giù dalla funivia, ed i pezzetti di vetro rimasti sulla mano la seguirono rapidi. I capelli, intanto, si erano colorati di un vivido rosso scarlatto, mentre intanto il tatuaggio pulsava del medesimo colore.
    -Abbiamo un grosso peso sulle spalle, ma dobbiamo tirare avanti. Perché che io sia fottuto e strafottuto se permetterò a mostri simili di girare indisturbati, rischiando di far saltare in aria i mondi come se niente fosse! E sono sicuro che nessuno di voi si arrenderà, quindi alzate le teste! Io vi copro le spalle e voi coprite la mia. Qualunque cosa ci sia davanti, la schiacceremo come una frana. Fate parlare le armi prima della bocca e non fatevi soggiogare dalla retorica spicciola.-
    Abbassai lo sguardo ed il tono, massaggiandomi il mento. -Non glielo lascerò fare. Anche se dovessi perdere le braccia e le gambe, mi scaglierei comunque contro di loro. Non sono mai stato così furioso in vita mia, probabilmente.-.
    I capelli si schiarirono, ed il tatuaggio si spense, infine. -Mi affido a voi. Non entrate in quell'abisso carichi di sconforto, o finirà per divorarvi. Entrate con il sorriso sulle labbra e la volontà battagliera. Perché oggi, signore e signorine...-
    Piegai il collo, producendo un rumoroso crack.
    -Oggi salviamo il cazzo di mondo.-



    Stato Fisico: Lievi "solchi" generati dalla corrosione di entità complessivamente non tecnica.
    Stato Psicologico: ////
    Energia: 46% +10% (riposo) = 56%


    CITAZIONE
    Statistiche:

    Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Essenza :
    Punteggio iniziale ( 80 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( 20 ) Totale ( 120 )
    Mente:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 40 )
    Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )
    Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Velocità:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )




    Equipaggiamento

    King Crimson - Arma Magica
    L'unica arma di cui Azrael avrà mai bisogno è se stesso. O perlomeno, l'altro se stesso. King Crimson non è che una manifestazione ESP dell'ego del Nesciens, da lui chiamato "stand", o perlomeno, pensa di averlo chiamato così in un ricordo lontano. Si tratta di una figura alta quanto il suo possessore, il cui corpo è coperto quasi completamente da una "griglia" bianca, con una pelle liscia e rossa al di sotto, escludendo la sua faccia, il collo, due spallacci, gomiti, mani, addome, inguine, caviglie e scarpe.
    I suoi occhi sono due orifizi stretti e sottili, dai quali emergono due occhi più da rettile che da uomo. Qualsiasi espressione faccia, mostra costantemente i denti, in una perenne parvenza d'ira. Sulla sua testa, una corona appiattita, e dalla fronte emerge un livello rialzato, sul quale è presente una piccola faccia ovale, la cui espressione è identica a quella della stand.
    I pugni di King Crimson sono letali. Hanno un potenziale non troppo differente da quello di un martello da guerra, o di un maglio d'acciaio (con le relative resistenze di quest'ultimo, dunque possono cozzare con una lama senza ricevere tagli particolari), ma la sua forza non deriva da nessuna particolare struttura. Esso non è che una manifestazione spirituale concretizzata. Appunto per questo, la potenza dei suoi attacchi dipende dall'Essenza del suo possessore. Per quanto la possibilità di attaccare direttamente con la propria anima sia un grande vantaggio, ci sono dei limiti.
    Prima di tutto, King Crimson non può allontanarsi di più di tre metri da Azrael, in nessun caso. E come seconda cosa, il pericolo in cui si incorre nell'utilizzarlo. Esso è collegato in maniera intrinseca al suo possessore, e ferendolo, si ferisce quest'ultimo. Un attacco che colpisce King Crimson viene direttamente traslato sul suo utente. Un pugno a King Crimson causerà un bel livido ad Azrael. Pugnalandone il braccio, si aprirà spontaneamente una ferita sul braccio del Nesciens, e così via.
    (Capacità di attacco autonomo: Passiva Normale - 20 AP)
    (Capacità di movimento autonomo: Passiva Superiore - 25 AP)
    (+20 Essenza)

    Atarassia Silicata - Arma Normale

    Un paio di guanti da combattimento costruiti appositamente per Azrael. Coprono tutto il dorso della mano con uno strato di pelle borchiata dipinta di viola, e terminano con tre lunghe lame di quarzo che partono dalla prima falange e proseguono oltre la punta delle dita, curvandosi leggermente. Sono fissate alla mano tramite una stretta fascia intorno al palmo ed una chiusura a ganci sul polso. Abbastanza comode e non troppo ingombranti, permettono ad Azrael di utilizzare comunque manovre per il combattimento corpo a corpo, brandire armi, ed altre azioni di questo genere.




    Abilità Passive

    Alterare la Realtà
    Chi sfida Azrael si ritrova immancabilmente a percepire, nell'ardire della sua volontà combattiva, la sua visione personale di ciò che lo circonda. Nel filtro personale attraverso il quale chi sfida Azrael è costretto a vedere si possono vedere dei colori estremamente vividi. Tutto quanto sembra ardere, e la vista è deformata ed ondeggiante, come se si fosse nel bel mezzo di una giornata particolarmente afosa. Non è strano vedere il tutto mutare per assumere un aspetto più monumentale. Un semplice pilastro di pietra può apparire come una colonna antica, raffinata e maestosa. La luce può concentrarsi in punti particolari, mettendo "sotto il riflettore" certi eventi, come se Azrael vedesse il mondo attraverso un film, in cui lui è il protagonista.
    Passiva Inferiore.

    Struttura Elementale
    Ha a che fare con la mia origine. Con le forze che hanno contribuito a darmi questa forma. Intrinsecamente, sono legato a questa distruzione, a queste rovine erose dal tempo. Devo proteggere ciò che non è ancora andato perduto.
    Forse una punizione per ciò che ha deciso di prendere con la sua origine, forse lo scopo che tanto cercava, oppure forse ciò che è sempre stato. Non è rimasto molto di organico in Azrael, che ha accettato di mutare, abbandonando il suo guscio precedente e diventando qualcos'altro. Per dirla con un termine "fantasy" che possa spiegare bene cosa sia ora Azrael, si può usare la parola "elementale". Una manifestazione di un particolare elemento, dotata di un corpo, senziente, viva a tutti gli effetti. La volontà che ha donato questa forma al Nesciens ha fatto attenzione a non omettere da essa la sua vita, le sue emozioni, il suo essere Ambizione, insomma, il nucleo base della sua esistenza.
    Ciò che compone il suo corpo pare carne all'apparenza, ma non è che una composizione di minerali e rocce derivanti dal mondo in cui decide di mettere piede. Volendo fare attenzione a non privarlo della sua "vita", la volontà ha lasciato alcuni tratti umani all'elementale. I suoi sensi sono ancora tutti attivi, questo includendo il tatto, con il quale percepisce ancora le stesse sensazioni, o il gusto, per quanto questo cambi leggermente. In via del tutto teorica, per sopravvivere ora necessita solo di ingerire massa, quindi il cibo non è che un piacere opzionale, come lo è tutto il resto. Opzionale è una parola grossa, dato che la mente di Azrael necessita ancora di essere stimolata.
    Dal punto di vista pratico, questo potere dona al Nesciens tutti i vantaggi dell'essere inorganico. Venendo colpito, la struttura che compone il suo corpo viene indebolita, e l'energia magica che lo tiene integro svanisce sempre di più, affaticandolo ed indebolendolo. Il suo corpo inizia a sgretolarsi e creparsi, avvizzendo per il calo di energia arcana che lo compone.
    [Passiva Superiore]




    Abilità Attive




    Riassunto Post
     
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  8. Xisil
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    Si diedero alla fuga senza pensarci due volte. Fuggirono come criminali colti sul fatto, braccati dalla giustizia, senza dare spiegazioni, senza la possibilità di professare la loro innocenza. Forse li avrebbero ascoltati, forse li avrebbero arrestati, trattenuti nella migliore delle ipotesi, ma di fronte ad uno spettacolo del genere, alla vista del pavimento del salone - intatto fino a pochi attimi prima - dilaniato dalle esplosioni, sarebbe stato difficile credere loro sulla parola. Allora presero una decisione all’unisono, fuggirono proprio come quella donna aveva fatto prima di loro. Inganno, menzogne… quanto più Xisil realizzava la loro precaria posizione in quella vicenda tanto più sentiva aumentare il senso di colpa e una velata sensazione di nausea risalire dallo stomaco fino alla bocca. Si voltò a guardare il corridoio dal quale erano giunti farsi a poco a poco più distante, con una lentezza disarmante: tornare indietro sarebbe stato inutile.

    "Spero questo sia l'unico mezzo disponibile". Dal momento che nel giro di pochi secondi sarebbero diventati i principali sospettati di tutta quella vicenda, le probabilità che presto o tardi qualcuno avrebbe cercato di raggiungerli e fermarli erano piuttosto elevate. "Non possiamo permetterci di pensare anche alle guardie proprio adesso”. La situazione è già abbastanza complicata così com’è.

    Fu Khan per primo a richiamare l’attenzione della guerriera, l’unica che avrebbe potuto rivelare la loro prossima destinazione: l’unica in possesso della mappa. Aprì con cura la carta, dispiegando l’intricato groviglio di percorsi, livelli, linee ora più sottili ora più marcate. Individuò senza troppa difficoltà l’ingresso, l’atrio, il corridoio, e un percorso in fondo ad esso marcato da una lunga linea che collegava due aree ben distinte del castello; Xisil distolse lo sguardo dalla piantina, osservando per un istante la piattaforma sulla quale stavano viaggiando, delimitata da una sorta di gabbia le cui sbarre sembravano essere costituite da energia magica, per poi alzare lo sguardo in cerca della fonte di tale energia. Bingo . Un sottile filamento d’energia di un colore tenue correva, perfettamente dritto e teso come fosse stato tracciato con strumenti di precisione, verso le tenebre sotto di loro, sempre più in basso.

    Osservò la mappa in religioso silenzio, percorrendo il tragitto segnato nero su bianco una, due , tre volte, e ad ogni nuovo esame i lineamenti del viso si indurivano, le palpebre assottigliate per permetterle una migliore messa a fuoco si spalancavano sempre più, e le labbra rosee si dischiusero in un sottile spiraglio di stupore e incredulità. Abbassò la carta, permettendo a tutti di vedere ciò che ella aveva visto, mentre con la punta del dito aiutò lo sguardo a destreggiarsi ancora una volta fra le linee e le minuscole scritte, nella remota speranza di essersi sbagliata, ma quando l’indice si arrestò nuovamente nel medesimo punto, di nuovo sulla stessa porta marcata con uno spesso tratto nero, accanto alle stesse piccole parole, tutti tacquero. No, non si era affatto sbagliata.

    Il suo cuore prese a battere più in fretta, sentì la testa farsi pericolosamente leggera, la mente vacua; il silenzio si fece pesante, avvertì il gelo calare su di lei, pungere il suo viso, mentre le sbarre di quella gabbia d’energia sembravano stringersi attorno a lei come le mura di una prigione. Fremette credendo di percepire nel buio sotto i suoi piedi presenze indefinite muoversi strisciando nelle tenebre, temendo di sentire da un momento all’altro il pavimento tremare sotto i suoi piedi.
    “Ci stiamo spingendo troppo in là” Ruppe ella il silenzio, scacciando i ricordi nel profondo della sua mente mentre ritraeva l’indice come se interrompendo il contatto con la carta e l’inchiostro anche l’inquietudine sarebbe cessata. Eppure il suo sguardo offeso rifletteva ancora il terrore che ottenebrava il suo animo. “Rischiamo di causare danni irreparabili, se non prestiamo cautela”.
    “Se non ci spingiamo in profondità, a causare danno saranno loro” fu proprio Khan a rispondere incrociando le braccia al petto. “Ma concordo: bisogna eliminare quella cagna e chiunque stia scortando il più in fretta possibile.” Curioso come proprio lui, un essere votato alle tenebre, si fosse schierato in quel momento dalla loro stessa parte, condividendo i suoi timori. Le tenebre bramano i cuori, questa era la verità; dunque cosa c’era di diverso in lui?
    "Altare del cuore..." rifletté il moro, assorto in chissà quali pensieri, chissà quali macchinazioni.
    "Il cuore del mondo..." proseguì lei, ancora troppo spaventata per lasciarsi sopraffare completamente dai suoi pregiudizi. "Che cosa vuole davvero? Ammesso che lei si trovi laggiù, perché prendersi il disturbo di incontrarci invece di farci scomparire assieme a questo posto?" Perché non porre fine a quella farsa una volta per tutte? Forse perché ancora non era riuscita ad accedere a quell’area del castello, forse perché era il luogo migliore per nascondere il suo protetto, o forse…
    “Teatralità?” Tirò a indovinare Azrael schioccando le dita “I Nessuno ne hanno una?”. Forse anche troppa . Il Nesciens tuttavia desiderava spiegazioni ben più dettagliate sulla natura del cuore di un mondo. Egeria, nel frattempo, ascoltava in religioso silenzio.
    “È l'essenza stessa di un mondo, proprio come il cuore umano, ed è l'energia che sorregge l'intero pianeta”. Questo era quanto ella sapeva, quanto le circostanze le avrebbero permesso di spiegare; come lo sapesse, dove avesse reperito tali informazioni, questo era irrilevante, e sperava non fosse ancora giunto il momento di doverne rendere conto a qualcuno.
    “Ah, capisco. Il flusso energetico che sorregge il mondo” Xisil annuì, in effetti Azrael ci era andato molto vicino. “Mi correggo. I Nessuno sono senza dubbio teatrali.”

    "E se dovesse succedere qualcosa al cuore?” Xisil si voltò di scatto all’ingresso di quel nuovo partecipante nella loro conversazione, un quarto timbro vocale femminile che proruppe all’improvviso. Accanto a lei, Egeria implorava con lo sguardo che qualcuno rispondesse alla sua domanda, e fra tutti ella scelse proprio la guerriera. Xisil ricambiò lo sguardo supplice della ragazza, pur conscia di essere forse fra i presenti la persona più adatta a fornire tale spiegazione. Sperava solo di potersi risparmiare i dettagli.
    “Se questa fosse davvero la Radiant Garden che cerchiamo...” esitò, cercando le parole più adatte, le più chiare e dirette, inequivocabili. “… collasserebbe”. Egeria distolse lo sguardo, e Xisil sentì un noto bloccarle la gola, strozzando e spezzando la sua voce. “Eppure tutta questa situazione ancora non mi convince. Tutto sembra così... diverso”. Osservava la coetanea irrigidirsi, abbassare il capo, e per un attimo pensò che anche lei, forse, stava provando esattamente la stessa paura, la stessa nauseante angoscia. Avrebbe voluto raccontarle tutto ciò che aveva visto, provare a rassicurarla e a ricordare a se stessa al tempo stesso quanto la loro situazione fosse diversa da quello che lei aveva sperimentato - niente Heartless, per cominciare - , ma Xisil non ebbe la forza né di addentrarsi ancor più nel profondo delle sue stesse memorie, né di valicare il silenzio e il distacco dietro quel muro di riservatezza che fino a quel momento Egeria aveva mantenuto saldo attorno a sé.

    In quel momento, una luminescenza inaspettata attirò l’attenzione di entrambe: Khan reggeva nel palmo della mano destra una sfera rossastra, un globo pulsante la cui luce calda brillava negli occhi fissi dei presenti. Bastò un istante e fiamme nere e violacee divamparono violente, fiamme oscure che avviluppando il globo di luce, divorandolo, consumandolo. Fu allora che Xisil capì: distolse lo sguardo, nauseata alla vista di quello spettacolo, alla disinvoltura con cui egli si prodigava in quella dimostrazione pratica, crudele e terrificante più di qualunque tortura. La guerriera combatté per mantenere la calma, mentre nel profondo del suo cuore avrebbe voluto sfogate tutta la sua rabbia, il suo dolore, la sua frustrazione. Se solo egli avesse saputo che i suoi giochetti erano più che superflui, che ella già sapeva, che aveva già visto quei momenti con i suoi stessi occhi, che li aveva vissuti sulla sua pelle… ma Xisil non proferì parola, guardò altrove, si fece da parte, consapevole che presto, molto presto, avrebbe saputo fino a che punto il loro compagno di viaggio si sarebbe prodigato per combattere dalla loro parte, quella della luce. Si voltò, allontanandosi di qualche passo, sorda ai discorsi che seguirono. Inspirò profondamente nel tentativo di placare il tumulto che agitava il suo petto, mentre con mano tremante piegava nuovamente la cartina.

    Furono le parole di Azrael a risvegliarla dal freddo abisso dei suoi pensieri, e in quell’attimo ancora sospeso fra i ricordi e la realtà Xisil credette di sentir parlare non il Nesciens, ma un’altra persona, qualcuno che non poteva essere lì in quel momento ma che l’avrebbe spronata con parole quasi identiche.
    “Qualunque cosa ci ritroveremo davanti, fermarci non è una possibilità.”
    La guerriera volse dapprima soltanto il capo, tese l’orecchio a quelle parole ispirate, mentre le braccia scivolavano lentamente lungo i fianchi, abbandonandosi ad un amaro turbinio di emozioni.

    “Per questo motivo voglio trovare quella chiave: questo fantomatico guardiano del Keyblade... non so se questo eroe esista veramente” pronunciò quell’appellativo con un pizzico di disprezzo, quella fatica di chi crede che un certo titolo non calzi bene indosso ad una persona, “... se davvero abbia salvato i mondi; ma se quel manufatto realmente esiste, chi lo possiede ottiene il potere e di il dovere di agire. Ormai ho accettato il fatto di non poter fare più nulla per la mia gente... ma posso ancora fare qualcosa affinché nessun altro debba subire ciò che è successo a loro... ciò che io stessa ho provato.”



