Il Quarto Regno

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    IL QUARTO REGNO

    V


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    Il picchiettio della pioggia si interruppe solo quando l’ultimo dei buffi mostri, unico superstite, sparì in preda al terrore.
    Egeria rilassò i muscoli e si concesse un sospiro di sollievo. Li avevano respinti senza troppe difficoltà e, soprattutto, senza perdite.
    Inclinò leggermente la mano alzata, comandando alla piattaforma di inclinarsi. L’acido che ancora bagnava il kervion scivolò a terra come un’esile e venefica cascata, corrodendo appena la pietra azzurra prima di farsi fumo.
    Si guardò intorno: non tutti erano stati fortunati quanto lei. Azrael e Xisil sembravano illesi, ma Khan aveva subito una brutta ferita alla gamba.
    Chiuse a pugno la mano ancora alzata, e la piattaforma tornò sfera. Sospirò, distogliendo lo sguardo dal sangue. Conosceva una magia di cura, ma il suo utilizzo l’avrebbe lasciata esausta e, di conseguenza, inutile per il resto della missione. Se avessero incontrato altre creature ostili non avrebbe potuto fare nulla.
    Decise di concentrarsi su se stessa: ma al di là dei danni alla giacca, la sua pelle era uscita appena arrossata dal contatto con il veleno. Si tolse la sciarpa con due movimenti rapidi e la esaminò: un paio di buchi, ma nulla di irreparabile. La avvolse su se stessa e la ripose nello zaino.
    Nel frattempo Khan si era fasciato la ferita usando la sua sciarpa. Azrael, dopo esserglisi avvicinato, aveva cominciato a parlare. «Ho pestato un sacco di roba con un sacco di forme strane, ma sono piuttosto sicuro che quelli non fossero Heartless».
    Egeria non lo guardò. Si strinse nei gomiti, voltata dalla parte opposta. Pensava. A quanto avesse appena detto Azrael, a quanto fosse appena successo. Che quelle creature non fossero Heartless era ormai indubbio: non sembravano guidati dalla fame, non combattevano fino alla morte. Sembravano, persino, in grado di provare paura. Il pensiero le causò un’estemporanea stretta al petto che si impose di non interpretare.
    Rispose senza voltarsi. «Non hanno rilasciato nessun…» quale parola? «"cuore" quando li abbiamo uccisi»
    Era la più scontata delle osservazioni, ma non era ancora stata esternata. Sia Khan, che Azrael, che Xisil sembravano di larga misura più esperti di lei delle leggi che governavano quell’universo: forse quell’input avrebbe suggerito loro qualcosa.
    «Ma poi perché tutti 'sti cuori che compaiono così?» rispose subito Azrael. «Quella non è la forma di un cuore. Un cuore ha aorte, e ventricoli, e... Comunque sì, quelli non erano Heartless. Probabilmente. E non avevano l'aspetto umanoide dei Nessuno.»
    L’espressione neutra di Egeria si increspò di scetticismo. Si voltò verso Azrael e incrociò le braccia. «In tutte le informazioni che ho potuto raccogliere lo chiamavano così. Il collegamento con il cuore fisico non mi è mai apparso chiaro.»
    O, forse, non l’aveva ancora accettato. L’idea che il “cuore” potesse essere corrotto dall’oscurità, che tramite procedimenti magici fosse possibile manipolare e trasformare completamente una persona agendo su questa entità astratta era forse tra le più inconcepibili che quel bizzarro e folle nuovo mondo le aveva presentato.
    Deglutì malinconia. Per quanto assurdo, doveva sia accettarlo che capirlo: la trasformazione di sua madre e, forse, persino il destino di Oriam erano stati decisi da quelle leggi a lei ancora oscure. I pochi libri e le poche informazioni reperibili nella Città di Mezzo l’avevano lasciata con poche certezze e troppe domande. Le serviva uno studio serio e onnicomprensivo; ma quello l’avrebbe trovato solo a Radiant Garden.
    Alzò il capo verso le imponenti torri in lontananza, ravvivata da una tiepida ma ferma motivazione.
    Azrael aveva già iniziato a risponderle. «Bella domanda. Forse gli Heartless appaiono così, con quelle forme, proprio perché buona parte dei Completi si immagina i cuori con quell'aspetto? Intendo, nel senso inteso dagli Heartless, dunque la fonte della propria anima o qualcosa del genere» E scrollò le spalle.
    Khan intervenne ancor prima che Egeria potesse elaborare quella mole disordinata di informazioni. «No», grugnì, ancora intento a trattare la ferita, «la loro natura è diversa da quella degli Heartless». Si rialzò.
    Egeria seguì i suoi movimenti impassibile in volto. Che quell’uomo sapesse -e fosse?- più di quanto non desse a vedere era appurato. Non doveva farsi sfuggire una singola parola.
    «Sono una manifestazione dell'oscurità, ma non usano il cuore, spirito o come preferite chiamarlo come catalizzatore. Non saprei dire con esattezza a cosa sono legati, ma su questo sono certo.».
    L’espressione di Egeria non mutò. Lasciò che fosse Azrael a rispondere.
    «Magari sono legati al profondo sconforto che alcuni provano pensando a quanto la nostra realtà sia assurda». Disse, sorriso stampato, battendosi le nocche sul mento. «In tal caso scusate se li sto alimentando».
    «Magari se ci convinciamo che non esistano scompariranno», intervenne Khan, «da tenere a mente nel caso dovessimo incontrarne altri».
    Le labbra di Egeria si schiusero appena, le sopracciglia si alzarono impercettibilmente. Dubitava fortemente della plausibilità di quelle ultime teorie.
    «Dubito anche che fossero Nesciens. Non hanno vestiti bizzarri addosso. Da quel che ho visto è una prerogativa».
    Nesciens?
    Egeria si destò, resasi conto solo allora di aver fissato intensamente il vuoto per buona parte della conversazione. Nesciens: quel nome le era nuovo. Aggrottò le sopracciglia e attese che Khan, per la prima volta confuso quanto lei, ponesse l’inevitabile domanda.
    «Credo sia la prima volta che sento quel termine. Nesciens».
    Un’increspatura sul volto di Xisil, fino a quel momento rimasta in silenzio, attirò l’attenzione di Egeria. Stava sorridendo. «Concordo, non sembrano Nesciens, anche se ne ho conosciuti soltanto in forma umana...»
    Forma umana? Cos’erano, un’altra razza dipendente dallo stato del cuore, come Heartless e Nessuno? Egeria portò pollice e indice al setto nasale, massaggiandolo ai confini della sopportazione, occhi chiusi e testa bassa. “Poche risposte, troppe domande” si ricordò scuotendo appena il capo.
    Azrael sembrò sollevato dall’inaspettata condivisione di Xisil. «Ah, almeno tu sembri conoscerli. Anche se io ne ho visto solo due in tutta la mia vita. Punti extra contando che uno lo vedo allo specchio tutti i giorni, har har har».
    Azrael era un Nesciens, dunque. Ma cos’era, un Nesciens?
    «Oltre a te, in effetti, ne conosco solamente una» concluse Xisil, il tono improvvisamente addolcito, come nostalgico.
    Egeria faticava sempre di più a cogliere l’utilità di quella conversazione. Avevano già appurato che i mostri che li avevano attaccati non fossero Nesciens: quindi perché attardarsi?
    «I Nesciens sono creature che nascono dalle emozioni, per dare la risposta semplice». Azrael era tornato a rivolgersi a loro due.
    Egeria incrociò di nuovo le braccia al petto. Se non altro, si era deciso a dare una risposta.
    «La nostra origine ha fondamenta più complicate, a dirla tutta. E con questo intendo che non ne so molto neanche io».
    Emozioni. “Origine”. Egeria scosse la testa. Cosa stava cercando di dirle? Che non erano creature “nate”, ma “create” da qualcun altro? Che non erano una deformazione o trasformazione di un umano, ma una manifestazione di un sentimento?
    Espirò lentamente e si strinse forte tra le braccia conserte. “Accetta. Accetta e basta. Avrai tempo per smaltire, tempo per confonderti, tempo per capire.”
    «Ah, che altro Nesciens conosci?»
    Azrael era tornato a rivolgersi a Xisil.
    «Si chiama Shinan»
    Un solo istante di silenzio.
    «Oh, la conosco, sì. Non da molto, sarò onesto, ma è bello poter trovare qualcuno che condivida la tua origine. Una sorta di sorella, si potrebbe anche dire».
    Egeria impietrì. All’improvviso, la conversazione che già faticava a seguire si allontanò dalla sua percezione. I suoi attori erano lontani, le sue parole senza senso.
    “Come una sorella.”
    Dovette lottare per non farsi trascinare ancora dai ricordi; voltarsi dall’altra parte e stringersi nella giacca, come un animale minacciato. Persino in battaglia il ricordo di Celia era stato in grado di distrarla: non poteva, non doveva permettersi che i più piccoli dettagli la distogliessero dal presente. Tutto ciò che stava facendo lo stava facendo per riavere quei ricordi. Per costruire una vita che le permettesse di viverne altri, forse più belli. Non doveva dimenticarlo. Non doveva dimenticare che Celia potesse dovesse essere ancora viva. Non doveva trattare i ricordi di lei come quelli di un fantasma.

    Sei distratta, Egeria.

    «Quindi? Proseguiamo?» Parlò con freddezza e con malinconia, senza davvero rendersi conto di come si fosse sviluppata la discussione. Lo disse più a se stessa che agli altri, vedendo senza guardare.
    Il rumore di un pugno battuto sul petto fu la prima risposta che ricevette. «Sì, proseguiamo. Occhi aperti, al prossimo evento sospetto attacchiamo noi per primi».

    --------


    Solo quando finalmente giunsero ai piedi del castello Egeria si decise ad alzare lo sguardo. Era enorme. Le sue torri cilindriche e l'immensa facciata si ergevano per decine e decine di metri sopra di loro, gettando un'ombra fosca sull'elegante piastrellato percorso da canali artificiali.
    Il cancello che dava sul belvedere era presidiato da due guardie in armatura.
    Egeria non la notò subito: l'oscurità oltre il cancello sembrava un'ombra gettata da un alto edificio; ma le bastò una seconda occhiata per capire che non fosse possibile. L'ombra si muoveva, spiraleggiava, sfumava di viola rigurgitando i suoi stessi flutti. Era in tutto e per tutto simile alla materia che costituiva i "portali" con i quali si spostavano gli Heartless. Come un piccolo fiume, si estendeva per tutto il giardino e si inoltrava nel castello.

    Se seguirete l'oscurità, troverete tutte le vostre risposte.

    Volse il capo verso i suoi compagni, seria e nervosa in volto. «L'oscurità di cui parlava la lettera?»
    «A quanto pare» replicò subito Khan. Gli occhi stretti esaminavano con attenzione e calma la massa nera.
    «Come facciamo con le guardie?»
    Nessuna parola. Xisil rispose agendo. Pose la mano all'elsa della spada e lentamente si avviò.
    Egeria , dopo un'iniziale esitazione, non vide il motivo di fermarla: forse era lei a farsi troppi problemi; in fondo, fino a quel momento, le persone di Radiant Garden si erano comportate in modo -fin troppo- normale.
    «Soldati?» domandò la spadaccina avvicinandosi.
    Egeria la seguì, curandosi di non alzare gli occhi sulle guardie che sapeva stessero fissando lei e gli altri.
    La risposta giunse rapida e formale. «Sì, signorina?»
    «Siamo qui per chiedere udienza ai rappresentanti del Comitato di Radiant Garden».
    Il silenzio che seguì riempì un interminabile secondo.
    «Prego, entrate: Informeremo immediatamente chi di dovere e organizzeremo un appuntamento».
    Lasciò andare un respiro che solo allora si accorse di aver trattenuto. Una delle due guardie aprì rapidamente il cancello e li guidò all'interno. Egeria seguì in silenzio.

    La stanza in cui si ritrovarono una volta attraversato il giardino era un atrio dalle proporzioni colossali. Il bianco e il rosato che già dominavano facciata e torri si avvicendavano anche qui, tra le colonne e le alte mura, tra gli stupendi motivi floreali del soffitto e le sue arcate a botte.
    La meraviglia, fino a quel momento trattenuta dalla malinconia e dall'ansia, si fece strada sul volto di Egeria: le labbra si dischiusero, la mascella allentò la morsa, il rosso vinaccia delle iridi si illuminò appena.
    I piccoli canali d'acqua, i rampicanti che si intrecciavano crescendo sulle colonne, la luce bianca e piacevole: tutto, in quel luogo, sembrava orchestrato per trasmettere pace e bellezza.
    Ma l'idillio durò non più di un battito di ciglia: quando la guardia parlò, il Castello era già tornato a fungere da sfondo di un incubo surreale.
    «Vi chiedo di attendere qui, vi farò sapere quanto prima quando potrete essere ricevuti».
    Egeria vide la guardia allontanarsi verso la scalinata più vicina, salutando con naturalezza tutti i colleghi che incontrava.
    L'oscurità continuava all'interno del castello, ma il suo percorso non coincideva con il loro. Egeria lo seguì con lo sguardo: il flusso percorreva buona parte dell'atrio, poi svoltava in uno dei corridoi laterali.
    Non potevano seguirla senza dare nell'occhio. Immediatamente tornò a cercare l'intenzione nelle espressioni dei compagni; ma Xisil si era già avviata, camminando con naturalezza verso il corridoio.
    Egeria resistette all'impulso di fermarla: "Sa quello che fa", tentò di rassicurarsi.

    Al contrario tuo.



    Edited by Frenz; - 5/6/2016, 09:58
     
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    "Zöndöö!"
    Il bruciore era diventato irrilevante, il cervello troppo occupato a metabolizzare i danni subiti dal polpaccio; Khan si accartocciò su sé stesso, stringendo la gamba e pensando alle profanità che inanellava con voce roca. Passò mezzo minuto, il dolore era rimasto lo stesso ma ormai era accompagnato da una coperta di torpore che impediva ai brividi che partivano dalla ferita di raggiungere la testa e occupare più di tanto la sua attenzione.
    Si guardò attorno: almeno poteva consolarsi di essere stato l'unico a riportare ferite più o meno gravi, mentre i suoi compagni ne erano usciti praticamente indenni, ed il sollievo mitigò la vergogna di quella figura non esattamente esemplare.
    La mano destra lasciò che il taglio sul polpaccio prendesse aria e si diresse verso la sciarpa, e Khan notò il sangue che ricopriva interamente il palmo; le dita si strinsero con pigra rabbia sulla seta vermiglia: aveva subito ferite ben più gravi in guerra, ma doveva ancora fare l'abitudine di non vederle rimarginarsi in questione di secondi, anche se ormai provava più una blanda e seconda accettazione che non frustrazione vera e propria.
    Si sfilò la sciarpa dal collo, la passò attorno alla zona offesa e strinse il nodo. Il ringhio che uscì dai denti gli confermò quello che aveva auspicato durante la battaglia: camminare si sarebbe rivelato problematico, almeno nell'immediato.
    Cercò di distrarsi dal dolore e dal pensiero di essere diventato una potenziale zavorra riflettendo sulla ritirata dei pochi superstiti: com'erano arrivati- d'improvviso, accompagnati da un miasma violaceo, così se n'erano andati, senza lasciare traccia.
    Come se fosse stato un sogno.
    Azrael non sembrava avere le idee più chiare: "Ho pestato un sacco di roba con un sacco di forme strane, ma sono piuttosto sicuro che quelli non fossero Heartless."
    "Non hanno rilasciato nessun…"cuore" quando li abbiamo uccisi", Egeria diede adito ad uno scambio di battute di natura filologica sullo spirito a cui si sarebbe unito volentieri, in circostanze meno urgenti.
    "No", diede un'ultima stretta alla ferita, in un morsa che fece stridere le estremità nervose in uno scoppio violento, e l'Immortale mandò giù l'ennesima bestemmia in un grugnito, "Non sono Heartless."
    Che fossero creature oscure lo si vedeva lontano un miglio, ma pur sfruttando la capacità di intuirne l'essenza non era riuscito ad identificarle in maniera adeguata. C'era qualcosa che le rendeva indistinguibili dall'ambiente che le circondava, come se fossero trasparenti o fatte d'aria. Erano un tutt'uno con quello spazio.
    'Increspature', gli occhi dorati dell'Immortale puntavano dritto davanti a sé, ma senza concentrarsi su niente in particolare, 'E' come se fossimo immersi in un catino pieno d'acqua e quegli esseri fossero delle increspature.' Bislacco, come paragone, ma era il modo più adeguato per veicolare la sensazone che aveva provato nell'osservarli.
    Preferì tenere quelle speculazioni per sé, per il momento, limitandosi all'essenziale, mentre si rialzava: "Sono una manifestazione dell'oscurità, ma non usano il cuore, spirito o come preferite chiamarlo come catalizzatore. Non saprei dire con esattezza a cosa sono legati, ma su questo sono certo."
    Azrael fu svelto a scherzare sulla questione: "Magari sono legati al profondo sconforto che alcuni provano pensando a quanto la nostra realtà sia assurda" si spostò il mento col pugno, "In tal caso scusate se li sto alimentando".
    Khan accennò un ghigno, lasciandosi trasportare dalla goliardia del momento: "Magari se ci convinciamo che non esistano scompariranno- da tenere a mente nel caso dovessimo incontrarne altri "
    Smorzata un minimo la tensione, l'uomo dai capelli fucsia tornò a domandarsi sulla natura dei loro nemici: "Dubito anche che fossero Nesciens. Non hanno vestiti bizzarri addosso. Da quel che ho visto è una prerogativa".
    Lo guardò di sbieco: "Credo sia la prima volta che sento quel termine. Nesciens."
    "Concordo, non sembrano Nesciens, anche se ne ho conosciuti soltanto in forma umana..." Intervenne Xisil. Vedendo come la donna si trovasse a suo agio con un essere simile, Khan ne derivò che non doveva trattarsi di soggetti pericolosi- o, quantomeno, ostili.
    "Ah, almeno tu sembri conoscerli. Anche se io ne ho visto solo due in tutta la mia vita. Punti extra contando che uno lo vedo allo specchio tutti i giorni, har har har", vuotò finalmente il sacco Azrael, rivelando la propria natura. Khan si limitò ad alzare un sopracciglio: lui stesso non era umano, quindi un'uscita del genere non lo smosse- lo incuriosiva, certo, e ciò che l'altro rispose a Xisil cementò il suo bisogno di saperne di più: "I Nesciens sono creature che nascono dalle emozioni, per dare la risposta semplice".
    Gli occhi dell'Immortale si ridussero a stille dorate rivolte verso il Nesciens, mentre la mente si concentrava sulla definizione appena data e lasciava che il resto della conversazione sfumasse temporaneamente in uno sciabordio poco molesto.
    Creature che nascono dalle emozioni.
    Non per un secondo s'illuse che potesse essere un suo simile. Quando l'aveva controllato sulla navetta, ciò che aveva visto era completamente diverso dalle vibrazioni a cui era abituato percepire da altri Immortali, quindi il pensiero non lo aveva neanche sfiorato, e tuttora era convinto che si trattasse di una semplice coincidenza. Tuttavia, la consapevolezza che esistessero entità di natura non tanto diversa dalla sua lo allarmava in maniera inspiegabile, quasi come se fosse una sorta di dovere morale tenere d'occhio la questione Nesciens ed accertarsi che non avesse niente a che fare con la sua razza.
    Scosse la testa. 'Ti dai troppa pena per questioni che neanche ti riguardano.', d'altronde, quale che fosse stata la natura di Azrael, si era saputo dimostrare in grado di dare il suo contributo in battaglia, più che diffidenza la sua era un'irrazionale ansia 'Hai altro a cui pensare, adesso'
    Fu quello che intuì fosse un nome a riportarlo in mezzo agli altri.
    "... Shinan.", Xisil e Azrael discutevano, e nell'atteggiamento dell'energumeno l'Immortale scorse una punta d'imbarazzo: "Oh, la conosco, sì. Non da molto, sarò onesto, ma è bello poter trovare qualcuno che condivida la tua origine. Una sorta di sorella, si potrebbe anche dire."
    A sentire quella parola, Khan abbassò lo sguardo, mentre un caschetto lungo di capelli rossi sfrecciò a pochi millimetri dal suo braccio; la ragazzina arrivò allo sbocco della gola, lasciò che l'attrito tra piedi e pietra fermasse la sua corsa e sorridente si voltò, l'abito candido che turbinava attorno al busto, creando una margherita attorno alle gambe, per lasciare spazio al nulla non appena l'uomo ebbe sbattuto le palpebre.
    Emise un lungo, profondo sospiro, ripetendosi quello che si era ripetuto per tre anni e che per molti, molti più avrebbe continuato a ripetersi. Aveva fatto delle scelte, e quelle scelte avevano avuto delle conseguenze- crogiolarsi nel rimpianto di ciò che aveva perso ( anche se fosse stato per sempre, e quella prospettiva, per quanto si fosse rassegnato fin dall'inizio, lo lasciava sempre con un groppo in gola troppo duro da mandare giù ) non avrebbe portato a niente.
    'Hai altro a cui pensare, adesso.', di nuovo, dovette riportare la testa sui binari.
    Le narici sbuffarono e il pollice iniziò a massaggiare il mento, poco sotto il labbro inferiore: "Avevo percepito non fossi umano, ma questa è una rivelazione particolare. Pensavo fossi più qualcosa di simile ad un elementale, dalle tue vibrazioni.", passarono pochi secondi, e dal mento il pollice si diresse verso l'orecchio, tenne fermo l'indice e quest'ultimo scattò contro le lamine che pendevano dal lobo: l'immagine di Azrael non era cambiata.
    "No. Non sei come loro, e non solo in termini di forma: almeno per ora sembrate creature di matrice diversa.", incrociò le braccia, si voltò verso l'uscita e chiuse gli occhi, ma prima che potesse fare un passo la voce Egeria li esortò fredda: "Quindi? Proseguiamo?"

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    Sentire il tono fino ad allora generalmente calmo e privo di particolari accenti emotivi della ragazza farsi più perentorio e sbrigativo portò Khan a girarsi di scatto verso di lei: piantata al suolo come un palo, i lembi della veste e le calze laceri, teneva il volto chino e lo sguardo perso davanti a sé, dando l'impressione di non essere davvero lì, di non voler essere lì.
    La malinconia che quell'immagine gli trasmetteva lo colpì come una martellata sul petto- conosceva quell'espressione: sconforto, confusione, paura, rifiuto e frustrazione raccolte in un unico nodo che bloccava il corpo. Nel vederla, lì, ferma, percepiva un forte senso di abbandono.
    Non era pietà né compassione spicciola ciò che sentiva attanagliargli la bocca dello stomaco, ma una genuina affinità: non poteva sapere cosa stesse passando con esattezza, ma sentiva di comprendere quel senso di smarrimento, e ricordando ciò che aveva passato a pochi giorni dal suo esilio, sentiva il bisogno di provare a fare qualcosa per smuoverla da quell'apatia.
    Affondò le dita nelle giunture delle braccia. Fare qualcosa, ma cosa?
    Non aveva nemmeno iniziato a scervellarsi, che Azrael rispose alla sollecitazione: "Sì, proseguiamo. Occhi aperti, al prossimo evento sospetto attacchiamo noi per primi."

    La scena che gli si parò davanti nell'arrivare all'entrata della fortezza, un titano di cemento rosa, aveva un che di grottesco: un flusso di energia oscura, una vena nerastra pulsante di viola e azzurro, serpeggiava lungo il cortile e fin dentro l'entrata del castello, generando volute che sfioravano i volti delle guardie, impassibili, dedite al proprio incarico di vedette.
    'Difensori della sicurezza all'opera, nulla sfugge al loro occhio attento.'
    Si domandò se fosse la propria inclinazione verso le forze occulte a fargli vedere quella bora inquietante e al tempo stesso ipnotica, ma Egeria fugò ogni dubbio: "L'oscurità di cui parlava la lettera?" le parole dello stregone accompagnavano lo sguardo di Khan mentre seguiva le spire d'inchiostro insinuarsi nell'edificio: 'Se seguirete l'oscurità, troverete tutte le vostre risposte'. Letterale, il vecchio.
    "A quanto pare."
    "Come facciamo con le guardie?", la risposta a questa domanda era altrettanto semplice.
    'Noi non avremo bisogno di fare niente'
    Tra tutti e quattro, c'era una persona che sembrava sapere molto sia della città che dei residenti- data l'avversione che dimostrava di avere per l'oscurità, Khan avrebbe scommesso che avesse qualche legame con i piani alti e che fosse in grado di esercitare un minimo di autorità; e quella persona si comportò come previsto: mano ferma sull'elsa della spada, Xisil si avvicinò agli uomini di guardia, richiamando la loro attenzione.
    Le negoziazioni per entrare filarono senza intoppi.
    Lasciò che gli altri tre lo precedessero, chiudendo la fila che varcava l'entrata, e mentre entrava alzò la mano poco sopra la testa e le dita sfiorarono il flusso oscuro: una sensazione di refrigerio solleticò li polpastrelli, e Khan poté sentire parte della tensione nei muscoli sciogliersi per trasformarsi in adrenalina. Le tempie pulsavano veloci, il petto si fece più leggero, un piacevole formicolio stuzzicava lingua, naso, polsi e la ferita alla gamba, che mentre l'uomo manteneva contatto con l'oscurità sembrava essersi estinta del tutto.
    Affondò la mano nella massa nera, ed un rivolo d'acqua fresca iniziò a riempirgli il cranio, dando sollievo alle meningi e cullando la testa con un gorgoglio cristallino; man mano che procedeva, ogni bollicina che scoppiava era un sussurro indistinto, esalato con voce sensuale ed invitante.
    Quando i mormorii presero a confondersi, un altro suono iniziò a percorrere il suo corpo: un ronzio, flebile ma costante e ben discernibile dagli altri rumori.
    Khan lasciò andare la presa.
    "Hai già giocato abbastanza col fuoco e ti sei scottato.", mormorò. Aveva tutto il tempo del mondo. Tutto il tempo del mondo.
    Massaggiandosi una tempia, fece più attenzione all'atrio in cui si ritrovarono: un ampio salone si estendeva davanti a loro, circondandoli con due imponenti colonnati che sostenevano il soffitto, una sequela di volte a botte; alla loro sinistra, un gazebo, in fondo alla stanza, diverse guardie tenevano d'occhio le scale che portavano ai piani superiori dell'edificio.
    La loro prima pista concreta tuttavia ignorava le scale e imboccava lo snodo per uno dei corridoi del pianterreno, scivolando lungo uno dei due canali che incorniciavano il pavimento della stanza.
    'Se seguirete l'oscurità, troverete tutte le vostre risposte.'
    Sapevano dove andare.
    Il militare si congedò dal gruppo chiedendo che aspettassero di essere ricevuti, e s'incamminò per informare il comitato della loro rihiesta d'udienza.
    La mani di Khan scivolarono verso i ganci che assicuravano il fodero di Bekh alla cintura legata alla fascia dell'abito, un click e l'arma e la sua custodia solcarono l'aria, prima che la punta si piantasse sul terreno, sinistra sul pomo, destra sulla sinistra.
    Iniziò a tamburellare sul vetro nero, soppesando le opzioni a loro disposizione, mentre passava lo sguardo sui suoi compagni: di tanto in tanto, Egeria si soffermava ad ammirare l'architettura della sede, mostrando ( finalmente? ) un coinvolgimento emotivo più acceso di quello che fino ad ora aveva dimostrato come suo solito. Quella meraviglia delicata e quasi infantile strappò un sorriso all'Immortale, che però aggrottò le sopracciglia nel pensare allo stato in cui l'aveva vista poco prima.
    'Cosa puoi fare?'
    Chiuse gli occhi e scosse la testa, concentrandosi sulla missione. Aveva tutto il tempo del mondo.
    Durante la loro visita a casa di Merlino, la giovane aveva manipolato il metallo in suo possesso, usandolo per sondare l'interno dell'abitazione dello sregone- forse, se aveva abbastanza energia, poteva utilizzarlo di nuovo allo stesso modo per seguire il flusso d'oscurità senza che nessuno desse nell'occhio.
    Si appuntò di chiederle l'estensione di quell'abilità, poi passò ad Azrael: anche lui studiava la struttura in cui attendevano, ma per qualche motivo il Nesciens sembrava poco interessato all'aspetto artistico degli interni quanto, azzardò Khan, alla composizione dei materiali usati: il suo sguardo era quello di uno studioso al microscopio.
    'Grosso com'è, scommetto che potrebbe lanciarmi dall'altro lato della stanza senza problemi', per qualche frazione di secondo prese seriamente in considerazione l'idea, ma la persuasione arrivò assieme ad una confezione di aghi che gli ricordò, piantandosi nella carne, che non era il caso di aggravare la sua condizione. Forse, però, se l'avesse fatto scivolare come un disco per terra...
    Decise di lasciar perdere e ad Azrael seguì Xisil. Che non c'era.
    La intercettò, intenta a seguire il torrente, e si trattenne dal richiamarla: per quanto avventata, come mossa, poteva tornare utile- se non a capire dove portasse quel corridoio, almeno a distrarre le guardie, nello scenario più infelice.
    'Noi invece aspetteremo, come bravi bambini.'