    Da qualche parte non molto lontana da quel luogo era stata lei stessa a pronunciare quelle frasi. Erano state solo parole, e nulla di più di questo?
    “Mi affido a voi. Non entrate in quell'abisso carichi di sconforto, o finirà per divorarvi. Entrate con il sorriso sulle labbra e la volontà battagliera. Perché oggi, signore e signorine... Oggi salviamo il cazzo di mondo”.
    Le parole del Nesciens sortirono l’effetto di un cordiale, e Xisil avvertì dentro di sé un calore inaspettato avvampare come una viva fiamma nel suo cuore. Si volse ai compagni e sorrise, un sorriso dapprima timido che ben presto sbocciò in una silenziosa risata, dolce, rinfrancata, commossa. Annuì con coraggio mentre impugnava con rinnovato fervore la sua spada, trattenendo quel velo di lacrime commosse che lentamente facevano capolino annebbiando la sua vista.



     
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  9. misterious detective
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    In quei giorni, Rem aveva assunto una nuova abitudine, qualcosa che aveva realizzato non era mai stato solito fare prima. Dalle enormi vetrate del Bastione, dai cortili del castello, dalla piccola finestra della sua camera, in quei giorni si volgeva verso il cielo con una frequenza quasi allarmante. Se ne accorse solo in quel momento mentre, con le braccia incrociate dietro il capo a mo' di cuscino ed una prato infinito a fargli da materasso, osservava senza alcun interesse il grigio sporco del cielo e le nuvole fumose che si muovevano flaccide come pecore malate.
    Il cielo era molto più cupo in quel periodo, realizzò, sebbene le ragioni gli sfuggissero: forse era la stagione, forse qualcosa di ben più complesso. Quale che fosse la risposta, tuttavia, non gli interessava davvero e sapeva comunque di essere troppo piccolo per capirla.
    L'unica certezza, scavando nei suoi ricordi, era quando fosse nato quel suo piccolo vezzo: pochi giorni dopo il suo ingresso al Comitato, più o meno nel momento stesso in cui aveva messo mano per la prima volta al Keyblade.
    Sospirò, considerò di scuotere tra sé e sé la testa ma vi rinunciò, reputandolo troppo faticoso. Le sue palpebre si fecero pesanti e dopo pochi secondi si chiusero. Il mondo divenne buio, un'oscurità infinita che lo inseguiva da ogni direzione. Si sentì il corpo schiacciato, il respiro gli mancava. Agitato, riaprì gli occhi e boccheggiò in cerca di ossigeno. Inspirò, espirò una volta, poi ancora. Corrugò la fronte, concedendosi un mugolio infastidito. Era successo di nuovo, esattamente come ogni volta che provava a dormire. Da quando aveva impugnato la sua arma, gli incubi si erano fatti più rari e di questo era certamente grato a tutti quelli che, all'interno del Comitato, lo avevano aiutato. Tuttavia, le notti si erano fatte lunghissime e vuote e quello, forse, lo spaventava ancora di più. Sapeva bene che significato avesse quel nulla, lo aveva intuito una sera, seduto sul suo letto, quando percepì per la prima volta con chiarezza la noia insofferente che lo attanagliava. Come Devon gli aveva promesso, Rem era riuscito a chiamare a sé la propria chiave. I suoi nuovi compagni gli avevano insegnato a controllare il suo potere, si erano presi cura di lui come se facesse parte da sempre delle loro schiere e lui era grato per tutto ciò. Per quanto si impegnasse, tuttavia, per quanto volesse convincersi che ciò che faceva, che la ragione stessa per cui si trovava lì, era importante, non riusciva bene a capire a cosa sarebbero mai serviti i suoi sforzi: tutto ciò che aveva a cuore, in fondo, tutto quello che aveva importanza gli era già stato tolto, nessun impegno avrebbe mai contraddetto quella realtà. E la rigidezza con cui era educato nel Comitato, costantemente seguito da qualcuno, compagno o semplice guardia che fosse, aveva contribuito ad accumulare sulla sua schiena un peso tale da mozzargli il fiato e far traballare le ginocchia; aveva persino dovuto sgattaiolare senza essere visto dal castello per potersi concedere quel fugace momento di pace, sotto il cielo sporco che scorreva fino all'orizzonte oltre le mura del borgo.
    Distrattamente e con fatica, il bambino alzò il braccio destro al cielo, un centimetro alla volta. Le dita della sua mano tremarono incerte, l'inerzia che le attirava verso il basso. Rem affilò il suo sguardo, strinse la mano ed incanalò nell'arto il suo potere. Una spada pallida come un cadavere apparve di fronte a lui, la sua mano già stringeva l'elsa la cui sagoma prendeva la forma del capo di un cavallo: agitò l'arma di fronte a sé, le due gemme lattee incastonate sulla punta della lama parvero baluginare vive per un istante, il dorso zigrinato a mimare una criniera vibrò come di sua volontà, mille sottili artigli che graffiavano l'aria. Rem fissò la chiave con un sorriso denigratorio, compatendo se stesso, gli altri Custodi e il mondo stesso.
    Il cielo era grigio, esattamente come era stato il giorno prima, esattamente come lo sarebbe stato il giorno dopo.

    L'erba frusciò e subito seguì il suono sordo di un passo, poi un altro e un altro ancora. Senza alzarsi dalla sua posizione, Rem spiò verso le sue spalle, verso le mura del borgo all'interno del quale avrebbe dovuto concentrarsi tutta la vita. I suoi occhi incontrarono degli stivaletti neri con un piccolo tacco e l'orlo di un lungo soprabito scuro, che si fermarono solo a poco più di un metro dal suo viso. La figura si sedette, allora, e riconobbe una donna che non aveva mai visto prima. Corrugò la fronte confuso, staccando le spalle da terra con una debole spinta delle braccia spostò tutta la sua attenzione sulla sconosciuta, la studiò indispettito per qualche istante e aprì la bocca per lamentarsi con tono infantile. Le parole gli morirono in gola, come congelate, quando il suo sguardo si posò sugli occhi della donna: il mondo prese a vorticare, ogni cosa divenne buia finché persino il buio non sparì, lasciando spazio all'azzurro. I due abissi di un celeste glaciale lo risucchiarono, Rem sprofondò in essi, incapace di respirare, di chiedere aiuto, di cercare una via di uscita. Nascondevano un vuoto infinito nel quale era bastato un attimo per perdersi, uno solo ancora e avrebbe potuto perdere se stesso. Non si accorse nemmeno che la donna si fosse voltata a ricambiare il suo sguardo ma, come se ella avesse rotto l'incantesimo, appena quella sorrise il bambino si ritrovò spinto di nuovo sul letto d'erba, nella realtà. Annaspò bisognoso d'aria, con occhi lattiginosi e labbra bluastre, sentiva il cuore martellargli nelle orecchie, ogni battito un colpo di grancassa. Per secondi che parevano infiniti, Rem poté solo restare lì, il petto che si espandeva e contraeva come se un qualche mostro al suo interno si stesse dimenando per uscire, le braccia che tremavano per sorreggere il peso della schiena; per tutto il tempo, l'unica cosa di cui restò vagamente cosciente fu il sorriso gentile della sconosciuta.
    Col tempo, la sua testa si fece di nuovo più leggera e la forza ritornò al suo corpo paralizzato dall'inquietudine. Il bambino perse l'esatto istante, ma si accorse che la donna si era di nuovo rivolta verso l'orizzonte, un'aria diversa da quella che le aveva visto addosso poco prima, la avvolgeva un'aura più malinconica e nostalgica.
    -È difficile, vero?- esordì quella con un leggero sospiro.
    Rem batté le palpebre, le labbra ancora dischiuse in un respiro appena affannato. -Eh?- seppe solo balbettare, confuso. A stento aveva riconosciuto le parole che gli erano state rivolte, il loro significato tuttavia era al di là della sua comprensione.
    -Vedere i giorni che passano senza essere capaci di cambiare, senza nulla a cui aspirare.- Si fermò, lentamente raccolse un ginocchio al petto e vi adagiò le braccia. -Essere vuoti. È difficile, vero?-
    Rem indietreggiò. La donna gli sorrideva, i suoi occhi mostravano compassione e comprensione, ma quegli occhi lo avevano quasi divorato, solo istanti prima. Il bambino poteva contare le perle di sudore freddo sulla sua nuca, gli steli d'erba abbandonati al leggero vento del pomeriggio fremevano meno di lui. -Chi... Chi sei?- balbettò confuso, aggiungendo un metro tra di loro. La donna lo fissò immobile, senza mutare espressione.
    -Sono Xophiab.- rispose quella, portò una mano al petto e calò appena il capo. -Un'amica.-
    Rem corrugò la fronte e gonfiò le guance. Stringendo gli occhi, studiò il volto della sconosciuta, studiò le sue labbra ed il suo sguardo: scrutò con forza, arrivando a stringere i denti, ma le due pozze celesti sul volto di Xophiab erano specchi che riflettevano la sua immagine, non si nascondeva nulla dietro di essi, non c'era ghiaccio né abisso alcuno. Il sorriso era gentile, era benevolo, come quello di una madre che accoglie alla realtà il figlio destato da un incubo. E forse, giunse a pensare, solo quello era stata la sua esperienza: un incubo.
    -Non è vero, non sei mia amica.- ribatté allora: sfregò a terra col sedere ed incrociò le gambe, appoggiò su di esse le braccia e si portò appena più in avanti con la schiena. -Io non ti conosco.-
    Coprendosi la bocca con la mano, la donna ridacchiò, Rem borbottò infastidito di risposta.
    -Scusami, hai ragione.- lo assecondò lei, annuendo appena con il capo con comprensione. -Non ci siamo mai incontrati prima. Però io so molte cose, e conosco anche te, Rem.- cinguettò, lanciando l'amo con un tono di voce appena più acuto.
    Il bambino la fissò incantato, rapito dall'inaspettato spettacolo di magia. -Come fai a...?- mormorò in un sussurro meravigliato.
    -Io posso capire meglio di chiunque altro la tua sofferenza.- continuò la donna, ignorando le sue domande. -Ho passato la vita rinchiusa in una stanza, incapace di fare nulla se non osservare ogni cosa che mi sfuggiva dalle mani.- aprì i palmi vuoti di fronte a lei, Rem osservò quel movimento come se fosse un riflesso di se stesso: la vide stringere l'aria, il bambino comprese subito ciò che ella stava provando, era quello che sentiva anche lui ogni giorno.
    -Nessuna aspirazione, nessun desiderio rimasto, puoi solo aspettare di addormentarti di nuovo, sperando quasi che sia l'ultima volta.-
    Rem abbassò il capo, si strinse i pantaloni con rabbia. Era vero, era esattamente ciò che sentiva, il dolore che lo divorava ogni giorno.
    -E tutto quello che hai perso...-
    -... Non tornerà più indietro.- concluse il bambino, deglutendo tutto il risentimento che aveva per se stesso, per la sua sorte.
    Il silenzio calò tra di loro per lunghi istanti, carico di rimpianti e paure, finché Xophiab non appoggiò a terra le mani e si spinse lentamente verso di lui. Il giovane non si mosse, non gli importava.
    Sentì una pressione leggera e giocosa sulla testa, Rem arricciò il naso e strinse gli occhi, sorpreso. Alzò lo sguardo, vide la donna, grande di fronte a lui, che lo schermava con il suo corpo da ogni cosa, materna e affidabile. -È per questo che sono qua, perché non voglio che anche tu debba soffrire ciò che ho patito io, perché tu hai il potere per cambiare il destino, per realizzare un miracolo.-
    Il sole dietro di lei gettava sulla sua schiena un'aureola di luce, la figura adombrata della donna era più invitante che mai; non riusciva a sentiva il calore della mano appoggiata sulla sua testa, attraverso il guanto scuro, ma percepiva chiaramente il legame che li univa, che passava dal suo cuore soffocante e si collegava a quello dell'altra.
    -Un... miracolo?- riuscì solo a mormorare, incantato.
    Xophiab gli sorrise un'ultima volta. -Non devi aver paura di niente. Io sono qui. Sono qui, per aiutarti a combattere una sorte ingiusta e far tornare ogni cosa come dovrebbe essere.-


    Con un sospiro, Xophiab ripensò a tutte le fatiche sopportate per arrivare a quel risultato. Dopo il giorno del suo primo incontro con Remda, si era presentata molte altre volte di fronte al ragazzino, mascherando il suo volto come aveva imparato dalla sua rinascita a Nessuno, irretendolo con parole e con sorrisi che erano fin troppo facili da falsare. In poco tempo, era riuscita a compiere la sua missione. Il risultato era stato molto diverso da quello che aveva previsto e quella situazione era stata una sorpresa persino per lei, ma non poteva che reputarsi soddisfatta di come tutto avesse finito col giocare ancora più a favore dell'Organizzazione rispetto allo scenario che aveva preparato.
    Trascinando i passi, come se il suo corpo minuto pesasse troppo perché le gambe riuscissero a sostenerlo, la Nessuno si portò di fronte all'enorme portone ligneo, unico accesso per l'Altare. Accarezzò l'anta con la mano sinistra nuda, disegnò nella sua mente un'immagine di ciò che attendeva dall'altro lato. Remda era lì, dove gli era stato ordinato, in attesa di ulteriori direttive.
    Ricordò gli ultimi momenti che avevano trascorso insieme, dentro quella stanza: le parole del ragazzino non erano più cariche della fiducia e della dedizione che le aveva sempre rivolto, quando gli voltava le spalle poteva percepire il freddo odore del timore che celava per lei. Non che le importasse, d'altra parte, perché i sentimenti del ragazzino non cambiavano nulla: quello era il mondo ideale per entrambi, e se non volevano che tutto crollasse sotto ai loro piedi, allora Remda aveva bisogno del suo aiuto e in cambio avrebbe dovuto sottostare ai suoi ordini.
    Un ronzio lontano colse l'attenzione della donna: Xophiab si voltò verso l'altro lato della stanza, la linea di energia della funivia brillava blu ad intermittenza: qualcuno stava arrivando e non aveva dubbi su chi fosse.
    Muovendosi con la stessa flemma, la Nessuno si portò di nuovo vicina al centro della sala. L'ombra incerta della funivia cominciò ad allargarsi, lontana di fronte a lei. Si strinse la mano destra con la sinistra, accarezzò il singolo guanto scuro, premette le dita una alla volta e le rilassò di nuovo. Era pronta, lo era sempre stata. Da quando i comitati avevano mandato l'allarme non era passata che una manciata di ore, ma per lei quel sogno durava da svariati giorni. Molti gruppi di soldati e mercenari avevano cercato di svelare i misteri di Radiant Garden, di arrivare fino a lei, quei quattro erano i primi ad arrivare così lontani.
    “Dopotutto, non poteva essere sempre così facile.” si disse, chiudendo gli occhi e rallentando il proprio respiro. Era rimasta al fianco di Remda perché era certa che, presto o tardi, sarebbe toccato anche a lei combattere, era suo dovere porre fine a quella futile resistenza con le sue stesse mani. Che fosse proprio Xisil la prima a raggiungere un simile traguardo era quasi ironico, quasi divertente. Aveva provato a risolvere pacificamente il conflitto, si sarebbe risparmiata volentieri quella fatica, ma solo per riguardo nei loro confronti: il poco tempo che restava loro, dopotutto, avrebbero fatto molto meglio a spenderlo in un modo migliore che non inseguendo le sue tracce come bravi cagnolini.
    La funivia giunse a terra, con un tintinnio si aprì per far passare i guerrieri. Xophiab li osservò uno ad uno ed emise un sospiro.
    -Siete arrivati.- disse solo, lapidaria. Le sinistra si alzò lentamente, con pollice e indice strinse l'orlo del cappuccio e lo spinse indietro. I lunghi capelli d'ebano si contorsero come sofferenti per un istante, prima di posarsi delicati sulle sue spalle. Chiuse gli occhi per un istante, rendendo il suo volto una maschera pallida e vuota, quindi riaprì i suoi pozzi di ghiaccio, posandoli di nuovo sui suoi nemici.
    L'ultima battaglia era giunta e a lei non restava che di calare il sipario su quel teatrino e rialzarlo su di uno nuovo. Perché non aveva alcuna importanza quanto fossero forti o quanto lontano riuscissero ad arrivare, la loro sconfitta era stata decisa dal momento stesso in cui si erano persi nel regno suo e di Remda. Nel Quarto Regno.




    Il primo che si lamenta di quanto schifo faccia questo post muore autoconclusivamente, provateci voi a riscrivere per due volte la stessa roba. Uff, con questo sassolino tolto dalla scarpe, qualche PIIIIIIIIIIIIICCOLO appunto. Avete un altro "mancamento" come quello che avete avuto prima di fronte a Xophiab verso la fine del viaggio, sebbene più forte (prima che la mia bimba vi veda, though). Vi sentite tutti come disconnessi dalla realtà, come se veniste strappati fuori dai vostri corpi, e molto assonnati. Vi ristabilite in tempo per scendere dalla funivia, in ogni caso.
    A voi ^^
     
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    IL QUARTO REGNO

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    La funivia non era ancora giunta a destinazione quando sentì le forze mancare; quando vide di nuovo le mani tremare e il mondo attorno a lei farsi danzante e spettrale, quando sentì la testa vacillare leggera e fluida contro il suo volere. Tornarono i brividi. Tornarono le convulsioni, alle braccia e alle gambe, talmente forti da costringerla a cercare un appiglio. Lo trovò. Le mani guantate afferrarono uno dei sostegni della “gabbia”, le forze rimaste sufficienti a malapena a sostenere il resto del corpo. Il busto impattò contro il freddo ferro con un tonfo morbido.
    Passò dopo qualche istante, esattamente come la prima volta. Debilitata, Egeria cercò di fare forza sulle braccia: ce la fece. Prese uno, due profondi respiri e scacciò la sensazione di panico e terrore che quei pochi attimi le avevano lasciato nel sangue. “Va tutto bene. È passato” cercò di imporsi.
    Istintivamente lo sguardo spento cercò quello dei suoi compagni. Tutti sembravano aver subito quella stessa influenza negativa: ognuno guardava gli altri con sguardo serio e preoccupato, come a volersi accertare che non fossero da soli. Che tutti stessero ancora bene.

    Khan fu il primo a parlare. «È qui» sentenziò basso, cupo.

    Egeria si immobilizzò. La funivia stava rallentando – se ne accorgeva solo ora. Erano arrivati. La donna in nero era vicina, e con lei la verità, la conclusione del viaggio. La conclusione dell’incubo.
    Serrò i pugni e si costrinse a voltarsi. La loro destinazione era lì, a pochi metri: l’avanzare della funivia gettava un’ombra lunga e sinistra sul pavimento grigiastro e lucido, sempre più vicino. La funivia si fermò.
    Prese un profondo respiro e scese, accompagnata dal cigolio contrariato del mezzo.
    La stanza di fronte a loro era ampia e luminosa nonostante la mancanza di finestre. Le pareti si ergevano armoniose dalla pianta tondeggiante, intervallate da finte colonne finemente decorate di motivi floreali e arborei. Al centro della stanza, sotto alla punta della cupola nella quale culminava il soffitto, l’esile figura incappucciata stava immobile, in attesa, sfregio nero su tela calda; alle sue spalle, un enorme portone in legno sorvegliava altri luoghi, altri segreti.
    “L’altare del cuore” ipotizzò Egeria. La stanza in cui si trovavano era vuota: era un’anticamera, nulla di più. Il vero obiettivo della donna era oltre.

    Fu proprio lei a rompere il silenzio. «Siete arrivati» sentenziò atona.

    Egeria sentì il Kervion pulsare alla sua destra. La tensione era palpabile: sapevano tutti ciò che stava per accadere. Prese un profondo respiro e tentò di ripulire la mente, di scacciare i dubbi. “La guerra non ne ammette”, provò a ricordare.
    Soffice ripiegarsi di stoffa, improvviso guizzo d’azzurro. La donna aveva abbassato il cappuccio.
    Egeria trasalì appena. Era giovane; non poteva essere molto più vecchia di lei. I lunghi capelli neri le ricadevano soffici e voluminosi ai lati del viso, cornice di un quadro fatto di lineamenti graziosi e due grandi, gelidi pozzi azzurri.
    Nonostante tutto i dubbi tornarono. Cosa stava facendo? Era davvero disposta a usare il Kervion per fare del male a un altro essere umano? Serrò le labbra e chiuse gli occhi. Fino all’istante prima, l’ombra gettata dal cappuccio aveva nascosto l’umanità della loro avversaria; poteva ancora illudersi, Egeria, illudersi che non fosse altri che l’ennesimo mostro, l’ennesimo demone di quell’incubo. Ora le era stata negata anche quella possibilità. Alla voce, al tono, al portamento si era aggiunto anche quel viso e quegli spenti: così simili ai suoi.

    Un sibilo alla sua destra attirò la sua attenzione: Khan aveva sfoderato la spada e la stava puntando verso la donna. Il metallo nero rifletteva come uno specchio la luce pallida dei lampadari. «Capolinea» dichiarò autoritario. Si voltò verso di loro. «Sembra essere sola. Se ci muoviamo bene possiamo circondarla».

    Egeria annuì e senza pensare iniziò a camminare. Le gambe si muovevano da sole, come non fossero sue; passi lenti e leggeri. Lo sguardo, atono, peregrinava tra la donna e i suoi compagni, alla ricerca di un segno.

    L’incappucciata scosse appena il capo. «Ti sbagli. Fin dall'inizio c'era solo una possibile soluzione, la migliore per tutti» Alzò le spalle, come se la cosa non le importasse davvero.

    «La migliore per te, senza dubbio», tagliò corto Xisil, statuaria.

    Un sospiro e poi silenzio, aspettativa.



    «Sapete cosa sono i Mondi Dormienti?»



    D'improvviso il mondo si fece freddo. D'improvviso, tutto sembrò assumere un senso. Radiant Garden stava dormendo. Quando quei mostri erano comparsi, quando la nebbia era scesa, gli abitanti si erano addormentati. E l'oblio, l'inconsapevolezza... era un sogno. Un estraniarsi collettivo.
    Egeria lanciò uno sguardo in tralice ai suoi compagni: probabilmente non era l'unica a essere giunta a quella conclusione. Eppure, in quel momento, non importava. Poteva essere soltanto l'ennesimo tentativo di raggiro, l'ennesima bugia spacciata per plausibile spiegazione. Xisil, in particolare, sembrava aver ignorato la domanda, forse relegandola a semplice distrazione retorica. Egeria vide che la guardava, come alla ricerca di supporto. Lentamente Egeria scosse il capo, come a rassicurarla che no: non si sarebbe fatta distrarre. Che fosse solo un modo per prendere altro tempo era la conclusione più logica.

    Eppure i dubbi non tacevano.

    Khan mosse qualche passo in avanti, verso la donna. «Se vuoi iniziare un qualche panegirico su come sprofondare i mondi nel sonno sia dare loro la pace, risparmia il fiato».

    La mora fece un gesto vago con la mano. «Se equivalga o meno a dar loro la pace, potete vederlo con i vostri occhi» alluse con sufficienza. «Questo mondo sta già dormendo, il suo cuore in bilico tra Luce e Oscurità».

    Egeria continuava a camminare, valutando come meglio poteva gli sviluppi del discorso. Si limitò a osservare.

    Fu Azrael a rispondere per tutti. «Chiudere un uomo in una gabbia gli assicura la pace, vero, ma ho come il flebile sospetto che potrebbe non essere la scelta migliore». Il sarcastico aveva lasciato spazio al sardonico: persino l’incrinabile positività del Nesciens sembrava giunta a un limite.

    «State parlando da ignoranti» sputò immediatamente la donna, scostando una ciocca di capelli dal viso. «Sapete cosa significa per un mondo essere dormiente? Significa che il suo cuore è stato danneggiato, divorato non completamente dagli Heartless, incapace di esistere al sicuro nel Regno della Luce, ma non ancora preda dell'Oscurità. Come un essere umano potrebbe restare in coma, Radiant Garden sta cercando di proteggere se stesso, sigillandosi in una dimensione intermedia, dove l'Oscurità non può raggiungerlo». Si interruppe e rilassò le braccia. «Se provaste a risvegliare con la forza un mondo in uno stato del genere, cosa pensate succederebbe?»

    Solo quando la donna smise di parlare Egeria si accorse di essersi persa in quelle parole. "Sta solo prendendo tempo" ricordò a se stessa. "Nulla di quanto dice è reale. Ci ha già mentito, perché dovrebbe dire la verità ora?"
    Eppure ascoltava. Eppure una flebile, forse infantile speranza non accennava a spegnersi:



    E se fosse successo anche a Oriam?


    Xisil aveva cominciato a muoversi dal lato opposto rispetto al suo, tracciando un arco speculare. Si fermò solo per parlare. «Come può un mondo fare una cosa del genere da solo?» chiese, sempre sull'offensiva. «Perché Radiant Garden ne sarebbe capace, mentre tanti altri mondi sono periti?»

    Già. Perché?
    Scoprì di essersi fermata. Lo sguardo, ancorato al terreno, non riusciva a tornare sulla donna in nero; le mani, irrequiete, tormentavano la stoffa del vestito.
    Il discorso continuava.

    «Dubito che questo mondo abbia una "consapevolezza"» si intromise Azrael. «Sarà semplicemente uno stato in cui è subentrato per via di uno squilibrio. D'altronde gli uomini non vanno in coma consapevolmente». Fece una pausa. «Ciò non toglie il fatto che stai dando per scontato che io voglia applicare la logica del "spegnilo e riaccendilo" a qualcosa di complesso come un mondo. Ti stupisci della nostra ignoranza? Non hai collaborato minimamente, e non conosciamo la situazione. Cosa ti aspetti? È ovvio che lo siamo»
    «Inoltre» rincarò Khan, deciso nella sua avanzata, «cosa ci fate tu e chi per te qui? »

    La donna sembrava più interessata all'intervento di Xisil. «Non risponderò a questa domanda» disse solo. «Quello che posso fare, tuttavia, è correggere un errore nella vostra logica». Si interruppe per voltarsi verso Azrael e Khan, il braccio a disegnare un arco esplicativo. «Non vi ho mai mentito sul mio coinvolgimento in quanto è accaduto. Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden. Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto, quanto positivo per tutti. Tanto per l'Organizzazione, quanto per le migliaia di vite che in questo modo non dovranno essere sacrificate».

    Stasi. Oblio. E dal nulla, dal buio, Rabbia.

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    Fu graduale, quasi inconsapevole. Cominciò come ingenua, genuina incredulità. Non poteva: non poteva averlo detto sul serio. Non poteva aver giustificato barbarie simili con tanta naturalezza. No. Doveva aver capito male. E invece no, no. Aveva capito benissimo.
    Deglutì e si accorse di star tremando. Ma non di paura.
    Lasciò che le gelide note risuonassero nella sua testa: “Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden”. “Non vi ho mai mentito”. “Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto, quanto positivo per tutti”.
    Serrò la mascella e i pugni fino a farsi male. L’incredulità divenne fastidio; il fastidio divenne rancore; il rancore divenne rabbia.
    E lei aveva avuto compassione di una donna del genere. Di una donna che per conto di un’ignota Organizzazione si arrogava il diritto di decidere della vita di migliaia di persone, del destino di un intero pianeta; che si permetteva di ergersi a eroina e protettrice di una finta realtà che solo per errore, solo per imprevisto non era sparita per mano sua. E aveva il coraggio, la faccia tosta di minacciarli, raggirarli, instillare in loro un senso di colpa che lei per prima non provava.
    Insensato. Abominevole. Spregevole.
    Stasi, oblio disilluso sul suo viso. E nel petto, nel buio, rabbia. Le braccia e il petto tremavano ancora sotto la pressione dei suoi muscoli contratti; il Kervion, volteggiando, si arcuava ed espandeva al ritmo del suo estraneo stato emotivo: una sensazione nuova, orribile, sconosciuta.
    Sciocca. Era stata una sciocca. Quella donna non meritava un bel niente: empatia, compassione, pietà. Niente.
    Istanti di silenzio fecero da sfondo all’attonimento generale: il rancore era sullo sguardo e sulle labbra di tutti.

    «Come pensavo...» constatò per prima Xisil, il tono gradualmente più forte, più risentito. «E dovremmo essere noi la minaccia?»

    Azrael annuì e incrociò le braccia al petto, i lineamenti squadrati modellati in una maschera a Egeria sconosciuta. «Quindi stai dicendo che, per qualche ragione, avete deciso di "spegnere un mondo". Sino a qui ci sono arrivato. Ciò che non colgo è il guadagno che dovreste trarre da ciò. Avete cancellato un pezzo della mappa, complimenti. Cosa vi entra in tasca, però?»

    Un tremore violento, come di roccia in frana scosse il corpo robusto di Azrael. Egeria aguzzò lo sguardo, e solo allora lo notò: il rosa chiaro dei lunghi capelli del Nesciens stava virando gradualmente al viola. Riprese a parlare.

    «Ora le tue reazioni possibili sono due». Grave, intimidatorio. «La prima è che deciderai di non rispondere alla nostra domanda dato che apparentemente sono informazioni riservate. La seconda sarà una serie di giri di parole ridondantemente prolissi che non faranno altro che farmi incazzare ulteriormente» Più parlava, più la voce si faceva urlo. «Quindi, in sintesi, ciò che ho capito è che avete giocherellato con un mondo intero e tutte le vite al suo interno, rischiando di distruggerle. Capisco, assolutamente comprensibile! Avrete sicuramente avuto le vostre ottime ragioni per farlo!»

    L’espressione sul volto della donna non mutò. Lo sfogo non l’aveva sfiorata. «Il più potente gruppo di Custodi tagliato fuori dal disegno, assieme a tutti i guerrieri attirati quaggiù, il tutto senza aver sacrificato nemmeno una vita».

    Ma l’avreste fatto. Avreste sacrificato migliaia e migliaia di vite senza un ripensamento. L’hai detto tu stessa.
    Artigliò il vestito all’altezza delle cosce. Non la sopportava più. Non sopportava più quella retorica di eroina incompresa. Doveva finire. Quell’incubo insensato doveva finire.

    Ma Azrael incalzò. «Hm. Quindi il mondo, i suoi abitanti, ed i mercenari come possiamo essere noi sono a tutti gli effetti delle sfortunate casualità nel vostro piano per buttare giù il Comitato. Non ci andate certo leggeri, voi. Essere privi di empatia ha i suoi vantaggi».

    Lo sguardo di Egeria incontrò di nuovo quello della donna in nero: non vi vide alcune emozione. «Le tue parole dovrebbero ferirmi, Nesciens?» chiese retorica. «Gli obiettivi dell'Organizzazione per me e per tutti i suoi membri vengono prima di qualsiasi altra cosa e questo è il metodo meno cruento per raggiungerli. La vostra opinione in merito è irrilevante». Si interruppe per osservarli e indietreggiare appena. Sembrava sicura di sé, fin troppo: il lieve inarcarsi delle sopracciglia raccontava scetticismo, quasi commiserazione. Sapeva che la stavano accerchiando, eppure non le importava. «Avete compreso come mai siete giunti qui, perché alcuni vengono chiamati a sé da Radiant Garden, mentre altri non riescono a trovarlo?» Attese uno, due secondi, come stesse attendendo una risposta che non giunse. Continuò dopo un breve respiro. «Il mondo stesso vi ha riconosciuti come parte di esso, perché nel vostro gruppo c'era qualcuno partecipe della storia del pianeta». Nel dirlo, si voltò verso Xisil. Solo allora Egeria ricordò che le due già si conoscevano. «il Mondo sta cercando di rendervi parte del suo sogno e, lo sappiamo sia voi che io, ci sta riuscendo molto bene. Non vi resta molto tempo».

    La consapevolezza la colpì improvvisamente: si riferiva ai mancamenti. La sonnolenza improvvisa, i giramenti di testa, i tremori. Era davvero il Mondo che tentava di inglobarli al sogno? Che tentava di renderli come tutti gli altri abitanti? Ignari, inconsapevoli di essere forzatamente parte di un mondo che non cambia mai?
    Deglutì autocommiserazione. Sciocchi. Erano stati tutti degli sciocchi. Per questo la donna cercava di prendere tempo. Per questo si ostinava a dare risposte vaghe e prolisse. Più li avesse trattenuti, più alta sarebbe stata la probabilità che si sconfiggessero da soli. Che si addormentassero, per sempre, come tutta Radiant Garden, schiavi di una felicità statica e fasulla.
    La stretta dei pugni si fece d’acciaio. No. Non l’avrebbe permesso.
    Ricominciò a camminare. Lentamente, senza esitazioni, senza tremori. Lo sguardo, duro, era ormai fisso sul suo obiettivo. Sulla persona da sconfiggere.
    Fu allora che tornò la nebbia. Si era dipanata velocemente dal palmo della donna, alzato un istante prima, e in pochi secondi ricoprì l’intero campo di battaglia. Era diversa da quella di poco prima. Era più fitta, più scura. Più fredda. Quando si avvicinò a lei, Egeria sentì la pelle accapponarsi. Si strinse nel cappotto e affondò il mento nella sciarpa bianca, come a farsi forza. Era giunto il momento.

    «Lo ripeterò per l'ultima volta» sibilò ancora l’incappucciata: «andatevene adesso e accettate una vita felice ed ignara, lontana dalla guerra. In caso contrario, siate pronti a pagarne le conseguenze. È comunque troppo tardi per sperare in un altro risultato».

    Lo sguardo acceso e ostile di Xisil riluceva anche in mezzo ai fumi della nebbia. « Non è la guerra a farmi paura. Sono rimasta allora, non mi tirerò indietro adesso».

    Khan avanzò ancora, minaccioso. «Khog khayagdlyg. Basta prese in giro. Ciò che tu cerchi, ciò che vuoi imporre a questo mondo e a noi è stasi. Quieta, orrenda stasi, nell'attesa che forse, un giorno, tutto torni come prima». Si fermò solo per sputare a terra. «E non c'è cosa più irritante. Succeda quel che deve succedere, mondo dormiente o meno, tu sparirai da qui».

    Egeria si scoprì annuire.
    Khan aveva impugnato la spada con entrambe le mani. Il Kervion guizzò al lato del volto di Egeria, pronto a scattare. Khan era vicino, troppo: quando la donna avesse attaccato, lui sarebbe stato il bersaglio più logico. Se così fosse stato, sarebbe stata pronta a proteggerlo.

    «I malati vanno tenuti al sicuro da parassiti, d'altronde».

    La voce roca di Khan si dissolse tra i flutti del fumo. Silenzio. Un ultimo istante di quiete.
    Poi la tempesta.