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    Tutto tornò alla normalità in un battito di ciglia. Silenzio e calma, in un bagno di sole. Cos’erano quelle creature? Perché avevano esitato? La domanda avrebbe meritato più attenzione di quanto loro quattro potessero davvero prestarle, dal momento che di quelle creature non era rimasta traccia alcuna. Si guardò attorno ancora una volta, giusto per sicurezza; il suo occhio saettava indagatore in ogni direzione, scrutando cauta ogni rientranza, ogni ombreggiatura lungo le pareti del canyon. Sospirò, in un misto fra sollievo e rassegnazione, i meccanismi della sua Arandil si mossero tutti nel medesimo istante, e l’arma prese nuovamente le sembianze di una spada. Xisil la ripose nuovamente al suo fianco prima di fare il bilancio dei danni. Fisicamente stava bene, così come i suoi compagni, almeno nel complesso; altrettanto non avrebbe potuto dire dei suoi vestiti. Allargò le braccia guardando seccata le maniche mancanti dalla sua camicia, tessuto intaccato dall’acido che aveva deciso di strappare per prevenire ulteriori danni per contatto prolungato alla pelle, ora segnata qua e là da lievi irritazioni. Si rassegnò all’idea che avrebbe dovuto continuare il suo viaggio in quelle condizioni. Oramai il danno era stato fatto.
    “Ho pestato un sacco di roba con un sacco di forme strane, ma sono piuttosto sicuro che quelli non fossero Heartless”. Xisil si voltò a guardare Azrael e il resto della squadra, chi si fasciava le ferite, chi come lei constatava i danni superficiali, mantenendo un rigoroso silenzio. Quelli non erano Heartless, non era il caso di ribadire quanto già aveva detto: avrebbe lasciato agli altri la possibilità di esporre le loro nozioni, conoscenze dalle quali avrebbe potuto persino imparare qualcosa in più, se non altro carpire qualche informazione in più sui suoi stessi compagni. In disparte, prese una delle sue frecce dalla fascia legata alla gamba cominciò a rifinire i bordi strappati dell’attaccatura della sua camicia senza maniche.

    “Non hanno rilasciato nessun…"cuore" quando li abbiamo uccisi”. Quella di Egeria era un’ottima osservazione; annuì fra sé e sé, disseminando il terreno attorno ai suoi piedi di piccoli coriandoli di tessuto di varie dimensioni. Finito con il lato destro, passò al sinistro.
    “Ma poi perché tutti 'sti cuori che compaiono così? Quella non è la forma di un cuore. Un cuore ha aorte, e ventricoli, e... Comunque sì, quelli non erano Heartless. Probabilmente. E non avevano l'aspetto umanoide dei Nessuno.” Xisil pensò a quanto fosse difficile tagliare un vestito mentre ancora lo si indossa. Teneva la freccia ben salda alla base della punta, mentre con l’altra mano tendeva il tessuto per poterlo tagliare con più facilità. Sbuffava di tanto in tanto, irritata. Il metallo freddo sfiorava spesso la pelle irritata. Non avrebbe fatto una buona impressione con il Comitato, in quelle condizioni. Probabilmente non se ne sarebbero nemmeno accorti, come non avevano notato tutto il resto.
    “In tutte le informazioni che ho potuto raccogliere lo chiamavano così. Il collegamento con il cuore fisico non mi è mai apparso chiaro.”

    Tutte le cose viventi hanno un cuore che nel profondo nasconde oscurità.



    Xisil sobbalzò, succhiando una goccia di sangue dal dito appena punto dalla freccia. Ricordava bene ciò che aveva letto quella notte. Forse rivelarlo agli altri non sarebbe stata una mossa saggia, non ancora. Egeria sembrava fra tutti quella più informata sull’argomento, forse anche lei aveva compiuto delle ricerche per conto suo. Condividere ciò che sapeva con la giovane forse avrebbe potuto giovare a entrambe.
    “Bella domanda. Forse gli Heartless appaiono così, con quelle forme, proprio perché buona parte dei Completi si immagina i cuori con quell'aspetto? Intendo, nel senso inteso dagli Heartless, dunque la fonte della propria anima o qualcosa del genere” Xisil faticava a seguire il discorso di Azrael. Riprese distrattamente il suo grossolano lavoro sartoriale.

    Tre elementi contribuiscono a creare la vita: un cuore, un’anima e un corpo. Ma che cosa accade all’anima e al corpo che rimangono senza cuore?



    “No” sentenziò Khan con un grugnito. Era ancora intento a fasciarsi la gamba ferita. “La loro natura è diversa da quella degli Heartless”. Nonostante tutto sembrava stare bene. “Sono una manifestazione dell'oscurità, ma non usano il cuore, spirito o come preferite chiamarlo come catalizzatore. Non saprei dire con esattezza a cosa sono legati, ma su questo sono certo”. Lo era senza dubbio. Xisil dubitava sempre meno che la sua conoscenza della materia derivasse da un’esperienza diretta. Eppure li stava aiutando…
    “Magari sono legati al profondo sconforto che alcuni provano pensando a quanto la nostra realtà sia assurda” Xisil inarcò le sopracciglia annuendo vigorosamente, lasciando intendere quanto fosse d’accordo con lui. Già…“In tal caso scusate se li sto alimentando”.
    “Magari se ci convinciamo che non esistano scompariranno”. Scherza, vero? “... da tenere a mente nel caso dovessimo incontrarne altri”. La guerriera alzò perplessa lo sguardo dal suo mestiere.
    “Dubito anche che fossero Nesciens. Non hanno vestiti bizzarri addosso. Da quel che ho visto è una prerogativa”. Xisil rimase con la bocca socchiusa, e gli occhi fissi sull’enorme uomo dai capelli rosa. Questo sì che era interessante, un altro Nesciens, un altro come Shinan. Questo spiegava anche il motivo per cui, durante la visita alla casa di Merlino, Azrael accennato all’idea di cominciare a esistere . Shinan le aveva spiegato molto sulla natura degli esseri come lei. D’un tratto, l’espressione sul volto di Xisil si fece più leggera.
    "Concordo, non sembrano Nesciens, anche se ne ho conosciuti soltanto in forma umana..." Egeria e Khan erano perplessi, evidentemente non ne avevano mai sentito parlare. Azrael, di contro, sembrava positivamente sorpreso.
    “Ah, almeno tu sembri conoscerli. Anche se io ne ho visto solo due in tutta la mia vita. Punti extra contando che uno lo vedo allo specchio tutti i giorni, har har har”.
    “Oltre a te, in effetti, ne conosco solamente una” Un caso? Sarebbe stato davvero il colmo. Allora Azrael spiegò agli altri la natura di quelli come lui, esattamente come Shinan aveva fatto con lei. L’espressione sul volto dei compagni di viaggio mutò di poco: non era certo una cosa facile da comprendere al primo istante. Xisil sperava davvero che l’uomo non avesse intenzione di dar loro una prova più chiara di quanto diceva, come Shinan aveva fatto per far sì che la guerriera potesse toccare con mano la realtà della sua essenza intrinseca. Un solo viaggio come quello era stato più che sufficiente. Eppure Xisil si domandava quale sentimento avesse generato il Nesciens che aveva di fronte, qualcosa di ben diverso da ciò che la bambina le aveva mostrato, senza dubbio. Forse domandarlo ad Azrael sarebbe stato poco delicato da parte sua.
    “Ah, che altro Nesciens conosci?”
    Il suo sorriso si fece involontariamente più dolce. “Si chiama Shinan”
    “Oh, la conosco, sì. Non da molto, sarò onesto, ma è bello poter trovare qualcuno che condivida la tua origine. Una sorta di sorella, si potrebbe anche dire”.
    Un silenzio inspiegabile cadde su di loro. Xisil percepì un cambiamento, senza davvero comprenderne il perché.
    "Avevo percepito non fossi umano, ma questa è una rivelazione particolare. Pensavo fossi più qualcosa di simile ad un elementale, dalle tue vibrazioni.", Khan giocherellò con le dita fra i capelli neri, e dopo qualche secondo parlò di nuovo, come se dopo una breve riflessione avesse raggiunto una conclusione tutta sua. "No. Non sei come loro, e non solo in termini di forma: almeno per ora sembrate creature di matrice diversa." Xisil cercò di celare la sua curiosità: cosa poteva scorgere, lui, che lei ed Egeria non erano in grado di percepire? Si ricordò di avere ancora fra le mani la freccia con cui aveva tagliato la camicia, e la ripose pensosa.
    "Quindi? Proseguiamo?” Egeria sembrava distante, mossa da un disagio malcelato dalla fretta.
    “Sì, proseguiamo. Occhi aperti, al prossimo evento sospetto attacchiamo noi per primi”.
    “Come d’altronde abbiamo già fatto…” mugugnò con una punta di rimprovero e disappunto. Fortunatamente, il suo commento passò inosservato: tutti sembravano assorti in pensieri ben più gravosi.

    Il castello visto di giorno aveva tutto un altro aspetto. Qualunque cosa, alla luce del giorno, appare in una veste del tutto diversa. Xisil rimase sorpresa dalle morbide sfumature di quelle torri immense, colori e dettagli che quella notte lontana aveva inghiottito, e ora che la luce del sole li aveva restituiti ai suoi occhi, quella fortezza poteva presentarsi in tutto il suo splendore. Unico elemento dissonante era l’oscurità, nere propaggini che come tentacoli scivolavano fuori dal cancello d’ingresso, indisturbate. L’espressione della guerriera si fece più dura, mentre per un riflesso incondizionato portava la mano destra all’elsa della spada. Giusto per precauzione.

    “L'oscurità di cui parlava la lettera?
    “A quanto pare”
    “Come facciamo con le guardie?”
    Già, le guardie. Talmente immobili e indifferenti a quanto stava accadendo fra le mura del loro castello da sembrare delle statue. Xisil non dovette riflettere a lungo per decidersi a fare ciò che per lei era più naturale: si mosse d’istinto, camminando a testa alta con passo deciso verso la scalinata d’ingresso, la mano sinistra stretta attorno all’elsa della sua spada, al suo fianco. Si mosse e parlò con estrema naturalezza, il tono della sua voce era calmo e formale al tempo stesso. Alcune abitudini sono dure a morire.
    “Soldati?” li appellò come avrebbe fatto tempo addietro con i suoi uomini, guardando i due dal fondo di quella scalinata con lo sguardo fisso e deciso di chi si fa avanti per essere ascoltato. La loro risposta fu un colpo più duro di quanto l’apparenza avrebbe potuto lasciar trasparire.
    “Sì, signorina?” Signorina, non avevano tutti i torti. Lei non era più un soldato, e anche se lo fosse stato, il suo grado non le avrebbe concesso alcuna autorità da quelle parti. Lanciò un’occhiata al resto della squadra: Khan le fece segno di continuare, Egeria, restìa ad alzare lo sguardo sui soldati, appariva ben più perplessa degli altri, ma non si oppose. Tanto valeva che parlasse lei per tutti; solo, d’ora in avanti, avrebbe fatto bene a tenere a mente quale fosse il suo posto.
    “Siamo qui per chiedere udienza ai rappresentanti del Comitato di Radiant Garden”.
    Trascorse un lungo attimo di silenzio. Sarebbe bastato così poco per entrare?
    “Prego, entrate: Informeremo immediatamente chi di dovere e organizzeremo un appuntamento”.
    Evidentemente sì, cosa che tuttavia non doveva essere per forza un buon segno per loro.

    I suoi muscoli rigidi si rilassarono un poco alla volta, il brivido che aveva attraversato la sua schiena scivolò via e riprese a respirare regolarmente: per un riflesso irrazionale del suo corpo aveva trattenuto il fiato nell’incedere attraverso l’ingresso. Riversò il capo all’indietro per ammirare, ferma in mezzo al passaggio, le volte del soffitto finemente decorate con affreschi floreali, cullata dal debole suono di piccole cascate d’acqua. L’ampio atrio che si aprì davanti ai suoi occhi la invogliò a prendere una lunga boccata d’aria, quasi questa potesse essere più fresca lì dentro che all’esterno dell’edificio. Rimase per pochi istanti a bocca aperta, ammirando la natura racchiusa in quella sorta di giardino d’inverno.
    “Vi chiedo di attendere qui, vi farò sapere quanto prima quando potrete essere ricevuti”
    Xisil sperava in cuor suo che quella deviazione avrebbe condotto a dei risultati concreti, ma ancora una volta la situazione non sembrava promettente: scorse per un istante il flusso di oscurità, lo stesso che li aveva accolti al loro arrivo, scivolare placido attraverso uno dei tanti corridoi. Nessuno, ancora una volta, fece intendere di aver notato alcunché. Percorse con lo sguardo l’intero salone con apparente noncuranza, prendendo nota invece della posizione delle guardie. Sarebbe stato difficile per lei introdursi nel corridoio senza essere vista, per non parlare del resto della squadra. Creare un diversivo non avrebbe aiutato: l’assenza di uno di loro non sarebbe passata a lungo inosservata, e qualora si fossero mossi tutti insieme sarebbero stati di certo inseguiti dai soldati. Xisil, tuttavia, voleva capire dove quel corridoio avrebbe potuto condurli, o meglio, dove l’oscurità avesse intenzione di attirarli. Una trappola, senza dubbio, e proprio per questo sarebbe stato avventato procedere da sola. Si avvicinò lentamente al corridoio, come se non avesse altro movente al di fuori della semplice, innocente curiosità: avrebbe testato le reazioni delle guardie, tanto quanto la loro reattività.



     
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  4. misterious detective
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    Il Radiant Bastion era abituato a ricevere visitatori di ogni sorta. Glorioso baluardo della luce, ospitava quotidianamente dal più debole dei civili al più esperto mercenario: non sempre era facile distinguere l'amico dal nemico, ma proprio in un momento di crisi come quello che i mondi stavano vivendo non era contemplabile guardare con sfiducia al possibile aiuto che poteva arrivare anche dalla più improbabile delle persone. Se qualcosa fosse andato storto, poi, non vi era solo un esercito volontario di soldati, ma persino un potente gruppo di Custodi pronti a difendere la sacralità rappresentata dalla sede del Comitato, assieme a tutte le risorse che esso custodiva ben lontano dagli occhi degli ospiti, oltre i dedali di corridoi e piani che costituivano il castello.
    Proprio per tale ragione, la guardia che aveva accolto il gruppo nell'enorme atrio non aveva provato alcun timore nel lasciarli ad attendere sotto gli occhi vigili degli altri suoi compagni, mentre si premurava di contattare i seggi del comitato quanto prima. Le buone intenzioni di quell'uomo, tuttavia, i quattro le condividevano solo in parte: non c'era ragione di credere che i Custodi avessero visto nulla di diverso dal resto del popolo, non quando nessuno pareva essersi mosso per risolvere l'enigma a parte loro e, allo stesso modo, non vi era alcuna garanzia che avrebbero creduto ad una sola parola delle loro bizzarre avventure.
    Approfittando dell'occasione, Xisil fu la prima a muoversi; gli altri, si attardarono guardinghi lì dov'erano, più restii a prendere quella rischiosa iniziativa, sebbene gli stessi pensieri e preoccupazioni animassero le loro menti.
    Nessuno parve volersi muovere per fermarli: la donna lontana dietro alla sua scrivania aveva preso a sbadigliare assonnata, mentre scorreva le sue carte con mano lenta e pesante, lo sguardo abbassato sul suo lavoro e non un'oncia di attenzione per i visitatori; le guardie a protezione degli altri piani, invece, si erano voltati verso il gruppo, battendo le palpebre lentamente parevano pienamente impegnati nel cercare di mettere a fuoco le loro sagome, stringevano gli occhi confusi, come se riuscissero a vederli a malapena. Le persone che fino a pochi istanti prima si muovevano con tranquillità da un corridoio all'altro, rapite nel loro da farsi, avevano lentamente smesso di affollare il salone e i pochi che ancora si attardavano nelle vicinanze si allontanavano con passo lento, quasi trascinato.
    Un tenue, quasi impercettibile odore dolciastro accarezzò l'atrio del castello, l'aria si tinse di un tenue rosa. Dal pavimento, con un sottile sibilo, spire di fumo presero a salire placide e bonarie, lente come se il tempo stesso si fosse dilatato. I corridoi, le scalinate, le guardie lontane, ogni sagoma si fece indistinta, abbracciata dai fumi che ne celavano le forme, solo i quattro non parevano essere sfiorati da quell'incanto: le spire variopinte li evitavano, si piegavano di fronte a loro come respinte da qualche forza invisibile. Fu in quel momento, nel mezzo della confusione e dell'incertezza, che una voce sottile e affaticata, severa come la roccia, risuonò chiedendo al mondo stesso il silenzio che le spettava.




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    Mosse un passo greve attraverso la coltre, poi un altro e un altro ancora; il fumo si diradò per lasciarla passare. La donna avanzò lentamente, trascinando quasi i suoi passi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il capo appena chino: il cappuccio del lungo soprabito scuro gettava una pesante ombra sul suo volto. Si strinse appena tra le spalle, mistificando ancora di più la sua figura per scomparire come un'ombra e diventare un fantasma, una voce senza corpo.
    Infine si fermò, in piedi nel mezzo del corridoio, il flusso di oscurità che le scivola accanto e proseguiva dietro di lei. Tendendo il cappuccio in avanti, alzò appena gli occhi: cercò le guardie lungo la scalinata, scandì tutti gli spettatori involontari: tutti riposavano, gli occhi chiusi e il respiro pesante, in piedi dove si trovavano, in perfetto equilibrio come se statue colte nel battere le ciglia. Non ci sarebbero state interruzioni, così come doveva essere. L'unico suo timore, che le faceva stringere e rilassare le dita della mano nascosta dalla larga manica e dal guanto nero, era che quell'occasione che le era stata concessa si rivelasse infruttuosa. Purtroppo, se aveva davvero capito con che tipo di persone aveva a che fare, il rischio era più che reale; quella verità riusciva quasi ad infastidirla.
    -Non è male, vero?- insistette, con un misurato gesto della mano, quasi le pesasse muoversi. -Nemmeno un segno della guerra, tutte le persone felici... non vorrete rovinare tutto questo, spero.-
    Passò lo sguardo sui quattro guerrieri. Fissò stranita l'uomo muscoloso, immobile in una strana posa dietro agli altri, scosse appena la testa rendendosi conto di non riuscire a capire chi o cosa egli fosse. Studiò la ragazza accanto a lui, sprofondò nel fuoco gelido dei suoi occhi e quasi provò nostalgia nell'accorgersi di quanto le apparissero familiari. Spiò anche l'uomo alto dalla carnagione scura, indugiando sull'oro delle sue iridi ed infine osservò anche Xisil per un lungo istante.
    La donna sbuffò prima ancora di ascoltare le risposte degli astanti. L'aveva già conosciuta, dopotutto. -Tornate indietro da dove siete venuti, per favore: le risposte che cercate non sono qui. Se continuate su questa strada, otterrete solo di rovinare questa pace.-
    Si fermò per un istante, strinse entrambi i pugni. Inspirò a pieni polmoni, sollevò il capo verso la cupola sopra di loro ed espirò lentamente. Il suo corpo era immobile, il pollice della mano destra sfiorava il medio. Lo sguardo era di nuovo su di loro, la testa alta: l'ombra del suo abito non poteva più nascondere il ghiaccio affilato delle sue iridi celesti.
    -E il mio compito è impedirvelo.-





    Non abituatevici: questa è la prima, ultima ed unica volta che mi vedrete postare immagini o tentare roba figa. Mi serviva un modo per dividere per bene il PoV esterno da quello interno e ho fatto fondo alle mie incredibili abilità grafiche per questo irripetibile lavoro.
    Mi spiace che il post sia così corto, avrei voluto fare qualcosa di molto migliore ma, avendo voluto interrompervi prima per lasciarvi la sorpresa, non ero in grado di scrivere più di tanto adesso, senza avere le vostre risposte e senza scoprirmi più del dovuto. Vi lascio la palla, allora, divertitevi :asd:
     
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    IL QUARTO REGNO

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    Dapprima fu il dolce odore, come di polline cullato dalle correnti. Egeria non gli dette peso: pensò provenisse dai fiori, quei tanti e colorati fiori che abbellivano mura e corridoi come variopinti mosaici. Ma poi fu anche il fumo; rosa, docile ed etereo. Sgorgava tutto intorno a lei come se decine d’incensieri sommersi, tutt’a un tratto, si fossero accessi per dare il via a una cerimonia senza altare.
    Il fumo avvolse presto ogni cosa e la stessa, precaria vita degli abitanti del castello sembrò rallentare e poi frenarsi, obliata dai dolci flutti che spiraleggiavano loro intorno come drappi di seta, sipario su un burattino senza più scopo.
    Dapprima, Egeria tentò di allontanarsi. Ritrasse la mano, serrò la mascella, fece guizzare gli occhi tutto intorno in cerca di una via di fuga: ma il fumo, che aveva in un attimo inghiottito tutto il resto, non sembrava intenzionato a ghermire lei e il resto dei mercenari. Attendeva, ai confini di un’area immaginaria oltre la quale vita e tempo erano congelati.
    Un rintoccare di suole precedette ogni congettura. Passi, passi nella nebbia. Una figura, prima silhouette ma gradualmente più definita. Il fumo sembrava aprirsi solo per lei, al ritmo regolare del suo incedere stanco.
    Egeria sentì il Kervion vibrare nervosamente nel suo zaino, segnale inequivocabile della sua paura. Non sapeva cosa aspettarsi. Quella magia era stata in grado di nullificare all’istante quella fittizia realtà che si ostinava a pensare come Radiant Garden; chiunque fosse la figura nella nebbia, poteva essere il responsabile di tutto ciò che stava accadendo: al pianeta e a loro.
    L’indefinito si concretizzò in un nero, lungo cappotto. La figura al di sotto, forse femminile, era esile e appena ingobbita.
    Il Kervion sgusciò fuori dalla tasca, liquido e poi solido.
    La figura parlò.


    «Come vi sembra Radiant Garden?»

    Una voce esile, eppure totalizzante nel silenzio abissale nel quale era piombato il salone.
    Era inequivocabilmente femminile, severa eppure pallida e atona, non troppo dissimile,
    pensò Egeria in un inspiegabile istante di empatia, dalla sua.


    «Non è male, vero?» incalzò la donna, anticipando ogni reazione verbale e fisica. «Nemmeno un segno della guerra, tutte le persone felici... non vorrete rovinare tutto questo, spero».
    Solo allora la stasi dei pensieri di Egeria si incrinò, solo allora le sue espressioni ripresero cauta vita: incrinarsi dubbioso di sopracciglia, serrarsi di labbra, assottigliarsi di palpebre. Ripeteva mentalmente i concetti appena uditi, incapace di assimilarli davvero. La donna in nero sembrava volerli accusare, improbabile avvocato di un’improbabile causa; accusarli di voler rovinare uno status quo che, forse, lei stessa aveva contribuito a istituire.
    Egeria deglutì. La donna aveva posato lo sguardo su di lei: uno sguardo vuoto, azzurro, di una malinconia che traspariva appena tra le ombre che il cappuccio ancora gettava sui suoi lineamenti. Egeria lo sostenne per un istante che le parve un’eternità.
    «Tornate indietro da dove siete venuti, per favore: le risposte che cercate non sono qui. Se continuate su questa strada, otterrete solo di rovinare questa pace». Altre accuse. Altre domande. Nessuna vera risposta. «E il mio compito è impedirvelo». Infine, minacce.
    Secchi clangori metallici attirarono la sua attenzione: Xisil aveva estratto un’arma. Un arco, determinò dopo un istante di indecisione misto a inespressivo panico. Lo stava puntando contro la donna in nero, l’espressione contratta da un rancore del quale Egeria non la credeva capace.
    “Aspetta!” avrebbe voluto gridare. Ma non lo fece.
    «L'Organizzazione!» La voce di Xisil uscì urgente e allarmata. Conosceva davvero quella donna, dunque. Ma quel nome, quel gruppo al quale l’aveva associata, non le suggeriva nulla.
    «Uno scenario da favola» intervenne Khan, più pacato.
    Egeria lo guardò inespressiva, trattenendo il fiato, in attesa. «O forse sarebbe più accurato dire da sogno?»
    Lo vide avanzare, il sorriso sicuro che rigava il volto affilato, la mano noncurante che accarezzava i capelli neri. Aveva deciso di mettere da parte le incombenze emotive: paura, confusione, rabbia. Aveva deciso di giocare al gioco della giovane dagli occhi di ghiaccio: di rispondere ad accuse che, forse, neanche lui comprendeva appieno.
    Egeria non sapeva se ammirare o compatire quella follia potenzialmente razionale.
    «A meno che tu non possa darci le risposte di cui parli o indicarci un luogo in cui trovarle, tornare indietro non è tra le opzioni».
    Come a voler sostenere anche somaticamente quell'assalto sardonico, Azrael alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia. «Non so quali siano le tue intenzioni, non ho idea del perché tu voglia essere così teatrale, e non sono sicuro esista una divinità capace di spiegarmi il perché della tua supposizione».
    Egeria tormentò nervosamente i lembi delle calze, lo sguardo asettico fisso sulle espressioni ironiche e sfacciate del "Nesciens". Dopo tutto quello che aveva passato, ancora non riusciva a concepire l'esistenza o anche la sola plausibilità di una simile impostazione mentale.
    Riformulò il pensiero precedente: folli. Erano entrambi folli. Distolse lo sguardo e serrò la mascella.
    «Noi non vogliamo essere qui. Non ci piace la situazione, e mi dispiace se devo essere così schietto, ma neanche tu mi piaci granché. Certo, se fossi un po' più amichevole e spiegassi meglio cosa succede, potrei offrirti da bere, o qualcosa del genere.».
    "Potrei offrirti da bere", ripeté Egeria tra sé, le unghie che affondavano nei palmi, ai limiti della disperazione. Credeva davvero che fosse un gioco? Credeva davvero che potessero permettersi il lusso di fare dell'ironia, di perdere tempo in quel modo, con il destino di un intero mondo che, potenzialmente, gravava sulle loro spalle?
    Egeria rivolse la sua attenzione a Xisil, che non aveva ancora abbassato l'arco. Provò, per quanto le fosse possibile, a richiederle silenziosamente delle spiegazioni. "Cos'è quest'Organizzazione?", cercò di simulare con il solo movimento di occhi e sopracciglia.
    L'altra sembrò intuire al volo: il corrugarsi della fronte e il lento scuotere del capo le confermarono che no: quella donna non era da prendere alla leggera.
    Egeria deglutì ancora.

    La discussione che seguì fu come un incubo ad occhi aperti. Una discussione lunga, alla quale presto si unì anche Xisil, costellata di informazioni preziose ma vaghe, di scambi di battute che portavano sempre allo stesso risultato: la donna che ribadiva la sua irremovibilità.
    A stento Egeria aveva registrato ed elaborato le informazioni fondamentali: il fatto che la donna avesse definito quella situazione come qualcosa di "molto più grande di loro"; il fatto che, anche se avesse voluto, non sarebbe stata in grado di aiutarli; il fatto che avesse qualcuno, più avanti nel castello, che le aveva espressamente chiesto di proteggerlo, e che fosse disposta a combatterli, pur di adempire a questo compito.
    Azrael, Khan e Xisil avevano provato ad assecondare con alterne fortune quei discorsi ciclici; Egeria era sempre rimasta in silenzio, valutando implicazioni e rimpiangendo il tempo che, inseorabilmente, scorreva nonostante la stasi dei fumi.
    Poteva capire. Poteva capire la necessità di chiedere spiegazioni e, con il passare dei minuti, era persino riuscita a giustificare a se stessa l'approccio ai suoi occhi ridicolo e controproducente di Azrael. Poteva capire i tentativi di diplomazia: lei stessa non voleva fare del male a quella donna, colpevole o non colpevole che fosse.
    Ma non poteva capire, né tollerare, di essere presa in giro. Quelle informazioni, pur dettagliate e importanti che suonassero, non significavano niente. Non quando l'unica conclusione logica alla quale puntavano era "non potete passare di qua; se lo farete, sarò costretta ad attaccarvi". Potevano essere tutte, ben orchestrate e zuccherate bugie, e loro se ne stavano lì, fermi a discuterne più o meno amabilmente.
    Non poteva accettarlo. Non poteva permetterselo. Non l'avrebbe permesso.