    Edited by Frenz; - 6/11/2016, 16:20
     
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    Per un lungo, interminabile momento tutto ciò che aveva intorno, ascensore, mura e compagni, tutto venne inghiottito dal nero, l'odore di umido che trasudava dall'intonaco del castello scomparve e perfino l'ossigeno sembrò estinguersi e lasciare i polmoni a secco, i sapori scomparvero e la lingua divenne una lumaca umida e scivolosa nella bocca, l'unico rumore che percepiva era il battere continuo, veloce e incessante del martelletto dei timpani.
    Sentiva la propria coscienza affievolirsi e le membra farsi morbide ma pesanti, come se la sua mente stesse pian piano scivolando via da esse attraverso le spire delle fibre muscolari come vapore, pronta a rintanarsi là dove il suo io continuava a pulsare, invano, nel tentativo di riprendere il controllo della carne che si stava lentamente addormentando.
    Fu un uncino congelato a ridestarlo, sorprendendolo con la sua fredda acutezza e facendo ripartire in moto in lui tutte le sensibilità girando nell'addome e mescolandogli le budella. Incassò la botta di vita con un grugnito, scosse la testa, reggendosi l'occhio sinistro, che ancora bruciava e pulsava e fumava odore di marcio.
    Con l'altro si guardò intorno: agli altri non sembrava andare meglio. Sembravano vittima dello stesso malore che li aveva colti poco prima che la donna col cappotto nero si congedasse poco graziosamente da loro. E ciò, tirando due somme, voleva dire solo una cosa.
    "È qui." Annunciò, con voce greve.
    Come a volergli dare ragione, la gabbia su cui avevano iniziato quella discesa iniziò a rallentare, fino a fermarsi del tutto. Il tintinnio che le calzature dell'Immortale producevano sul metallo della piattaforma lasciarono il posto ad un picchettare ovattato sul pavimento, un disco in resina lavorata sovrastato da una cupola intarsiata di arabeschi.
    Al centro, lei.
    Continuò ad avanzare, i pugni che si aprivano e chiudevano un dito alla volta, ogni falange mossa da impulsi violenti ma controllati, misurati- si sentiva in controllo, doveva essere in controllo, era essenziale per riuscire a tenerle testa.
    "Siete arrivati" li accolse con lo stesso tono cadaverico di poco prima, ma, come a volerli premiare, riservò loro un'inaspettata cortesia: il cappuccio cadde all'indietro, rivelando un volto giovanile, le cui curve aggraziate venivano occultate e al tempo stesso messe in risalto dalla lunga chioma color inchiostro che scendeva fin oltre le spalle.
    Adesso poteva vederla per bene e fissare i propri occhi dorati in quelli color ghiaccio della ragazza, come paralizzata in quell'espressione spenta e stanca.
    Non sentì pietà. Né colpa per star covando istinti tutt'altro che cavallereschi nei suoi confronti: aveva gettato l'amo dell'affinità, tentava di scoraggiarli mostrandosi come uguale a loro nell'aspetto, ma qualora fosse riuscito ad incrinare quel bel faccino, si sarebbe più in pace con sé stesso che non altro.
    "Capolinea." La lama nera di Bekh assaporò ancora una volta l'aria di quel posto, le mani del suo padrone strette all'elsa, la punta rivolta verso il Nessuno, le braccia tese in avanti, le gambe leggermente divaricate. Si voltò verso gli altri: "Sembra essere sola. Se ci muoviamo bene possiamo circondarla. "
    Si era messa in svantaggio nel momento in cui aveva deciso di aspettarli al centro della sala- quali che fossero le sue abilità, si era lasciata dei punti ciechi- punti ciechi di cui, con la giusta coordinazione ed attenzione, avrebbero potuto approfittare.
    'Per qualcuno che non prova sentimenti, sei davvero piena di te, se credi di poterti permettere certe inaccortezze... A meno che tu non abbia ancora qualche amico da sguinzagliarci addosso.' Non era da escludere che potesse evocare chissà quale altro mostro in suo aiuto, senza contare che non sapevano ancora chi la accompagnasse né di che cosa fosse capace- ma per ora potevano agire solo in base a ciò che vedevano.
    'Non so quanto sia utile tenere le distanze', man mano che avanzava ispezionava il pavimento che dettava la distanza fra di loro, facendo attenzione a qualsiasi segno o traccia di trappola, senza notare nulla che potesse metterlo, 'Se è stata lei a farci quello scherzetto può agire a lungo raggio, quindi la cosa migliore è trovare un'apertura e infilarvisi...'
    Fu una domanda a distrarlo.
    "Sapete cosa sono i Mondi Dormienti?"
    Il nome lasciava poco spazio all'immaginazione, così come la situazione in cui si trovavano, e ciò che si erano trovati ad immaginare fin dall'inizio si era rivelato con la stessa chiarezza e semplicità con cui si era presentato davanti a loro.
    Khan saltò brusco i convenevoli: "Se vuoi iniziare un qualche panegirico su come sprofondare i mondi nel sonno sia dare loro la pace, risparmia il fiato."
    Quella lo liquidò agitando la mano: "Se equivalga o meno a dar loro la pace, potete vederlo con i vostri occhi." Sembrava ancora convintà che, sì, privare gli abitanti di Radiant Garden della loro coscienza fosse dare loro quiete, quiete che loro stavano disturbando. "Questo mondo sta già dormendo, il suo cuore in bilico tra Luce e Oscurità"
    Azrael non era più convinto di lui: "Chiudere un uomo in una gabbia gli assicura la pace, vero, ma ho come il flebile sospetto che potrebbe non essere la scelta migliore."
    Ancora una volta sufficienza: "State parlando da ignoranti", la donna si ravviò una ciocca color carbone, "Sapete cosa significa per un mondo essere dormiente? Significa che il suo cuore è stato danneggiato, divorato non completamente dagli Heartless, incapace di esistere al sicuro nel Regno della Luce, ma non ancora preda dell'Oscurità. Come un essere umano potrebbe restare in coma, Radiant Garden sta cercando di proteggere se stesso, sigillandosi in una dimensione intermedia, dove l'Oscurità non può raggiungerlo."
    Nonostante fosse diffidente, ascoltò con attenzione quelle parole, ma più andava avanti più sentiva la rabbia montargli dentro. Aveva già sentito discorsi simili, aveva già dovuto ponderare sulle conseguenze delle sue azioni e sul grande disordine che avrebbero causato. Il suo regno era stato avvelenato, era infestato di ignavi e corrotti e andava pian piano accasciandosi su sé stesso, in un ozio che sarebbe durato per sempre. Nessuna gloria, nessun'infamia, la vita sarebbe andata avanti all'insegna della mediocrità e forse perfino dell'involuzione.
    E lui, e chi come lui era stanco di limitarsi a tirare avanti anziché cercare il meglio, aveva detto basta, ed aveva rischiato, nel bene e nel male.
    E adesso era lì, di nuovo di fronte ad un quesito di cui conosceva troppo bene la risposta. Una risposta di cui non aveva più paura.
    "Se provaste a risvegliare con la forza un mondo in uno stato del genere, cosa pensate succederebbe?"
    Click.
    'Rispettare lo status quo non cambia niente. Permette solo a feccia come te di proliferare.' L'incedere dell'uomo non si arrestò, né rallentò o accelerò- continuava imperterrito ad avvicinarsi, lasciando che ogni singolo sentimento si accumulasse nelle membra.
    Non era l'unico a non lasciarsi abbindolare da presunti appelli alla coscienza: "Come può un mondo fare una cosa del genere da solo?" Chiese Xisil, il cui tono era tinto di tanto più rancore di quanto non serbasse l'Immortale per lo spettro, "Perché Radiant Garden ne sarebbe capace, mentre tanti altri mondi sono periti?"
    Azrael tentò di dare una spiegazione: "Dubito che questo mondo abbia una 'consapevolezza'. Sarà semplicemente uno stato in cui è subentrato per via di uno squilibrio. D'altronde gli uomini non vanno in coma consapevolmente." Poi si rivolse alla donna col cappotto, "Ciò non toglie il fatto che stai dando per scontato che io voglia applicare la logica del "spegnilo e riaccendilo" a qualcosa di complesso come un mondo. Ti stupisci della nostra ignoranza? Non hai collaborato minimamente, e non conosciamo la situazione. Cosa ti aspetti? È ovvio che lo siamo."
    "Inoltre", la incalzò Khan, che non si era fermato né aveva intenzione di farlo, "cosa ci fate tu e chi per te qui?"
    Se loro erano degli intrusi di sicuro lo era anche lei. Le loro intenzioni erano chiare, ma le sue?
    "Non vi ho mai mentito sul mio coinvolgimento in quanto è accaduto. Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden. Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto, quanto positivo per tutti. Tanto per l'Organizzazione, quanto per le migliaia di vite che in questo modo non dovranno essere sacrificate."
    Ah, ecco.
    Tutti quei discorsi, voli pindarici e ginnastica mentale, tutte stronzate. Aveva sprecato il loro tempo cercando di giustificarsi e di raggirarli, quando in verità non era altro che una cagna al servizio di altri cani, pronti a buttarsi sulla prima carogna che trovavano.
    Si era sporcato le mani di sangue, aveva tolto a coloro che avrebbe dovuto guidare la serenità di un governo stabile, aveva messo in gioco tutto per perseguire la propria idea di ciò che era giusto, ma mai aveva voltato lo sguardo alla realtà, mai aveva tenuto così di poco conto le vite in gioco. Era proprio per quelle vite che aveva combattuto, fosse stato dannato qualora avesse mandato tutto in rovina anziché portare il cambiamento sperato.
    Sapeva che alla fine tutto si basava su un conflitto di idee e di interessi, e mai aveva pensato di essere un eroe.
    E invece eccola lì, una mocciosa che pensava di metterli in saccoccia perché 'buuuuh, pensate ai rischi.'
    Puttana.
    "Come pensavo...", nonostante se l'aspettasse, Xisil sembrava essere altrettanto oltraggiata, "E dovremmo essere noi la minaccia?"
    Di nuovo il Neciens le si accostò in un duetto di sprezzo, "Quindi stai dicendo che, per qualche ragione, avete deciso di "spegnere un mondo". Sino a qui ci sono arrivato. Ciò che non colgo è il guadagno che dovreste trarre da ciò. Avete cancellato un pezzo della mappa, complimenti. Cosa vi entra in tasca, però?"
    Nonostante non potesse vederlo, percepì che aveva abbandonato qualsiasi pretesa di bonarietà e si rivolgeva all'altra con il vitriolo nella voce, che si faceva sempre più alta: "Ora le tue reazioni possibili sono due. La prima è che deciderai di non rispondere alla nostra domanda dato che apparentemente sono informazioni riservate. La seconda sarà una serie di giri di parole ridondantemente prolissi che non faranno altro che farmi incazzare ulteriormente. Quindi, in sintesi, ciò che ho capito è che avete giocherellato con un mondo intero e tutte le vite al suo interno, rischiando di distruggerle. Capisco, assolutamente comprensibile! Avrete sicuramente avuto le vostre ottime ragioni per farlo!"
    L'ira del compagno si abbatté su di un muro impassivo e noncurante, che però, inaspettatamente, decise di rispondere in maniera concreta alla provocazione: "Il più potente gruppo di Custodi tagliato fuori dal disegno, assieme a tutti i guerrieri attirati quaggiù, il tutto senza aver sacrificato nemmeno una vita."
    "Hm. Quindi il mondo, i suoi abitanti, ed i mercenari come possiamo essere noi sono a tutti gli effetti delle sfortunate casualità nel vostro piano per buttare giù il Comitato. Non ci andate certo leggeri, voi. Essere privi di empatia ha i suoi vantaggi."
    "Le tue parole dovrebbero ferirmi, Nesciens?" La ragazza recuperò il controllo dopo il passo falso che aveva fatto, "Gli obiettivi dell'Organizzazione per me e per tutti i suoi membri vengono prima di qualsiasi altra cosa e questo è il metodo meno cruento per raggiungerli. La vostra opinione in merito è irrilevante."
    E lui non vedeva l'ora di vedere quel piano rompersi, di darvi fuoco e vederlo svanire e dissolversi come l'incubo in cui li aveva attirati. Avrebbe preso a calci il loro castello di sabbia e l'avrebbe calpestato sotto le suole fino a ridurlo a niente. Quell'enorme, insulsa presa in giro sarebbe costata loro tutto ciò per cui stavano lavorando.
    Fu a quel punto che la vide indietreggiare, e alla smorfia altezzosa con cui li osservava muoversi per circondarla riservò un'occhiata obliqua- aveva iniziato a muoversi troppo tardi, avesse sprecato meno tempo in chiacchere si sarebbe guadagnata un campo visivo maggiore. 'Attenzione, procedi con attenzione', un piede dietro l'altro, continuava quel lento inseguimento, i muscoli pronti a reagire al minimo stimolo, 'Lei sta sottovalutando te, approfitta di questo suo errore e non farlo a tua volta'.
    Il petto dell'immortale si gonfiò come un mantice e vapore nero uscì dai lati della bocca, accompagnato da un turbinio di scintille color sangue.
    Lei, intanto, continuava a prendere tempo: "Avete compreso come mai siete giunti qui, perché alcuni vengono chiamati a sé da Radiant Garden, mentre altri non riescono a trovarlo?", nessuna risposta che non fosse il rumore dei loro passi, "Il mondo stesso vi ha riconosciuti come parte di esso, perché nel vostro gruppo c'era qualcuno partecipe della storia del pianeta. Il Mondo sta cercando di rendervi parte del suo sogno e, lo sappiamo sia voi che io, ci sta riuscendo molto bene. Non vi resta molto tempo."
    L'espressione già contrariata di Khan si fece ancora più arcigna, e l'Immortale replicò inspirando ed espirando, e di nuovo fumo nero e scintille rosse, il bagliore negli occhi che andava aumentando. Ancora una volta si dava da sola della bugiarda e allo stesso tempo chiedeva che facessero come diceva lei, dandoli già per spacciati.
    Poi, finalmente, una prima mossa: con un movimento pesante, il Nessuno aveva alzato il braccio, e attorno alle dita guantate di nero aveva iniziato a turbinare una cortina scura, che si spandeva come un manto notturno, avvolgendoli e insinuandosi nei loro corpi, accarezzandoli con lo stesso tocco algido che aveva sentito sull'ascensore, stringendo la morsa man mano che la distanza tra di loro si accorciava.
    Khan ruotò le spalle e lasciò andare un terzo, ancora più ampio sbuffo.
    Un ultimo monito giunse dalla fonte di quell'abbraccio gelido, un rantolo simile al fischiare di una bufera sulle pareti di una caverna, "Lo ripeterò per l'ultima volta: andatevene adesso e accettate una vita felice ed ignara, lontana dalla guerra. In caso contrario, siate pronti a pagarne le conseguenze. È comunque troppo tardi per sperare in un altro risultato."
    'Non credere di potermi dare ordini, lurida serpe. Qualsiasi cosa tu dica adesso è inutile.'
    Per tutta risposta, lui continuò ad avvicinarsi, ripartendo da dove aveva lasciato i suoi pensieri: "Khog khayagdlyg. Basta prese in giro. Ciò che tu cerchi, ciò che vuoi imporre a questo mondo e a noi è stasi. Quieta, orrenda stasi, nell'attesa che forse, un giorno, tutto torni come prima." Il solo pensiero era disgustoso, e nel vedere come tutto ciò contro cui aveva combattuto per diciotto, lunghi, stremanti anni fosse tornato e gli stesse ridendo in faccia sentì il bolo bruciare acido sulla lingua. Sputò per terra, poi concluse: "E non c'è cosa più irritante. Succeda quel che deve succedere, mondo dormiente o meno, tu sparirai da qui."
    Al resto avrebbero pensato dopo. Quand'anche stessero effettivamente mettendo a repentaglio la sicurezza del pianeta, era una scommessa che non potevano permettersi di non fare. E qualora tutto fosse andato in malora, si sarebbe preso le sue responsabilità. Come aveva sempre fatto.
    "I malati vanno tenuti al sicuro da parassiti, d'altronde."
    Si fermò, in posizione. Il tempo sembrava starsi arrestando, le volute di cobalto simili a pigri serpenti, il cuore che batteva con lo stesso ritmo di un tamburo cerimoniale. Nell'epicentro della torba lei e i suoi occhi freddi. Il disago che aveva provato quando si era rivelata a loro tornò a farsi vivo, nell'immergersi in quell'assurdamente vivace mancanza di vita.
    La mente andò ai compagni dietro di lui, pregando che dessero il loro meglio ancora una volta- attriti e buchi nell'acqua a parte, avevano fatto un ottimo lavoro fino ad allora, avevano bisogno di un ultimo, grande sforzo.
    In qualunque modo fosse finita, avrebbe potuto dire che in dieci anni passati a combattere fino all'ultimo si era potuto affidare a guerrieri anche migliori di lui, e ciò lo riempiva di umiltà e onore allo stesso tempo.
    "Sei entrata in questo mondo quando era più vulnerabile, e stai facendo i tuoi comodi e quelli dei tuoi simili completamente impunita, al sicuro dal verdetto sia degli abitanti che della Legge di Radiant Garden. Perciò..."
    In mezzo al fumo, due iridi dorate brillavano di rinnovata decisione.
    "Sarò io a giudicarti."
    Stato Fisico: Intirizzito ma reattivo.
    Stato Psicologico: Adrenalinico, quasi in stato di flusso.
    Energia: 46,48%

    Statistiche:
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    • Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    • Essenza :
    Punteggio iniziale ( 60 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    • Mente:
    Punteggio iniziale ( 30 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    • Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 60 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    • Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    • Velocità:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )

    Equip:
    CITAZIONE
    b>Khüükhdiig töörögdöl/Bekh

    D'altronde, cos'altro potrebbe impugnare un sovrano se non un'arma che egli stesso ha creato, emblema del proprio ingegno e la conoscenza della tecnica della forgia e delle arti arcane? E come altro potrebbe chiamarsi la spada brandita dall'Imperatore Vermiglio, se non 'Vermiglio'? Mai stato bravo coi nomi.
    In contrasto con quanto possa suggerire il nome, Bekh non presenta il benché minimo accenno di colore rosso sulla propria superficie- non il benché minimo accenno di qualsiasi colore. Nera la lama lunga un metro e la cui larghezza di sette centimetri viene interrotta da una mezzaluna poco prima della punta, nera la guardia, un semicerchio finemente cesellato che segue il filo dell'arma e da cui nascono tre spuntoni lunghi undici centimetri, nera l'elsa cilindrica stretta dalle spire di una scanalatura seghettata , nero il piolo aguzzo del pomello. Una scheggia d'inchiostro rappreso, che di quando in quando riflette la luce in bagliori verdastri, viola o carmini, affilata quanto basta per tagliare un buon numero di cose: aggressiva verso i metalli, sfacciata nei confronti della roccia, impietosa con la carne.

    - Penance

    L'utilità più grande di Bekh è quella di fungere da catalizzatore per il potere spirituale di Khan: realizzata con un vetro molto particolare, capace di intercettare le frequenze degli Immortali, di reagirvi ed amplificarle, per qualche momento la spada può ristabilire il contatto che c'è tra il giovane e la sua origine, permettendogli di attingere ad essa.
    Nel momento in cui ciò avviene, l'arma viene pervasa da un'aura vermiglia e cambia la propria configurazione- il manico assume una posizione perpendicolare rispetto alla lama, che ruota di novanta gradi; sulla punta scaturisce un globo, una perla di sangue il cui cuore emette battiti neri, accompagnati da scariche elettriche della stessa tinta.
    Al comando dell'Immortale, Bekh libera un raggio color pece, striato di scarlatto, che travolge di energia magica qualsiasi cosa si trovi entro la linea di tiro.
    Khüükhdiig töörögdöl è il nomignolo con cui gli insegnanti di Khan si prendevano gioco dell'imperatore e della sua invenzione, definendola "l'illusione di un bambino", un tentativo guidato dall'ingenuità della giovinezza di sperimentare e di superare i comodi confini di ciò che era stato stabilito dalla paura di ciò che il progresso potesse comportare se nelle mani sbagliate- un'ambizione a crescere che ha sempre caratterizzato Khan, portandolo a tentare di soggiogare forze come quelle dell'oscurità stessa al proprio volere, anziché rinnegarla per timore di caderne vittima.
    E di quell'illusione sta ora pagando la penitenza, costretto ad utilizzare i suoi frutti, causa ed allo stesso tempo soluzione del castigo, come sostegno per proseguire verso il proprio obbiettivo.

    - Tecnica Offensiva, Abilità Attiva di Costo Alto

    Il fodero della spada è una guaina in pelle imbottita e ricoperta di feltro nero, assicurata alla fascia che indossa attorno alla vita tramite dei lacci.
    Ambidestro, Khan è stato addestrato nell'arte della scherma da quando aveva tredici anni, e brandisce l'arma come se fosse un'estensione del proprio braccio, utilizzando movimenti secchi, veloci e precisi per colpire, senza squilibrare inutilmente il corpo.
    Agli occhi dei più, Bekh può sembrare semplicemente un pezzo d'ossidiana molto affilato e molto costoso, ma nelle mani di Khan si trasforma in uno strumento letale, capace di ristorare e dimostrare parte della gloria perduta.

    Note:

    khantarostare_zpsmkeawkpl

     
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  12. AzraelParanoia
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    A Contest of Pride






    Da un momento all'altro, per quello che poteva essere un istante fuggente come una dozzina di minuti, mi fermai. Come strappato dallo spazio e dal tempo, rimasi paralizzato davanti ad un'immagine statica. Una profonda nausea mi attraversò tutto il corpo, e probabilmente, se avessi avuto la possibilità di muovermi, mi sarebbero tremate le gambe. Tentai inconsciamente di stringere le mani per reggermi con ulteriore forza alle sbarre della funivia, o di dirigere lo sguardo da un'altra parte. Come se avessi perso controllo e coscienza, rimasi statuario a rimirare il nulla, troppo delirante da poter elaborare qualcosa di più complesso.
    Il panico finì così come era iniziato. La mano si strinse con forza sul palo metallico, stridendo su di esso, mentre intanto il mio corpo si piegava in avanti, riprendendosi lentamente davanti all'immagine davanti a loro, cambiata completamente da un momento all'altro. Portai la mano libera al volto, coprendolo e massaggiandone le tempie. Quella sensazione di paralizzante sconforto non era nuova. La ricollegai immediatamente alla donna che si era già posta abbastanza volte davanti al mio cammino.
    «È qui», dichiarò Khan con tono greve. Guardando il resto dei miei compagni, probabilmente erano stati tutti sfortunate vittime del mio stesso incontro.
    Sentii la cabina produrre un rumore metallico nell'atto del rallentare ed incupii lo sguardo, dirigendolo da una parte all'altra dell'oscurità, come se il nemico potesse comparire da essa in uno sbattere di palpebre. Non che fosse una possibilità tanto improbabile, ed infatti poco dopo eccola lì, al centro di una superficie lucida e circolare, una plastica resinosa di qualche sorta componeva il pavimento di una stanza luminosa dall'aria piuttosto pacchiana, con tanto di fantasie floreali sulle pareti e finte colonne, il tutto sovrastato da una cupola scura sotto la cui punta v'era lei. Che questa fosse la stanza "importante" della quale eravamo alla ricerca? Che fossimo nell'Altare del Cuore? O che si trovasse oltre al portone di legno che dava le spalle alla Nessuno?
    Uscii dalla gabbia metallica con passo pesante, mani alla cintura e schiena piegata in avanti. Il mio sguardo sprezzante ed aggressivo non avrebbe portato a molto, però, e lo sentivo. Nel momento in cui i miei passi iniziarono ad echeggiare realizzai che davanti a me non v'era un heartless privo di cervello o un bandito suggestionabile. Per quanto chiaramente carente di alcuni elementi importanti, il mio nemico era intelligente e supportato dal potenziale di mantenere raziocinio e sangue freddo in qualsiasi situazione grazie all'assenza delle sue emozioni, persino quelle più superficiali. E forse, quello sarebbe stata una mancanza della quale avremmo potuto approfittare.
    «Siete arrivati», sentenziò freddamente, levandosi il cappuccio e rivelando finalmente il suo volto. Non era una faccia che solitamente avrei voluto ridurre a fine fanghiglia rossa, vero, ma riconsiderando tutti i precedenti, me ne sarei fatto una ragione. Aveva dei capelli davvero ben curati, di un colore corvino scintillante, e degli occhi azzurri che sembravano contenere entrambi un ghiacciaio. Sentii un brivido sulla schiena, e per un attimo mi distrassi, ponendomi il dubbio sul perché i Nessuno curassero il proprio aspetto, senza né un vero ego né una percezione del giudizio altrui. Scossi la testa, decidendo di non pensarci, e tornai concentrato sul nemico davanti ai miei occhi.
    «Capolinea», dichiarò una voce decisa alla mia destra. Khan aveva estratto la sua bizzarra sciabola, e non pareva averci pensato due volte, prima di puntarla verso la donna. «Sembra essere sola. Se ci muoviamo bene possiamo circondarla», disse poi, ottenendo una risposta praticamente istantanea da parte delle due ragazze. Era però ovvio che sarebbe stata consapevole della cosa ed avrebbe tenuto d'occhio ogni minimo movimento. Qualcuno avrebbe dovuto ottenere la sua attenzione, in un modo o nell'altro, e decisi di prendermi questo impegno. Lasciai andare avanti gli altri senza muovermi di un passo, ma rimanendo fermo con lo sguardo davanti a me, verso la sagoma scura che era quella ragazza.
    «Ti sbagli. Fin dall'inizio c'era solo una possibile soluzione, la migliore per tutti», disse casualmente, come se fosse un fatto oggettivo. Ed io che pensavo che perlomeno in questo campo i Nessuno sarebbero stati intelligenti. O forse erano così privi di empatia da non poter percepire come esistenti le opinioni altrui, dunque definendo le proprie come qualcosa di assoluto? Beh, qualunque fosse la ragione, questo li renderebbe degli enormi pezzi di merda.
    «La migliore per te, senza dubbio», rispose a tono Xisil, sicuramente la più informata sul perché quella ragazzetta diabolica non dovesse avere a che fare con il problem solving, ottenendo una domanda di rimando.
    «Sapete cosa sono i Mondi Dormienti?»

    Una scintilla di blu avviluppò per un istante il mio campo visivo, facendomi digrignare i denti. Beh, non era certamente un nome scelto con l'idea di renderlo qualcosa di esoterico, dato che era perfettamente esplicativo. Un sogno collettivo, una sorta di allucinazione di massa in cui l'intera Radiant Garden pareva essere finita. Opera dell'Organizzazione o conseguenza dell'estraniazione del mondo dagli altri? Oppure, ancora meglio, l'ennesima bugia propinataci da quella futura salma? Dovevo indagare.
    Khan continuò con il suo cammino, quasi come un predatore. «Se vuoi iniziare un qualche panegirico su come sprofondare i mondi nel sonno sia dare loro la pace, risparmia il fiato». Diretto al punto. Così ci piaci.
    Fu immediatamente congedato con un gesto scarno. «Se equivalga o meno a dar loro la pace, potete vederlo con i vostri occhi» disse sprezzante. «Questo mondo sta già dormendo, il suo cuore in bilico tra Luce e Oscurità».
    E questo doveva avere conseguenze sia sui suoi abitanti che sulla sua scomparsa all'esterno? E soprattutto, questo doveva essere "migliore per tutti"? Ne dubitavo. Gli abitanti della città non erano felici, erano semplicemente sotto un'allucinazione. Non sarebbe stato meno vile se avesse riempito di tossine la città per ottenere il medesimo effetto.
    «Chiudere un uomo in una gabbia gli assicura la pace, vero, ma ho come il flebile sospetto che potrebbe non essere la scelta migliore», comunicai alla donna non senza un dovuto contorno di vetriolo. Non era la prima volta che sentivo di teorie farlocche su come apparentemente tenere le persone imprigionate fosse il miglior modo di preservare la loro salute.
    «State parlando da ignoranti» sentenziò la Nessuno con un tono che mi avrebbe fatto gonfiare le vene sulle tempie, se fossero state lì. «Sapete cosa significa per un mondo essere dormiente? Significa che il suo cuore è stato danneggiato, divorato non completamente dagli Heartless, incapace di esistere al sicuro nel Regno della Luce, ma non ancora preda dell'Oscurità. Come un essere umano potrebbe restare in coma, Radiant Garden sta cercando di proteggere se stesso, sigillandosi in una dimensione intermedia, dove l'Oscurità non può raggiungerlo». Si interruppe e rilassò le braccia. «Se provaste a risvegliare con la forza un mondo in uno stato del genere, cosa pensate succederebbe?»
    Una reazione simile da parte di un mondo? Che tipo di intelligenza li aveva generati? Quale magia alimentava la loro esistenza, da essere così intelligente da andare autonomamente in uno stato di stasi in caso di danneggiamento? Alzai lo sguardo verso Xophiab, carico di rabbia per il trattamento che mi stava venendo riservato. Essere guardato dall'alto verso il basso riusciva davvero a farmi imbestialire. Non i sarebbe piaciuto essere quella Nessuno nel momento in cui la sua faccia sarebbe stata tra le mie mani.
    Xisil, che circolava attorno alla donna con un espressione marmorea, chiese decisa: «Come può un mondo fare una cosa del genere da solo?» domandò poi, sempre sull'offensiva. «Perché Radiant Garden ne sarebbe capace, mentre tanti altri mondi sono periti?».
    Domande legittime, a tutti gli effetti. Diressi lo sguardo verso la spadaccina, statico nella mia posizione, per poi riportarlo dinnanzi a me. Troppe questioni irrisolte, come stanze buie in cui vagavamo privi di torcia. Per quanto fosse probabilmente per farci perdere tempo e per assestare ulteriori colpi alla nostra volontà, il comportamento di quella maledetta stronza aveva definitivamente finito di farmi perdere la pazienza. Mantenni però a malapena la calma, digrignando i denti e rispondendo a Xisil con i dati che avevo ricavato alla meglio.
    «Dubito che questo mondo abbia una "consapevolezza"» dissi dunque. «Sarà semplicemente uno stato in cui è subentrato per via di uno squilibrio. D'altronde gli uomini non vanno in coma consapevolmente». Già. Come se fosse la risposta programmata nei confronti di un dato esempio. Mi diressi dunque verso Xophiab, aggrottando le sopracciglia ed alzando la testa. «Ciò non toglie il fatto che stai dando per scontato che io voglia applicare la logica del "spegnilo e riaccendilo" a qualcosa di complesso come un mondo. Ti stupisci della nostra ignoranza? Non hai collaborato minimamente, e non conosciamo la situazione. Cosa ti aspetti? È ovvio che lo siamo.», decreto dunque.
    «Inoltre» disse la voce di Khan, ritornato all'offensiva, «cosa ci fate tu e chi per te qui? ». Già, non mi sembrava certamente un'indigena di quella bella città.
    «Non risponderò a questa domanda», replicò gelidamente a Xisil la donna, facendomi saltare i nervi al posto suo. Si girò dunque prima verso di me e poi verso Khan, dando la risposta che cercavamo.

    «Non vi ho mai mentito sul mio coinvolgimento in quanto è accaduto. Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden. Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto, quanto positivo per tutti. Tanto per l'Organizzazione, quanto per le migliaia di vite che in questo modo non dovranno essere sacrificate».

    Mi morsicai le labbra, poi mi grattai il mento, dunque sbuffai della polvere detritica dal naso, ed infine mi schiarii la voce, cercando di preservare la calma nonostante la mia visione si fosse ridotta ad un uniforme schermo di colore rosso acceso. Aveva dunque scelto lei di spegnere quel mondo, esiliandolo dalla nostra dimensione e cancellandolo dalle cartine per seguire uno di quei misteriosi schemi dell'Organizzazione XIII. E pensare che avevo tentato di patteggiare con quella feccia. Altro punto a favore del buon vecchio: "Nel dubbio mena".
    Xisil fu la prima ad esprimere il suo disgusto. «Come pensavo...» constatò. «E dovremmo essere noi la minaccia?», sibilò con risentimento.
    Feci dunque un passo.
    Avvicinandomi ulteriormente alla Nessuno, mi fermai per incrociare le braccia, comprimendo il volto in un'espressione di indecifrabile ira.
    «Quindi stai dicendo che, per qualche ragione, avete deciso di "spegnere un mondo". Sino a qui ci sono arrivato. Ciò che non colgo è il guadagno che dovreste trarre da ciò. Avete cancellato un pezzo della mappa, complimenti. Cosa vi entra in tasca, però?»
    Fui scosso da qualcosa che mi agitò come un sisma. La mia facciata di calma non sarebbe durata ancora a lungo. Sentivo il calore passare attraverso il mio corpo, ardendo nelle fratture del mio petto ed illuminando di rosso accecante i tatuaggi. Lo stesso colore sostituì temporaneamente le ciocche rosee dei miei capelli, mentre gli occhi si aprivano sempre di più.
    «Ora le tue reazioni possibili sono due. La prima è che deciderai di non rispondere alla nostra domanda dato che apparentemente sono informazioni riservate. La seconda sarà una serie di giri di parole ridondantemente prolissi che non faranno altro che farmi incazzare ulteriormente» Volevo urlare. No, stavo urlando. «Quindi, in sintesi, ciò che ho capito è che avete giocherellato con un mondo intero e tutte le vite al suo interno, rischiando di distruggerle. Capisco, assolutamente comprensibile! Avrete sicuramente avuto le vostre ottime ragioni per farlo!»
    L’espressione sul volto della donna non cambiò, cosa che non mi sorprese per nulla. Il mio sfogo non valeva niente, per lei. Ciò che avrebbe dovuto dimostrare la mia ira sarebbero stati i miei atti. «Il più potente gruppo di Custodi tagliato fuori dal disegno, assieme a tutti i guerrieri attirati quaggiù, il tutto senza aver sacrificato nemmeno una vita».

    Ma l'avreste fatto.
    Era stato un caso fortunato, ma ciò non toglieva che l'avete preso.
    Avete preso quel rischio, ed avete messo a repentaglio la vita di un intero mondo.
    Era qualcosa di così folle ed inconcepibile che non potevo reagire davvero in maniera furiosa. «Hm. Quindi il mondo, i suoi abitanti, ed i mercenari come possiamo essere noi sono a tutti gli effetti delle sfortunate casualità nel vostro piano per buttare giù il Comitato. Non ci andate certo leggeri, voi. Essere privi di empatia ha i suoi vantaggi.», dissi dunque con tono sarcastico. Come la bravado indossata prima, il sarcasmo non servì a piegare quel volto inespressivo.
    «Le tue parole dovrebbero ferirmi, Nesciens?» chiese con una retorica atona. «Gli obiettivi dell'Organizzazione per me e per tutti i suoi membri vengono prima di qualsiasi altra cosa e questo è il metodo meno cruento per raggiungerli. La vostra opinione in merito è irrilevante». Era piena di sé, troppo sicura. I Nessuno possono comunque sbagliare i calcoli, possono sottovalutare. «Avete compreso come mai siete giunti qui, perché alcuni vengono chiamati a sé da Radiant Garden, mentre altri non riescono a trovarlo?» Attese uno, due secondi, come stesse attendendo una risposta che non giunse. Continuò dopo un breve respiro. «Il mondo stesso vi ha riconosciuti come parte di esso, perché nel vostro gruppo c'era qualcuno partecipe della storia del pianeta», disse puntando il suo sguardo verso Xisil, la quale aveva a che fare con quella storia da parecchio tempo. «il Mondo sta cercando di rendervi parte del suo sogno e, lo sappiamo sia voi che io, ci sta riuscendo molto bene. Non vi resta molto tempo».