    «Se seguirete l'oscurità, troverete tutte le risposte»
    Egi3_1

    Citò la lettera meccanicamente, la voce tinta da un'asprezza a lei stessa sconosciuta. «È l'unica pista che abbiamo. Una pista che ci ha condotto dall'unica persona che sembra essere consapevole quanto noi della situazione». Sospirò, la voce che, nonostante tutto, cominciava a tremare. «Se davvero sei una vittima anche tu, come hai sostenuto», si fermò per raccogliere la forza di affrontare ancora gli occhi oltre il cappuccio, «facci passare».
    Sapeva già la risposta. Eppure voleva sentirsela dire. Voleva ricevere lei stessa quel medesimo, ormai nauseante e illogico rifiuto.
    «Conosci già la mia risposta, ragazza».
    Espirò e chiuse gli occhi, soffocando tra le labbra un malinconico, forse esasperato "già". Non c'era più motivo di esitare. Non per lei. Se la donna aveva davvero detto la verità, l'avrebbe visto coi suoi occhi. Avrebbe visto il suo protetto, e sarebbe passata oltre. Avrebbe trovato le prove che non fosse coinvolta in quella vicenda, e si sarebbe scusata. Ma l'avrebbe deciso lei. Lei e chiunque l'avesse seguita.
    Un sussurro alla sua sinistra le fece voltare il capo. «Non mi fido», aveva sussurrato Xisil. Egeria ne fu rincuorata: forse, almeno lei sarebbe stata disposta a seguirla. Scosse il capo, come a confermarle che no: nemmeno lei si fidava. E che no: non aveva intenzione di farsi intimorire.
    Attimi di silenzio, totalizzati dal pulsare del suo battito sempre più veloce, sempre più teso. Quando parlò, le sembrò quasi di ascoltare un'estranea. «Parole e tempo sprecati». Sentenziò, bassa in tono e intensità, le gambe che, di nuovo non sue, avanzavano nell'atrio privato del tempo. Il Kervion, fino a un istante prima pulsante e vivo, si era quietato: Egeria gli comandò di tornare nel suo zaino: non aveva intenzione di attaccare la donna, e voleva che lo capisse. «Non sei né la padrona di questo castello, né delle mie azioni». Non si fermò. Non aveva intenzione di fermarsi. Il battito accelerava, gli occhi rimanevano vacui e tristi, appena macchiati dal risentimento e la tiepida rabbia di poco prima. Non si fermò. «Attaccami, se devi. Io non mi fermerò davanti a parole vuote».
    Una voca familiare la soccorse dalle retrovie. «Hai sentito la signorina». Khan aveva sfoderato la spada.
    Egeria decise di non fermarlo. Non c'era motivo: probabilmente, era strato più saggio di lei. La testardaggine della donna difficilmente si sarebbe fermata di fronte a un atto di non belligeranza. Forse ne avrebbe persino approfittato, e lei sarebbe morta da stupida.
    Si tormentò i palmi con le dita, tentando di sfogare una tensione che non poteva, non doveva mostrare il suo viso.
    Non si fermò.

     
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    Schwarz

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    Soldati dell'Oscurità
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    A poco a poco, l'aria si riempì di una fragranza che solleticava le narici- dapprima tenue e dolce, come poteva essere il profumo dei fiori che costellavano il salone, poi si fece più ricca e intensa, fin quando il setto nasale dell'immortale non iniziò a bruciare di quello che sembrava un misto di olio e incenso. Khan strofinò con forza i vestiboli tra indice e pollice diverse volte, invano, e solo quando ebbe starnutito quell'odore sembrò dargli tregua.
    Quando riaprì gli occhi, però, sentì qualcosa pungergli gli occhi, appannandogli la vista ed impedendogli di mettere bene a fuoco l'ambiente circostante. Un velo rosa, una patina traslucida pulsava e offuscava, pur lievemente, i contorni di tutto ciò che non si trovasse ad un metro o poco più di distanza. Si stropicciò gli occhi, ma niente.
    Gli ci volle un secondo per capire.
    La nebbia che si era infiltrata nella stanza, annunciata da quegli effluvi invitanti, aveva iniziato a condensarsi, formandosi, disfacendosi e riformandosi in sbuffi rosei e perlati, che come drappi orlavano scale, muri, colonne e pavimenti, avvolgendo tutto e tutti- o quasi: per quanto provasse, il serpente di nubi non sembrava in grado di raggiungerli, ma stringeva le proprie spire attorno ad una cupola d'aria.
    Fissate per qualche istante le striature di fumo che si susseguivano sopra le loro teste, si guardò attorno, cercando di discernere le figure celate dalla coltre che li circondava: uno dopo l'altro, i presenti erano scivolati in un sonno improvviso: guardie e segretaria sonnecchiavano beatamente, immobili così come li avevano trovati, il dondolio ritmico delle teste l'unica differenza.
    Uno era scappato e li aveva mollati lì, in mezzo a quell'irritante sortilegio, e quegli altri poveri bastardi dormivano della grossa. Eroi senza paragoni.
    "Buon riposo", mormorò a denti stretti, ma l'irritazione e la confusione vennero immediatamente bruciate da una scarica di adrenalina, dopamina e serotonina, una scossa elettrica che lo colpì alla base del collo e squarciò come un fulmine i nembi d'incertezza che avevano gravato sulla sua mente fino a quel momento.
    I pezzi cominciavano a combaciare.
    'Stanno dormendo.', si portò una mano alla bocca, 'Ecco perché ci siamo ritrovato qui d'improvviso, ecco perché Radiant Garden sembra immutata, ecco perché gli abitanti non si ricordano dell'incidente, ecco il perché di quelle creature...' eteree, bizzarre e fugaci, rispecchiavano perfettamente la natura del guaio in cui si erano invischiati.
    Avevano capito fin da subito che qualcosa non quadrava, come potevano non aver fatto un collegamento così semplice? Le unghie affondarono nella carne, pollice e indice che premevano sugli zigomi con forza, 'E' davvero così semplice?
    Non ebbe il tempo di riflettere oltre.
    "Come vi sembra Radiant Garden?" il benvenuto che venne rivolto loro era flebile e delicato, simile più all'eco di un sussurro che non ad una voce vera e propria. Fosse stato solo per il tono piatto e monotono, avrebbe fatto fatica a capire che gli era stata rivolta una domanda.
    C'era qualcosa, in quella voce, che faceva rizzare i peli del collo dell'immortale: ogni parola dettata dal tamburo dell'orecchio veniva accompagnata da un lampo, un ricordo, un'immagine. Un volto come il suo, eppure diverso. Due braccia, due gambe. Immobili. Un corpo rigido, freddo, una sensazione di appartenenza e di estraniazione come mai aveva provato, le prime volte che aveva tolto la vita a qualcuno.
    Vedere il corpo di una persona come lui contorcersi in preda agli ultimi spasmi per poi fermarsi del tutto era stato come ricevere un pugno in pieno stomaco, sentire le budella torcersi fino alla lacerazione e sentire dita fredde prendere il cuore e stringerlo e tenerlo fermo, soffocandolo.
    Stolto bambino. Questo è ciò a cui aspiravi nei tuoi versi. Vedi? Vorresti mai porre gli occhi su distese di questo, reggente?
    Non ci faceva più caso da quasi due decenni, ormai.
    Ma quell'appello risvegliò in lui quella sensazione, irrazionale e insensata, per qualcuno che si era letteralmente risvegliato dal trauma di colpi fatali, di completa alienazione.
    Era la voce di un morto.
    Mascherò la nausa febbrile che lo colse socchiudendo gli occhi e contraendo i muscoli del viso, destra stretta sul fodero della spada e sinistra salda sull'elsa, mentre osservava la proprietaria della voce farsi strada in mezzo al fumo: intuì le forme di una donna sotto il cappotto nero che indossava, il volto oscurato dal cappuccio.
    Arrancava con passi misurati, come se fosse ella stessa vittima del gas che le le vorticava attorno, incapace di mantenere la schiena dritta e di muoversi liberamente in mezzo a quel mare d'oppio.
    Si fermò. Si guardò attorno, quasi a misurare quello che Khan suppose potesse essere il suo operato. Dai membri inermi del comitato lo sguardo della figura incappucciata passò a loro, soppesandoli per qualche minuto di gelido, teso silenzio.
    Fu ella stessa a romperlo, indicando la scena che si presentava dinanzi a loro: "Non è male, vero?", chiese, "Nemmeno un segno della guerra, tutte le persone felici... non vorrete rovinare tutto questo, spero."
    Le cialtronerie appena rantolate dalla donna confermarono quanto il gruppo era riuscito a mettere insieme fino ad allora: Radiant Garden era stata intrappolata in un'illusione, immersa in una coltre di sonno. E loro erano caduti in mezzo a quella coltre.
    Aggrottò le sopracciglia. Come avevano fatto a far sparire il pianeta agli occhi degli altri? Dove si trovavano, di preciso? Quindi anche loro stavano dormendo? O erano svegli?
    Un brivido lo colse, mentre la donna interrompeva quel flusso di domande con un ordine: "Tornate indietro da dove siete venuti, per favore: le risposte che cercate non sono qui. Se continuate su questa strada, otterrete solo di rovinare questa pace." Da sotto l'orlo della veste balenarono due iridi di un celeste limpido, più vicino al colore dell'acciaio che non a quello del cielo- a rendere pericoloso quello sguardo era non il cipiglio ostile o un qualche riflesso di aggressività, bensì la totale assenza di essi. Era uno sguardo vuoto, che non esprimeva niente.
    Ma il disagio e l'orrore di Khan lasciarono momentaneamente posto al fastidio.
    'Io ti rovino la faccia, se continui con queste stronzate.'
    Si sarebbe lanciato in un arringa sull'inevitabilità dei conflitti, sulla natura caotica dell'esistenza, su come misure drastiche del genere fossero risibili tentativi di soluzione congeniali ai polli e va discorrendo, ma l'abbigliamento di quella creatura gli aveva già suggerito come sarebbe stato uno spreco di tempo e parole.
    Xisil fugò ogni dubbio: "L'Organizzazione!" La giovane aveva avuto la scaltrezza di tenere sotto tiro la sagoma in nero, freccia incoccata.
    A sentire quel nome Khan ringhiò un gemito: non gli piacevano i Nessuno. Il concetto stesso di un essere vivente privo di qualsivoglia emozione lo turbava e perplimeva- a che pro vivere, se non ci si poteva sentire vivi?
    In altre circostanze avrebbe cercato di dissuadere Xisil dal rischiare di allarmare l'obbiettivo, ma la presenza di quel guscio vuoto era abbastanza disturbante da fargli desiderare che si levasse di mezzo, in un modo o nell'altro.
    'Sembra in vena di parlare...', legò Bekh alla cintura, si guardò un'ultima volta intorno, poi s'incamminò verso la silhouette, trascinando con attenzione la gamba fasciata, "Uno scenario da favola", commentò atono, passandosi una mano tra i capelli, gli occhi soccchiusi, i polpastrelli che massaggiavano la cute; si fermò un attimo, e gli angoli delle labbra si piegaono in una curva sardoinca, "O forse sarebbe più accurato dire da sogno?"
    Lasciò andare la chioma color inchiostro e questa divenne una matassa ancor più scompiglata di prima, mentre ancora una volta tintinnavano gli orecchini di vetro. La smorfia di scherno si deformò in una di disappunto: l'allarme di Xisil era fondato.
    Incrociò le braccia, cercando di non lasciar trapelare oltre il proprio disagio: "A meno che tu non possa darci le risposte di cui parli o indicarci un luogo in cui trovarle, tornare indietro non è tra le opzioni." Non si aspettava di risolvere granché, ma gettarsi a capofitto in uno scontro contro un'entità che sembrava legata a quell'incidente senza prima provare ad ottenere qualche informazione era un azzardo peggiore.
    'Hai tre possibilità. Sputa il rospo.'
    Azrael sembrava essere irritato tanto quanto lui dalla nuova arrivata: "Non so quali siano le tue intenzioni, non ho idea del perché tu voglia essere così teatrale, e non sono sicuro esista una divinità capace di spiegarmi il perché della tua supposizione". Le dità smaltate di fucsia tamburellavano impazienti sui bicipiti, "Noi non vogliamo essere qui. Non ci piace la situazione, e mi dispiace se devo essere così schietto, ma neanche tu mi piaci granché. Certo, se fossi un po' più amichevole e spiegassi meglio cosa succede, potrei offrirti da bere, o qualcosa del genere."
    Il sarcasmo del Nesciens venne completamente ignorato dalla donna, che si lanciò in un pesante sospiro: "Non prendiamoci in giro..." Li indicò "Degli estranei non possono certo finire qua per puro caso e sappiamo sia io che voi che non siete i primi. Vi siete messi a ficcare il naso in una faccenda molto, molto più grande di voi, e direi che abbiate ottenuto quello che volevate."
    Khan alzò gli occhi al soffitto: 'Se dei surrogati di vita non andassero in giro a combinare guai...'
    Il compagno di squadra diede voce alla sua obiezione: "Avresti detto la stessa cosa ad un cartografo venuto qui per fare le mappe? O ad un semplice esploratore militare? È una risposta sempliciotta. Ovvio che qualcuno sarebbe venuto a curiosare. Un mondo è scomparso. Non parliamo di un piccolo villaggio nascosto nelle montagne o di un gruppo di persone. Parliamo di un mondo." Lo vide sbuffare, "Ma dico io, questa gente. Vabbè, dai, colpa nostra. La curiosità uccide il gatto e tutte quelle cose lì. Quindi, come la risolviamo? Possiamo usare la diplomazia o qualcosa del genere?"
    La risposta della Nessuno fu ciò che Khan si aspettava: "Se fossi in grado di aiutarvi lo farei, dico davvero, ma purtroppo non ho risposte ai vostri problemi. Sono venuta solo per darvi un... avvertimento" scandì lentamente la parola, "Non ho motivo di ostacolare le vostre ricerche, ma non posso lasciarvi passare di qui: dietro di me si trova solo una persona che ho il compito di proteggere su sua espressa richiesta, non ha nulla a che vedere con voi. Non obbligatemi ad assecondare i miei doveri".
    Qualcosa non quadrava. Oltre al tono con cui parlava, simile al lamento di tanti piccoli spiriti alle sue spalle, era ciò che diceva a lasciarlo perplesso: perché lasciarli andare, se potevano costituire un rischio? Sapeva che erano giunti fin lì con un obbiettivo, dunque perché non attaccarli e basta?
    'A meno che...'
    A meno che l'anatema in corso e la presenza di quel Nessuno non fossero due coincidenze non necessariamente correlate.
    "E questa persona di cui parli è responsabile per quello che sta succedendo a Radiant Garden?"
    "No, ma non mi è concesso dirvi più di quanto ho già fatto."
    Inarcò un sopracciglio. Non sapeva dire se fosse incredibilmente collaborativa o incredibilmente poco collaborativa. 'Se non mente, lei e chiunque stia accompagnando stanno approfittando di questa situazione... ma non sono la causa.' Quindi non avevano a che fare con la loro missione.
    Chinò il capo. Per quanto lasciar correre una creatura del genere libera non fosse la più saggia delle decisioni, se ciò che diceva era vero avrebbero solo fatto l'ennesimo buco nell'acqua nel confrontarla- uno da cui non sarebbe stato facile riprendersi. Ma se le avessero dato retta, cosa avrebbero fatto, poi? Avrebbero parlato con i vertici del comitato, probabilmente afflitti anche loro da qualche forma di demenza?
    Posò gli occhi dorati sulla figura incappucciata, poi sul torrente nerastro che le scorreva accanto.
    No. Sapevano cosa fare. E quella donna era un ostacolo.
    Azrael la incalzò: "Capisci che siamo in una situazione difficile, no? Lasciarci così all'oscuro rende solo la cosa ulteriormente sospetta, contando che per ora solo tu sembri consapevole di ciò che sta succedendo. Non c'è bisogno di essere tanto lontani l'uno dall'altro. Anche perché presuppongo che, se stai dicendo il vero, questo incidente non sia avvenuto a causa di qualcuno con il quale tu potresti avere un legame." Giurò di aver visto riflessi iridescenti percorrere il largo sorriso che l'uomo le rivolse: "Non è così...?"
    La donna rispose a tono, accennando un sogghigno, e il modo in cui sembrava quasi genuino eppure così inquietantemente artificioso e recitato fece distogliere lo sguardo all'immortale: "Non so cosa tu stia insinuando." Finse. Sapeva benissimo. "Ma ti sbagli. In questo incidente noi siamo vittime quanto lo siete voi."
    Khan colse la palla al balzo"E il nostro compito è quello di venire a capo di ciò che è successo e trovare un modo di riportare questo mondo al suo stato originario. Se, come dici, tu e chiunque tu stia proteggendo non avete a che fare con questa faccenda, non vedo perché impedirci di seguire una delle poche piste che abbiamo " indicò il flusso di oscurità con il mento, poi cercò di fissarla dritto negli occhi, e socchiuse i propri, aggiungendo, con tono greve: " a meno che tu non stia mentendo".
    Un muro avrebbe dato una risposta più soddisfacente: "Lui non vuole incontrare nessuno, soprattutto non dei mercenari sconosciuti armati fino ai denti. Non c'è nessun altro complotto o mistero dietro tutto questo."
    Cominciava ad avere le tasche piene.
    Un botta e risposta infruttuoso e pieno di contraddizioni era tutto ciò che avevano ottenuto.
    La donna chinò il capo e intrecciò con calma le dita davanti al grembo: "Ve lo chiedo per favore un ultima volta: lasciateci in pace, non stiamo cercando di fare del male a nessuno."
    Qualcosa in Khan fece crack, ed improvvisamente si sentì profondamente ignorante del significato della parola pazienza, le mani che prudevano. Certo, ridotto com'era e contro un avversario che dalla sua aveva, molto probabilmente, il campo di battaglia, avrebbe fatto una fine pietosa, ma l'idea di mettere le dita attorno al collo di quella là e stringere e scuoterla con forza e magari mollarle un paio di ceffoni iniziò a solleticare gli istinti meno galanti dell'immortale.
    "Andiamo al sodo: come mai così in vena di chiacchiere? Perché prenderti il disturbo di avvertirci prima di eliminarci?" Il vitriolo che Xisil le riversò addosso lasciò incerta perfino quello che, fino a poco prima, era stato un blocco di cemento inamovibile, e non si fermò lì: "Visto che ci siamo, dicci un po', allora: cosa hai fatto alle guardie, o meglio, al resto della città?"
    Le ci volle qualche istante per pensare alla risposta: "Le mie intenzioni le ho già rivelate, non ho ragione né interesse nel farvi del male finché assecondate questa mia unica richiesta." Pausa. Se non fosse stato a conoscenza della natura della donna, avrebbe pensato che anche solo respirare costasse fatica e dolore: "Stanno solo dormendo, si risveglieranno appena il nostro... "negoziato" sarà giunto alla fine. Per quanto riguarda la città, non ho avuto parte a qualsiasi cosa sia accaduta. Ve l'ho già detto: ne sono stata coinvolta involontariamente, proprio come voi."
    Khan riascoltò dentro di sé quelle parole.
    Quindi si era sbagliato? Radiant Garden non stava dormendo? C'era qualcos'altro dietro? O forse era ciò che voleva pensassero?
    'Scala a chiocciola, scarabeo rinoceronte, città in rovina, crostata di fichi, scarabeo...'
    "E cosa ti fa pensare che siamo disposti a negoziare con te?" Xisil non demorse. "<b>... O con voi, dovrei dire"
    Seguirono ulteriori scambi di battute a cui Khan era ormai diventato sordo e di cui colse solo il nocciolo: Xisil sembrava aver gà avuto a che fare con quel Nessuno, che continuava a farli girare intorno proclamando di non essere coinvolta nella scomparsa di Radiant Garden, che stava semplicemente proteggendo qualcuno e che loro dovevano levarsi di mezzo e punto di singolarità, giotto, angelo, ortensia, scarabeo rinoceronte...
    Azrael tentò di ottenere qualche informazione sui mostri che avevano affrontato, e ancora una volta non cavarono un ragno dal buco. Decisamente/i> poco collaborativa.
    "<b>Ho una proposta
    ", proruppe l'immortale con voce rauca, alzando l'indice destro con le braccia ancora conserte. "Il tuo compito è quello di fare da guardia alla persona che si trova oltre questo corridoio, giusto? Se non vuoi che ci avviciniamo, tu e il tuo protetto potete spostarvi, di modo che noi possiamo seguire quello", indicò di nuovo il flusso col dito "Senza disturbarvi."
    '<i>Accetta, e tutto questo sarà stato solo un tedioso inconveniente. Rifiutati...
    '
    Neanche a farlo apposta.
    La fine delle trattative pacifiche arrivò con l'ennesimo rifiuto: "Questo è impossibile. Il mio protetto non è in grado di muoversi da dove si trova: fosse altrimenti, avrei evitato questo confronto più che volentieri."
    "Che interesse avresti nel mantenere la 'pace', proprio tu, qui a Radiant Garden?"
    Rimase ammirato da come Xisil avesse mantenuto per tutto il tempo la calma necessaria a tenere sotto tiro la donna senza cedere mai alla tentazione di lasciar partire una o più frecce verso di lei- fosse stato per Khan, qualche passo di danza sarebbe stato d'obbligo.
    L'ammirazione lasciò spazio alla sorpresa quando un'altra voce atona, ma diversa da quella della loro avversaria- soffice ma decisa, fu quasi un sollievo per le orecchie: "Se seguirete l’oscurità, avrete tutte le risposte." Egeria ripeté le parole lasciategli da Merlino. Sembrava riluttante ad affrontare il Nessuno, ma anche lei doveva aver capito che c'era poco da fare. "È l'unica pista che abbiamo. Una pista che ci ha condotto dall'unica persona che sembra essere consapevole quanto noi della situazione. Se davvero sei una vittima anche tu, come hai sostenuto..."
    Pausa. Trattenne il respiro.
    "... facci passare."Nel vedere la ragazza sollevare lo sguardo e piantarlo dritto in quello della figura in nero e tenere, non senza qualche sforzo, il contatto visivo, Khan si lasciò scappare un sospiro di approvazione. Con tutte le incomprensioni e gli attriti che potevano esserci, non poteva negare di avere compagni con spina dorsale.
    "Conosci già la mia risposta, ragazza"
    E lei conosceva già quale sarebbe stata la loro, di risposta.
    "Parole e tempo sprecati", concluse Egeria, e prese a marciare verso la donna col cappotto. Un guizzo argenteo balenò davanti a lei e si spense nel suo zaino. Immaginò che si trattasse del Kervion, e che l'avesse riposto nella sacca in un ultimo, disperato segno di non belligeranza, che Khan temette potesse rivelarsi pericoloso. D'altronde, se quel Nessuno aveva cercato fino all'ultimo di farli desistere c'era un motivo.
    "Non sei né la padrona di questo castello, né delle mie azioni. Attaccami, se devi. Io non mi fermerò davanti a parole vuote.", Fu il tono appena incrinato alla fine della frase a smuovere l'immortale, che, fatto un cenno con la testa ad Azrael, fece i primi passi per raggiungere la loro compagna.
    Continuava a zoppicare, ma il suo incedere era diventato più spedito e calcolato, un ticchettare aritmico ma cadenzato di suole contro il pavimento; la sinistra determinava la distanza da colmare e la destra descriveva un leggero arco lungo quella traiettoria. Non si fermava, non si lamentava. Bruciava da cani ed ogni passo era un'esplosione di bianco davanti agli occhi e sentiva di poter rovinare a terra da un momento all'altro, ma male che fosse andata le avrebbe lanciato un moncherino in faccia.
    'Tanto poi mi ricresce.'
    "Hai sentito la signorina.", il sibilo della lama nera di Bekh echeggiò nella stanza.

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  7. AzraelParanoia
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    Obnoxious Rendez-vous






    La situazione aveva iniziato a crearmi una serie di dubbi e domande. Prima fra tutte, probabilmente condivisa con gli altri tre, riguardava la natura della Radiant Garden, chiaramente fittizia, o in ogni caso carica di allucinazioni, in cui ci trovavamo. Quegli eventi bizzarri, quelle creature misteriose... era impossibile che stessimo assistendo, tutto in un botto, alla nascita di un nuovo stato del Cuore, o come diamine si chiamano. Doveva esserci qualche altra giustificazione, e che io possa essere maledetto solo per lo star pensando a quelle cretinate. Gettai lo sguardo sulle persone. Ognuno di loro pareva avere le palpebre pesanti. Erano davvero così stanchi? Persino la donna che stava uscendo dall'angolo del corridoio pareva in procinto di addormentarsi in piedi. Dovevano avere degli orari terribili. Il Sindacato di Radiant Garden non doveva essere un granché.
    Alzai lo sguardo al cielo, tirando su un paio di volte col naso, per quanto non fosse necessario respirare. Mi sembrava, però, di sentire un qualche tipo di odore. Qualcosa di dolciastro e sottile. Guardai gli altri, interrogativo, ma non ebbi il tempo di fare domande, dato che una nebbiolina rosa, addensatasi dal nulla, comparve minacciosa ai nostri piedi, riempiendo il pavimento ed iniziando a risalire con una lentezza agghiacciante. Io potevo tenere il respiro per un tempo indefinito, ma in quanto agli altri, beh ci sarebbe stato un problema. Prima che potessi gettarmi su di essi e prepararmi a portarli via, realizzai qualcosa. Le punte di quella nube ci stavano ignorando, come se un invisibile cupola di forza ci proteggesse. Al di fuori di essa potevo vederlo. Le persone... stavano dormendo.
    -Spero stiano sognando qualcosa di meno fottuto dell'attuale situazione.-, commento nervosamente. Odiavo quel genere di evento insensato. Lo detestavo. Il mondo, di tanto in tanto, iniziava a comportarsi in maniera completamente irrazionale, e nessuno pareva degnarsi di darmi una spiegazione. Dovevano essere tutti così dannatamente ermetici, parlando ad enigmi, di cose che probabilmente neanche loro riuscivano a capire. Mentre la figura usciva dalla nebbia, quasi come se questa si diradasse al suo passaggio, avevo voglia di urlare, di assalirla, di colpire qualcuno e di distruggere l'intero posto, facendolo affondare nelle profondità della terra. Volevo afferrare quella donna per quello stupido cappuccio, sputare sulla sua viscida retorica e chiederle, urlando, se conoscesse il "Rasoio di Occam", prima di farle scoprire in maniera molto diretta cosa provassero i detriti nel mezzo di un terremoto.
    «Nemmeno un segno della guerra, tutte le persone felici... non vorrete rovinare tutto questo, spero».
    Nemmeno un segno della guerra? Persone felici? Oh, certo, questo becero pseudo-nichilismo risolveva tutto! Quante volte, dinnanzi ad una persona che mi parlava dei suoi problemi, ho risposto mandandola in coma con una testata. Questo sì che è far stare meglio la gente! Stavo iniziando a chiedermi se fossi l'unica persona fottutamente normale lì!