    Già, non avevamo molto tempo, eravamo praticamente davanti all'abisso, e l'unica scelta era buttarci di sotto o girarci e combattere. Una caduta eterna nell'oblio o una morte in battaglia?
    «Lo ripeterò per l'ultima volta.»
    Già, se non avessimo risolto il problema in fretta, saremmo rimasti condannati ad una vita sotto l'illusione che è ora Radiant Garden, intrappolati in un sogno eterno. Alcuni potrebbero considerarlo un Paradiso ma no. Era merda, era la peggiore tortura che mi poteva infliggere, e non avrei accettato. Non sarei stato il pupazzo di nessuno, in nessun ambientino cucito ad hoc. Né io né tutte quelle persone, non gli abitanti della città, non i membri del Comitato, nessuno. Assolutamente nessuno.
    «Andatevene adesso e accettate una vita felice ed ignara, lontana dalla guerra. In caso contrario, siate pronti a pagarne le conseguenze. È comunque troppo tardi per sperare in un altro risultato.».

    « Non è la guerra a farmi paura. Sono rimasta allora, non mi tirerò indietro adesso».
    «Khog khayagdlyg. Basta prese in giro. Ciò che tu cerchi, ciò che vuoi imporre a questo mondo e a noi è stasi. Quieta, orrenda stasi, nell'attesa che forse, un giorno, tutto torni come prima. E non c'è cosa più irritante. Succeda quel che deve succedere, mondo dormiente o meno, tu sparirai da qui.»

    I due avanzarono con parole coraggiose che mi resero orgoglioso di essere loro compagni. Egeria, intanto, mascherava silenziosa l'ira che covava dentro di sé, preparandosi ad utilizzare il Kervion per eventuali manovre offensive o difensive che fossero. Non si sarebbero tirati indietro, e che venga giù il cielo se lo farò io. Li seguì compiendo un passo dopo l'altro, avvicinandomi frontalmente al nemico senza timore.
    «Ferirti? Con delle parole? No, figurati, sono semplici dati di fatto. Tu non provi emozioni, e non le proverai mai. Io invece sì, e temo che sarò costretto ad ascoltarle. Rifiuto cortesemente. Preferisco finire a pezzi che in catene! E comunque!», urlai dunque, accendendo di scarlatto i capelli ed il petto. Le luci nella stanza si concentrarono, mentre intanto un volto più che familiare compariva al mio fianco. Anzi, due. La maschera contorta dall'odio si manifestò alla mia destra, formando poi il suo corpo rosso avvolto in una griglia bianca. Se in quel momento potevo sembrare furioso, King Crimson era molto peggio. La stand era contorta su se stessa, sguardi diretti verso Xophiab e pugni chiusi. Sotto ai denti digrignanti echeggiava un urlo primordiale, lo stesso in cui esplosi io prima di piegarmi in avanti per caricare la donna.
    «Se le parole non ti feriscono, Nessuno, vediamo cosa posso fare io! Diario di ricerca: Entrata uno!»



    Stato Fisico: Lievi "solchi" generati dalla corrosione di entità complessivamente non tecnica.
    Stato Psicologico: ////
    Energia: 56%


    CITAZIONE
    Statistiche:

    Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Essenza :
    Punteggio iniziale ( 80 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( 20 ) Totale ( 120 )
    Mente:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 40 )
    Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )
    Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Velocità:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )




    Equipaggiamento

    King Crimson - Arma Magica
    L'unica arma di cui Azrael avrà mai bisogno è se stesso. O perlomeno, l'altro se stesso. King Crimson non è che una manifestazione ESP dell'ego del Nesciens, da lui chiamato "stand", o perlomeno, pensa di averlo chiamato così in un ricordo lontano. Si tratta di una figura alta quanto il suo possessore, il cui corpo è coperto quasi completamente da una "griglia" bianca, con una pelle liscia e rossa al di sotto, escludendo la sua faccia, il collo, due spallacci, gomiti, mani, addome, inguine, caviglie e scarpe.
    I suoi occhi sono due orifizi stretti e sottili, dai quali emergono due occhi più da rettile che da uomo. Qualsiasi espressione faccia, mostra costantemente i denti, in una perenne parvenza d'ira. Sulla sua testa, una corona appiattita, e dalla fronte emerge un livello rialzato, sul quale è presente una piccola faccia ovale, la cui espressione è identica a quella della stand.
    I pugni di King Crimson sono letali. Hanno un potenziale non troppo differente da quello di un martello da guerra, o di un maglio d'acciaio (con le relative resistenze di quest'ultimo, dunque possono cozzare con una lama senza ricevere tagli particolari), ma la sua forza non deriva da nessuna particolare struttura. Esso non è che una manifestazione spirituale concretizzata. Appunto per questo, la potenza dei suoi attacchi dipende dall'Essenza del suo possessore. Per quanto la possibilità di attaccare direttamente con la propria anima sia un grande vantaggio, ci sono dei limiti.
    Prima di tutto, King Crimson non può allontanarsi di più di tre metri da Azrael, in nessun caso. E come seconda cosa, il pericolo in cui si incorre nell'utilizzarlo. Esso è collegato in maniera intrinseca al suo possessore, e ferendolo, si ferisce quest'ultimo. Un attacco che colpisce King Crimson viene direttamente traslato sul suo utente. Un pugno a King Crimson causerà un bel livido ad Azrael. Pugnalandone il braccio, si aprirà spontaneamente una ferita sul braccio del Nesciens, e così via.
    (Capacità di attacco autonomo: Passiva Normale - 20 AP)
    (Capacità di movimento autonomo: Passiva Superiore - 25 AP)
    (+20 Essenza)

    Atarassia Silicata - Arma Normale

    Un paio di guanti da combattimento costruiti appositamente per Azrael. Coprono tutto il dorso della mano con uno strato di pelle borchiata dipinta di viola, e terminano con tre lunghe lame di quarzo che partono dalla prima falange e proseguono oltre la punta delle dita, curvandosi leggermente. Sono fissate alla mano tramite una stretta fascia intorno al palmo ed una chiusura a ganci sul polso. Abbastanza comode e non troppo ingombranti, permettono ad Azrael di utilizzare comunque manovre per il combattimento corpo a corpo, brandire armi, ed altre azioni di questo genere.




    Abilità Passive

    Alterare la Realtà
    Chi sfida Azrael si ritrova immancabilmente a percepire, nell'ardire della sua volontà combattiva, la sua visione personale di ciò che lo circonda. Nel filtro personale attraverso il quale chi sfida Azrael è costretto a vedere si possono vedere dei colori estremamente vividi. Tutto quanto sembra ardere, e la vista è deformata ed ondeggiante, come se si fosse nel bel mezzo di una giornata particolarmente afosa. Non è strano vedere il tutto mutare per assumere un aspetto più monumentale. Un semplice pilastro di pietra può apparire come una colonna antica, raffinata e maestosa. La luce può concentrarsi in punti particolari, mettendo "sotto il riflettore" certi eventi, come se Azrael vedesse il mondo attraverso un film, in cui lui è il protagonista.
    Passiva Inferiore.

    Struttura Elementale
    Ha a che fare con la mia origine. Con le forze che hanno contribuito a darmi questa forma. Intrinsecamente, sono legato a questa distruzione, a queste rovine erose dal tempo. Devo proteggere ciò che non è ancora andato perduto.
    Forse una punizione per ciò che ha deciso di prendere con la sua origine, forse lo scopo che tanto cercava, oppure forse ciò che è sempre stato. Non è rimasto molto di organico in Azrael, che ha accettato di mutare, abbandonando il suo guscio precedente e diventando qualcos'altro. Per dirla con un termine "fantasy" che possa spiegare bene cosa sia ora Azrael, si può usare la parola "elementale". Una manifestazione di un particolare elemento, dotata di un corpo, senziente, viva a tutti gli effetti. La volontà che ha donato questa forma al Nesciens ha fatto attenzione a non omettere da essa la sua vita, le sue emozioni, il suo essere Ambizione, insomma, il nucleo base della sua esistenza.
    Ciò che compone il suo corpo pare carne all'apparenza, ma non è che una composizione di minerali e rocce derivanti dal mondo in cui decide di mettere piede. Volendo fare attenzione a non privarlo della sua "vita", la volontà ha lasciato alcuni tratti umani all'elementale. I suoi sensi sono ancora tutti attivi, questo includendo il tatto, con il quale percepisce ancora le stesse sensazioni, o il gusto, per quanto questo cambi leggermente. In via del tutto teorica, per sopravvivere ora necessita solo di ingerire massa, quindi il cibo non è che un piacere opzionale, come lo è tutto il resto. Opzionale è una parola grossa, dato che la mente di Azrael necessita ancora di essere stimolata.
    Dal punto di vista pratico, questo potere dona al Nesciens tutti i vantaggi dell'essere inorganico. Venendo colpito, la struttura che compone il suo corpo viene indebolita, e l'energia magica che lo tiene integro svanisce sempre di più, affaticandolo ed indebolendolo. Il suo corpo inizia a sgretolarsi e creparsi, avvizzendo per il calo di energia arcana che lo compone.
    [Passiva Superiore]




    Abilità Attive




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  13. Xisil
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    Xisil vide il proprio corpo curvarsi in un improvviso attimo di debolezza proprio come se stesse osservando la propria figura riflessa in uno specchio. Si vide cercare un appiglio, sollevare di nuovo il busto, poggiarlo alla parete della gabbia. Il pavimento si inclinò come sul punto di rovesciarsi, l’immagine si fece sfuocata e surreale, la realtà impalpabile come in un sogno. Il riflesso di sé alzò il capo, il volto pallido e tagliato a metà da un giro di bende macchiate, i capelli arruffati a sormontare quella maschera triste e malata; dietro di lei si rifletteva appena distinto un letto a baldacchino, un muro di pietra, la luce di una finestra oltre la spalla sinistra… la sagoma di un uomo, in piedi oltre la destra.

    Non guardarmi, sono orrenda
    Ma lui non smise di fissarla,
    Ti prego vattene, lasciami sola
    Lui le si fece vicino, passò una mano fra i suoi capelli
    .
    .
    .

    È qui



    Fu come se uno mano l’avesse afferrata per i capelli e strattonata con forza fuori da un lago ghiacciato: i suoni si accentuarono d’un tratto, il corpo ebbe di nuovo un peso, le gambe la loro forza, la vista una realtà su cui affacciarsi. Con un leggero sobbalzo la loro corsa giunse al termine, uscendo dalle tenebre.

    “Siete arrivati”

    La donna incappucciata li stava aspettando al centro di un salone circolare, ampio e luminoso, sovrastata da un enorme portone ligneo ben sigillato alle sue spalle, l’Altare del Cuore. Parlò con la stessa voce atona, apatica, come se li avesse attesi paziente fino a quel momento, come l’imminenza di uno scontro, ovvio e inevitabile, non suscitasse in lei il benché minimo interesse, come se avesse già previsto ogni loro mossa, come se sapesse già come sarebbe finita. Xisil osservò la donna alzare un braccio con movenze misurate, e facendo scattare d’istinto i meccanismi di Arandil si irrigidì mentre l’arco si dispiegò al suo fianco. La mano nera della Nessuno si alzò, le dita sospinsero indietro il cappuccio: i suoi capelli scuri e lucidi scivolarono placidi attorno al suo viso cereo, gli occhi si aprirono spalancando le porte ad un freddo glaciale e sterile, due occhi azzurri, umani. Il nemico ebbe finalmente un volto, e in un attimo tutti i pezzi del puzzle tornarono al loro posto.

    Era esattamente come la ricordava.

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    “Ti credi così diversa da noi?”
    Onorevoli, avidi, o soltanto troppo curiosi, tutti motivi stupidi per cui scegliere deliberatamente la morte. Sciocchi, cechi ed illusi
    “Lo credo e lo sono”
    La sola differenza fra lei e loro stava nell’ammissione, e nel discernimento, nella consapevolezza di essere superiore e di non correre alcun rischio.
    “Voi cosa sapete? Cosa pretendete di sapere?”
    Niente. Eppure sì, pur sapendo con chi avevano a che fare, per loro non aveva alcuna importanza.


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    Ricordava. Ricordava perfettamente ogni cosa. Sapeva chi era, e non sapeva niente di lei. Chi c’era davanti ai suoi occhi, se non una donna? Cosa vi era di diverso da lei? Cosa la spingeva a trattarla diversamente da come aveva trattato… Aster? Soltanto tracce di una storia lontana trovate per caso una notte, non lontano da lì?
    Ora devo saperlo.

    “Il tuo nome… come ti chiami?” Se mi concedessi l'onore del tuo nome e dei motivi per i quali ti trovi qui …
    “Numero VI, Il Terrore Strisciante. Xophiab, molto piacere.” Una risposta secca, senza enfasi, senza sentimento. Xisil rimase per un istante colpita: un numero, e un piacere che non vi era affatto. La guerriera annuì, un silenzioso ringraziamento, per cosa non lo seppe, forse soltanto per averle dato una risposta. Non doveva più combattere un cappuccio, un mito raccolto da un libro, un ricordo sbiadito. Ora era anche lei una persona.
    Dare per avere, un nome per un altro: “Xisil.”. Gli altri non avrebbero compreso, l’avrebbero squadrata con stupore, l’avrebbero creduta pazza, ma non avrebbe avuto alcuna importanza. Alzò le spalle, ‘Curiosità’ mimò la guerriera con le labbra, qualcosa che la Nessuno e soltanto lei avrebbe potuto capire.

    "Arrivati a questo punto, immagino non ci sia altra soluzione." Parlò di nuovo, calma e rassegnata oramai all’inevitabile.
    “Ti sbagli. Fin dall'inizio c'era solo una possibile soluzione, la migliore per tutti.” Rispose Xophiab, scuotendo il capo ed alzando appena le spalle. Xisil chiuse gli occhi, rispondendole con la stessa diplomazia.
    “La migliore per te, senza dubbio.” Non doveva dimenticare perché loro erano lì, perché quella donna era lì, né tanto meno quello che era successo fino a quel momento. Furono le parole di Khan a ricordarglielo.

    “Sembra essere sola. Se ci muoviamo bene possiamo circondarla.” Annuì, Egeria fece altrettanto, e lentamente cominciarono a muoversi in due direzioni opposte, alla destra e alla sinistra del Nessuno.

    “Sapete cosa sono i Mondi Dormienti?” Un nome chiaro, inequivocabile. Xisil cercò di ricordare se e quando quel nome fosse mai passato sotto i suoi occhi, ma invano: nei diari che aveva letto tempo addietro non vi era alcuna traccia dei Mondi Dormienti. La guerriera celò quel senso di insicurezza che deriva dall’ignoranza dietro un’espressione di falsa noncuranza, domandandosi se non si trattasse dell’ennesimo tentativo di trarli in inganno. Azrael e Khan sembravano del medesimo avviso, eppure non poteva essere così facile.
    "Sapete cosa significa per un mondo essere dormiente? Significa che il suo cuore è stato danneggiato, divorato non completamente dagli Heartless, incapace di esistere al sicuro nel Regno della Luce, ma non ancora preda dell'Oscurità. Come un essere umano potrebbe restare in coma, Radiant Garden sta cercando di proteggere se stesso, sigillandosi in una dimensione intermedia, dove l'Oscurità non può raggiungerlo." Xisil si fermò all’improvviso, sgranò gli occhi in preda all’incredulità: il cuore di Radiant Garden… danneggiata? Come, e quando? Poi le venne in mente: lei era nel Regno dell’Oscurità, in cerca di Maestra Aqua. Ancora una volta non aveva fatto nulla per impedire che un mondo morisse. “Se provaste a risvegliare con la forza un mondo in uno stato del genere, cosa pensate succederebbe?”

    “Come può un mondo fare una cosa del genere da solo?” La interruppe con un impeto d'esasperazione “Perché Radiant Garden ne sarebbe capace, mentre tanti altri mondi sono periti?” Perché quel mondo sì, e il suo no?

    Azrael tentò di convincerla che un mondo non possiede una consapevolezza, che si trattava soltanto di una reazione ad uno stato di squilibrio. Xisil non volle ascoltare, sorda ad una risposta così banale: quella stessa situazione in cui tutti loro si trovavano era la prova palese di come la realtà fosse ben più complessa di come il Nesciens avesse cercato di dipingerla. Eppure una cosa era vera: loro non sapevano niente, loro conoscevano solo parte della storia, quella che Xophiab aveva scelto per loro, lei che sin dall’inizio conosceva la verità.

    “Non risponderò a questa domanda” disse solamente, e Xisil sentì un senso di frustrazione bruciare nel suo petto. “Quello che posso fare, tuttavia, è correggere un errore nella vostra logica. Non vi ho mai mentito sul mio coinvolgimento in quanto è accaduto. Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden.”

    Xisil la fissò con orrore, gli occhi spalancati, la pupilla che fremeva per l’ira che a stendo la guerriera riusciva a controllare. Le mani tremavano, i pungi stretti con tanta forza da farle male, le unghie piantate nei palmi. La sua arma si agitava minacciosa e imprevedibile. Tutto ciò non aveva alcun senso. Tanta scellerata crudeltà non aveva alcun senso.
    Solo un essere pivo di cuore avrebbe mai potuto desiderare una cosa del genere senza provare un immenso disgusto verso se stesso. Non vi era giustificazione, non vi era attenuante nel suo essere Nessuno: Xophiab era per lei un’umana come lo erano tutti loro, e come tale avrebbe pagato.
    “Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto, quanto positivo per tutti. Tanto per l'Organizzazione, quanto per le migliaia di vite che in questo modo non dovranno essere sacrificate”. Un imprevisto, un evento del tutto casuale, un popolo risparmiato per semplice pigrizia trasformata in una facciata d’umanità, tutto per cosa? Tutto per quella stupida, scellerata guerra, tutto perché a Radiant Garden qualcuno, facendosi chiamare ‘Guardiano’, sventolava un Keyblade in nome della supremazia della luce sulle tenebre. Il Keyblade, quell’arma che avrebbe dovuto proteggere quelle persone, nient’altro che il vessillo dell’arroganza di pochi, il catalizzatore di un immenso pericolo.
    Se avesse avuto il Keyblade, forse il suo mondo non sarebbe perito; di contro, Radiant Garden aveva i suoi custodi, eppure a cosa era servito? Non avevano protetto il loro mondo, così come nessuno era mai giunto in soccorso del suo. Se questo era il risultato, allora Xisil ne avrebbe fatto a meno di quella fantomatica chiave: Crepuscopoli sarebbe stata più al sicuro così.