    «Tornate indietro da dove siete venuti, per favore: le risposte che cercate non sono qui. Se continuate su questa strada, otterrete solo di rovinare questa pace» E quindi?
    «E il mio compito è impedirvelo.», dice dunque, con tono piatto, ma determinato.
    La gente potrebbe trovare modi migliori di passare il tempo. Prima che potessi rispondere con parole certamente non educate, Xisil mi interruppe, con un'espressione di rabbia non troppo contrita.
    «L'Organizzazione!», urla la donna. Dunque avevamo a che fare con i Nessuno, eh? Creature degne di tanta, tantissima pietà. Per quanto non puramente distruttive ed inutili quanto gli Heartless, non avrebbero mai potuto essere felici. Senza provare emozioni e sensazioni, come potevano sentire piacere? Che ragion d'esistere potevano avere? E la loro pretenziosità nel dire di avere "obiettivi" era più che irritante. Sei capace di trarre piacere dal raggiungimento del tuo obiettivo? Riesco a capirli solo quando "tentano di ottenere dei cuori", per quanto possa essere improbabile.
    «Uno scenario da favola», commenta sardonico il buon Khan, pronto a creare spazio per una bella conversazione con quella sgradevole donna incappucciata. «O forse sarebbe più accurato dire da sogno?»
    Già. Da sogno. Guardo Khan, stringendo gli occhi ed aggrottando le sopracciglia. Che fosse possibile... che fossimo tutti in un sogno? Era una delle mie supposizioni, e forse dovevo iniziare a tenerla più altamente in considerazione, dopo il crollo di tutte quelle guardie.
    «A meno che tu non possa darci le risposte di cui parli o indicarci un luogo in cui trovarle, tornare indietro non è tra le opzioni», conclude, sicuro di sé. E come dargli torto? Non avevo certo intenzione di restare lì a girarmi i pollici solo perché una donna dai pessimi gusti estetici si era alzata dal letto con l'idea di tirare ordini a destra e manca. Anche perché, davvero, cazzo, il trenchcoat sino a sotto le ginocchia va anche bene, è sospetto, è oscuro, ci sta, però quel cappuccio... perché? State cercando di mischiare i film d'azione con quelli per adolescenti? Ma concentriamoci su altre questioni. Khan l'aveva incalzata, e toccava a me continuare a fiancheggiarla. Alzo dunque gli occhi al cielo, incrocio le braccia, e parlo.
    «Non so quali siano le tue intenzioni, non ho idea del perché tu voglia essere così teatrale, e non sono sicuro esista una divinità capace di spiegarmi il perché della tua supposizione», dico con ironia, battendo le dita sui bicipiti. Ero onestamente seccato, vero, e volevo capire di cosa stesse parlando. Era l'ennesimo caso di "fastidioso interlocutore che parla per enigmi". E stavo esaurendo le scorte di pazienza.
    «Noi non vogliamo essere qui. Non ci piace la situazione, e mi dispiace se devo essere così schietto, ma neanche tu mi piaci granché. Certo, se fossi un po' più amichevole e spiegassi meglio cosa succede, potrei offrirti da bere, o qualcosa del genere.», concludo, cercando di suonare sprezzante e tenere il morale degli altri alto. Era ovvio che fossimo incappati in qualche disgustosa situazione di stallo, con tanto di pericoloso super-Nessuno a tirare fuori scuse per non farci passare, pronto a realizzare qualche piano distruttivo dei loro. Ci stava chiaramente mentendo.
    «Non prendiamoci in giro...» risponde. Ci punta contro l'indice. Evidentemente sua madre non le aveva insegnato come ciò fosse maleducazione. B-Beh, neanche la mia, però lo so e basta. «Degli estranei non possono certo finire qua per puro caso e sappiamo sia io che voi che non siete i primi. Vi siete messi a ficcare il naso in una faccenda molto, molto più grande di voi, e direi che abbiate ottenuto quello che volevate».
    Se avessi avuto ancora vene funzionanti, avrebbe potuto vederne una gonfiarsi direttamente sulla mia tempia. Digrignai i denti, lasciando che i capelli si tingessero per un attimo di una tonalità più scura, poi inizio.
    «Avrebbe detto la stessa cosa ad un cartografo venuto qui per fare le mappe? O ad un semplice esploratore militare? È una risposta sempliciotta. Ovvio che qualcuno sarebbe venuto a curiosare. Un mondo è scomparso. Non parliamo di un piccolo villaggio nascosto nelle montagne o di un gruppo di persone. Parliamo di un mondo. Ma dico io, questa gente». Sbuffo pesantemente. Forse però, provocandola così, non avrei ottenuto niente. Prendo un bel respiro, mi calmo, e ritorno sui miei passi.
    «Vabbè, dai, colpa nostra. La curiosità uccide il gatto e tutte quelle cose lì. Quindi, come la risolviamo? Possiamo usare la diplomazia o qualcosa del genere?»
    Quella alza le spalle e scuote appena la testa, muovendola giusto di qualche millimetro. «Se fossi in grado di aiutarvi lo farei, dico davvero, ma purtroppo non ho risposte ai vostri problemi. Sono venuta solo per darvi un... avvertimento. Non ho motivo di ostacolare le vostre ricerche, ma non posso lasciarvi passare di qui: dietro di me si trova solo una persona che ho il compito di proteggere su sua espressa richiesta, non ha nulla a che vedere con voi. Non obbligatemi ad assecondare i miei doveri».
    Prima che potessi farle notare quanto poco ci stesse dicendo, Khan procede ad incalzarla. «E questa persona di cui parli è responsabile per quello che sta succedendo a Radiant Garden?», si intromette l'uomo alto e scuro con tono interrogativo. La risposta, naturalmente, è il solito mezzo borbottio, creato evidentemente solo per farci infuriare. «No, ma non mi è concesso dirvi più di quanto ho già fatto».
    Erano davvero poche, le cose concesse a quella donna, eh? Ma invece che infuriarmi, le sorrisi. Preso dal nervoso, o da chissà cos'altro, sorrisi.
    «Capisci che siamo in una situazione difficile, no? Lasciarci così all'oscuro rende solo la cosa ulteriormente sospetta, contando che per ora solo tu sembri consapevole di ciò che sta succedendo. Non c'è bisogno di essere tanto lontani l'uno dall'altro. Anche perché presuppongo che, se stai dicendo il vero, questo incidente non sia avvenuto a causa di qualcuno con il quale tu potresti avere un legame.»

    «Non è così...?»


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    Concludo con un tono vagamente minaccioso, il tutto senza perdere lo scintillante sorriso.
    Fortunatamente, dalla mia, avevo il buon Khan, che decide di aiutarmi a sovrastare l'avversario con la stazza. Bravo ragazzo.
    «Sono dello stesso avviso. Il nostro compito è quello di venire a capo di ciò che è successo e trovare un modo di riportare questo mondo al suo stato originario. Se, come dici, tu e chiunque tu stia proteggendo non avete a che fare con questa faccenda, non vedo perché impedirci di seguire una delle poche piste che abbiamo» , dice, alludendo chiaramente al flusso d'oscurità di cui Merlino ci aveva parlato. Aveva ragione. Era l'unica traccia che potevamo seguire. E non potevamo fare a meno di farlo, neanche se l'intero pianeta si fosse organizzato per impedircelo. «a meno che tu non stia mentendo».
    La donna si fa sfuggire un sogghigno alle nostre provocazioni combinate. «Non so cosa tu stia insinuando.» mi dice, con un tono che colora nuovamente di rosso i capelli ed il tatuaggio «Ma ti sbagli. In questo incidente noi siamo vittime quanto lo siete voi.». Vittime? Avevo i miei profondi dubbi sulla cosa.
    Quindi si volta verso Khan e aggiunge: «Lui non vuole incontrare nessuno, soprattutto non dei mercenari sconosciuti armati fino ai denti. Non c'è nessun altro complotto o mistero dietro tutto questo.». Altre parole vuote. Se proprio era così semplice, le bastava farci passare, farci consegnare le armi, o chissà cos'altro. Ed invece era ferma, a farci perdere tempo, in una situazione in cui per di più non potevamo sapere con quale flusso il tempo scorresse. Fuori da quella "Radiant Garden" poteva star succedendo di tutto.
    China dunque il capo, intrecciando le dita davanti al ventre, come a fingere una dolcezza chiaramente assente. «Ve lo chiedo per favore un ultima volta: lasciateci in pace, non stiamo cercando di fare del male a nessuno.»

    Parlava, parlava, ma continuava a non dirci nulla. Lasciai che continuasse per i fatti suoi il discorso con Xisil, chiedendole distrattamente se la conoscesse nel mezzo del loro duello, ed interrompendole brevemente per chiedere delle creature incontrate, naturalmente senza ricevere risposta dalla peggiore interlocutrice dell'anno. Khan tentò un approccio piuttosto conveniente, chiedendo a lei ed al suo protetto di spostarsi temporaneamente, per farli passare. Nessuna risposta. Non un briciolo di collaborazione. Ci stava provocando, e diamine se lo stava facendo bene. L'istinto di saltarle addosso e sbriciolare il suo corpo flebile era forte, ma sapevo, ero sicuro che fosse più forte di quanto sembrasse.
    «Se seguirete l’oscurità, avrete tutte le risposte. È l'unica pista che abbiamo. Una pista che ci ha condotto dall'unica persona che sembra essere consapevole quanto noi della situazione» parla dunque Egeria, dopo quella che pareva essere un'eternità di silenzio. Mi giro lentamente verso di lei, guardandola con gli occhi illuminati di speranza. Che stesse finalmente per farci uscire da questa situazione? «Se davvero sei una vittima anche tu, come hai sostenuto» pausa, alzando lentamente gli occhi, quasi con timore, verso quelli adombrati della donna, «facci passare».
    Botta e risposta da copione. «Conosci già la mia risposta, ragazza».
    Xisil borbotta qualcosa, ottenendo come risposta uno scuotersi della testa di Egeria. La ragazza, ormai esasperata, respira profondamente per poi... chiudere gli occhi.
    «Parole e tempo sprecati. ». comincia a camminare, lasciando che il Kervion tornasse nello zaino, a mostrare un'assenza di qualsivoglia aggressività. «Non sei né la padrona di questo castello, né delle mie azioni. ». avanza senza fermarsi, lasciandomi ad occhi sgranati «Attaccami, se devi. Io non mi fermerò davanti a parole vuote.» conclude, leggermente tremante nel tono.
    Un meno pacifico Khan si muove immediatamente, sfoderando la spada, guardandomi con un cenno e pronunciando, nonostante la ferita alla gamba: «Hai sentito la signorina.». Heh, erano proprio carini, quei due. Non avrei potuto permettere ad uno di essi di morire senza vedere cosa avrebbero potuto combinare. Ero onestamente troppo, troppo curioso. Risposi a Khan con un occhiolino, rimanendo fermo nei miei passi, braccia tenute sui fianchi. Ma non sarei rimasto in stasi senza fare nulla. Alla minima azione della Nessuno... avrei gettato ogni singola oncia della mia energia magica su di lei, senza pormi domande di alcun tipo. Aveva giocato abbastanza con noi, ed Egeria era stata l'unica con abbastanza cojones da alzare la testa e dirle, in maniera diretta e priva di giochetti, quanto fosse stufa delle sue stronzate.
    Non potevo non rispettarlo. E l'avrei seguita nella sua offensiva. Guardai Xisil, interrogativo, ma non eccessivamente. Ero sicuro che anche lei non avrebbe chinato la testa di fronte a quello che probabilmente era già suo nemico da tempo. Ed io neppure. Per quanto non la conoscessi, nessuno gioca agli indovinelli con Azrael senza ricevere almeno una distorsione.

     
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  8. Xisil
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    C’era silenzio nel grande atrio della fortezza. Troppo silenzio. Nessuno parlò per ordinarle di non allontanarsi, nessuno si mosse verso di lei per fermarla, e quando qualunque mormorio, persino l’incedere meccanico dei passi delle guardie sul marmo cessò, rimase solo lo scrosciare dell’acqua a riempire le loro orecchie, il suono dell’aacqua che cade all’infinito, una primordiale melodia sufficientemente monotona da passare in fretta, una volta subentrata l’abitudine, in secondo piano, diventando nulla di più di un semplice gorgoglio di sottofondo, fino a scomparire dalla percezione dei più. Fu il silenzio a mettere in allarme Xisil, prima di qualunque altra cosa, prima ancora che potesse rendersi conto che chiunque, al di fuori dei suoi compagni, era caduto in un sonno inspiegabile, prima ancora quell’odore dolce, tenue eppure stucchevole, cominciasse a pizzicare le sue narici infastidendola. Una velo di nebbia rosa, infine, aggiunse quel pizzico di follia mancante a quello scenario surreale.
    Ferma a pochi metri di distanza dal resto del gruppo, Xisil guardava le spire di fumo avvolgere ogni cosa al di fuori delle uniche quattro persone rimaste sveglie, mentre attendeva con spiazzante rassegnazione di perdere i sensi da un momento all’altro o di vedere i suoi compagni fare altrettanto. Strinse la spada nella mano destra, con lo stesso istintivo desiderio di protezione che assale una bambina che nel buio della sua cameretta stringe fra le braccia la propria bambola, ma la guerriera era consapevole che in una situazione del genere combattere sarebbe stato inutile.
    Come vi sembra Radiant Garden?
    Una voce femminile dal limitare della nebbia, un cappotto nero inconfondibile, il cappuccio calato sul volto a celarne i lineamenti in un velo di nebbia. Il battito della guerriera accelerò, i sensi si acuirono, i meccanismi di Arandil scattarono senza fare il minimo rumore, Xisil incoccò fulminea una freccia, tese l’arco parallelo al pavimento.
    Inspirò, espirò. Respiro lento e regolare, mente sgombra, lucida. Ci risiamo.

    Non è male, vero? Nemmeno un segno della guerra, tutte le persone felici...” Xisil poteva vedere oltre la punta della sua freccia il Nessuno avanzare, un passo dopo l’altro. “… non vorrete rovinare tutto questo, spero.”. Una scossa d’irrequietudine attraversò il suo corpo, un desiderio improvviso di reagire di fronte a tale insensatezza si impossessò di lei, eppure non un solo muscolo si mosse: per prima cosa la guerriera doveva capire. Poteva sentire gli occhi della donna fermarsi per un istante su di lei, un brivido attraversarle la schiena, occhi che non poteva vedere ma che sentiva sulla sua pelle mentre fissava quella sagoma nera come ipnotizzata da uno sguardo inafferrabile.
    Tornate indietro da dove siete venuti, per favore: le risposte che cercate non sono qui. Se continuate su questa strada, otterrete solo di rovinare questa pace” Xisil non poté, o non volle, nascondere la smorfia ironica che distorse per un istante il suo volto teso, trasformandolo per un istante in una maschera sprezzante. La donna sollevò il capo verso la volta floreale sopra le loro teste, e quando l’abbassò nuovamente nessun’ombra sembrava più celare il suo sguardo. Fu allora che Xisil avvertì la terra mancare sotto i suoi piedi.
    E il mio compito è impedirvelo.” Xisil strette la presa sul suo arco. Quegli occhi, quei due pezzi di ghiaccio senza anima, la guerriera sentiva di averli già incrociati in passato. Forse ciò che più di ogni altra cosa la spiazzava era quel dubbio che improvvisamente l’attanagliava, la consapevolezza di non avere la certezza di chi fosse realmente il suo avversario, mentre da un lato sapeva di aver affrontato l’Organizzazione soltanto una volta prima di allora. Può la mente giocare uno scherzo così subdolo? O si trattava forse di un trucco per disorientarla?
    L'Organizzazione!” Lanciò allora l’allarme, tanto per allertare i presenti di una minaccia di cui forse lei soltanto conosceva l’entità, quanto per necessità di riallacciare un contatto con una realtà che in quel momento sembrava perdere la sua consistenza. Con una freccia già incoccata, un’arma puntata contro il nemico e in balìa di eventi che sfuggivano alla sua comprensione, Xisil era come un a bomba sul punto di esplodere. Si sentiva spaesata, smarrita, ma doveva mantenere la calma: l’ultima volta, dopotutto, le era quasi costato la vita.

    Uno scenario da favola. O forse sarebbe più accurato dire da sogno? ” Era quella la risposta ad ogni cosa, che Radiant Garden, quella reale, fosse stata intrappolata in un limbo senza tempo? A che scopo altrimenti qualcuno si sarebbe dovuto impegnare tanto a creare quella pace illusoria, come la donna acclamava con tale convinzione, se nessun essere umano in carne ed ossa poteva beneficiarne? Che senso poteva avere altrimenti creare una copia fittizia di quel mondo, dei suoi abitanti, e fingere così che in quella ‘dimensione parallela’ nessun conflitto avesse mai avuto luogo? Forse perché qualcuno potesse vivere di quella illusione, soffocare la sofferenza della guerra con un idilliaco surrogato di una felicità andata perduta… o forse, semplicemente, per farne una trappola ben congeniata, con tanto di indizi fuorvianti, e in tal caso erano stati tutti abilmente ingannati. Tuttavia, ammesso e non concesso che questa seconda ipotesi si fosse rivelata esatta, il problema restava sempre lo stesso: che fine aveva fatto la vera Radiant Garden? “A meno che tu non possa darci le risposte di cui parli o indicarci un luogo in cui trovarle, tornare indietro non è tra le opzioni.
    Ma la donna non sembrava propensa a fornire loro alcuna spiegazione: o sapeva qualcosa e cercava di ingannarli, oppure stava dicendo la verità, ma la presenza dell’Organizzazione rimaneva ingiustificata. E lei, invece, come aveva fatto a finire in quel luogo? Tuttavia Xisil tenne per sé i suoi dubbi, rimase in silenzio cercando di ricavare qualcosa di utile da tutte quelle domande rimaste senza risposta, da quelle supposizioni senza reale fondamento e da tutte quelle informazioni mutilate da una reticenza non esente dal sospetto: il Nessuno era lì per proteggere qualcuno che in realtà non era coinvolto nella sparizione del mondo e loro erano giunti troppo vicini al suo protetto, eppure la donna sembrava convinta di poter risolvere la faccenda con le buone maniere. Affermava di non sapere nulla, di non essere coinvolta in quegli strani eventi, ma per quanto ella cercasse di professarsi ignorante, vi erano comunque informazioni che non sembrava intenzionata a rivelare. Cosa stava tramando davvero l’Organizzazione? Trovò lo sguardo di Egeria, dubbioso quanto il suo, preoccupato e desideroso di risposte. Risposte che Xisil non sapeva darle, al di là del semplice, lento scuotere del capo a significare che no, l’Organizzazione non rappresentava nulla di buono per loro in quel momento.



    La donna sogghignò all’ennesima provocazione. “Non so cosa tu stia insinuando, ma ti sbagli. In questo incidente noi siamo vittime quanto lo siete voi.
    Certo, come no. Lui non vuole incontrare nessuno, soprattutto non dei mercenari sconosciuti armati fino ai denti. Non c'è nessun altro complotto o mistero dietro tutto questo. Qualcuno qui ha la coda di paglia? Ve lo chiedo per favore un ultima volta: lasciateci in pace, non stiamo cercando di fare del male a nessuno.
    Basta. Chiudi quella bocca. Xisil aveva raggiunto il limite della sopportazione. I muscoli della braccia dolevano intirizziti, la sua irritazione aumentava ad ogni minuto che passava, ad ogni parola vuota, per ogni tentativo di dialogo che finiva per ritorcersi su se stesso e ritornare esattamente al punto di partenza. Tutti i suoi sforzi, la sua buona volontà per trattenersi da qualunque azione ostile nei confronti del Nessuno, ormai soltanto una calma apparente che si assottigliava sempre di più; tuttavia Xisil non aveva alcuna intenzione di abbassare le armi. Al contrario…
    Andiamo al sodo: come mai così in vena di chiacchiere? Perché prenderti il disturbo di avvertirci prima di eliminarci?” Chiese con tagliente asprezza, mentre la rabbia trovava la via per uscire allo scoperto. “Visto che ci siamo, dicci un po', allora: cosa hai fatto alle guardie, o meglio, al resto della città?
    Xisil aggiustò la mira. Per favore
    La donna esitò, massaggiandosi il mento fra pollice e indice, visibilmente incerta su cosa rispondere. Davvero non si aspettava tanta franchezza? “Le mie intenzioni le ho già rivelate, non ho ragione né interesse nel farvi del male finché assecondate questa mia unica richiesta.” prese fiato e rispose anche alla seconda domanda: “Stanno solo dormendo, si risveglieranno appena il nostro... negoziato sarà giunto alla fine. Per quanto riguarda la città, non ho avuto parte a qualsiasi cosa sia accaduta. Ve l'ho già detto: ne sono stata coinvolta involontariamente, proprio come voi.
    E cosa ti fa pensare che siamo disposti a negoziare con te?” Disse Xis sibilando fra i denti. “... O con voi, dovrei dire
    Nulla, ma sono venuta da voi perché speravo di poter evitare una risoluzione violenta. Tu dovresti sapere che ne sarei capace, se costretta
    Fu come se un fulmine fosse piombato su di lei, rischiarando in un lampo di luce la sua mente. Stralci di ricordi fallati emersero dalla foschia, immagini sfuocate che sembravano trovare un senso alla luce di quella nuova consapevolezza: nessun inganno, nessuna illusione giocata alla sua mente, quella donna, quel Nessuno… Xisil l’aveva già incontrata. E in quello stesso luogo.
    ... Tu...” Conferma, accusa e minaccia al tempo stesso.
    Ohi, Xisil, conosci questa persona?” Azrael era perplesso.
    Xisil non osò voltarsi per non perdere di mira il Nessuno. “Meglio se te lo spiego dopo...”. Forse non era il momento più opportuno per discutere delle dinamiche del loro incontro. Il motivo per cui il sangue le si era come gelato nelle vene, quel misto di timore e odio che provava senza riuscire a ricordare perché, come se soltanto una parte del suo inconscio, quello che aveva subito l’offensiva maggiore, ricordasse ciò che era accaduto. Per quello che la parte razionale del suo cervello poteva ricostruire, al suo risveglio in ospedale le dissero che tutto era già finito, del resto della squadra non seppe più nulla e la donna in nero era scomparsa come non fosse mai esistita. Aster era scomparso, come non fosse mai esistito.
    Do per scontato che non sia un rapporto amichevole”, disse lui alzando gli occhi al cielo.
    Anche lui è qui? È lui che stai cercando di proteggere?Lui … il suo tono di voce era sprezzante, quasi il solo menzionarlo le procurasse un enorme disgusto. Xisil aveva fatto un giuramento, avrebbe trovato la sua strada, avrebbe riscattato il suo nome, avrebbe ritrovato se stessa, e allora si sarebbero incontrati di nuovo. Lui era divenuto quel maestro che l’aveva congedata con disonore e incarcerata, l’uomo che le aveva insegnato ogni cosa, lo stesso che l’aveva gettata nel baratro, privata di tutto ciò che aveva. Il Maggiore era morto, e anche Aster come lui alla fine l’aveva tradita.

    Il Nessuno la fissò con sincera sorpresa, sbattendo le palpebre più volte. “Oh. Lo stai ancora inseguendo?» I loro sguardi, i pezzi di ghiaccio dell’una e l’unico specchio d’ira dell’altra, si scontrarono per alcuni brevi attimi, sufficienti perché la donna in nero capisse quanto bastava per rispondersi da sola. “Mi dispiace, ma il ragazzo non è coinvolto in tutto questo.”.
    Tutto inutile, quella donna non sapeva nulla, né dove Aster si trovasse, né cosa li avesse attaccati là fuori.
    Di quanto poco sono a conoscenza, ciò che posso condividere ve l'ho già rivelato, spingermi oltre verrebbe meno ai miei doveri, vi prego di comprendere.” rispose atona la donna dell’Organizzazione. Xisil non riusciva a non mostrarle quanto disprezzo provasse per lei in quel momento, o quanto poco apprezzasse di sentirsi presa in giro in tale maniera. Restava soltanto da domandarsi se lo stesse facendo di proposito, se provasse in qualche modo una forma di insano piacere a prendersi gioco di loro come stava facendo. C’era da chiedersi inoltre quanto a lungo sarebbe riuscita a tirare la corda prima di spezzarla.
    Lo prenderò per vero, dato che ora come ora non ho ragioni di sospettare che tu abbia necessità di mentire, dato che ci stai nascondendo praticamente tutto e non ne varrebbe davvero la pena. Ora però cosa dovremmo fare? Restare qui a girarci i pollici? Non sappiamo neanche come fluisca il tempo qui dentro. Non vorrei certo uscire e ritrovarmi uno scenario post-apocalittico da film di serie B.
    Io no, non comprendo, mi dispiace” continuò Xisil beffarda, “Ne ho già avuto abbastanza dei tuoi doveri, dei vostri piani. Una volta mi è bastata.
    ]Ho una proposta”, con le braccia ancora conserte, Khan alzò l'indice della mano destra. “Il tuo compito è quello di fare da guardia alla persona che si trova oltre questo corridoio, giusto? Se non vuoi che ci avviciniamo, tu e il tuo protetto potete spostarvi, di modo che noi possiamo seguire quello” e indicò così il flusso di tenebre, “Senza disturbarvi.
    E per quale motivo dovremmo cercare di non disturbarli? Stai scherzando, vero?
    Questo è impossibile. Il mio protetto non è in grado di muoversi da dove si trova: fosse altrimenti, avrei evitato questo confronto più che volentieri.”.
    Che interesse avresti nel mantenere la 'pace', proprio tu, qui a Radiant Garden?” Riprese la sua invettiva senza nemmeno più badare alle scuse della donna.
    Tu già conosci a chi ho promesso la mia fedeltà, ma non commettere l'errore di essere precipitosa. ” le rispose con un piccolo gesto accomodante della mano, mentre Xisil in uno scatto d'ira stringeva un po' di più le mani attorno al suo arco: anche quello sciocco ragazzino l'aveva rimproverata di essere stata precipitosa nel giudicarlo al loro primo incontro. “Non è certo la mia devozione ad una causa a fare di me un mostro.
    No, un mostro no. Il Nessuno prese fiato, si sistemò una ciocca di capelli sotto al cappuccio, “L'unica ragione della mia presenza qui è difendere una persona. Questo permette la pace che anche voi avete visto. Se posso compiere il mio dovere, dimostrare la mia fedeltà senza causare del dolore a nessuno o, anzi, facendo del bene, allora quella è la strada che prenderò più volentieri. Per questo non intendo desistere.
    Quale sottile confine può delimitare la moralità? Forse la stessa, sottile linea che corre fra la genialità e la follia.
    Se seguirete l’oscurità, avrete tutte le risposte. È l'unica pista che abbiamo. Una pista che ci ha condotto dall'unica persona che sembra essere consapevole quanto noi della situazione”. Fu Egeria a parlare questa volta, il suo sguardo pareva triste, rassegnato. Sospirò, “Se davvero sei una vittima anche tu, come hai sostenuto” Xisil trattenne il respiro, rivolgendole uno sguardo dubbioso. “Facci passare”. Che cosa aveva in mente di fare?
    Conosci già la mia risposta, ragazza”.
    Fu allora che Xisil riuscì ad incontrare lo sguardo della coetanea, quasi le loro menti fossero state richiamate da un pensiero comune. "Io non mi fido" Fu tutto ciò che le disse in un bisbiglio. Non vi era altro da aggiungere.
    Egeria scosse la testa, a sua volta. “Parole e tempo sprecati. ”. Egeria prese l’iniziativa, avanzando verso l’intrusa, disarmata, inoffensiva. La situazione non stava prendendo la piega migliore. “Non sei né la padrona di questo castello, né delle mie azioni. ”. Xisil avrebbe voluto fermarla, impedirle di correre un tale rischio, ma non è opportuno distrarre un equilibrista che avanza su una fune tesa al di sopra di un baratro senza alcuna rete al di sotto a proteggerla; una sola esitazione, un momento di incertezza e per lei sarebbe stata la fine. La guerriera si scansò quanto bastava per mantenere la donna dell’Organizzazione sotto tiro senza avere la compagna fra la punta della sua freccia e il suo obiettivo. Socchiuse appena gli occhi nel mettere a fuoco il bersaglio. “Attaccami, se devi. Io non mi fermerò davanti a parole vuote.” la voce di Egeria fremette appena, Xisil si sentì come morire. Con il respiro sospeso in gola e il cuore fermo nel petto avanzò di qualche passo dietro l’amica, lentamente, pronta a difenderla se non poteva fermarla. Un solo passo falso, un solo dito fuori posto, un’occhiata storta… doveva solo azzardarsi a farle del male…