    “Gli obiettivi dell'Organizzazione per me e per tutti i suoi membri vengono prima di qualsiasi altra cosa e questo è il metodo meno cruento per raggiungerli. La vostra opinione in merito è irrilevante” Xophiab continuava imperterrita a professare la sua verità, ma Xisil oramai non le prestava più ascolto. “Avete compreso come mai siete giunti qui, perché alcuni vengono chiamati a sé da Radiant Garden, mentre altri non riescono a trovarlo? Il mondo stesso vi ha riconosciuti come parte di esso, perché nel vostro gruppo c'era qualcuno partecipe della storia del pianeta.” Doveva essere colpa sua? Voleva davvero farle credere di essere la causa della loro prigionia in quella dimensione? Egeria, Khan, Azrael… era colpa sua se stavano rischiando la vita? Le cose sarebbero andate diversamente se lei non si fosse gettata a capofitto in quella missione, in cerca di risposte… in cerca della verità? Xisil incrociò lo sguardo inequivocabile della Nessuno, e il suo odio trapassò il ghiaccio da parte a parte.

    Verità, la chiami. Io le darei un nome diverso: germe. La verità è il male definitivo, il prodotto ultimo della Curiosità.



    “Lo ripeterò per l'ultima volta. Andatevene adesso e accettate una vita felice ed ignara, lontana dalla guerra. In caso contrario, siate pronti a pagarne le conseguenze. È comunque troppo tardi per sperare in un altro risultato.”

    Troppo tardi. Troppo tardi per tornare indietro, per restare a Crepuscopoli. Guardò ad uno ad uno i suoi compagni di viaggio: troppo tardi per chiedere scusa per averli messi tutti quanti nei guai. Troppo tardi per cancellare la lezione che Aster le aveva impartito, la promessa che gli aveva fatto. Troppo tardi per decidere di tornare a casa, la sua vera casa. Aveva da tempo passato il punto di non ritorno.

    “Non è la guerra a farmi paura. Sono rimasta allora, non mi tirerò indietro adesso”


    `Is this the region, this the soil, the clime,'
    Said then the lost archangel, `this the seat
    That we must change for heav'n, this mournful gloom
    For that celestial light? Be it so’






    Per tutti i riferimenti ad altri testi rimando alla quest "Passato Dissepolto - Nelle profondità" e "Infiltrated"




    Edited by Xisil - 27/11/2016, 16:16
     
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  14. misterious detective
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    Vedeva tanta determinazione in quel gruppo di mercenari, tanta fastidiosa determinazione. Avevano sconfitto tutti i Dream Eater che aveva mandato loro incontro, erano giunti nelle profondità del castello e, con persino più severità di prima, la fissavano negli occhi, pronti e forse persino impazienti di combattere.
    Per un solo istante, mentre faceva scorrere i suoi occhi di ghiaccio da un volto all'altro, Xophiab immaginò cosa avrebbe potuto trovare se fosse stata capace di leggere nella loro mente: paura, forse? Senso del dovere? Spirito d'avventura? Per una Nessuno come lei era quasi impossibile comprendere quale forza invisibile animasse i loro cuori, non ne era mai stata in grado nemmeno da umana.
    “Poco importa.” concluse nella sua mente, sospirando stanca per la banalità dell'intreccio. Quali che fossero i sentimenti dentro al loro cuore, Xophiab non provava che una sottile curiosità verso di essi: era comunque pronta a schiacciarli.
    Calò il suo cappuccio, inspirando a pieni polmoni come se il semplice gesto le costasse fatica. I capelli corvini danzarono come fronde oscure alle sue spalle e si posarono con un sottile fruscio sulla sua schiena. Le palpebre restarono abbassate per un solo istante e poi, come una tagliente lama di ghiaccio, i suoi occhi celesti trapassarono i quattro come stilettate. La loro meta era alle sue spalle, la stanza in cui si trovava l'ultimo terreno di gioco: non aveva più spazio per indietreggiare, per mostrare loro pietà. Aveva rivelato il suo volto, era scesa sul campo di battaglia personalmente: doveva solo fare in modo che i suoi avversari non avessero più un'altra occasione.
    -Capolinea!- annunciò l'uomo dalla pelle scura, cercando intesa negli sguardi dei suoi compagni. -Sembra essere sola. Se ci muoviamo bene possiamo circondarla.-
    Xophiab si umettò le labbra a quella frase: sia la strategia che le affermazioni erano sbagliate, ma non lo avrebbe privato della gioia d'illudersi, non subito almeno.
    Lo sguardo della Nessuno indugiò su tutti gli altri suoi avversari: la ragazza dagli occhi freddi quasi quanto i suoi rimase in silenzio, senza distrarsi per un solo istante dal tenerla sotto controllo, mostrando appena una strana tensione che non pareva adatta ad una persona tanto analitica; persino il Nesciens, in maniera molto poco caratteristica rispetto a quanto aveva visto di lui fino a quel momento, contenne la parlantina, preferendo un atteggiamento più serio ed analitico. Infine, proprio come aveva immaginato, fu Xisil a rivolgerle per prima la parola, fu lei a tendere una mano verso la numero VI, con parole curiose e inaspettate.
    -Il tuo nome...- mormorò la guerriera in un balbettio. -...come ti chiami?-
    La donna aprì la bocca e rimase interdetta per un lungo momento. “Il mio nome?” si ripeté confusa, battendo più volte le ciglia, ma senza mai essere accolta da una nuova visione. Spesso nemmeno tra di loro i membri dell'Organizzazione si rivolgevano l'un l'altro con il proprio nome, il nome che avevano scelto una volta tramutatisi nei gusci vuoti che erano: per esseri la cui non-esistenza è fugace e sottile come un sospiro, un nome non aveva alcun significato, era soltanto una comodità a cui appellarsi per comprendersi a vicenda, qualcosa di cui Xisil non aveva di certo bisogno. Eppure quella attendeva, mano alla sua arma ma rivolta verso il basso, un singolo occhio che la scrutava in una ricerca quasi supplichevole di qualcosa, qualsiasi cosa.
    Per un momento, la Nessuno considerò di concederle un sorriso, un piccolo premio per la sua abilità nel prenderla tanto di sorpresa. Non le diede alcuna soddisfazione, tuttavia, perché passato quell'istante la donna aveva già dimenticato il motivo per cui avrebbe dovuto essere così accomodante.
    -Numero VI, il Terrore Strisciante.- recitò soltanto, tono piatto e occhi rabbuiati, nemmeno l'ombra di un sentimento nella sua voce. -Xophiab, molto piacere.- concluse con estrema formalità, prima di riunire le labbra con un ultimo respiro.
    -Xisil.- rispose la sua avversaria, nonostante il numero VI conoscesse già quel nome e, assieme ad esso, le poche informazioni che ella era riuscita a reperire sulla guerriera dopo il loro primo incontro. Anche così, tuttavia, nulla era veramente cambiato: si ergevano l'una sul sentiero dell'altra, volontà infiammata e gelida, uguali in fermezza.
    -Arrivati a questo punto, immagino non ci sia altra soluzione.- ammise Xisil, con un tono basso che suonava quasi sconfitto.
    Xophiab scosse appena la testa; parlò con voce ferma abbastanza da scacciare le incertezze e la commiserazione di cui erano pregne le parole della guerriera, parole che non appartenevano a quel luogo, a quella situazione... a lei.
    -Ti sbagli.- le assicurò, alzando quasi impercettibilmente le spalle. -Fin dall'inizio c'era solo una possibile soluzione, la migliore per tutti.-
    Non era ancora tardi per accettarla: i poteri del Numero VI dell'Organizzazione erano fatti per spezzare il prossimo, per consumarlo. Non erano obbligati ad affrontare tutto ciò, era quella la loro unica, vera scelta.
    -La migliore per te, senza dubbio.-
    Xophiab chiuse gli occhi e chinò il capo. Così impavida, così stupida fino alla fine.

    -Sapete cosa sono i Mondi Dormienti?- la sua domanda giunse senza preavviso, portando sulla sua onda una tempesta che fece vacillare l'impassibilità dei suoi avversari: anche se per un solo istante, ognuno di loro si fermò sui suoi passi, desistendo dal loro intento di circondarla. Le reazioni furono disparate: Xisil e il Nesciens si persero nei loro pensieri, cercando riscontro per quelle parole nelle loro conoscenze, l'altra Completa fu la prima ad accettare quella domanda come probabile verità e a cercare gli altri con lo sguardo, bisognosa forse di un'opinione. L'uomo dalla carnagione scura, invece, non restò in silenzio.
    -Se vuoi iniziare un qualche panegirico su come sprofondare i mondi nel sonno sia dare loro la pace, risparmia il fiato.- la tagliò con arroganza, muovendosi verso di lei, un lampo scuro riflesso dalla sua lama.
    Un gesto annoiato fu la miglior risposta che Xophiab poté concedergli. Nessuno di loro comprendeva, nessuno di loro era capace di comprendere, perché loro erano Completi, loro erano diversi da lei; loro erano un ostacolo. Tuttavia, l'ignoranza non era una colpa che dipendesse da loro e, data la situazione, la Nessuno non vedeva più ragione per tenerla loro nascosta: nella peggiore delle ipotesi, avrebbe reso più semplice il dialogo. Dopotutto, lei era l'unica a non avere le lancette dell'orologio a pendere sulla sua testa.
    -Se equivalga o meno a dar loro la pace...- ribatté allora, rivolgendosi con un cenno a ciò che li circondava, a ciò che avevano visto oltre quelle mura, a quella gabbia felice. -... Potete vederlo con i vostri occhi. Questo mondo sta già dormendo, il suo cuore in bilico tra Luce e Oscurità.-
    -Chiudere un uomo in una gabbia gli assicura la pace, vero.- la assecondò il Nesciens, sospirando veleno ad ogni parola.
    Almeno erano veloci a comprendere, rifletté la donna, pur sapendo che, a conti fatti, sarebbe stato molto più utile riscontrare in loro una certa limitatezza d'apprendimento.
    -Ma ho come il flebile sospetto che potrebbe non essere la scelta migliore.- concluse l'uomo imponente, battendo un piede a terra mentre con un altro passo si muoveva verso di lei.
    Xophiab strinse appena gli occhi, pienamente conscia di tutto ciò che le stava attorno: ancora ragionavano da umani, ancora si aspettavano che lei agisse in considerazione dell'umanità, come se davvero ne facesse parte. Ironico, senza dubbio, poiché nessuno all'infuori di lei si sarebbe spinto a tal punto.
    -State parlando da ignoranti.- lo ammonì la numero VI, nella voce il tono di chi non si aspettava nulla di diverso. -Sapete cosa significa per un mondo essere dormiente? Significa che il suo cuore è stato danneggiato, divorato non completamente dagli Heartless, incapace di esistere al sicuro nel Regno della Luce, ma non ancora preda dell'Oscurità.- mostrò il pugno, mostrò il mondo consumato nel suo palmo; quindi abbandonò le braccia lungo i fianchi. -Se provaste a risvegliare con la forza un mondo in uno stato del genere, cosa pensate succederebbe?-
    Reazioni sorprese ed adirate giunsero miste dal suo pubblico, prevedibili come tutto il resto. Cominciavano a vedere, quindi, la verità sussurrava al loro orecchio per la prima volta: “Risvegliate il mondo, obbligatelo a destarsi con le sue ferite ancora aperte. Non otterrete che di farlo cadere del tutto nelle Tenebre e darmi comunque una diversa vittoria."
    -Come può un mondo fare una cosa del genere da solo?- la interrogò Xisil con impazienza e tensione ed un volto che Xophiab non le aveva mai visto prima. -Perché Radiant Garden ne sarebbe capace, mentre tanti altri mondi sono periti?-
    Perché gli altri non avevano avuto la fortuna di incappare in un piccolo “imprevisto”: quella era la ragione. Non c'era tuttavia motivo per cui i quattro dovessero saperlo. Non sarebbe stato di loro aiuto in ogni caso.
    -Dubito che questo mondo abbia una “consapevolezza”- aggiunse il Nesciens rivolto alla sua compagna, risparmiando a Xophiab l'onere di una risposta mancata. -Sarà semplicemente uno stato in cui è subentrato per via di uno squilibrio. D'altronde gli uomini non vanno in coma consapevolmente.-
    Ancora accuse, ancora convinti di essere nella posizione di giudicarla, di possedere sufficiente forza per farlo.
    -Ciò non toglie il fatto che stai dando per scontato che io voglia applicare la logica del “spegnilo e riaccendilo” a qualcosa di complesso come un mondo. Ti stupisci della nostra ignoranza? Non hai collaborato minimamente e non conosciamo la situazione. Cosa ti aspetti? È ovvio che lo siamo.-
    Come una nuova voce risuonò al suo fianco, la Nessuno trasportò ad essa la sua attenzione, ignorando le contestazioni tanto povere del Nesciens. -Inoltre, cosa ci fate tu e chi per te qui?-
    accarezzando tra di loro pollice ed indice, valutò per la lunghezza di un istante le sue opzioni. -Non risponderò a questa domanda.- concluse atona: era loro nemica e ostacolo ultimo verso il ritorno nel Regno della Luce; se non avessero compreso il suo consiglio, quella era l'unica informazione su di lei che sarebbe stata loro utile.
    Un altro istante, le dita ancora giocavano tra di loro. -... Quello che posso fare, tuttavia, è correggere un errore nella vostra logica.- aggiunse infine, annuendo quasi impercettibile con il capo. -Non vi ho mai mentito sul mio coinvolgimento in quanto è accaduto.- giurò loro, aprendo appena le braccia per mostrarsi aperta e sincera nelle sue parole: il dubbio ed il sospetto non servivano che ad aizzarli contro di lei, a rifiutare ogni sua parola. Forse avrebbero allora percepito come sincere le sue parole, abbastanza da fermarsi a riflettere sui rischi a cui andavano incontro, forse avrebbe solo incanalato in se stessa ancora più odio ed avversione. Forse rivelare tutto le avrebbe risparmiato un combattimento superfluo, o forse li avrebbe resi impazienti nonché più facili bersagli. Quale che fosse il caso, non aveva nulla da perdere, mentre le lancette scorrevano.
    -Il piano dell'Organizzazione era di distruggere il Cuore del Mondo e lasciar perire Radiant Garden.- confessò, scuotendo la testa con le spalle appena alte, neutra all'idea. -Che diventasse un Mondo Dormiente era tanto imprevisto quanto positivo per tutti: tanto per l'Organizzazione, quanto per le migliaia di vite che in questo modo non dovranno essere sacrificate.-
    L'unico sentimento che Xophiab provava nei confronti degli umani era rispetto: solo una pallida sensazione, un qualcosa che si era imposta lei stessa piuttosto che qualcosa di reale, ma aveva deciso che almeno questo fosse loro dovuto. Era pronta e aveva ucciso molte, moltissime volte in passato per conto dell'Organizzazione, ma non lo aveva mai fatto per malizia personale. Se non l'avessero obbligata, la forza della sua arma maledetta sarebbe rimasta sigillata al sicuro dentro di lei.
    Prese fiato e, con minimi movimenti del capo, portò i suoi occhi di ghiaccio verso i suoi nemici, scrutandoli uno ad uno: tutti e quattro i loro sguardi erano incatenati a lei, incredulità e ira ad accendere con la loro fiamma distruttiva i volti sbiancati che la circondavano.
    “Incanalate ancora più odio ed avversione.” concluse, inarcando appena gli angoli delle labbra nella cosa più vicina ad un mesto sorriso che la Nessuno sapesse produrre.
    -Come pensavo...- voce profonda, graffiante, respiro tremante dalla collera: la prima a rispondere fu Xisil, la prima a rivelare la sua indignazione fu Xisil. -E dovremmo essere noi la minaccia?-
    La guerriera stava quasi gridando, Xophiab strinse appena gli occhi e rimase in silenzio, offrendosi senza problemi come catalizzatore di tutta quella rabbia.
    Il Nesciens si fece quindi avanti, ben più impaziente rispetto a tutti gli altri di vociare la sua opinione e soverchiarla con le sue parole: le domandò quali ragioni potessero mai spingerla a simili metodi, azzardò persino che, quale che fosse la risposta, nulla avrebbe mai validato né la sorte che era toccata né quella che sarebbe dovuta toccare a Radiant Garden.
    Di nuovo, una sola scrollata di spalle fu sufficiente ad ignorare qualsiasi legame con l'umanità che aveva perduto ormai da tempo. -Il più potente gruppo di Custodi tagliato fuori dal disegno, assieme a tutti i guerrieri attirati quaggiù, il tutto senza aver sacrificato nemmeno una vita.- illustrò lapidaria con poche e asettiche frasi.
    Con espressione stranita la ragazza accolse la risatina incredula che le arrivò come risposta. -Quindi il mondo, i suoi abitanti ed i mercenari come possiamo essere noi sono a tutti gli effetti delle sfortunate casualità nel vostro piano per buttare giù il Comitato.- riassunse con tono ironico l'uomo, una mano al petto che tentava con molte difficoltà di trattenere le risate che la situazione pareva aver suscitato in lui.
    Xophiab non sentì la necessità di rispondere: che a lui paresse o meno paradossale, quella era l'unica verità che i suoi occhi privi d'emozione riuscissero a vedere.
    -Non ci andate certo leggeri, voi.- la punzecchiò allora, acido. -Essere privi di empatia ha i suoi vantaggi.-
    Era quasi, quasi divertente: da che ricordava, nemmeno in vita Xophiab era mai stata in grado di provare empatia, non verso la gente ed il mondo che il suo cuore odiava più di ogni altra cosa. Forse per la sua Completa un compito del genere sarebbe persino stato più semplice.
    -Le tue parole dovrebbero ferirmi, Nesciens?- lo respinse la donna. -Gli obiettivi dell'Organizzazione per me e per tutti i suoi membri vengono prima di qualsiasi altra cosa e questo è il metodo meno cruento per raggiungerli. La vostra opinione in merito è irrilevante.-
    Si voltò, allora, cercò Xisil con lo sguardo. -Avete compreso come mai siete giunti qui, perché alcuni vengono chiamati a sé da Radiant Garden, mentre altri non riescono a trovarlo?-
    Quasi nessuno si permise di distoglierle lo sguardo di dosso, ma Xophiab capì che stessero ponderando la domanda dalle fronti accigliate rivolte verso di lei.
    -Il mondo stesso vi ha riconosciuti come parte di esso...- continuò allora -Perché nel vostro gruppo c'era qualcuno partecipe della storia del pianeta.-
    Lentamente alzò il braccio: tese l'indice di fronte a sé e puntò alla causa scatenante: era Xisil la fonte di tutti i suoi, di tutti i loro problemi. Tuttavia, quell'intralcio sarebbe durato ancora per poco: -Il Mondo sta cercando di rendervi parte del suo sogno e, lo sappiamo sia voi che io, ci sta riuscendo molto bene. Non vi resta molto tempo.-
    Le sue parole, come risvegliandoli da un sonno durato troppo a lungo, ravvivò la fiamma che ardeva in loro: urgenza, rabbia, decisione ed una forza si celavano nei loro sguardi, qualcosa di cui, fino ad allora, Xophiab non ne aveva scorso che una flebile ombra. Le armi che fino ad allora l'avevano solo minacciata furono sguainate e puntate contro di lei, tutte assieme.
    “Peccato...” riuscì solo a pensare, con la rassegnazione di chi era preparato al peggio fin dal primo momento.
    Con la mano sinistra andò ad accarezzare il polso destro, risalì con delicatezza, sfiorando la sua pelle solo con la punta delle dita, e rimboccò appena la manica: a separare il nero della notte a quello spettrale della Nessuno, vi era un lungo guanto scuro percorso da sottili venature viola. Lo sollevò di fronte a sé, coprì il viso con la sua sagoma, quindi con un movimento lento lo abbandonò di nuovo lungo il fianco: le dita fremettero come colte da uno spasmo e poi, dopo soli poco istanti, lo spazio attorno al gruppo mutò: un sibilo appena percettibile soffiò attraverso quella che sembrava semplice pelle nera e flutti di fumo indaco cominciarono a riempire la stanza. Come serpenti, le spire strisciarono lungo il terreno reclamandone il possesso, risalendo sempre più fino a ricoprire quasi l'intero salone.
    Calò il freddo sui quattro mercenari, un gelo che trovava via dentro di loro ad ogni respiro, appesantendo il loro corpo, premendo sui loro cuori. Se ne sarebbero presto accorti, di quale fosse il terrore in cui erano incappati.
    Xophiab parlò ancora, lapidaria e minacciosa, una sagoma scura obnubilata dalla nebbia. -Lo ripeterò per l'ultima volta: andatevene adesso e accettate una vita felice ed ignara, lontana dalla guerra.- strinse il pugno, i flutti vorticarono in un mulinello tempestoso. L'energia più nera l'avvolse, lingue di ghiaccio attorno a lei, sue fedeli amiche. -In caso contrario, siate pronti a pagarne le conseguenze. È comunque troppo tardi per sperare in un altro risultato.-



    CITAZIONE
    Nightmare Fuel

    Questo è il potere che dà inizio ad ogni cosa. Xophiab, all'interno dell'Organizzazione, è la regina delle illusioni, la signora del terrore, e per sconfiggere i suoi avversari si limita a piegare la loro volontà, a frantumare ogni frammento di umanità che posseggono, finché non sono le ombre che la loro stessa mente producono ad accompagnarli all'aldilà. Questo è possibile poiché i suoi grandiosi poteri sono in grado di influenzare le capacità cognitive e di percezione dei nemici, ella può condizionare ogni loro senso con illusioni che, in realtà, sono molto più reali di quanto non si possa credere. Il catalizzatore di tale potere è la sua stessa arma, il guanto che indossa alla mano sinistra. Attraverso di esso, il potere magico che la Nessuno fa fluire nel suo palmo viene emesso naturalmente, sotto forma di una nebbia violacea. Questa si diffonde rapidamente, appena in una manciata di secondi, e si estende ad occupare un volume sferico di raggio 10 metri in ogni direzione. La quantità di fumo sarà sufficiente a rendere confusa ed incerta la vista di ciò che si trova al di fuori di esso, ma non tale da non permettere ad una vittima ritrovatasi al centro della tecnica una vista quasi totale di ciò che avviene nell'area che lo circonda. L'aria si farà densa e pesante, quasi ci si trovasse nel mezzo del mare, e la temperatura scenderà di diversi gradi [Abilità Passiva Inferiore]. Ma i poteri della sua arma prediletta non hanno certo fine così...



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    IL QUARTO REGNO

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    Infine i flutti avvolsero ogni cosa.
    Il fumo danzava placido tra i quattro, freddo come l’aria d’inverno, denso come la nebbia più fitta. Umido. Talmente pregno d’acqua da affaticarle il respiro.
    Sentì la pelle rabbrividire sotto la giacca e il vestito. L’adrenalina entrò in circolo, ma il tremore non cessò.
    Vedeva ancora i suoi compagni. Silhouette nere su sfondo viola, fantasmi pronti allo scontro. Egeria si strinse nella giacca e affondò nella sciarpa fino al naso. Il Kervion gorgogliò irrequieto.
    Vedeva anche Xophìab. Sottile, irreale, pallida. Inquietante. Attorno a lei numerose lingue azzurrine rilucevano tenui, fluttuavano a mezz’aria come freddi guardiani. Ghiaccio, scaglie affilate sostenute da fili magici.
    La donna in nero non aveva paura. Nonostante l’accerchiamento, nonostante l’ultimo tentativo di persuasione fosse fallito, la maschera apatica del suo viso non si era incrinata.
    Egeria si scoprì trattenere il fiato. Era lei – capì stringendo i denti, ad essere spaventata. Xophìab non era stupida: se non aveva provato a fuggire quando tutto il resto era fallito, significava che aveva un piano. Un asso nella manica, un alleato nascosto, una magia sconosciuta. E quella nebbia…
    Gli occhi viaggiarono irrequieti tra i flutti violacei alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa. Non trovarono nulla se non freddo e silenzio.
    Si costrinse a riportare gli occhi sul viso di Xophìab e prese un respiro profondo. “Calma. È solo paranoia. Suggestione. Non può vincere, non così”. Un ruggito basso del Kervion la rassicurò.
    “Non si torna indietro”, ricordò a se stessa.
    Chiuse gli occhi. Respira. Espira.
    Al primo segnale di movimento scattò. Verso la sua sinistra, verso la porta, così da sparire dal campo visivo di Xophìab e mantenere, al tempo stesso, le distanze. Piantò i piedi, il Kervion vorticò attorno a lei una sola volta. La destra, rapida, schizzò come un serpente verso il bacino della sua nemica. La mancina, l’istante successivo, si richiuse al petto tracciando un arco perfetto. Il bacino e le gambe assecondarono i movimenti della danza.
    E così fece il Kervion. Al guizzo della destra una scaglia, una grossa punta di lancia fuoriuscì fulminea dalla sfera sospesa e volò sibilando contro il bacino della Nessuno; al volteggiare della sinistra una corda sottile, una mezzaluna luminosa si separò dal corpo madre e seguì il proiettile, tracciando un arco speculare: gobba a destra il primo, a sinistra la seconda.
    Il proiettile era un diversivo. Anche a segno, difficilmente avrebbe causato danni seri. La seconda manifestazione era il vero centro della sua offensiva: avrebbe volato, macinato metri e, qualche istante dopo il proiettile, avrebbe cercato la carne di Xophìab all’altezza dei gomiti. Fattosi liquido un istante prima dell’impatto, il Kervion si sarebbe chiuso in una morsa intorno a lei, pronta a stringerla e a impedirle l’utilizzo delle braccia.
    Sentì il fiato farsi pesante. Piano. Non c’era bisogno di dare fondo alle sue energie, sarebbe stato imprudente. Le era già successo fin troppe volte: stavolta aveva i numeri dalla sua, poteva centellinare, aspettare, valutare. Non sapeva neanche cosa fosse in grado di fare la sua avversaria: se avesse messo tutta sé stessa in unica offensiva a cui Xophìab si fosse rivelata in grado di resistere non avrebbe avuto modo di difendersi da un eventuale contrattacco.
    Un passo indietro, il tacco sinistro toccò la parete. Rapidamente, Egeria assunse una posizione di guardia, braccia e gambe pronte a scattare ancora, occhi fissi sul nemico.
    La tempesta ruggiva. Alla sua offensiva ne erano seguite altre: lampi d’oscurità, folate di vento e detriti si abbatterono su Xophìab, pronti a divorarla da ogni direzione.
    “Non ha scampo” provò a rassicurarsi Egeria. Per qualche motivo, non riuscì a convincersene.



    Riassunto di battaglia:

    art-swd3e2-devushki-paren_1
    Cr: 130 | Es: 155 | Mt: 65 | Conc: 75 | Vel: 90 | Dex: 75



    Status fisico: Numerose piccole bruciature di entità complessiva non-tecnica. Fiato corto causato dal consumo alto.
    Status mentale: Adrenalina. Determinazione mista a confusione.
    Energia: 58 - 1 - 6 = 51%


    KERVION
    Oggetto magico, 180 AP

    kervion_6


    Il campione di Kervion attualmente in mano ad Egeria è una sfera perfetta di soli venti centimetri di diametro. Al tatto, la superficie risulta leggermente ruvida, ma non scanalata. Ha un colore grigio-scuro uniforme, e pesa dieci chilogrammi esatti.

    L’unica caratteristica certa del Kervion, prima degli studi pioneristici di Helena, era che qualunque agglomerato del metallo tornasse alla forma sferica dopo aver subito qualsiasi tipo di trasformazione o danno. Non si tratta di vera e propria indistruttibilità, in quanto il Kervion, quando non si trova nella sua forma base, ha una resistenza anche inferiore a quella dell’acciaio; tuttavia, qualora un pezzo si staccasse dal “corpo” principale, andrebbe a riattaccarsi ad esso quasi subito dopo. [In termini di gioco, questa è una Passiva Superiore (25 AP) di indistruttibilità parziale, che giustifica narrativamente anche il “ritornare” dei pezzi del Kervion alla sfera principale quando Egeria lo manipola tramite le sue abilità variabili –descritte di seguito- o di altro tipo. È importante dunque sottolineare che il Kervion è indistruttibile soltanto nella sua forma sferica e non nelle sue manifestazioni, le quali entità saranno legate al consumo speso per crearle.]

    Le ricerche di Helena andarono molto oltre la semplice osservazione dei comportamenti del Kervion: riuscirono a comprenderne le intricate cause, scientifiche e magiche, aprendo così la strada all’utilizzo del metallo stesso per i più svariati scopi. Un dominatore del Kervion, dunque, non è solo un abile mago; in primis, dev’essere uno studioso brillante e instancabile, in quanto è impossibile raggiungere il controllo completo del metallo tramite la sola magia. Helena e, dopo anni e anni di studi, Egeria, furono le uniche a riuscire nell’impresa; nonché le uniche ad essere state in grado di stabilire con il metallo quella che le ricerche di Helena battezzarono “connessione di campo”: una sorta di connessione infrangibile tra Kervion e dominatore, una forza di carattere quasi magnetico che, una volta stabilita, impedisce ai due elementi della “coppia” di non essere allontanati. [In termini di gioco, ciò si traduce in una Passiva inferiore (15 AP) che impedisce a chiunque che non sia Egeria di influenzare in alcun modo il Kervion, o di alterare, a meno che non sia Egeria a permetterlo, la sua struttura sferica “base”. Sarà inoltre praticamente impossibile “rubare” il Kervion tramite mezzi convenzionali, in quanto la passiva gli impedisce di allontanarsi di più di 50 metri da Egeria.]

    Le proprietà del Kervion non dipendono soltanto dal materiale in sé; ne esiste infatti una in particolare che dipende, in gran parte, dal manipolatore. È stata una delle più importanti e sensazionali scoperte di Helena durante i primi studi con e su Egeria: il Kervion, anche se in minima parte, ha delle proprietà simbiotiche in continua evoluzione; più un singolo manipolatore vive a stretto contatto con il materiale, più facile sarà per lui controllarlo. Non si tratta di semplice adattamento, quanto di vera e propria sinergia, che si traduce anche in un tuttora inspiegabile potenziamento delle facoltà fisiche, magiche e persino mentali dell'utilizzatore del metallo. [Questo si traduce in una Passiva Superiore (25 AP) che concede ad Egeria il 4% di sconto su qualsiasi manifestazione magica che coinvolga il Kervion. Come da regolamento, nessun consumo potrà scendere oltre l'1% dopo l'applicazione di quest'abilità; lo sconto, inoltre, non sarà comulabile con altri sconti di alcun tipo.
    Inoltre, finché anche solo una minima parte della forma base del Kervion si trova nei pressi di Egeria, quest'ultima vedrà le proprie statistiche aumentare di 115 punti complessivi, la cui distribuzione è indicata nella tabella statistiche alla fine di questo post. (115 AP)
    ]



    Abilità passive


    L'affinità di Egeria con il Kervion le ha col tempo permesso di sviluppare dei "trucchi" non del tutto dipendenti dalle principali proprietà del metallo. Anni e anni di utilizzo e "convivenza" per i più vari scopi, hanno concesso ad Egeria la capacità di "percepire" attraverso il Kervion, di considerarlo come un'estensione del suo corpo. Ciò è reso possibile da una particolare onda emessa dalle vibrazioni e gli spostamenti del Kervion: con un po' di concentrazione, la giovane è in grado di percepire il percorso di quelle onde e di valutare, di conseguenza, le distanze percorse da esse prima di trovare ostacoli e tornare indietro. Una sorta di sonar rudimentale. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP), che permette ad Egeria di utilizzare il Kervion come un'estensione della sua percezione spaziale. Le onde emesse dal Kervion viaggiano costantemente, da qualsiasi emanazione del metallo, per circa 3 metri in ogni direzione: entro quella distanza, dunque, Egeria può avere un'idea generale della posizione di persone o oggetti che la sola vista non le concederebbe di vedere. Per usufruire di questo effetto, i pezzi di Kervion che emettono le onde non devono essere a più di un metro da Egeria.]

    Manipolare il Kervion può risultare logorante. Nel tempo, Egeria ha tentato di utilizzarlo in modi e quantità che hanno l'hanno spesso portata sull'orlo dello sfinimento. In realtà, inizialmente anche solo spostare il Kervion nella sua forma base, mantenerlo in aria, le risultava complesso e fisicamente drenante. Ora, quest'ultimo caso non rappresenta più una problematica: mantenere in levitazione il Kervion nella sua forma base o nelle sue trasformazioni non istantanee non le richiede più sforzo, né tantomeno un'eccessiva concentrazione. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP) che concede ad Egeria di far levitare il Kervion senza alcun consumo, a patto che esso si trovi a non più di 2 metri di distanza da lei. Nel caso in cui Egeria decida di far levitare in questo modo un'arma creata dal Kervion (o qualsiasi altro oggetto "non istantaneo"), questa non potrà essere mossa in modo da arrecare alcun tipo di danno all'avversario.]


    Abilità attivate


    Il dominio di Egeria sul Kervion è pressoché totale. Con dei rapidi movimenti delle braccia, la giovane può far sì che il metallo si pieghi, estenda, separi, formi proiettili, lame volanti e cupole difensive. Al contrario di molti altri metalli, la struttura unica del Kervion consente a chiunque lo sappia dominare una varietà di scelte nella forma, la consistenza e la duttilità limitata unicamente dall’inventiva, l’energia magica spesa e, soprattutto, la quantità di Kervion a disposizione. Per quanto infatti il Kervion possa facilmente cambiare di densità sotto il controllo di Egeria, non può aumentare di massa. [In termini di gioco, il controllo totale di Egeria sul Kervion le concede due Attive variabili (70 AP), una offensiva e una difensiva (in grado di bloccare anche mezzi di trasmissione psionici). La potenza, la velocità e ogni altra caratteristica delle emanazioni create dal Kervion sono da intendersi basate sulla statistica Essenza di Egeria; in fase di difesa, tuttavia, eventuali danni si ripercuoteranno sul Corpo dell’avversario, in quanto il Kervion rimane comunque un metallo e come tale è in grado di infliggere unicamente danni da taglio, impatto e perforazione a seconda dei casi.]

    Nello specifico, ho utilizzato un’offensiva a costo basso (1% grazie alla passiva superiore) e un'altra di “supporto” a costo Medio (6% grazie alla passiva superiore).



    Riassunto e Note: Se servono chiarimenti, sapete dove trovarmi.

     
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59 replies since 26/2/2016, 19:14   2083 views
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