     
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  9. misterious detective
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    Nemmeno la donna sapeva con esattezza cosa aspettarsi da un confronto simile. La sua missione, fino a quel momento, si era rivelata molto più semplice del previsto: i molti imprevisti che si erano verificati si erano solo rivelati positivi per lei e l’Organizzazione e, alla loro luce, i conflitti che temeva sarebbero potuti nascere erano stati sedati ancor prima che nascessero. In confronto a ciò che sarebbe potuto succedere, l’intervento dei mercenari non era nulla e, anzi, non rappresentava un pericolo. Tuttavia si sarebbe volentieri risparmiata quell’incontro: una scocciatura, nulla di più, un problema che, anche senza il suo intervento, col tempo si sarebbe risolto.
    “Eppure, già una volta hanno sconfitto i Dream Eater.” Si ricordò, stringendo gli occhi e studiando con attenzione ognuno di loro, soffermandosi sull’unico volto che le era familiare. “Non posso sottovalutare un gruppo del genere.”
    -L’Organizzazione!- l’unica parola di Xisil tuonò tra gli astanti, celata dal cappuccio la Nessuno si umettò le labbra, domandandosi quale espressione sarebbe stata più naturale in un momento del genere: nemmeno per un istante aveva creduto che la guerriera avesse potuto dimenticarla, ma la semplicità con cui aveva reso qualsiasi negoziato pressoché impossibile era stata tale da risultare quasi comica. Peccato che lei non avesse alcuna voglia di ridere, voglia che in realtà non aveva mai provato.
    -Uno scenario da favola.- commentò l’uomo dalla pelle scura, mostrandosi annoiato e scettico nei confronti di ciò che accadeva attorno a lui. -O forse sarebbe più accurato dire da sogno?-
    La donna piegò appena le sopracciglia, spostando su di lui l’attenzione: da come parlava, pareva quasi aver compreso la natura del luogo in cui si trovavano, anche se forse si trattava solo di una supposizione o di una battuta fin troppo a proposito: senza un cuore che potesse aiutarla a comprendere le emozioni altrui e con la poca esperienza che possedeva nei rapporti con altre persone, decifrare quell’espressione compiaciuta e di sottintesi nelle sue parole era per lei quasi impossibile. Incrociò le braccia, spostando il peso da un piede all’altro, ma non rispose: non aveva bisogno di confermare o smentire nulla, era sufficiente che si mostrasse solida nelle sue posizioni.
    -A meno che tu non possa darci le risposte di cui parli o indicarci un luogo in cui trovarle, tornare indietro non è tra le opzioni.-
    Scosse piano la testa, chiudendo gli occhi con una leggera punta di sconforto: erano giunti al punto persino più in fretta di quanto si sarebbe aspettata. Mentre ancora ponderava la risposta migliore, anche il secondo uomo si intromise nella discussione: accompagnando le sue parole tinte di una graffiante irritazione, i suoi capelli si tinsero di fiamme e divennero scarlatti, mentre egli avanzava di pochi passi per affiancarsi al suo compagno. Ribadì gli stessi concetti, le pose lo stesso invito, il tutto con un tono persino più irremovibile e deciso, i pugni stretti ai fianchi pronti a scattare come proiettili. Le rivolse parole sarcastiche ed acide, gettando una sfida che la Nessuno non aveva intenzione di cogliere: a loro sarebbe spettato decidere come affrontare la situazione, se cedendo miti alle sue richieste o se piegati in battaglia, lei non avrebbe agito per prima.
    Le rivelarono la loro volontà di tornare a casa, le chiesero una prova della sua buona fede, ma lei poteva solo sospirare mentre, quasi delusa, chinava il capo. Su un solo punto si trovavano d’accordo: indicargli la via per il ritorno sarebbe stata la scelta più semplice per tutti. Sfortunatamente, però, una simile bontà era ben più di quanto potesse concedere loro senza mettere a repentaglio la sua missione, mentre fornire loro informazioni che, alla resa dei conti, avrebbe cercato di far loro dimenticare era allo stesso tempo stupido e deleterio. Fulminea, gettò uno sguardo alle ampie vetrate lungo le pareti e spiò il sole che, oltre la metà del suo arco, scendeva lentamente a riposare. Prima che l’astro calasse, di questo era sicura, avrebbe fatto in modo che i quattro comprendessero tutto ciò.
    -Non prendiamoci in giro…- li interruppe, trascinando le parole con tono stanco, quasi esasperato. Non poteva biasimarli del fatto che non si fidassero di lei, ma la cosa era reciproca: soggetti tanto pericolosi non sarebbero né passati oltre di lei, né avrebbe permessero lasciassero mai quella prigione. -Degli estranei non possono certo finire qua per puro caso- ricordò loro -e sappiamo sia io che voi che non siete i primi. Vi siete messi a ficcare il naso in una faccenda molto, molto più grande di voi e direi che abbiate ottenuto quello che volevate.-
    Per quanto nulla avesse per lei vero interesse, riteneva degna di ammirazione la loro dedizione a ciò che era “giusto” e la determinazione con cui avevano perseguito quella strada, nonostante le numerose vittime che aveva già mietuto, tuttavia la Nessuno non poteva fare nulla per ricompensare la loro nobiltà d’animo: la realtà era che, pur non essendone coscienti, ostacolare l’Organizzazione era stato il loro più grande errore.
    -Avrebbe detto la stessa cosa ad un cartografo venuto qui per fare le mappe? O ad un semplice esploratore militare? È una risposta sempliciotta.- la criticò l’energumeno che già prima l’aveva antagonizzata. Sì, avrebbe voluto rispondergli, avrebbe risposto allo stesso modo, perché indipendentemente dalla ragione il risultato finale era lo stesso. Tuttavia rimase in silenzio, gli permise di sfogare la sua frustrazione, di sputarle addosso ciò che pensava, asciandosi scivolare via ogni parola, stretta dalle sue stesse braccia a chiudersi da quelle provocazioni.
    -Vabbeh, dai, colpa nostra. La curiosità uccide il gatto e tutte quelle cose lì.- concluse l’uomo con uno sbuffo esausto ed alcuni gesti della mano accomodanti. -Quindi, come la risolviamo? Possiamo usare la diplomazia o qualcosa del genere?-
    La donna non rispose subito: alzando appena il capo, studiò quel paio di occhi fissi su di lei. In essi vi era rabbia, sì, ma accompagnata da una muta sfida. Si morse il labbro, realizzando come la loro conversazione non fosse che uno scambio di stoccate preparatorie allo scontro: entrambi erano consci di ciò che poteva accadere, entrambi attendevano una mossa dell’altro. L’unica consolazione, se così ella la poteva chiamare, era che la pazienza dell’uomo pareva molto più rapida a scemare ed il vantaggio della Nessuno era ben consolidato.
    “Eppure, questo è resta sempre il mio modo di fare.” Si disse, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre riportava alla mente tutto ciò che aveva compiuto per l’Organizzazione, fin dal primo giorno in cui si era lasciata dietro di sé le sue spoglie umane. -Se fossi in grado di aiutarvi lo farei, dico davvero.- sostenette, portando una mano al petto a simboleggiare la sua onestà e riuscendo quasi a dare una punta di emozione alla sua voce. Fingere preoccupazione fu facile, dopotutto la volontà di aiutarli era quasi autentica. -Ma purtroppo non ho risposte ai vostri problemi. Sono venuta solo per darvi un… avvertimento.- fece, soffermandosi in riflessione sull’ultima parola, prima di sussurrarla con rammarico. -Non ho motivo di ostacolare le vostre ricerche, ma non posso lasciarvi passare di qui: dietro di me si trova solo una persona che ho il compito di proteggere su sua espressa richiesta, non ha nulla a che vedere con voi.-
    Si fermò, con il capo basso sospirò di nuovo, prima di tornare a fissare gli altri con i suoi occhi di ghiaccio che brillavano celesti oltre il cappuccio. -Non obbligatemi ad assecondare i miei doveri.-
    -E questa persona di cui parli è responsabile per quello che sta succedendo a Radiant Garden?-
    Il cappuccio nascose abilmente la smorfia combattuta della donna. Rispondere a quella domanda era difficile per lei e per più di una ragione: chi si poteva definire come vero responsabile di ciò che stava accadendo? Era forse lei, l’Organizzazione che stava alle sue spalle? Il ragazzo, forse? O ancora l’Oscurità, pura e semplice? Erano comunque dettagli che non le erano mai importati fin dal primo momento, l’unica cosa che contava era quel risultato estremamente favorevole per lei, i suoi piani e tutte le persone coinvolte, pur se contro la loro volontà. Per la stessa ragione, l’unica risposta che aveva dare era quella che avrebbe concesso loro meno informazioni e, di conseguenza, meno strumenti per vanificare ogni cosa.
    -No.- rispose semplicemente, con un gesto secco della mano. -Ma non mi è concesso dirvi più di quanto ho già fatto.- Risultare tanto sospetta non le faceva piacere, ma non era nella posizione di mentire, non quando i suoi nemici erano già più che convinti di essere sul sentiero giusto.
    L’uomo muscoloso, infatti, rubò la parola insistendo su quel punto con ampi gesti delle mani e voce squillante, allegra all’apparenza ma pregna di un astio malcelato al di sotto. Le sorrise, mentre alludeva alla possibilità che lei sapesse molto più di quanto non voleva rivelare e che, magari, lei e qualcuno alle sue spalle fossero coinvolti in quell’incidente in prima persona. Il suo compagno lo sostenne con ulteriori, noiose parole, giochi oratori estremamente fuori luogo in quel momento, non prestò loro più attenzione del dovuto: che mentisse o meno, come egli suggeriva, aveva poca importanza, l’unica domanda che dovevano porsi era se fossero davvero risposti a rischiare la vita contro di lei per un obiettivo che, in fondo, erano solo convinti fosse giusto.
    Passò rapida lo sguardo su Xisil, sulla donna che per tutto il tempo aveva mantenuto una freccia incoccata nel suo arco, spinta all’apparenza dalla diffidenza ma, la Nessuno ne era certa, sotto sotto con ben altre ragioni: quella sua unica parola, il suo nominare l’Organizzazione, doveva aver riportato qualcosa anche alla memoria dell’uomo, quel tanto che bastava, almeno, da suscitare in lui una simile intuizione. Coloro che aveva di fronte, quindi, non erano dei perfetti sprovveduti, una qualità che però rischiava solo di ritorcersi loro contro.
    Sorrise, allora, perché un istinto che ben non comprendeva era scattato dentro di lei ed ella decise di seguirlo, piegando le sue labbra per un breve istante in risposta a quelle parole così vicine alla verità. -Non so cosa tu stia insinuando…- rispose al suo accusatore, con un gesto noncurante della mano, pur avendolo estremamente chiaro. -… ma ti sbagli. In questo incidente, noi siamo vittime quanto lo siete voi.-
    Sospirò e riprese fiato: non aveva mentito, anche se la scelta di parole non era certo stata la più fortunata: nessuno dell’Organizzazione aveva pronosticato un risultato simile, non era una menzogna, tuttavia la Nessuno non riusciva davvero a vedersi come vittima, in quel frangente, quanto piuttosto come parte del carro dei vincitori. Quei dettagli, tuttavia, non era certo necessario che i mercenari li conoscessero.
    Allora si voltò a fissare l’uomo dalla pelle scura, poi le due ragazze: studiò le loro condizioni, il modo con cui si reggevano in piedi, le ferite che erano visibili sul loro corpo. In misura diversa, il combattimento che avevano affrontato mostrava il suo peso su di loro, ma non in maniera sufficiente a crederli inoffensivi; anzi, se le serviva una prova della loro pericolosità, quella era proprio il fatto che fossero riusciti a giungere fin lì, di fronte a lei.
    -Lui non vuole incontrare nessuno.- spiegò allora, con un sospiro esausto. -Soprattutto non dei mercenari sconosciuti armati fino ai denti. Non c’è nessun altro complotto o mistero dietro tutto questo.- ammise con solo una punta acida nel suo tono a chiarire che ulteriori compromessi non erano accettabili. Intrecciò le dita e chinò appena il carpo: -Ve lo chiedo per favore un’ultima volta: lasciateci in pace, non stiamo cercando di fare del male a nessuno.-
    Eppure qualcuno non era ancora soddisfatto: alle sua onesta richiesta, rispose per la prima volta la voce esasperata e lapidaria di Xisil, quella voce che, se si fermava a ricordare, rievocava in lei memorie più forti di quanto non avrebbero dovuto essere. -Andiamo al sodo: come mai così in vena di chiacchiere? Perché prenderti il disturbo di avvertirci prima di eliminarci?-
    La donna si voltò lentamente verso di lei, strinse appena gli occhi glaciali ed osservò la sua rivale: per lungo tempo la studiò, cercando di comprendere i sottintesi di quelle parole. La Nessuno ricordava appena cosa fossero i sentimenti, eppure la guerriera era rivelata ai suoi occhi come un libro aperto, nell’unico occhio fiammeggiante era specchiata la sua anima.
    “Questo… è odio, no?” contemplò Xophiab, riportando alla mente ciò che aveva visto quel giorno, settimane prima, ricordando le espressioni nate sul viso di Xisil in quell’occasione. Forse era per il suo essere Nessuno, ma la donna non riusciva a comprendere le ragioni di tanto astio. Un’idea in mente l’aveva, tuttavia: “Il fallimento di quel giorno… è così personale?”
    La spadaccina continuò a tempestarla di domande, le domandò la sorte delle altre guardie del comitato e dell’intera città, con parole non dette la accusò di tutte le vicende che si erano rivelate attorno a loro. Xophiab si strinse il mento tra le mani, chiuse gli occhi pensosa e poi, con una celata espressione di vago dispiacere, conscia di quanto le sue parole potessero suonare vacue alle orecchie di Xisil, ripeté: -Le mie intenzioni le ho già rivelate, non ho ragione né interesse nel farvi del male finché assecondate questa mia unica richiesta.-
    Prese allora fiato, distolse per un attimo lo sguardo ed andò a cercare gli spettatori assopiti, lontani sparsi nella sala d’ingresso. -Stanno solo dormendo.- spiegò. -Si risveglieranno appena il nostro… “negoziato” sarà giunto alla fine. Per quanto riguarda la città, non ho avuto parte a qualsiasi cosa sia accaduta. Ve l’ho già detto: ne sono stata coinvolta involontariamente, proprio come voi.-
    -E cosa ti fa pensare che siamo disposti a negoziare con te?- sibilò Xisil in risposta, impaziente proprio come prima. La sua mano ebbe un fremito, la freccia minacciò di essere scoccata. -O con voi, dovrei dire.-
    Xophiab scrollò le spalle: -Nulla, ma sono venuta da voi perché speravo di poter evitare una risoluzione violenta.- chiuse gli occhi, inspirò lentamente. Non avrebbe voluto dover aggiungere altro, combattere dopotutto non era nella sua natura o, per lo meno, di questo si era convinta interrogando i ricordi della sua vita precedente. Tuttavia, dovette riaprire gli occhi e rispondere a Xisil con ancora più fermezza: -Tu dovresti sapere che ne sarei capace, se costretta.-
    Altre interruzioni, altri commenti. Ormai la Nessuno aveva smesso di curarsi dell’astio e dell’ostilità che il gruppo le mostrava, tuttavia fu di nuovo dalla sua vecchia conoscenza che giunse una domanda che la sorprese, lasciandola per un istante senza parole con la bocca aperta. -Anche lui è qui? È lui che stai cercando di proteggere?-
    Xophiab sbatté le palpebre più volte. -Oh…- mormorò soltanto, prendendosi un lungo momento per far quadrare il pezzo inaspettato del puzzle che aveva costruito attorno a quelle vicende. Aveva trovato la sua risposta, aveva compreso la fonte di tutto l’odio che la guerriera provava per lei. -Lo stai ancora inseguendo?- fece con stupore, ma senza aspettarsi la risposta che già aveva intuito. -Mi dispiace, ma il ragazzo non è coinvolto in tutto questo.- concluse atona, senza distogliere però lo sguardo da quella ragazza che, di colpo, sentiva di riuscire a capire molto più a fondo e verso la quale, per tale motivo, provava una certo interesse.
    Xisil non sembrava intenzionata a dirle altro, non mostrava alcuna intenzione di mettere un freno alle sue emozioni e tornare sulla via della ragione, la Nessuno la compativa un poco per quello. Fu invece l’uomo a torso nudo a rivolgerle ancora la parola: con atteggiamento sprezzante e scettico e non poca ironia nel timbro della sua voce, tentò di approcciare la situazione da un altro punto di vista: si mostrò disponibile a credere alla sua versione dei fatti, sebbene fino a quel momento avesse dimostrato un’estrema opposizione, e tentò invece di chiederle informazioni invece sulle creature che avevano affrontato, i difensori di quella dimensione. In realtà, si aspettava avessero già dedotto ciò che c’era da sapere su di essi. Valutò di essere aprirsi sull’argomento, conscia che alla fine la verità su di loro sarebbe sorta comunque a galla, ma dopo una rapida riflessione decise di continuare a seguire la strategia che si era già preparata: anche quello stallo le era favorevole, dopotutto, e pur non essendo tanto audace da ritenersi capace di eliminarli dal primo all’ultimo con facilità, era sicura di poterli tenere impegnati quel tanto che bastava.
    -Di quanto poco sono a conoscenza, ciò che posso condividere ve l’ho già rivelato.- lo liquidò con tono piatto, che non comunicava nulla. -Spingermi oltre verrebbe meno ai miei doveri, vi prego di comprendere.-
    -Io no, non comprendo, mi dispiace.- Si voltò verso Xisil, i loro occhi si incontrarono di nuovo, scintille d’ira e determinazione che brillavano nella sua rivale. -Ne ho già avuto abbastanza dei tuoi doveri, dei vostri piani. Una volta mi è bastata.-
    Xophiab non le rispose, rimase in silenzio con espressione neutra: se ciò che aveva detto con modi tanto collerici era vero, allora la Nessuno l’avrebbe accontentata: la spadaccina non avrebbe dovuto temere, perché lei si sarebbe premurata di fare in modo che non ci fosse una terza volta e che non dovesse mai più affrontare quei suoi ricordi dolorosi.
    -Ho una proposta.- intervenne dopo molto tempo l’uomo dalla carnagione scura: con le braccia conserte ma l’indice destro ben alto a chiedere la loro attenzione le sorrise affabile, come aveva sempre fatto. Credeva davvero che, dopo l’ennesimo tentativo, il risultato sarebbe variato?
    -Il tuo compito è quello di fare da guardia alla persona che si trova oltre questo corridoio, giusto?- insistette quello con forzata gentilezza. -Se non vuoi che ci avviciniamo, tu e il tuo protetto potete spostarvi, di modo che noi possiamo seguire quello. Senza disturbarvi.- propose, indicando il flusso di oscurità che le scorreva accanto. Per un momento alzò lo sguardo verso di esso, quindi sospirò tornando ad abbassare la testa. C’erano già loro ad occuparsi di quello, se era dell’oscurità che si preoccupavano, potevano tranquillamente evitare; peccato solo che non potesse rivelarlo loro, non senza suscitare ulteriori, scomode domande.
    -Questo è impossibile.- asserì soltanto, rendendo di pietra irremovibile il suo corpo. -Il mio protetto non è in grado di muoversi da dove si trova: fosse altrimenti, avrei evitato questo confronto più che volentieri.-
    Nessuno seppe più cosa dire: gli occhi del gruppo erano fissi su di lei, Xophiab ignorava i loro sguardi diffidenti e li osservava invece, pronta a qualsiasi loro reazione, le dita della mano destra che sfregavano tese le une contro le altre.
    Fu in quel frangente che, da dietro tutti gli altri, l’unica persona che non aveva mostrato alcuno stimolo durante la lunga discussione si fece avanti, muovendosi in avanti con aria rassegnata. -"Se seguirete l’oscurità, troverete tutte le risposte."- enunciò ad alta voce, con gli occhi persi nel vuoto. Xophiab aggrottò la fronte, leggermente confusa.
    -È questa l’unica pista che abbiamo.- continuò la ragazza. -Una pista che ci ha condotto dall’unica persona che sembra essere consapevole quanto noi della situazione. Se davvero sei una vittima anche tu, come hai sostenuto…- le sue parole si fermarono, ma i passi continuarono imperterriti, più rumorosi che mai. -… facci passare.-
    Xophiab indurì il suo sguardo. La donna avanzava sicura, seppur con un’aura grama attorno a lei: sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, sapeva che la Nessuno non si sarebbe mossa, eppure avanzava senza puntarle contro alcuna arma, solo con la copertura di Xisil che, alle sue spalle, continuava a tenerla sotto tiro con il suo arco.
    La donna in nero sospirò, chiuse gli occhi e rinsaldò la sua fermezza, le mani indurite, pronte a scattare. -Conosci già la mia risposta, ragazza.- sentenziò gelida. Vide l’avversaria espirare rassegnata, Xophiab scosse la testa in silente risposta. Non c’era ragione di rattristarsi, quella era la conclusione più ovvia, dopotutto: la Nessuno non voleva farne loro una colpa, ma dal momento in cui avevano raggiunto quel mondo, ogni loro sentiero, ogni possibilità erano stati cancellati, sostituiti da un capolinea senza fine.
    -Parole e tempo sprecati.- sostenne l’incosciente ragazza, continuando la sua marcia. -Non sei né la padrona di questo castello, né delle mie azioni.-
    Le parole di Egeria fecero da sprono agli altri: uno dei due uomini sguainò la propria spada, per poi scambiarsi un’occhiata col secondo che, pur restando nelle retrovie, era chiaramente pronto a fare la sua parte. Xisil continuava a tenerla sotto tiro, mentre la quarta stava ormai chiudendo la distanza che le separava.
    I negoziati erano finiti, ed il risultato era stato fin troppo prevedibile. Eppure Xophiab sentiva comunque che quell’intermezzo aveva portato dei buoni risultati, i migliori in cui potesse sperare, in fondo. E la prova la sorprese proprio in quel momento.
    Con lieve stupore, vide La ragazza davanti a lei barcollare, i suoi passi si fecero instabili per un istante, i suoi occhi s fecero vacui ed il suo corpo sussultò: rapida portò lo sguardo anche su tutti gli altri: vide la stessa reazione, come se di colpo spirito e corpo si fossero estraniati l’uno dall’altro ed il controllo sul secondo non fosse più nelle loro mani. Li vide tremare e sudare freddo, più di uno sguardo corse a lei, spaventato e carico di rabbia e domande. La Nessuno non mostrò reazione, ma se ne fosse stata in grado si convinse che avrebbe riso sguaiatamente.
    -Hai ragione.- disse invece, guardando Egeria dall’alto, mentre muoveva un passo indietro. -Io non sono la padrona delle tue azioni.-
    Alzò il braccio e schioccò le dita: parte del fumo rosato disperso attorno a loro tornò verso di lei, si condensò e come spuma prese forma ai suoi fianchi, esplose di colore e si compattò fino ad assumere due forme distinte. Alla sua destra, un leone dalla criniera smeraldina ed il corpo scuro, con affilati artigli dorati ed uno sguardo scarlatto puntato verso i quattro mercenari. A sinistra, invece, un essere scheletrico, un minaccioso tirannosauro dei colori dell’arcobaleno, che aggressivo spazzava terra con la sua grossa coda a forma di palla chiodata, mentre dalle sue fauci emetteva un ruggito rauco.
    -Tuttavia…- concluse Xophiab, pungendo la ragazza con il suo sarcasmo. Un portale oscuro si aprì alle sue spalle e, prima che gli astanti potessero fermarla, la sua figura divenne un tutt’uno con le tenebre. -… presto non lo sarai nemmeno tu.-




    Bone To Be Wild
    300px-Skelterwild_%28Nightmare%29_KH3D
    Corpo: 150
    Essenza: 40
    Mente: 30
    Concentrazione: 50
    Destrezza: 60
    Velocità: 80


    Energia: Gialla
    Crowns: Symbol_-_Crownargento

    Caratteristiche: Dream Eater molto potente, incapace di contenere lui stesso la propria furia. È gigantesco in dimensioni, alto almeno tre metri e lungo il doppio, dall'aspetto minaccioso ed inquietante, capace con la sola presenza di assoggettare i nemici più deboli. A ragion veduta, infatti, perché è una delle creature oniriche più potenti e difficile di domare, nonostante sia dominato da puro istinto e non abbia una vera mente capace di indicargli il nemico. Non solo la mente, a questa creatura sono molti gli organi che gli mancano: cuore, visceri, muscoli, tutto è scomparso, di lui restano, o forse sono sempre e solo esistite, semplicemente le ossa. Il cranio è grosso e minaccioso, la sua mandibola è ancora misteriosamente capace di emettere possenti ruggiti ogni volta che avvista un nemico e i suoi denti aguzzi, uniti alla sua forza dirompente, possono distruggere ogni cosa e divorare tanto i nemici quanto qualsiasi ostacolo si frapponga tra lui e le prede. È un potente cacciatore, seppur per nulla discreto, ma abbastanza veloce e persistente da poter conquistare qualsiasi trofeo di caccia, senza eccezione. Rispetto ai famosi tirannosauri, questo Dream Eater può addirittura vantare arti anteriori discretamente lunghi, due forti braccia che appaiono come falci, altrettanto utili in combattimento se non forse un po' meno affilate, benché ugualmente letali. Dure scaglie decorano la sua schiena, non possiede un unico definito colore ma in qualsiasi sua parte vi è un'esplosione di vita, tinte diverse che si mischiano assieme come in una tavolozza caduta, sfuggita al controllo del pittore per un risultato tanto eccentrico quanto spaventoso; perché ciò che meglio si nota sono i rubini assetati di sangue incastonati nella sua testa, fiamme ardenti laddove, e chi lo ha incontrato potrebbe affermare con certezza tale fatto, nemmeno dovrebbe avere degli occhi. La sua coda è lunga e resistente, ma non termina come quella dei suoi normali simili: essa, infatti,mostra una possente palla da demolizione, duro tessuto scheletrico modificato a rassomigliare una sfera chiodata tempestata da grosse ( diametro di oltre 10cm alla base e lunghe altrettanto) spine scarlatte quanto il sangue dei nemici che sono periti sotto i suoi colpi.

    Equipaggiamento: Come già accennato, questa possente creatura dispone di un gran numero di armi naturali, grazie alle quali è capace di prevalere su qualunque avversario. In realtà, è possibile dire che il suo intero corpo sia un'arma: il suo scheletro, infatti, non è composto da comuni ossa, esse sono resistenti quanto l'acciaio di una lama, pesanti quanto esso ed ugualmente potenti, non c'è un centimetro del suo corpo che si possa considerare punto debole, dalla testa alla punta della coda ciò che lo compone è allo stesso tempo uno scudo ed un'arma perfetta. Per questa ragione combatterlo con la forza bruta è altamente difficile, dopotutto l'unico modo per vincere uno scheletro è distruggere l'unica cosa che lo compone, le sue stesse ossa, e frantumare le sue non è certamente un'impresa da poco. Resistente a qualsiasi colpo fisico che non sia portato a segno con una tecnica o con un parametro di corpo considerevolmente più alto del suo [Abilità Passiva Fisica – Superiore], la sua sola natura gli porta anche un secondo vantaggio, rendendo la sua inesistente e metafisica mente un bersaglio pressoché impossibile per psioniche del grado di passive o inferiori [Abilità Passiva Psionica - Superiore] Il tutto è però compensato da una enorme, facilmente intuibile debolezza: il suo corpo non ha modo di resistere gli attacchi magici, è completamente vulnerabile agli incantamenti che possono essere usati contro di lui e che siano fiamme o acqua, vento o terra, la sua esistenza verrà messa a rischio anche dalla più piccola scintilla di potere, al punto da subire danni elevati di una categoria ogni volta che una abilità magica riesce a raggiungerlo [Abilità Passiva di Malus].
    Il Bone To Be Wild è un letale predatore, la massima espressione della potenza dei tirannosauri, di creature enormi e antiche che solo nella fantasia delle persone riescono ancora a sopravvivere e forse proprio questo gli fa dono dei colori variopinti ed innaturali di cui sono tinte le sue ossa. Tuttavia, non è solo un tirranosauro, ha qualcosa di più. Una terza e ultima arma, uno strumento in grado di fare la differenza, di donargli quella forza che gli serve a dominare su ogni altro Dream Eater: la palla chiodata che sostituisce la sua coda. Essa è resistente e potente quanto se non più del suo scheletro, e presenta, lungo tutta la sua superficie, una decina di spuntoni lunghi una decina di centimetri l'uno che non lasciano scampo a chiunque abbia la sfortuna di conoscerli personalmente sulla propria pelle. È una normalissima arma, senza capacità o caratteristiche particolari, ma non ha bisogno di ulteriori poteri per essere trattata come una grande minaccia: per quanto banale, il Nightmare può agitarla come gli pare e, con la forza di cui dispone, quello è il potere più grande di cui potrebbe avere bisogno.

    Abilità:

    Spooky Scary Skeleton [Abilità Passiva Fisica Normale] – Non è facile riuscire a sfruttare il vantaggio numerico contro un Bone To Be Wild. Può sembrare uno scherzo, può sembrare una capacità che si potrebbe trovare solo in un film horror di serie B, eppure esso è davvero in grado di dividere il suo corpo, di controllare le sue ossa anche quando non sono unite in un'unica massa, sfruttando così parti diverse del suo corpo per attaccare da più fronti. Nello specifico, il Dream Eater ricoprirà il suo corpo, per qualche istante, di fiamme scure, bluastre. Subito dopo, il suo capo si separerà dal collo, rendendo così il capo una parte totalmente indipendente da tutto il resto. Può rimanere a lungo in questa forma quanto a lungo desideri e con la stessa semplicità può ricongiungere le sue parti. I danni che subisce in questa forma non hanno nessuna mutazione, tuttavia, e colpire la testa (o il corpo) è esattamente tanto efficace quanto poteva esserlo prima.

    Bone Smash [Abilità Attiva Fisica – Livello Medio] – Anche a costo di mettere a rischio se stesso, anche se il suo corpo potrebbe non essere in grado di reggere un simile sforzo (cosa di cui lo stesso Nightmare non si rende in realtà conto) egli sa solo che questa tecnica è capace di polverizzare qualsiasi nemico con il suo eccezionale potere. Esso, infatti, trasferirà buona parte dell'energia oscura che tiene assieme le sue ossa, che gli permette di esistere, all'interno della sua coda o, per l'esattezza, della palla chiodata. Con un movimento brusco dell'appendice, allora, muoverà la sfera che si staccherà dal resto del suo corpo, lanciata in aria come un siluro o come una bomba. Il potere oscuro la renderà molto più massiccia, più pesante, più letale. Guadagnato all'improvviso il peso di oltre un quintale, non solo risulterà letale per chiunque sia colpito direttamente, ma proprio come una granata, allo scontrarsi con il terreno, scaricherà tutto il suo potere, esplodendo con una devastante onda d'urto che spazzerà via con enorme violenza chiunque si trovasse a distanza ravvicinata da essa, rischiando così non solo che l'ondata in sé sia dannosa contro la vittima, ma che il suo “volo” termini contro una parete o qualcosa di ugualmente doloroso. E come se questo non fosse prova sufficiente di potenza, mentre una nuova palla chiodata si formerà sulla coda del Bone To Be Wild, laddove si trovava quella esplosa, come unico segnale di ciò che era stato si potrà trovare un grosso e profondo cratere, causato in parte dalla caduta di un oggetto tanto pesante, in parte dal suo scoppio (la potenza della tecnica è divisa tra la caduta del maglio e l'onda d'urto che ne consegue)


    Mondo/i di provenienza: Regno dei Sogni

    Bottini: Stele dell'Ira, Pietra Ardente



    Aura Lion
    300px-Aura_Lion_%28Nightmare%29_KH3D
    Corpo: 80
    Essenza: 80
    Mente: 80
    Concentrazione: 70
    Destrezza: 40
    Velocità: 40


    Energia: Verde
    Crowns: Symbol_-_Crownargento

    Caratteristiche: L'Aura Lion è uno dei più pericolosi predatori che infestano i mondi addormentati, una creatura tanto pericolosa quanto intelligente capace di elaborare strategie non da meno di quelle umane con l'imprevedibile potere di cui dispone per avere la meglio su qualsiasi avversario gli si pari davanti. Il suo aspetto è evidente segnale di questa realtà: ogni suo dettaglio lascia trasparire la forza e la regalità di cui è dotato, elevandolo all'apice degli esseri della sua specie: come per ogni leone degno del nome, una regale criniera avvolge il suo muso ferino, tuttavia risalta ancora di più per l'inusuale colore di cui essa è tinta, così come tutto il suo corpo: essa infatti brilla di un azzurro acceso e scossa dal vento appare morbida e fluttuante come un'onda inacchiappabile, che circonda i suoi occhi scarlatti come rubini e il suo grosso naso roseo. Proprio sotto al mento, è su questa stessa criniera che svetta nobile, come il sigillo di una casata reale, il simbolo della sua specie, il marchio che accomuna tutti i Dream Eater, quasi lo stesse indossando con orgoglio. Anche il resto del suo corpo è caratterizzato da colori variopinti tanto insoliti da apparire irreali: il suo intero corpo, infatti, è tinto in scure tonalità di blu e viola, ad eccezione di grossi pois e tatuaggi tribali che percorrono con il loro acceso arancio tutto il suo corpo. Anche la coda possiede quel caldo colore, ma anziché ciuffi di pelo come ci si aspetterebbe, essa termina con grossi gusci, sovrapposti l'uno sull'altro, che assomigliano fin troppo ad una inaspettata armatura a scaglie. Tuttavia, chiunque trovi questa creatura davanti a sé non avrà mai il tempo di ammirarlo con tanta attenzione: non si può dire che sia di natura violenta, ma è implacabile con chiunque designi come suo nemico e, pur prestando attenzione e preparando con cura l'assalto prima di gettarsi nella mischia, non dà mai le spalle alle prede e impiega ogni mezzo per sopraffarle, obiettivo che le affilate zanne d'argento e gli artigli dorati, che nascono affilati dalle sue zampe rosee adornate da piccole ali, contribuiscono a realizzare.

    Equipaggiamento: Come ogni bestia ferina, sono zanne ed artigli le armi di cui questo leone si serve in battaglia e, efficaci come sono, è chiaro che non ha bisogno di nient'altro: all'apparenza, la sua dentatura non appare particolare o degna di nota, se si dimentica che la potenza della sua mascella gli consente di distruggere persino la roccia con la stessa comodità con cui potrebbe azzannare una noce di burro. Neppure gli artigli sono estremamente lunghi, raggiungendo a malapena i dieci centimetri l'uno, ma la forza che nasconde in quelle zampe muscolose, accoppiata con l'affilatezza che essi posseggono, rendono gli artigli uno strumento perfetto per agguantare e strappar via la vita dei suoi nemici.

    Abilità:

    Aura Discharge [Abilità Attiva Magica – Livello Alto] – Il leone punta i piedi per terra, abbassa schiena e capo, carica tutta l'energia del suo corpo, quindi si innalza sulle sue zampe prima piegate e lancia un possente ruggito. L'aura accumulata nel suo corpo prende forma e si separa da esso, diviene una nuova creatura identica ad esso, se non per il colore azzurro e traslucido di tutto il suo corpo e per la mancanza delle gambe posteriori al posto delle quali, come fumo che si disperde nell'atmosfera, i flutti di energia che lo compongono si fanno molto più deboli. Questa creatura scatterà fluttuando in aria, si muoverà come una freccia scoccata, ma con la capacità di deviare leggermente la sua traiettoria verso destra o sinistra per inseguire la preda che fosse abbastanza agile e pronta di riflessi da tentare una fuga, ed avanzerà distruttiva fino a otto metri di distanza dall'Aura Lion che l'ha creata. Se dovesse raggiungere l'obiettivo e azzannarlo con i suoi morsi devastanti, se dovesse scontrarsi con qualcosa (come altre tecniche) di simile potenza o semplicemente per rispondere al volere del suo creatore, allora il leone esploderebbe immediatamente, causando devastazione con il potere della sua aura rilasciato in un solo istante e causando così gravi danni da esplosione a chiunque si trovasse entro un raggio di cinque metri, mentre se ci fossero altri ostacoli a separarla dal suo bersaglio essa, come un fantasma o un essere onirico, si limiterebbe ad attraversarlo, non affetta minimamente.

    Aura Mirage [Abilità Attiva Illusoria – Livello Medio - Mantenimento] – Sarà sufficiente il tempo di un solo istante, la figura del leone tremerà baluginando, come se la sua stessa esistenza non fosse altro che un illusione, e dove c'era una sola creatura ne appariranno due. Entrambe saranno ugualmente false, entrambe saranno ugualmente reali: finché l'illusione non sarà distrutta, il vero Aura Lion esisterà in entrambi e in nessuno di essi allo stesso tempo e, proprio per questo, riuscirà sempre, in qualche modo, a scambiarsi con il suo falso nell'esatto istante in cui un attacco (e uno solo) dovesse venire nella sua direzione, eppure anche se l'avversario avesse prestato attenzione ai loro movimenti, anche se credesse di sapere quale sia il vero leone e quale sia la copia, questi scoprirà sempre a sue spese che, nel momento in cui uno di essi dovesse tentare di azzannarlo, graffiarlo o lanciarsi in un qualsiasi attacco, allora in quello stesso istante esso diventerebbe il vero leone, aprendo così sempre una possibilità all'Aura Lion di prendere di sorpresa i suoi avversari e di sferrare un colpo decisivo a qualsiasi guerriero non sia abbastanza abile da tenere al guinzaglio due animali allo stesso tempo.

    Aura Charge [Abilità Attiva Fisica – Livello Variabile] – concettualmente, questo è forze l'utilizzo più banale e all'apparenza più debole che il leone fa della propria aura, eppure è proprio il massimo potere a cui un predatore, che per necessità deve sopraffare ogni altra creatura, può aspirare. Concentrando la sua aura dentro al proprio corpo, quindi, il che apparirà come se spire di fuoco bluastro fossero avvampate in lui, circondandolo con la loro potenza ma senza consumarlo, la potenza del suo corpo sarà incrementata e la sua pericolosità in battaglia aumenterà di conseguenza. Il re della foresta utilizzerà la quantità di energia che ritiene più appropriata, le fiamme che si impossesseranno di lui saranno più o meno vive di conseguenza, ed il suo parametro di Corpo subirà una modifica proporzionale, maggiore a seconda del livello scelto per la tecnica.


    Mondo/i di provenienza: Regno dei Sogni

    Bottini: Pietra Energia, Scheggia Energia



    ve' che sono stato pure buono e vi lascio attaccare per primi, e poi dite che non vi voglio bene ù_ù
    La roba autoconclusiva sarebbe dovuta arrivare a metà dialogo, in teoria, ma l'ho posticipata per non interrompere il bel momento idilliaco lel per adesso vi ho risparmiato i dettagli su cosa stia succedendo, anche se siete dei bimbi svegli e sono certo che ci arriverete anche da soli
    Non credo ci sia molto altro da dire, a parte... in bocca al lupo!
     
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    IL QUARTO REGNO

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    Una ragazzina dai capelli neri esita sul ciglio di una porta. Vuole bussare, ma non sa ancora cosa dire. Il suo sguardo viaggia più volte dai lembi del vestito bianco alle nocche rimaste ferme a mezz’aria, dalle scarpette beige al legno scuro dell’uscio.
    È confusa. Non sa come affrontare quella situazione.
    Prende un profondo respiro. Uno, due colpetti.
    – Mamma?
    Nessuna risposta. La ragazza gira delicatamente il pomello ambrato.
    – Non entrare – intima una voce femminile e autoritaria. – Non ho voglia di parlare.
    La ragazza obbedisce, ma non richiude del tutto la porta. Il pomello trema insieme alla sua mano.
    – Stavi… piangendo, a tavola. Ho detto qualcosa di sbagliato?
    Uno, due secondi di silenzio. – No.
    La ragazzina continua a non capire. – Io pensavo… che ti avrebbe fatto piacere.
    – Vai a letto, Egeria.
    – Mamma…
    – Vai a letto.
    – Mi dispiace, io…
    Grattare soffice di legno su moquette. Sua madre si è alzata. La porta si spalanca.
    Egeria abbassa lo sguardo. Crede di averla fatta arrabbiare.
    – Guardami.
    Obbedisce a fatica. Sua madre ha gli occhi arrossati dal pianto e un’espressione delusa.
    – Te lo ripeterò di nuovo. Come avevo fatto a tavola. Dobbiamo nasconderci. Questo significherà che non potrai più rivedere tua sorella.
    La ragazzina deglutisce, i suoi occhi si fanno opachi.
    – Non sto parlando di qualche settimana, come è stato fino ad ora. Non sto parlando di qualche mese.
    – Lo so.
    – No, non mi pare.
    Non capisce.
    – Come ti senti, adesso? – incalza sua madre.
    Egeria non ha bisogno di mentire. – Triste –. Perché glielo stava chiedendo? Abbassa il capo. Sente lo sguardo di sua madre su di sé. Non capisce.
    Un contatto delicato sulla guancia. Un’inaspettata carezza. Egeria alza il capo, quasi allarmata: sua madre si è inginocchiata di fronte a lei: sta lottando per non piangere ancora. – Non devi – dice.
    – Essere triste?
    – Essere forte.
    Egeria deglutisce ancora. – Mi hai… – si morde le labbra – Mi hai detto tu di essere forte. Mi hai detto tu di non piangere.
    La bocca di Helena si dischiude appena. La sua espressione si congela per un istante. – Mi dispiace – sussurra con voce rotta.
    La ragazzina non sa cosa dire. Non capisce. – Di cosa?
    La mano di sua madre si allontana dalla sua guancia.
    – Vai a letto, Egeria.


    Ricordi e realtà onirica contendevano il sottofondo della sua avanzata. Un passo dietro l’altro, verso la donna in nero e il recinto di fumo. Solo occasionalmente Egeria alzava il capo alla ricerca di un segno: ostilità, delusione, disappunto; tristezza; ma il volto bianco di lei non tradiva alcuna emozione. Alcuna intenzione.
    Proprio come il suo.
    Curioso come la più forte empatia possa generarsi dalle comunanze più fredde. Curioso come il ricordo più sepolto possa riemergere nei momenti più tesi.
    Egeria non era mai stata insensibile. Eppure -lo sapeva- spesso agli altri appariva così. La gioia, la delusione, la tristezza: sul suo viso si assomigliavano tutte. Quel giorno, l’unica volta che sua madre avesse mai pianto di fronte a lei, non aveva capito. Non aveva capito perché Helena fosse così triste, così delusa di se stessa. Perché non reagisci?, doveva aver pensato. Tutto questo conta davvero così poco, per te?
    No. No, niente affatto. Celia è tutto, per me.
    E allora perché non reagisci? Perché non piangi?
    Te lo dico io, perché.

    No.
    ”Mi hai detto tu di essere forte”. Non è vero?
    No. No, sua madre si sbagliava. Quella non era forza. Lei non era mai stata forte; né per Helena, né per Celia, né per se stessa.

    Si bloccò, improvvisamente allarmata. Qualcosa non andava. Il suo corpo era diventato a un tratto debole, tremante. Abbassò lo sguardo sulla sua mano destra: era in preda alle convulsioni, e il tremore si stava espandendo al resto del corpo.
    Istintivamente guardò la donna, le palpebre sbarrate: doveva essere stata lei. Una magia, un trucco. Tuttavia, quando lo incrociò, il volto bianco non le raccontò che un timido stupore. La loro interlocutrice era confusa quanto loro. Ma allora cosa…?
    Si rese conto di star sudando, come in preda a una forte febbre. La testa le girava e le sue percezioni si stavano obliando, come stesse per svenire. No, fu l’unico pensiero che riuscì a elaborare. No, non così!
    Credette di sentire una voce, ma non capiva cosa stesse dicendo. Inconsciamente rialzò il capo che non le apparteneva più: le labbra della donna in nero stavano articolando qualcosa. Lei. Era stata lei a parlare. Si stava rivolgendo a lei, ma non sentiva, non capiva. La stava deridendo? Deglutì a vuoto.
    Tentò di muovere un passo: le gambe non le risposero.
    Tentò di richiamare il Kervion: il metallo restò in silenzio.
    Tentò di mettere in ordine i pensieri, di calmare quell’improvviso caos lucido che aveva totalizzato ciò che rimaneva della sua coscienza: non ci riuscì.
    Ma proprio quando stava per arrendersi all’impotenza tutto finì: i tremori, i giramenti, l’oblio. Fu come se la sua coscienza fosse stata ricacciata a forza nel suo corpo da mani invisibili.
    Respirò come chi risale da un’apnea forzata e gettò il busto in avanti, le mani che cercavano appoggiò sulle ginocchia esili. Il suo petto si alzava e si abbassava freneticamente, più per lo spavento appena subito che per un effettivo spossamento. Passarono gli istanti. Il suo cuore rallentò. I suoi pensieri tornarono in ordine.
    Solo raccogliendo tutto ciò che rimaneva del suo coraggio e della sua determinazione riuscì a rialzare il busto. Qualunque cosa fosse, era finita. Doveva andare avanti, ora: andare avanti, perché era la cosa giusta da fare. Perché non le rimaneva altro da fare.
    Si aspettava di incrociare nuovamente gli occhi azzurri e vuoti della donna in nero, si aspettava un nuovo, terribile assalto. Tuttavia, quando le iridi vinaccia viaggiarono avanti e misero a fuoco non videro altro che uno sbuffo d’oscurità. La donna era sparita. Fuggita.
    Solo allora notò i mostri, là dove prima c’era solo fumo. Erano enormi e pericolosamente vicini.
    Inconsciamente indietreggiò di uno, due passi, lo sguardo che guizzava nervoso tra i due nuovi arrivati. Il Kervion vibrò nervosamente nel suo zaino.
    Quello alla sua sinistra somigliava a un grosso felino, dai colori insolitamente vivaci. La voluminosa criniera azzurra sembrava, alla vista, quasi tagliente. Non riusciva a paragonare a nulla, invece, l’essere alla sua destra. Decisamente più grande del suo “compagno”, si ergeva sulle zampe posteriori. Buona parte della sua lunghezza era composta dalla coda: un ammasso di ossa che culminava in un’enorme palla chiodata. Il suo muso, anch’esso privo di muscoli e pelle era allungato come quello di un rettile.
    Alle sue spalle, qualcuno parlò. Impiegò qualche istante per capire che fosse Khan: nell’assurdità e nel terrore del momento, si era isolata completamente dai suoi compagni. La rinnovata consapevolezza di non essere sola, tuttavia, la rincuorò.
    «Luridi sciacalli che non siete altro, vi permettete pure di metterci i bastoni tra le ruote?»
    Egeria osservò il giovane di sottecchi: era furioso, ed era difficile dargli torto.
    «Oh! OH!» proruppe Azrael subito dopo. « Sapevo che avrebbe evocato qualcosa! Aveva la faccia da "evoca, scappa e complotta"!»
    Nonostante non avesse assistito chiaramente alla scena, era innegabile che quei due mostri fossero state evocate dalla donna in nero. L’ipotesi che anche le creature che avevano affrontato al Castello fossero state mandate da lei diveniva, a quel punto, sempre più plausibile.
    Il simbolo è lo stesso, notò.
    Strinse i pugni. Quante bugie. Quante bugie avevano dovuto sorbirsi prima di costringerla a rivelarsi per quello che era. Il Kervion guizzò fuori dallo zaino con un movimento fluido. Egeria distribuì il peso su entrambe le gambe, allargandole appena e cercando stabilità.
    «Okay, gente», intervenne nuovamente Azrael, gli occhi stretti rivolti alla più grande delle due creature «il dinosauro è mio».
    Egeria annuì. Anche Khan sembrava aver rivolto la sua attenzione al “dinosauro”. Dietro di lei, Xisil stava incoccando una freccia, gli occhi fissi sul felino. Avrebbe aiutato lei, o si sarebbe trovata in inferiorità numerica. Incrociò l’occhio concentrato della compagna, cercando di ricevere e trasmettere un’effimera confidenza.
    Valutò rapidamente la situazione. I due mostri non si erano ancora mossi: dovevano attaccare per primi, stavolta. Non c’era più spazio per i dubbi. Rimosse dalla fronte una ciocca e prese un ultimo, profondo respiro.
    Agì: il braccio destro scattò fulmineo in avanti, la mano aperta e le dita strette; una porzione sferica di Kervion seguì subito dopo, distaccatasi dal corpo madre, costeggiando il suo braccio e schizzando come un proiettile verso il leone. Arrivato a un paio di metri da quest’ultimo, la trasformazione: da sfera, il metallo liquido si fece mezzaluna. Se il felino non l’avesse schivata, questa si sarebbe chiusa intorno alle sue zampe anteriori come un lazzo, impedendogli così di muoversi efficacemente.
    Vide Xisil scoccare una freccia, ma non poteva rischiare che non bastasse. Richiamò la mano al petto e la diresse al terreno, palmo parallelo allo stesso, mano sinistra sulla spalla. Un’altra, più grande porzione di Kervion la seguì: come un parassita si infiltrò nel terreno, apparentemente scomparso alla vista. Poi furono i tremori. Il Kervion viaggiò, scavo tra la pietra e le piastrelle. Si sarebbe diretto verso il nemico, rombando e stridendo, fino a che non fosse arrivato sotto di lui. A quel punto, l’esplosione. Un enorme spunzone di Kervion che, con un po’ di fortuna, l’avrebbe finito trapassandolo da parte a parte.
    Una volta lanciati entrambi gli attacchi scattò alla sua sinistra, leggermente all’indietro, così da trovarsi di fianco a Xisil e non rischiare, nel peggiore dei casi, di diventare il bersaglio di due contrattacchi. Alla sua destra, rombi e ruggiti le segnalarono che anche gli altri due suoi alleati avevano lanciato la loro offensiva. Fu per un attimo: di sottecchi, intravide la figura esile di Khan interamente ricoperta da un'aura violastra, come di fiamme. Sentì un brivido percorrerle la schiena, ma non lo seppe interpretare. Non poteva pensarci adesso.
    Sentì il fiato tornare a farsi pesante, mozzato dall’ingente consumo di magia. Concentrati, si disse, non esitare. Non potevano fallire ora. Voleva, doveva ritrovare quella donna. Fermarla, se possibile. E a quel punto, solo a quel punto, parlarle ancora.
    Un unico pensiero rimbombò nella sua testa mentre indietreggiava:
    Curioso come la più forte empatia possa generarsi dalle comunanze più fredde.



    Riassunto di battaglia:

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    Cr: 130 | Es: 155 | Mt: 65 | Conc: 75 | Vel: 90 | Dex: 75



    Status fisico: Numerose piccole bruciature di entità complessiva non-tecnica. Fiato corto causato dal consumo alto.
    Status mentale: Adrenalina. Determinazione mista a confusione.
    Energia: 91 – 1 – 16 = 74%


    KERVION
    Oggetto magico, 180 AP

    kervion_6


    Il campione di Kervion attualmente in mano ad Egeria è una sfera perfetta di soli venti centimetri di diametro. Al tatto, la superficie risulta leggermente ruvida, ma non scanalata. Ha un colore grigio-scuro uniforme, e pesa dieci chilogrammi esatti.

    L’unica caratteristica certa del Kervion, prima degli studi pioneristici di Helena, era che qualunque agglomerato del metallo tornasse alla forma sferica dopo aver subito qualsiasi tipo di trasformazione o danno. Non si tratta di vera e propria indistruttibilità, in quanto il Kervion, quando non si trova nella sua forma base, ha una resistenza anche inferiore a quella dell’acciaio; tuttavia, qualora un pezzo si staccasse dal “corpo” principale, andrebbe a riattaccarsi ad esso quasi subito dopo. [In termini di gioco, questa è una Passiva Superiore (25 AP) di indistruttibilità parziale, che giustifica narrativamente anche il “ritornare” dei pezzi del Kervion alla sfera principale quando Egeria lo manipola tramite le sue abilità variabili –descritte di seguito- o di altro tipo. È importante dunque sottolineare che il Kervion è indistruttibile soltanto nella sua forma sferica e non nelle sue manifestazioni, le quali entità saranno legate al consumo speso per crearle.]

    Le ricerche di Helena andarono molto oltre la semplice osservazione dei comportamenti del Kervion: riuscirono a comprenderne le intricate cause, scientifiche e magiche, aprendo così la strada all’utilizzo del metallo stesso per i più svariati scopi. Un dominatore del Kervion, dunque, non è solo un abile mago; in primis, dev’essere uno studioso brillante e instancabile, in quanto è impossibile raggiungere il controllo completo del metallo tramite la sola magia. Helena e, dopo anni e anni di studi, Egeria, furono le uniche a riuscire nell’impresa; nonché le uniche ad essere state in grado di stabilire con il metallo quella che le ricerche di Helena battezzarono “connessione di campo”: una sorta di connessione infrangibile tra Kervion e dominatore, una forza di carattere quasi magnetico che, una volta stabilita, impedisce ai due elementi della “coppia” di non essere allontanati. [In termini di gioco, ciò si traduce in una Passiva inferiore (15 AP) che impedisce a chiunque che non sia Egeria di influenzare in alcun modo il Kervion, o di alterare, a meno che non sia Egeria a permetterlo, la sua struttura sferica “base”. Sarà inoltre praticamente impossibile “rubare” il Kervion tramite mezzi convenzionali, in quanto la passiva gli impedisce di allontanarsi di più di 50 metri da Egeria.]

    Le proprietà del Kervion non dipendono soltanto dal materiale in sé; ne esiste infatti una in particolare che dipende, in gran parte, dal manipolatore. È stata una delle più importanti e sensazionali scoperte di Helena durante i primi studi con e su Egeria: il Kervion, anche se in minima parte, ha delle proprietà simbiotiche in continua evoluzione; più un singolo manipolatore vive a stretto contatto con il materiale, più facile sarà per lui controllarlo. Non si tratta di semplice adattamento, quanto di vera e propria sinergia, che si traduce anche in un tuttora inspiegabile potenziamento delle facoltà fisiche, magiche e persino mentali dell'utilizzatore del metallo. [Questo si traduce in una Passiva Superiore (25 AP) che concede ad Egeria il 4% di sconto su qualsiasi manifestazione magica che coinvolga il Kervion. Come da regolamento, nessun consumo potrà scendere oltre l'1% dopo l'applicazione di quest'abilità; lo sconto, inoltre, non sarà comulabile con altri sconti di alcun tipo.
    Inoltre, finché anche solo una minima parte della forma base del Kervion si trova nei pressi di Egeria, quest'ultima vedrà le proprie statistiche aumentare di 115 punti complessivi, la cui distribuzione è indicata nella tabella statistiche alla fine di questo post. (115 AP)
    ]



    Abilità passive


    L'affinità di Egeria con il Kervion le ha col tempo permesso di sviluppare dei "trucchi" non del tutto dipendenti dalle principali proprietà del metallo. Anni e anni di utilizzo e "convivenza" per i più vari scopi, hanno concesso ad Egeria la capacità di "percepire" attraverso il Kervion, di considerarlo come un'estensione del suo corpo. Ciò è reso possibile da una particolare onda emessa dalle vibrazioni e gli spostamenti del Kervion: con un po' di concentrazione, la giovane è in grado di percepire il percorso di quelle onde e di valutare, di conseguenza, le distanze percorse da esse prima di trovare ostacoli e tornare indietro. Una sorta di sonar rudimentale. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP), che permette ad Egeria di utilizzare il Kervion come un'estensione della sua percezione spaziale. Le onde emesse dal Kervion viaggiano costantemente, da qualsiasi emanazione del metallo, per circa 3 metri in ogni direzione: entro quella distanza, dunque, Egeria può avere un'idea generale della posizione di persone o oggetti che la sola vista non le concederebbe di vedere. Per usufruire di questo effetto, i pezzi di Kervion che emettono le onde non devono essere a più di un metro da Egeria.]

    Manipolare il Kervion può risultare logorante. Nel tempo, Egeria ha tentato di utilizzarlo in modi e quantità che hanno l'hanno spesso portata sull'orlo dello sfinimento. In realtà, inizialmente anche solo spostare il Kervion nella sua forma base, mantenerlo in aria, le risultava complesso e fisicamente drenante. Ora, quest'ultimo caso non rappresenta più una problematica: mantenere in levitazione il Kervion nella sua forma base o nelle sue trasformazioni non istantanee non le richiede più sforzo, né tantomeno un'eccessiva concentrazione. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP) che concede ad Egeria di far levitare il Kervion senza alcun consumo, a patto che esso si trovi a non più di 2 metri di distanza da lei. Nel caso in cui Egeria decida di far levitare in questo modo un'arma creata dal Kervion (o qualsiasi altro oggetto "non istantaneo"), questa non potrà essere mossa in modo da arrecare alcun tipo di danno all'avversario.]


    Abilità attivate


    Il dominio di Egeria sul Kervion è pressoché totale. Con dei rapidi movimenti delle braccia, la giovane può far sì che il metallo si pieghi, estenda, separi, formi proiettili, lame volanti e cupole difensive. Al contrario di molti altri metalli, la struttura unica del Kervion consente a chiunque lo sappia dominare una varietà di scelte nella forma, la consistenza e la duttilità limitata unicamente dall’inventiva, l’energia magica spesa e, soprattutto, la quantità di Kervion a disposizione. Per quanto infatti il Kervion possa facilmente cambiare di densità sotto il controllo di Egeria, non può aumentare di massa. [In termini di gioco, il controllo totale di Egeria sul Kervion le concede due Attive variabili (70 AP), una offensiva e una difensiva (in grado di bloccare anche mezzi di trasmissione psionici). La potenza, la velocità e ogni altra caratteristica delle emanazioni create dal Kervion sono da intendersi basate sulla statistica Essenza di Egeria; in fase di difesa, tuttavia, eventuali danni si ripercuoteranno sul Corpo dell’avversario, in quanto il Kervion rimane comunque un metallo e come tale è in grado di infliggere unicamente danni da taglio, impatto e perforazione a seconda dei casi.]

    Nello specifico, ho utilizzato un’offensiva di “supporto” a costo Basso (1% grazie alla passiva superiore).

    Ci sono stati momenti in cui Egeria è arrivata a temere la pericolosità dei poteri che stava sviluppando. Sua madre aveva ragione: la potenzialità distruttive del Kervion erano spaventose.
    Una notte, durante uno dei settimanali allenamenti all'aperto, nei campi deserti sotto le bianche mura, Egeria tentò qualcosa che non aveva mai osato prima: far viaggiare il Kervion attraverso un elemento che non fosse l'aria. Lo spinse con forza nel terreno e lo fece scavare poco sotto la crosta, fino ad un punto in cui stava un vecchio tronco, cavo ma massiccio. Poi, con un gesto ascendente delle mani, fece eruttare di scatto il Kervion iniettato nel terreno. Il tronco andò in mille pezzi. [In termini di gioco, l'abilità è un'Attiva magica Alta (20 AP), basata sull'essenza di Egeria, che permette alla giovane di usare anche mezzi solidi non organici per la trasmissione. Pareti, suoli, rocce: il Kervion vi si infiltrerà senza difficoltà, riemergendo, qualche istante dopo ed entro un raggio di massimo quindici metri, sotto fora di un grosso spunzone appuntito, alto tre metri e largo uno. Così facendo, l'attacco non sarà rintracciabile con l'uso della vista; tuttavia, le lievi scosse causate dall'avanzamento del Kervion potranno comunque mandare un avviso uditivo che, specialmente in uno stato di relativo silenzio, rivelerà facilmente l'arrivo e la posizione dell'attacco.]



    Riassunto e Note: In questa puntata di “Frenz non sa fare le descrizioni statiche”: “Frenz non sa descrivere i Dream Eater!”
    Per quanto riguarda il combattimento: Egeria lancia una bassa con la variabile offensiva atta non a fare danno, ma a intrappolare le zampe anteriori del Lion. Subito dopo, Xisil lancia la sua offensiva, che ho qui descritto semplicemente come il lancio di una freccia (in quanto è questo che vede Egeria), ma l’effettiva abilità, più complessa, sarà meglio descritta dall’illustre collega. Egeria, comunque, lancia subito dopo di lei la sua abilità alta che viaggia nel terreno, nella speranza di beccare il Lion o con le zampe bloccate o distratto/già danneggiato dall’abilità di Xisil. Per finire, quindi, arretra verso sinistra, portandosi più vicina a Xisil.

    Passo la palla agli altri amigos 8D



    Edited by Frenz; - 27/7/2016, 18:49
     
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    Una lama fredda gli attraversò la tempia e s'incastrò nel cervello: un'esplosione di luce mandò in fiamme le retine, dissolvendo forme e colori fino a ché Khan non vide che macchie rossastre davanti a sé, mentre il sudore gli imperlava la fronte e inumidiva le mani.
    Non appena tornò in possesso della vista, tentò di fare un passo, ma per poco non rischiò di inciampare su se stesso e rovinare a terra, assordato da un fischio che faceva battere all'impazzata i tamburi nelle orecchie, ogni cosa che assumeva multipli contorni dietro le cataratte della vertigine. Biascicò qualcosa, ma dalla gola riarsa uscivano solo sillabe scomposte e disarticolate, muggiti privi di senso.
    Chiuse gli occhi, ma sulle palpebre sagome iridescenti e chiazze bianche vorticavano violentemente, invitando le budella a fare lo stesso- sentiva già la bile risalire acida lungo l'esofago.
    'Respira.'
    Inspirò ed espirò. Un'altra volta. Ancora.
    Saliva e umori gastrici pendevano dalla bocca aperta, e con un colpo di tosse si schiantarono sul pavimento.
    Riaprì gli occhi, chinato ma ancora in piedi, e nell'alzare la testa si accorse di come le vertebre sembrassero essersi calcificate ed irrigidite, assieme ad ogni altra giuntura del corpo, fradicio fino all'ultima cellula di acido lattico e pensate come un sacco pieno di massi. Tuttavia, i sensi si stavano lentamente ristabilizzando, e nonostante fosse spossato e quasi ad un passo dallo svenire, tornò cosciente della situazione: la coltre rosa che li circondava aveva iniziato ad eccitarsi, un tappeto sotto il quale serpeggiavano animali di ogni taglia.
    Due cumuli iniziarono ad ammassarsi vicino alla Nessuno, facendosì sempre più grossi e prendendo forme sempre più distinte, fino a che non si concretizzarono come due creature: a sinistra della figura, un grosso leone nero, che faceva sfoggio di un'irta chioma d'acquamarina e ricurvi artigli dorati e muoveva avanti e indietro il pennacchio violaceo della coda; l'altro era un ammasso di ossa variopinte tenute insieme da una colonna vertebrale, alle cui estremità si trovavano una grossa palla chiodata, i cui aculei rilucevano di sinistri bagliori scarlatti, ed il muso dell'animale, irto di spigoli e rassomigliante quello di un rettile.
    Entrambe le bestie tenevano puntati su di loro occhi scarlatti, li stessi dei mostri che li avevano attaccati nel crepaccio.
    'Non avevi niente a che fare con tutto questo, eh?'
    Eppure lo sapeva che a tentare di risolvere le cose in maniera diplomatica con chi non collaborava non si era mai andato da nessuna parte, aveva passato anni a tentare di cavare un ragno dal buco in maniera diplomatica con gente che non voleva vedere, sentire o tantomeno parlare.
    Ma puntualmente, come l'idiota che era, c'era cascato di nuovo.
    Lentamente, i contorni della figura incappucciata vennero inghiottiti dall'oscurità del portale, e nel vederla battere in ritirata in quel modo dopo averli presi in giro Khan allungò una mano, il braccio che si snodava con la stessa scioltezza di un manichino di legno, e la teneva aperta in direzione del varco, come se potesse essere servito a qualcosa- eppure sembrava a portata di mano, rientrava perfettamente nella rete delineata dalle dita: gli sarebbe bastato chiuderle per stritolarla in una stretta impietosa.
    Incapace anche di muoversi, lasciò che la frustrazione ebbe la meglio e l'appellò con voce riarsa e frammentata, "Khyamd sadar em!", ma il suo insulto probabilmente neanche raggiunse l'interessata: la donna che si era messa sulla loro strada si dileguò, lasciandoli alle prese con gli spettri che aveva chiamato a sé.
    Svanito il Nessuno svanì anche l'artificio che li aveva paralizzati, e per Khan fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida- le membra erano indolenzite ma vive e finalmente libere di muoversi. Mentre anche i compagni si riprendevano dalla paralisi, Khan studiò con mente un po' meno adombrata ciò che si trovavano davanti. Il marchio che portavano uno sul muso, l'altro sul petto, già li accomunava a quelli che avevano precedentemente affrontato, e bastò un tintinnio degli orecchini per riconoscerli.
    "Luridi sciacalli che non siete altro", ringhiò con fervore, ripresosi dalla febbre che lo aveva pervaso fino a qualche secondo prima, stizzito e nauseato e con addosso un formicolio sempre più insistente: partiva dal lato sinistro della faccia, scendeva giù per il collo e arrivava fino alle estremità, che tremavano. Strinse la mano a pugno, la portò davanti al petto e poi spazzò l'aria con un gesto rabbbioso: "Vi permettete pure di metterci i bastoni tra le ruote?
    "Oh! OH!", Azrael sembrava eccitato, ma non sorpreso dall'apparizione: "Sapevo che avrebbe evocato qualcosa! Aveva la faccia da "evoca, scappa e complotta"!"
    Si trattenne dall'esternare quali espressioni avrebbe voluto far assumere, a quella faccia.
    Si augurò solo che nella fuga non avesse preso con sé anche il suo 'protetto'- serviva un testimone, qualcuno a cui porre delle domande, ma non era necessario che avesse tutti gli arti al proprio posto a che deponesse.
    L'altro proseguì con il suo piano: "Okay gente, il dinosauro è mio." Khan seguì lo sguardo del Nesciens- com'era intuibile si stava riferendo alla creatura scheletrica, che animata dall'incantesimo che cullava Radiant Garden nell'oblio respirava senza poter respirare, alzando ed abbassando la cassa toracica aperta e muovendo le placche cristalline che ornavano le segmentazioni della colonna vertebrale, mentre i moncherini che aveva per zampe anteriori si erano fusi in due aculei viola.
    Aveva già letto di quegli animali- antenati di rettili e uccelli, erano una specie talmente antica da risalire a quando i mondi erano un tutt'uno, ere prima che comparissero gli umani. Affascinanti, senza dubbio, e nonostante Khan in quel momento stesse schiumando di rabbia, non poté non trovare interessante quella reinterpretazione.
    Sembrava quasi un...

    "Sai come caccia un drago?", le dita della donna arrotolavano lentamente il lungo foglio su cui aveva finito di scrivere, facendo scorrere la carta in modo che i lembi combaciassero il più possibile.
    Il futuro reggente inclinò la testa, mentre continuava ad osservare sua madre lavorare, "So come caccia un leone. I draghi cacciano come i leoni?"
    "Ah, questo non lo so.", rise sommessamente lei, gli occhi color tulipano socchiusi, intenti a seguire i movimenti che faceva per legare il rotolo; fatto il nodo, ripose il registro dell'ultima assemblea nella sua custodia, un tubo di legno rivestito di cellulosa, e archiviò l'ennesimo infruttuoso battibecco tra galli che si era tenuto un paio di ore prima. "Quasi nessuno lo sa.", aggiunse, voltandosi verso il figlio, che inarcò un sopracciglio e le chiese, confuso: "E allora perché me l'hai chiesto?
    "Volevo vedere se eri tanto sbruffone da rispondere di essere a conoscenza di una cosa del genere." Lei avvicinò la mano alla fronte del ragazzino, il pollice che premeva sull'indice- un tonfo sordo e secco, e il dito rimbalzò sulla fronte. Il piccolo scosse la testa, arricciò il naso diverse volte e le lanciò un'occhiata in tralice indispettita, come un gatto irritato dai giochetti del padrone. "Cantore Nene dice che fai un po' troppo il saccente, ultimamente."
    "Cantore Nene è un cretino", replicò schietto lui, massaggiandosi la fronte, "C'azzecca mai niente di quello di cui parla e si nasconde sempre dietro quella stupida scus-ouch, ouch, ouch!", non le dita della madre, ma due tenaglie premevano sull'orecchio e lo trascinavano verso di lei, "Cretino è chi cretino dice. Se devi insultare almeno sii creativo, scodella di moccolo."
    "Ma mamma-"
    "'Ma mamma' un corno." Il braccio avvolto nella veste carminia della donna si strinse attorno alla gola del ragazzino, stringendolo a sé, mentre con le nocche della mano libera strofinava con forza sulla sua testa, e non riuscì a trattenere una risata nel sentire lo starnazzare infastidito del figlio.
    Allentò la presa, ma non lasciò andare. Rimasero così, in quell'abbraccio iniziato in maniera poco ortodossa, guardando gli aceri che ornavano il giardino dalla penombra della veranda, seguendo con lo sguardo le puntellate foglie rosse dondolare dolcemente lungo la leggera brezza primaverile.
    Fu lui a interrompere il silenzio: "Prima hai detto che quasi nessuno sa come cacci un drago."
    La donna chinò il capo, riavviò una ciocca di capelli della stessa tinta delle foglie che costellavano il terreno, ed incontrò lo sguardo del figlio, che a giudicare dal broncio che oscurava il volto si stava lambiccando il cervello da diversi minuti: "Sì?"
    "Quindi c'è gente che lo sa?"
    "Esatto."
    Gli occhi del futuro reggente sembrarono raddoppiare in grandezza, "E come fanno a saperlo? Che tomi hanno letto? O ne hanno studiato uno?"
    "Hanno vissuto in comunione con il drago.", rispose lei, serafica, e ridacchiò quando il piccolo spalancò la bocca: "Si può fare?"
    Inarcò un sopracciglio, gli angoli delle labbra piegati in un mezzo sorriso, una falce di luna scarlatta, mentre con l'indice riaccompagnava la mascella del giovane verso la manibola: "Sai perché veneriamo adoriamo il drago?"
    Quello aggrottò per l'ennesima volta le sopracciglia, poi liquidò la domanda con un'alzata di spalle: "Per non farci mangiare, immagino."
    "Fuochino." Rise lei, "Per conoscerlo." Precisò. Il futuro reggente aprì di nuovo la bocca, questa volta per esprimere confusione, più che meraviglia, ma, senza aspettare che desse voce alle proprie perplessità, la donna continuò: "Sua eccellenza il drago ha protetto i nostri antenati, li ha guidati quando ancora non erano che ombre su una landa ancora brulla e ne è diventato il patrono, e loro per gratitudine lo hanno esaltato e hanno assunto una forma che rendesse onore a quella con cui si era manifestato a loro, per rendere omaggio alla sua magnanimità.", prese la mano del figlio nella sua e portò le braccia di entrambi in avanti, mostrando i palmi che combaciavano, "Perché sentivano un'affinità con sua eccellenza, si sentivano al sicuro e volevano esplorare quel fenomeno con cui erano entrati in contatto."
    "Ma col tempo abbiamo abbandonato quella forma, e siamo diventati simili agli umani.", la riprese lui.
    La madre annuì, "Questo è vero. Ma guarda.", indicò col mento le loro mani: entrambe esili, dalle dita lunghe e affusolate, eppure quelle di lui non raggiungevano le sue, che si chiusero sul dorso del piccolo, "Vedi com'è difficile trovare compatibilità con ciò che ci assomiglia? Non solo fisicamente, pensa ai tuoi bisticci con Cantore Nene."
    "Hah! Quello non è compatibile con un cammello, figuriamoci un drag-."
    "Il punto è, le nocche della donna si abbatterono impietose sulla mai troppo castigata testa del figlio, il cui miagolio di dolore venne ignorato "Se già è difficile approcciare ciò che ci è simile e che conosciamo, come fare, con qualcosa che ci è in parte o completamente ignoto?"
    "Mi stai dicendo che se incontro una ragazza che mi piace ma di cui non so niente devo erigere un santuario dedicato a lei per attaccare bottone?
    Il ragazzo sentì sua madre scoppiare a ridere, incapace di punirlo o anche solo riprenderlo pr un'uscita del genere. "Be', non è esattamente quello a cui pensavo, però mi hai dato uno spunto. La vide asciugarsi le lacrime dagli occhi, le spalle continuamente scosse nel tentativo di trattenersi; ripreso il controllo, gli chiese: "Cosa fai con una ragazza che ti piace?"
    "... la corteggio, immagino?", cercò di essere il più essenziale possibile, senza darle appigli per metterlo in imbarazzo. Grugnì infastidito quando la donna gli scompigliò i capelli in una lunga massa disordinata di steli d'inchostro, che già a malapena teneva a bada in un tentativo di acconciatura tenendoli legati con un nastro.
    "Esatto. Perché sei attratto da quella persona, senti un'affinità, un senso di appartenenza, e vuoi scoprire il perché. Ma, per entrare in contatto con quella persona, c'è tutta una serie di... riti da effettuare. Capisci dove voglio arrivare?", si chinò su di lui, sempre più imbronciato e torvo in viso. "Credo di sì."
    "Col tempo abbiamo perso la nostra vicinanza al drago, ma non il senso di appartenenza a sua eccellenza, né la volontà di avvicinarci, perché è nella nostra natura.", proseguì lei, facendo una pausa per scegliere attentamente le parole da trasmettere al figlio: "Perché non vogliamo stare soli."
    "Ranacreza, mia signora."
    La donna si voltò verso la cortigiana che l'aveva chiamata: "Sì?"
    "C'è un problema con il riscontro del conteggio dei fondi, mia signora.", l'altra fece un inchino e le rivolse un'occhiata che esprimeva un misto tra disagio, imbarazzo e frustrazione, "Temo sia richiesta la tua presenza."
    Ranacreza alzò gli occhi alle assi in mogano del soffitto della stanza e fece per alzarsi: "Mi chiedo quando non ci sia un problema con il conteggio dei fondi- sia io che il tesoriere ne avremmo le tasche piene di certi furbastri", si spazzolò con gesti secchi le larghe falde dei pantaloni color crema e lanciò un'occhiata al figlio, che osservava con attenzione, seduto sul pavimento rialzato della veranda. Quello annuì: "Va' pure, credo di aver capito il succo del discorso."
    Il sorriso che gli rivolse fu più di costernazione che non di tenerezza. "Mi auguro di sì", allungò una mano verso la guancia del giovane, e la carezza che gli riservò si trasformò nell'ennesima strizzata con le pinze che spacciava per dita.
    Lui scacciò via la molestia, incrociò le braccia, gonfiò il petto e accavallò le gambe, "Non sono mica stupido. Ho già tredici anni, d'altronde."
    La madre ridacchiò sulla via per l'uscio, e si fermò davanti alla ragazza. "Allora dimmi, futuro reggente, visto che sei già sulla strada per diventare un uomo maturo", il profilo di Ranacreza lanciò uno sguardo di sfida al figlio, "Ti lanceresti mai tra le fauci di un drago?"
    Lui rimase lì, fermo, interdetto, senza rispondere.

    'Basta.'
    Il prurito divenne bruciore- qualcosa grattava sotto la pelle, graffiava nel tentativo di uscire, scorticava ossa e tessuti per ritrovarsi di fronte all'ultimo, insormontabile ostacolo dell'epidermide, che ribolliva di calore ed energia. Piantò la spada nel pavimento, ansimante, prendendo respiri sempre più lunghi, il petto che si gonfiava come un mantice e si sgonfiava accompagnato da rantoli gutturali via via più rumorosi, mentre da ogni singolo poro cominciava ad esalare vapore nerastro.
    Incrociò le braccia davanti al volto, le sollevò davanti al volto ed inarcò la schiena.
    Poi esplose in un boato.



    Un torrente di oscurità fluiva dal corpo dell'Immortale, a qualche centimetro dal terreno, condensandosi e disfacendosi e fluttuando attorno a lui, un pilastro nero circondato da effimere folate di zolfo. Lo scrosciare del flusso d'energia fu come un urlo liberatorio, un grido lanciato a pieno polmoni che rilasciava nell'aria ogni cosa che aveva dentro- rabbia, ansia, timore, raziocinio, ogni cosa diventava pulviscolo color inchiostro e veniva espulso in quell'aura mefitica, ogni vibrazione che componeva il suo essere si ammutoliva, lasciando spazio ad un unico segnale, una traccia primordiale e animalesca.
    La tempesta divenne quiete, e i piedi di Khan toccarono di nuovo il pavimento del corridoio, la testa china e l'oscurità che sagomava la sua silhouette con continue onde di energia. Ancora una volta, sentì la testa riempirsi di sussurri, unghie che cercavano di scavargli il cranio e un rapido susseguirsi di alitate calde sul collo.
    Si voltò di scatto, ringhiando, e tutto svanì. Era in controllo. Lo era sempre stato.
    Strinse le dita attorno all'elsa della spada, la divelse dalla piastrella che l'aveva retta e misurò il dinosauro: a giudicare dall'aspetto, sembrava essere tenuto insieme con lo sputo, quindi c'era bisogno di qualcosa il cui impatto potesse far saltare i legami che univano quelle che mimavano l'aspetto delle ossa.
    Qualcosa come un'esplosione.
    Trascinò la gamba destra, scaricando il peso sulla sinistra in maniera da muoversi il più velocemente possibile verso l'obbiettivo; arrivato a poco più di un metro di distanza dalla bestia, passò Bekh dalla mano destra alla sinistra e aprì le dita, convogliando parte delle fiamme nere che lo avvolgevano in una sfera a pochi centimetri dal palmo. Mentre la goccia prendeva forma e s'ingrandiva richiamando a sé sue simili, misurò l'animale che si trovava di fronte, e in quel frangente, pur davanti a un essere che avrebbe potuto ridurlo ad una poltiglia sul pavimento con l'arnese che aveva sulla punta della coda o semplicemente aprendo e chiudendo le fauci, dilatò le narici in uno sbuffo di sufficienza.
    "Non sei un drago, ma dovrò accontentarmi." strinse le dita e portò il globo, una perla nera il cui nucleo pulsava al ritmo del cuore dell'Immortale, vicino al proprio volto- ormai aveva raggiunto trenta centimetri di diametro, ed era pronta, se non a danneggiare il colosso, quantomeno a fornire da diversivo per permettere ad Azrael di colpirlo.
    Il braccio scattò, e il bolide viaggiava veloce verso il muso del dinosauro.

    "So quello che sto facendo."
    "No, non lo sai", ansia e preoccupazione sembravano tendere ogni singolo muscolo del volto di Ranacreza, che guardava il figlio con la stessa apprensione di quando da piccolo correva come uno scalmanato per il giardino sbucciandosi in continuazione le ginocchia, nonostante adesso la posta in gioco fosse molto, molto più alta.
    Allargò le braccia: "E allora dimmi, cosa dovrei fare? Continuare a farmi prendere per culo da quegli imbecilli? Mollare tutto e unirmi alla milizia come mio padre, e morire un fallito dimenticato da tutti? È questo che vuoi? Che tuo figlio rinunci a tutto ciò per cui è stato cresciuto, tutto ciò per cui è stato costruito?"
    "Quello che voglio", rispose lei, chiudendo gli occhi ed inspirando a fondo, braccia conserte, "è che mio figlio viva sereno. Senza che rischi la propria sicurezza inseguendo fiabe di grandezza, con l'unico risultato di farsi chiamare un despota dagli altri." Lo sguardo che gli lanciò quando le palpebre si schiusero era un duro, freddo misto di rimprovero ed apprensione.
    Le lunghe unghie dell'Immortale affondarono nella carne del palmo, lacerandola, "Non m'importa più di quello che pensano gli 'altri'", ringhiò lui, fissando la mano chiusa. Proseguì, alzando il tono ad ogni parola. "Ho ascoltato e ponderato e riconsiderato e discusso centinaia, no, migliaia di volte", alzò la testa, il viso una maschera di frustrazione e rabbia, "E che cosa ho ottenuto- no, che cosa è cambiato?!"
    La risposta arrivò con un pugno che fece sobbalzare il tavolo accanto a lui, rovesciando le coppe e la caraffa di vino, che iniziò a inzuppare il centrotavola.
    "NIENTE!"
    Il silenzio nella stanza veniva interrotto soltanto dal respiro di entrambi. La luce pomeridiana filtrava dagli arabeschi delle griglie delle finestre, tingendo i capelli neri del ventenne di riflessi verdi e violacei. Il resto della stanza rimaneva nella spoglia penombra di buona parte delle camere della torre su cui si era radunato con mercanti delle zone desertiche, le cui distese di sabbia e roccia si estendevano di fronte all'oblò che dava sulla balconata, i tetti a spiovente tesserati di diaspro della cittadina sottostante che creavano un contrasto perfetto con il cobalto del cielo estivo. In un angolo un mucchio sparuto di ceste con riso, frutta, un paio di ricambi e lo stretto indispensabile per studiare la situazione- mappe, strumenti di misurazione, trattati di guerra e di legislazione. A guardia di quel misero tesoro, la sua spada. Non aveva bisogno di altro. "Sono stanco di essere preso in giro. Non voglio sprecare così la mia vita.", gli occhi dorati puntati sul liquido rossastro che si spandeva sul tessuto color senape, il nuovo imperatore raddrizzò la schiena, si voltò verso la madre e s'incamminò verso l'uscita.
    Rallentò il passo quando furono fianco a fianco. "Non è troppo tardi." Più che un'offerta, sembrava una supplica.
    "Non ho perso il senno, né sono un despota." teneva lo sguardo dritto davanti a sé, il tono più calmo, ma comunque deciso, "Chiunque abbia intenzione di mediare e raggiungere un accordo sarà il benvenuto, chi si opporrà con la violenza troverà pane per i suoi denti."
    "Sai che non è così semplice, maledetto l'abisso, sai che-", Ranacreza sussultò quando sentì la mano del figlio sulla spalla: "Apprezzo che ti preoccupi per me, ma non posso tirarmi indietro solo perché ci sono dei rischi.", si voltò verso di lei, la stizza che aveva lasciato il posto alla stanchezza, che aveva provato sia il fisico che lo spirito dell'uomo, i cui occhi, però, rimanevano brillanti di determinazione, "È arrivato il momento di mettermi in gioco. O la va, o la spacca."
    Un lungo, sconsolato sospiro di sconfitta.
    Senza aggiungere altro, quello che un tempo era un ragazzino secco e costantemente sporco di carbone per il troppo tempo passato nelle fucine e che era cresciuto in un uomo troppo alto per buona parte degli stipiti e che aveva iniziato a sporcarsi le mani dei suoi simili sul campo di battaglia la lasciò lì, da sola.
    Ranacreza lanciò un'occhiata malinconica alla schiena larga del figlio, che si faceva sempre più piccola.
    "E così hai deciso di lanciarti tra le fauci del drago."
    Fu l'ultima volta che si videro.

    Stato Fisico: Lacerazione al gastrocnemio destro, zoppicante
    Stato Psicologico: Adrenalinico, acuito dalla rabbia e dalla frustrazione
    Energia: 36,48%

    Statistiche:

    CITAZIONE
    Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    Essenza :
    Punteggio iniziale ( 60 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( 30 )
    Mente:
    Punteggio iniziale ( 30 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 60 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )
    Velocità:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( )

    Equip:

    CITAZIONE
    Khüükhdiig töörögdöl/Bekh

    D'altronde, cos'altro potrebbe impugnare un sovrano se non un'arma che egli stesso ha creato, emblema del proprio ingegno e la conoscenza della tecnica della forgia e delle arti arcane? E come altro potrebbe chiamarsi la spada brandita dall'Imperatore Vermiglio, se non 'Vermiglio'? Mai stato bravo coi nomi.
    In contrasto con quanto possa suggerire il nome, Bekh non presenta il benché minimo accenno di colore rosso sulla propria superficie- non il benché minimo accenno di qualsiasi colore. Nera la lama lunga un metro e la cui larghezza di sette centimetri viene interrotta da una mezzaluna poco prima della punta, nera la guardia, un semicerchio finemente cesellato che segue il filo dell'arma e da cui nascono tre spuntoni lunghi undici centimetri, nera l'elsa cilindrica stretta dalle spire di una scanalatura seghettata , nero il piolo aguzzo del pomello. Una scheggia d'inchiostro rappreso, che di quando in quando riflette la luce in bagliori verdastri, viola o carmini, affilata quanto basta per tagliare un buon numero di cose: aggressiva verso i metalli, sfacciata nei confronti della roccia, impietosa con la carne.

    - Penance

    L'utilità più grande di Bekh è quella di fungere da catalizzatore per il potere spirituale di Khan: realizzata con un vetro molto particolare, capace di intercettare le frequenze degli Immortali, di reagirvi ed amplificarle, per qualche momento la spada può ristabilire il contatto che c'è tra il giovane e la sua origine, permettendogli di attingere ad essa.
    Nel momento in cui ciò avviene, l'arma viene pervasa da un'aura vermiglia e cambia la propria configurazione- il manico assume una posizione perpendicolare rispetto alla lama, che ruota di novanta gradi; sulla punta scaturisce un globo, una perla di sangue il cui cuore emette battiti neri, accompagnati da scariche elettriche della stessa tinta.
    Al comando dell'Immortale, Bekh libera un raggio color pece, striato di scarlatto, che travolge di energia magica qualsiasi cosa si trovi entro la linea di tiro.
    Khüükhdiig töörögdöl è il nomignolo con cui gli insegnanti di Khan si prendevano gioco dell'imperatore e della sua invenzione, definendola "l'illusione di un bambino", un tentativo guidato dall'ingenuità della giovinezza di sperimentare e di superare i comodi confini di ciò che era stato stabilito dalla paura di ciò che il progresso potesse comportare se nelle mani sbagliate- un'ambizione a crescere che ha sempre caratterizzato Khan, portandolo a tentare di soggiogare forze come quelle dell'oscurità stessa al proprio volere, anziché rinnegarla per timore di caderne vittima.
    E di quell'illusione sta ora pagando la penitenza, costretto ad utilizzare i suoi frutti, causa ed allo stesso tempo soluzione del castigo, come sostegno per proseguire verso il proprio obbiettivo.

    - Tecnica Offensiva, Abilità Attiva di Costo Alto

    Il fodero della spada è una guaina in pelle imbottita e ricoperta di feltro nero, assicurata alla fascia che indossa attorno alla vita tramite dei lacci.
    Ambidestro, Khan è stato addestrato nell'arte della scherma da quando aveva tredici anni, e brandisce l'arma come se fosse un'estensione del proprio braccio, utilizzando movimenti secchi, veloci e precisi per colpire, senza squilibrare inutilmente il corpo.
    Agli occhi dei più, Bekh può sembrare semplicemente un pezzo d'ossidiana molto affilato e molto costoso, ma nelle mani di Khan si trasforma in uno strumento letale, capace di ristorare e dimostrare parte della gloria perduta.

    Abilità Razziali:

    CITAZIONE
    Evil Eye

    Quello che caratterizza i guerrieri che hanno accettato dentro di loro che l'oscurità prendesse possesso del loro cuore, è la capacità di questi ultimi di percepire, con poco più che un'occhiata, accompagnata da una silenziosa concentrazione, per capire che genere di creatura si trovano davanti. Avendo infatti essi accettato che le tenebre li corrodessero, ricordandosi tuttavia come erano prima di lasciarsi andare, essi hanno una specie di sesto senso nel percepire le "aure" dei vari personaggi che si trovano ad incontrare durante il loro cammino. In termini di gioco quest'abilità permetterà al possessore di determinare, con una chiarezza da lasciarsi alla lealtà di ogni singolo, l'allineamento della persona che si trovano davanti, potendo anticipare con relativa facilità se l'oscurità alberga nel loro cuore, se vi risiede invece la luce o se un cuore non l'hanno affatto. Questo, assieme ad un'appropriata conoscenza dei trattati distintivi di ogni razza, potrebbe permettergli di anticipare alcuni comportamenti che prenderebbero altri totalmente alla sprovvista.

    - Privilegio razziale 'Perspicacia', Abilità Passiva Inferiore.

    CITAZIONE
    Dirty Deeds Done Dirt Cheap

    Quello che è ben noto sui Soldati dell'Oscurità, è che essi abbiano accettato l'oscurità nel loro cuore volontariamente, senza opporre ad essa nessuna resistenza e, anzi, beandosi del potere che da essa veniva emanato. Ne consegue che le Tenebre permeano queste figure nel loro intero, essendo di fatto il fulcro caratterizzante della loro esistenza; l'elemento fondamentale senza il quale, di fatto, essi svanirebbero. Tenendo dunque bene a mente questo fatto, non si dovrebbe essere sorpresi nell'apprendere che essi hanno sviluppato, verso l'elemento Oscurità una particolare propensione ed un'innata affinità. Quassi tutti loro infatti, avranno acquisito una tale maestria e un così magistrale controllo nelle arti oscure da poter utilizzare tecniche di suddetto elemento con molta meno fatica della altre razze; un vantaggio notevole che, in termini di GDR, sarà rappresentato da una sorta di sconto applicabile dai Soldati ad ogni loro tecnica. All'utilizzo di un tecnica di elemento Tenebra infatti, essi godranno di uno sconto pari al 3% di energia (non cumulabile con altri eventuali sconti; ridurrà minimo all'1% di Costo) che gli donerà un vantaggio in battaglia non indifferente.

    - Privilegio razziale 'Nucleo Oscuro', Abilità Passiva Normale.

    Abilità Personali usate:

    CITAZIONE
    A Voice in the Dark

    La tecnica ha natura Magica e di power-up. Dopo un istante di concentrazione, il personaggio sarà avvolto da un'aura intrisa di pura tenebra, che lo avvilupperà conferendogli un potenziamento Basso ad una statistica qualsiasi a sua scelta, rendendolo di fatto in grado di adattarsi in ogni momento a qualsiasi avversario egli si trovi di fronte e permettendogli quindi di affrontare ogni tipo di situazione. Tale potenziamento dura un lasso di tempo complessivo di due turni, dopo i quali però il caster subirà un danno Basso diffuso in tutto il corpo, a causa della fatica imposta dalla tecnica sul corpo.

    - Tecnica 'The True Darkness!', Abilità Attiva di Costo Basso.

    CITAZIONE
    Nuclear

    Non potendo più disporre di gran parte dei propri poteri, Khan ha iniziato ad esercitarsi per manipolare l'oscurità in modo da poterla usare come surrogato della magia di cui faceva uso prima; considerata la situazione, i risultati finora sono stati soddisfacenti, e l'Immortale può convogliare senza sforzo una sfera oscura sopra il palmo della propria mano, per lanciarla o farla levitare fino ad un determinato punto che rientri nel raggio di un metro.
    Nel momento in cui l'obbiettivo vi entri in contatto o se innescato dallo stesso Khan tramite uno schiocco di dita, il globo collassa su sé stesso e rilascia una deflagrazione d'oscurità che si espande in folate di fumo nero e violaceo. Qualora la sfera non dovesse colpire l'obbiettivo né le venga dato l'ordine di esplodere, rimarrà sospesa in aria per due turni, per poi svanire.
    Il sigillo ha limitato il suo potere, ma non la capacità di adattamento né la predisposizione ad ingegnarsi per superare le avversità ed inventare stratagemmi che concilino il potenziale grezzo della nuova forza che possiede con la sua indole più tattica.

    - Tecnica Offensiva, Abilità Attiva di Costo Basso


    Note:

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  12. AzraelParanoia
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    Hekatonkeires






    La concentrazione tenuta sino a quell'istante venne meno in un colpo solo. La mira che stavo tenendo con cautela sui vari punti vitali della Nessuno, come la silenziosa rabbia mascherata da stoicismo crollarono entrambe, quasi portando con sé il mio corpo. Come se ne avessi perso il controllo, le braccia incrociate scivolarono perpendicolari al terreno, e solo con un grosso sforzo di volontà potei alzarle, portandole invece alla faccia, in maniera tale da poterla tenere, come se stesse per scivolare via, distaccandosi di netto dal collo.
    Guardai con malcelato odio la donna davanti a me, profondamente convinto che fosse la causa delle mie sofferenze, e sussurrai di labiale un "pagherai per questo". Per quanto fosse un'affermazione mugugnata in preda alla confusione ed alla paralisi, decisi di annotare le mie stesse parole. Che nessuno possa dire che non mantengo le mie promesse.
    Ringraziai i cieli di essere inorganico, poiché a quel punto, fosse stato altrimenti, i miei succhi gastrici avrebbero colorato l'ambiente. Poco dopo questa considerazione, mi sentii improvvisamente meglio, per quanto scosso. Come se qualcuno avesse trascinato via qualcosa dal mio corpo e qualcos'altro avesse spinto con forza questo qualcosa nuovamente dentro. I miei occhi si diressero sulla Nessuno, notando i segni della confusione anche nei suoi, per quanto una creatura tanto incompleta potesse sentirla, subito sostituita dallo sprezzo. Con un gesto solo, prima che potessi scagliarle contro tutta la mia rabbia sotto forma di incantamenti e/o cazzotti, concentrò la nebbia rosata in un punto solo, dividendolo poi in ulteriori due, dai quali ne derivarono due creature simili a quelle incontrate precedentemente, ma molto, molto più intimidatorie. Una aveva chiaramente la forma di un leone nero, decorato però da colori ben più vivaci in punti come la criniera o le unghie. Tale creatura minacciosa manteneva una dose non indifferente di orgoglio, dato che come ogni leone che si rispetti, dovrà pur avere un aspetto regale.
    Senza nulla togliere al grosso felino, il suo "compagno" era senza dubbio molto più interessante. Era una sorta di falso fossile, un'entità composta di resistenti nonché variopinte ossa, quasi fossero di pietra, a comporre lo scheletro di una creatura antica oggi conosciuta come tyrannosaurus rex. Insomma, era uno scontro contro due regnanti. Per quanto fossi affascinato dalla possibilità, fui deluso dal comportamento della Nessuno, che scomparve in un portale oscuro, senza assistere le sue evocazioni o collaborare. Come potevo aspettarmi, non era certamente meno bassa di individui del calibro di quel ladruncolo di Bai Guo.
    Khan, poco avanti a me, non sembrò condividere la mia vaga delusione, e piuttosto sbraitò rabbioso, in maniera non poco comprensibile. -Luridi sciacalli che non siete altro! Vi permettete pure di metterci i bastoni tra le ruote?-, spazzando l'aria davanti a sé e mostrandosi non meno appariscente rispetto ai nostri avversari. Che avesse anche lui del sangue blu in corpo? Heh, non troppo improbabile.
    -Oh OH!-, esclamai con sarcastico entusiasmo. -Sapevo che avrebbe evocato qualcosa! Aveva la faccia da "evoca, scappa e complotta"!-. In effetti, non era né la prima, né probabilmente l'ultima volta nella quale avrei incontrato un avversario più interessato a pararsi dietro a servi ed evocazioni che a combattermi direttamente. Anche io la prima volta mi sono infuriato tanto quanto Khan, quindi era più che comprensibile.
    Una cosa era però certa, ovvero il fatto che avrei preso il grosso "fossile" e l'avrei reso nuovamente tale, ovvero inerte e più solito all'essere sparso in giro. -Okay gente, il dinosauro è mio.-, sentenzio stiracchiandomi ed osservando l'essere, le cui placche sparse su tutto il corpo ricordavano dei cristalli di qualche tipo. Affascinante, senza dubbio. Quasi mi dispiaceva dover distruggere qualcosa di tanto bello ed interessante. La guerra pare toglierci proprio tutto, eh?

    Sono sempre stato affascinato da questo genere di cose. Non so le ragioni della mia curiosità, del mio desiderio di accumulare questo genere di conoscenza, o del mio costante wanderlust. È come se fossi un essere vuoto, desideroso di essere riempito da qualcosa. Un contenitore ancora nuovo, ancora privo dell'etichetta che classifica il suo utilizzo. Eppure, grazie alle informazioni ottenute alla "nascita", parevo conoscere più di molti altri abitanti di questo universo. Una consapevolezza dei viaggi tra mondi, delle leggi naturali che li governano, della psiche umana, ed altri fattori che mi hanno colpito. Apparentemente, non tutte le conoscenze passate sono giuste, o meglio, non si applicano a tutte le creature di tutti i mondi. Nello specifico, gli stati del cuore, e la "magia" spirituale che pare fuoriuscire da quello che ai più potrebbe suonare come pattume superstizioso, continuano a confondermi. Ogni volta che mi sembra di poter applicare le solite leggi della magia, esse si muovono come l'acqua dei fiumi, scavando inesorabilmente una strada per poter sfondare gli argini.
    Non ero sicuro di nulla, in quel mondo, neanche della mia condizione, eccetto il fatto che non sono l'unico a viverla. Shinan era un esempio di altra Nesciens, e la cosa più vicina ad una famiglia che conosco, per quanto ora come ora non sia più di una conoscente. Volevo comprendere di più, estrapolare queste informazioni e renderle mie, diventare finalmente uomo e non più infante spaventato ed inconsapevole. Per questo avrei dovuto combattere, e proteggere i mondi che avevo davanti, consapevole di come fossero a rischio. La stessa Radiant Garden mi era scomparsa davanti agli occhi, rischiando di svanire prima di potersi mostrare a me, e portando con sé migliaia di vite che potevano condividere i loro sogni di grandezza. Che fosse la mia mente o il mio istinto da Nesciens a parlare, non lo sapevo. Ma non era importante, dato che non era necessario essere una cima per comprendere come il mio ideale non fosse sbagliato. Da quel giorno, mi sarei impegnato attivamente per diventare più attivo nei mondi. Ed avevo proprio una buona idea sul metodo.
    Ma prima...

    Scrocchiai le dita, producendo un rumore sordo dalle nocche ed alzando lo sguardo, connettendolo alle cavità vuote del "dinosauro" dinnanzi a me. Le ragioni del suo aspetto tanto realistico mi lasciarono perplesso. Ero abituato agli Heartless, ben più bizzarri per quanto spesso replicanti aspetti vagamente zoomorfi. Ma d'altronde, non sapevo neanche ancora con cosa stessi avendo a che fare, ed in situazioni simili, specie con soggetti ostili come quello che avevo davanti, il miglior metodo di analisi è un'autopsia vecchio stile. E quella avrei avuto.
    A precedermi fu l'uomo alto e scuro, che ficcò la sua spada nel pavimento, avvolgendosi di fiamme scure e canalizzando una forza a me misteriosa, ma che avevo iniziato a definire con il termine "Oscurità", come se non fosse già stata abbastanza chiara la correlazione tra Khan e gli Heartless. Eppure, non faceva parte di loro. Mi ricordava più Rashan, e quelle creature dai più definite come "Soldati dell'Oscurità". Vere e proprie mine vaganti, ma non necessariamente cariche di malizia. Perlomeno, non in quantità eccessive.
    Una volta concentrato questo potere, Khan corse in avanti, liberando dal palmo una sfera color pece che iniziò a gonfiarsi ed a pulsare, come un organo malsano, per poi essere scagliata repentinamente verso il muso del rettile scheletrico. Un'ottima offensiva, perfetta per combinarsi con il mio piano. Alzai il pollice a Khan in segno di approvazione, avvicinandomi e spostandolo alle mie spalle. Era chiaramente più ferito di me, e sarebbe stato meglio se avessi subito eventuali attacchi diretti a lui. In fondo, mi piaceva quel ragazzo, non potevo certo farlo morire lì. Dunque squadrai il nemico ed alzai il palmo della mano destra, chiudendolo e sferzando l'aria in direzione delle zampe posteriori della bestia. Il movimento lasciò una scia verdastra di magia quasi viscida, che scomparve immediatamente e si spostò sull'area di terreno designata, quasi intangibile. L'attacco era semplice, in fondo. Avevo annullato l'attrito ai piedi del dinosauro, che come creatura bipede quale era, non avrebbe preso bene un'eventuale, sperata caduta. Certo, con la forza delle zampe si sarebbe comunque potuto spostare in avanti per mordermi, scivolando sul terreno, ma farlo cadere diminuiva pesantemente la sua mobilità. E soprattutto lo rendeva più aperto ai miei attacchi, dunque era un rischio che volevo correre. Ma prima che cadesse, dovevo spingerlo. E sapevo perfettamente come fare.
    -Quello è solo l'antipasto. Ecco il piatto del giorno.-.
    La mano aperta si chiuse in un pugno, e l'energia magica rilasciata dal precedente incantesimo fece nuovamente la sua comparsa, stavolta nella forma di una fiamma verde ardente, che finì eventualmente per ricoprire tutto il mio corpo. -Apri bene la bocca, bastardo.-
    Un gancio destro tirato all'aria, apparentemente inutile, divenne qualcosa di oltremodo distruttivo. Comparso dal nulla, nel giro di un attimo un arcano pugno di pietra nera, simile ad ossidiana, si manifestò, privo di corpo e sospeso nell'aria. Grosso almeno la metà del teschio del mio nemico, si scaraventò proprio su di esso. A contatto con il bersaglio, sarebbe brillato in un'esplosione di energia magica verde brillante. Senza far passare un secondo, un altro pugno, stavolta un sinistro, generò la stessa manifestazione, stavolta diretta al lato sinistro del teschio. Poi un pugno a martello, dall'alto verso il basso, un montante sul mento, ed una scarica di quattro diretti sul petto, uno dopo l'altro. Amavo quella sensazione, quel potere che mi pervadeva e mi permetteva di combattere.
    Già, combattere era una distrazione, per me. Per quegli attimi spariva tutto. Che fosse quella Nessuno e le sue macchinazioni, o la consapevolezza di essere intrappolato in un'altra dimensione, magari rischiando di non tornare mai a casa, di non vedere più i miei amici, di abbandonare la mia casa e la mia vita. Tutto il timore svaniva dinnanzi alla necessità di sovrastare il mio nemico, di schiacciarlo, di vincere. Non per malizia o per sadismo, ma per il piacere di saper superare la sfida che mi è stata posta davanti. Mi sarei compiaciuto in fretta, e subito dopo mi sarei messo all'opera per tornare a casa, portando gli altri con me. Non volevo certo lasciare quei ragazzi indietro. Erano brava gente, e lasciare che gli succedesse qualcosa mi avrebbe lasciato l'amaro in bocca. Per questo mi ero messo davanti a Khan, per incassare un eventuale colpo diretto a lui. Quel tizio aveva avuto le palle di sguainare la spada contro un membro di quella fantomatica Organizzazione XIII, il tutto da ferito. E che il carsismo mi possa bucare il petto in quest'istante se non è una cosa che rispetto.
    Facendomi avanti, mi preparai a proseguire nello scontro ed a "sfondare gli argini", come già detto precedentemente. Avevo dei piani, dei sogni da realizzare, ed un animale che sarebbe dovuto essere morto ere fa non meritava certamente posto nella mia agenda.



    Stato Fisico: Lievi "solchi" generati dalla corrosione di entità complessivamente non tecnica.
    Stato Psicologico: Carico e deciso, eccitato dalla prospettiva della battaglia.
    Energia: 88% -6% -24% = 58%


    CITAZIONE
    Statistiche:

    Corpo:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Essenza :
    Punteggio iniziale ( 80 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( 20 ) Totale ( 120 )
    Mente:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 40 )
    Concentrazione:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )
    Destrezza:
    Punteggio iniziale ( 50 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 70 )
    Velocità:
    Punteggio iniziale ( 40 ), Energia ( 20 ), Punti Quest ( ), Altro ( ) Totale ( 60 )




    Equipaggiamento

    King Crimson - Arma Magica
    L'unica arma di cui Azrael avrà mai bisogno è se stesso. O perlomeno, l'altro se stesso. King Crimson non è che una manifestazione ESP dell'ego del Nesciens, da lui chiamato "stand", o perlomeno, pensa di averlo chiamato così in un ricordo lontano. Si tratta di una figura alta quanto il suo possessore, il cui corpo è coperto quasi completamente da una "griglia" bianca, con una pelle liscia e rossa al di sotto, escludendo la sua faccia, il collo, due spallacci, gomiti, mani, addome, inguine, caviglie e scarpe.
    I suoi occhi sono due orifizi stretti e sottili, dai quali emergono due occhi più da rettile che da uomo. Qualsiasi espressione faccia, mostra costantemente i denti, in una perenne parvenza d'ira. Sulla sua testa, una corona appiattita, e dalla fronte emerge un livello rialzato, sul quale è presente una piccola faccia ovale, la cui espressione è identica a quella della stand.
    I pugni di King Crimson sono letali. Hanno un potenziale non troppo differente da quello di un martello da guerra, o di un maglio d'acciaio (con le relative resistenze di quest'ultimo, dunque possono cozzare con una lama senza ricevere tagli particolari), ma la sua forza non deriva da nessuna particolare struttura. Esso non è che una manifestazione spirituale concretizzata. Appunto per questo, la potenza dei suoi attacchi dipende dall'Essenza del suo possessore. Per quanto la possibilità di attaccare direttamente con la propria anima sia un grande vantaggio, ci sono dei limiti.
    Prima di tutto, King Crimson non può allontanarsi di più di tre metri da Azrael, in nessun caso. E come seconda cosa, il pericolo in cui si incorre nell'utilizzarlo. Esso è collegato in maniera intrinseca al suo possessore, e ferendolo, si ferisce quest'ultimo. Un attacco che colpisce King Crimson viene direttamente traslato sul suo utente. Un pugno a King Crimson causerà un bel livido ad Azrael. Pugnalandone il braccio, si aprirà spontaneamente una ferita sul braccio del Nesciens, e così via.
    (Capacità di attacco autonomo: Passiva Normale - 20 AP)
    (Capacità di movimento autonomo: Passiva Superiore - 25 AP)
    (+20 Essenza)

    Atarassia Silicata - Arma Normale

    Un paio di guanti da combattimento costruiti appositamente per Azrael. Coprono tutto il dorso della mano con uno strato di pelle borchiata dipinta di viola, e terminano con tre lunghe lame di quarzo che partono dalla prima falange e proseguono oltre la punta delle dita, curvandosi leggermente. Sono fissate alla mano tramite una stretta fascia intorno al palmo ed una chiusura a ganci sul polso. Abbastanza comode e non troppo ingombranti, permettono ad Azrael di utilizzare comunque manovre per il combattimento corpo a corpo, brandire armi, ed altre azioni di questo genere.




    Abilità Passive

    Alterare la Realtà
    Chi sfida Azrael si ritrova immancabilmente a percepire, nell'ardire della sua volontà combattiva, la sua visione personale di ciò che lo circonda. Nel filtro personale attraverso il quale chi sfida Azrael è costretto a vedere si possono vedere dei colori estremamente vividi. Tutto quanto sembra ardere, e la vista è deformata ed ondeggiante, come se si fosse nel bel mezzo di una giornata particolarmente afosa. Non è strano vedere il tutto mutare per assumere un aspetto più monumentale. Un semplice pilastro di pietra può apparire come una colonna antica, raffinata e maestosa. La luce può concentrarsi in punti particolari, mettendo "sotto il riflettore" certi eventi, come se Azrael vedesse il mondo attraverso un film, in cui lui è il protagonista.
    Passiva Inferiore.

    Struttura Elementale
    Ha a che fare con la mia origine. Con le forze che hanno contribuito a darmi questa forma. Intrinsecamente, sono legato a questa distruzione, a queste rovine erose dal tempo. Devo proteggere ciò che non è ancora andato perduto.
    Forse una punizione per ciò che ha deciso di prendere con la sua origine, forse lo scopo che tanto cercava, oppure forse ciò che è sempre stato. Non è rimasto molto di organico in Azrael, che ha accettato di mutare, abbandonando il suo guscio precedente e diventando qualcos'altro. Per dirla con un termine "fantasy" che possa spiegare bene cosa sia ora Azrael, si può usare la parola "elementale". Una manifestazione di un particolare elemento, dotata di un corpo, senziente, viva a tutti gli effetti. La volontà che ha donato questa forma al Nesciens ha fatto attenzione a non omettere da essa la sua vita, le sue emozioni, il suo essere Ambizione, insomma, il nucleo base della sua esistenza.
    Ciò che compone il suo corpo pare carne all'apparenza, ma non è che una composizione di minerali e rocce derivanti dal mondo in cui decide di mettere piede. Volendo fare attenzione a non privarlo della sua "vita", la volontà ha lasciato alcuni tratti umani all'elementale. I suoi sensi sono ancora tutti attivi, questo includendo il tatto, con il quale percepisce ancora le stesse sensazioni, o il gusto, per quanto questo cambi leggermente. In via del tutto teorica, per sopravvivere ora necessita solo di ingerire massa, quindi il cibo non è che un piacere opzionale, come lo è tutto il resto. Opzionale è una parola grossa, dato che la mente di Azrael necessita ancora di essere stimolata.
    Dal punto di vista pratico, questo potere dona al Nesciens tutti i vantaggi dell'essere inorganico. Venendo colpito, la struttura che compone il suo corpo viene indebolita, e l'energia magica che lo tiene integro svanisce sempre di più, affaticandolo ed indebolendolo. Il suo corpo inizia a sgretolarsi e creparsi, avvizzendo per il calo di energia arcana che lo compone.
    [Passiva Superiore]




    Abilità Attive

    Eredità del Geomante [Dominio Elementale Offensivo - Elemento Terra]
    Lo sento. Sento ogni eternità come un istante. Riesco a percepire i più sottili, intricati movimenti del sistema, riesco ad analizzarlo e riprodurlo. Il Magma è il mio sangue. La Roccia è la mia pelle. Io sono la Terra e la Terra è me.
    Ciò che Azrael poteva fare era solo l'inizio. Un flebile bocciolo di fronte ad un fiore che tuttavia attende ancora di sbocciare. Le capacità geomantiche del Nesciens gli permettono di controllare la Terra con una maggiore consapevolezza ed un potenziale superiore. Materiali rocciosi, metallici, e qualsiasi oggetto che sia di origine minerale nelle circostanze è manipolabile. Lo stesso geomante può creare rocce e minerali dal nulla, componendoli con le particelle disperse nell'aria, o dandogli forma con la pura magia, un po' come un pirocineta crea una palla di fuoco. Essendo un dominio particolarmente "fisico", non potrà certo creare raggi di energia o esplosioni magiche, ma compensa questa carenza con la possibilità di donare svariate forme e strutture ai suoi costrutti di scopo offensivo, creando piogge di stalattiti, magli di roccia che si generano dal nulla, o tempeste di sabbia taglienti.
    Questo potere è tanto una benedizione quando una maledizione. Una condanna nel perdere tutto ciò che poteva definirlo, in maniera contorta, come "umano". Un privilegio nell'avere finalmente uno scopo. Quello di Guardiano.
    [Costo Variabile - Danno Magico]

    Annullare Attrito
    La tecnica ha natura Magica. Un trucchetto divertente che Azrael conosce come geomante, è quello della manipolazione dell'attrito. Con un semplice incantesimo, è capace di eliminare questa caratteristica importante da una piccola area. Quanto piccola? Diciamo quanto la distanza tra i piedi del nemico, per approssimare. Solitamente, il Nesciens utilizza la magia, facendo un gesto orizzontale con il palmo verso i piedi del nemico, per poi avvicinarsi e tentare una finta. Qualunque sia l'uso dell'incantesimo, il nemico dovrà fare attenzione, dato che il più semplice dei movimenti può farlo capitombolare, con tanto di dovuta umiliazione.
    [Costo. Basso]




    Riassunto Post

    Azrael, dopo essersi messo davanti a Khan, scansandolo per poter eventualmente incassare offensive dirette nei suoi confronti, utilizza Annullare Attrito per rendere instabile l'equilibrio del nemico e cerca di farlo cadere, nonché ovviamente di ferirlo, con la "scarica di pugni" manifestata tramite Eredità del Geomante (A Costo Alto).


    Edited by AzraelParanoia - 1/9/2016, 17:00
     
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  13. Xisil
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    La punta acuminata che fino a quel momento era stato il fulcro di tutta la sua concentrazione, il punto di fuga del suo orizzonte, quell’artiglio puntato minaccioso e accusatorio contro il Nessuno di fronte a lei fremette instabile. La vista si fece sfuocata, come se un velo di fatica e debolezza fosse calato davanti ai suoi occhi. Sbatté le palpebre, più e più volte, senza riuscire a liberarsi di quella fastidiosa sensazione. I muscoli delle braccia, prima tesi seppure doloranti, repentini presero a contrarsi in piccoli quanto ingestibili spasmi, mentre le sue mani si serrarono sulle corde e l’impugnatura dell’arco con tale forza da causarle dolore. Il suo occhio ceruleo incrociò lo sguardo di ghiaccio della donna, freddo, insondabile, e sentì un brivido saettare lungo la sua schiena, il freddo impossessarsi dei suoi arti, le ginocchia piegarsi appena tremanti sotto il peso del mancamento, gocce di sudore colare lungo la sua fronte. Colpiscila, adesso ma la mano non osò mollare la presa, e quella freccia tremante rimase un innocuo monito, vestigio di una rabbia incatenata in un corpo di cui non aveva controllo. Fallo! Adesso o mai più. Ma la sua testa girava vuota, leggera, imprigionata in una prigione di ghiaccio e gettata nei cupi abissi tenebrosi di quelle fredde, vuote pupille, trapassate dalla sua ira come un fulmine che squarcia la notte. Egeria era lì, di fronte a lei, e la guerriera avrebbe tanto desiderato perdere persino il controllo della sua vista assieme al resto del corpo, che i suoi occhi smettessero di comunicare con la sua mente come le sue mani avevano fatto. Forse la ragazza avrebbe sofferto, magari persino urlato, ma Xisil non avrebbe riconosciuto alcun rumore mentre scivolava nelle tenebre. La freccia scivolò dalle sue dita tintinnando sul marmo del salone.


    Xisil aprì gli occhi, ma la realtà raggiunse la sua percezione solo in parte, piatta come in una fotografia; la pelle del viso pizzicava irritata, sudata, bruciando nel mezzo come attraversato da un ferro rovente. - Devo aprire gli occhi - , pensò meccanicamente, - Entrambi - ; la sua mente diede il comando al corpo, ma nulla cambiò, e quanto più riemergeva dal tepore del sonno, tanto più avvertiva un elemento estraneo e ingombrante sul volto mentre l’aria fredda dell’inverno giungeva spezzata e interrotta, pungendo come miriadi di minuscoli aghi. Sfiorò con la mano la fronte scostando i capelli scompigliati e avvertì sotto i polpastrelli la superficie ruvida e umidiccia dei bendaggi, indugiò in silenzio su quella strana e inaspettata rivelazione, finché dall’abisso del sonno afferrò un capo del filo dei suoi pensieri, cominciò a tirare prima lentamente, poi con sempre maggior foga, srotolando fino all’ultimo centimetro di quella contorta matassa che erano i suoi ultimi ricordi prima dell’oblio. Lasciò cadere il palmo aperto su quella maschera dolorante, respirò lentamente mentre il panico prendeva possesso del suo corpo, imponendosi una compostezza che la sua coscienza, nell’intimità di quella stanza completamente vuota, stentava a farsi sentire. Lo sforzo fu immenso, giacque diversi minuti abbandonata sul cuscino, il corpo pervaso da un leggero fremito isterico, come se il soldato fosse coinvolto in una estenuante battaglia contro la donna, la fanciulla smarrita, repressa in qualche meandro sperduto della sua anima, colta da un improvviso attacco di claustrofobia. Per un istante un’ombra offuscò i suoi pensieri, e Xisil si sentì orribilmente fuori posto.



    Quando Xisil accolse di nuovo l’aria densa nei suoi polmoni, la donna dell’Organizzazione era ormai scomparsa; la lunga, rumorosa boccata d’aria risucchiata avidamente nel suo petto non aveva, sorprendentemente, il sapore pungente dell’inverno. Inspirò, espirò, e di nuovo boccheggiò in preda all’incredulità: due creature dai manti variopinti si ergevano di fronte a loro, due esseri come mai ne aveva visti prima di allora, fatta eccezione per un solo dettaglio, quello strano simbolo che era più che certa di aver già visto. Il Nessuno doveva per forza avere qualcosa a che fare con le creature incontrate poco prima. Dannata bugiarda, come volevasi dimostrare.

    “Luridi sciacalli che non siete altro, vi permettete pure di metterci i bastoni tra le ruote?” Khan non era neanche lontanamente entusiasta quanto lo era invece Azrael. “Okay, gente , il dinosauro è mio”. I due si gettarono contro la più grande delle creature, mentre lo sguardo della guerriera ricadde immediatamente sulla sfavillante criniera turchese del felino, più piccolo, probabilmente più veloce. Qualcuno doveva pur coprire le spalle ai due uomini, ed Egeria sembrò condividere il suo stesso pensiero. Xisil afferrò fulminea una seconda freccia – avrebbe recuperato la prima in un secondo momento, non sarebbe stato prudente chinarsi d’innanzi ad un predatore di quelle dimensioni - , nuovamente salda sulle gambe che lentamente avevano riconquistato il loro precedente vigore. Avrebbe preso la mira e scoccato la freccia alcuni metri al di sopra delle loro teste, verso il soffitto, laddove sarebbe scomparsa in una frazione di secondo in un sottile squarcio nell’aria. In pochi secondi due frecce uguali alla prima sarebbero riapparse alle spalle della creatura, piovendo dall’alto con un sibilo fino a convergere nel punto in cui il felino si sarebbe trovato.

    Xisil si concesse un istante per guardare Egeria, giunta in fretta al suo fianco. Non avrebbe rimproverato la sua imprudenza proprio in quell’istante, né si sarebbe scusata per quella freccia che giaceva fredda e inoffensiva ai loro piedi, non in quel momento; l’avrebbe afferrata, l’avrebbe gettata con rabbia e frustrazione contro il muro più vicino, se solo le fosse capitata nuovamente fra le mani. La sua compagna di viaggio era incolume, e ciò per il momento doveva bastare a rassicurare la guerriera che ogni cosa sarebbe andata per il meglio, che presto avrebbero risolto ogni faccenda in sospeso. Indugiò sulle iridi scarlatte della ragazza, quegli occhi così peculiari ed evocativi, giusto il tempo necessario affinché i ricordi, affollandosi febbrili nella sua mente, riuscissero a infondere nelle sue membra tutta la rabbia e l’adrenalina che le fosse possibile raccogliere per superare anche quella battaglia. Con la mano sinistra strofinò l’occhio offeso, quasi inconsciamente, un gesto incondizionato che l’abitudine aveva da tempo cancellato, un dolore fantasma che da mesi ormai non avvertiva più.

    [Corpo - 55] | [Esn. - 105] | [Mente - 40] | [Conc. - 75] | [Dest - 100] | [Vel. - 100]



    Energia: 76 - 24 = 52%

    Stato Fisico: Buono

    Stato Psicologico: Rabbia, frustrazione

    Equipaggiamento:

    Arandil II: Il valore affettivo della spada originaria di Xisil era troppo grande perché ella potesse liberarsene: la sacralità del duello a fil di spada fra guerrieri e l’onore che da questo deriva, come insegnatole sin dal principio, non è mai sfuggito dalla sua mente. Senza mai rinnegare la sua arte, il suo passato, decise semplicemente di rendere la sua arma molto più versatile e adatta a combattimenti che non contemplassero solo e unicamente tale concetto di battaglia.
    Dopo un duro lavoro di manodopera, tale spada è stata modellata nuovamente mantenendo il materiale originale della lama, ovvero il diamante. Tuttavia, la nuova Arandil presenta modifiche non irrilevanti. I due tagli della spada si dividono perfettamente al centro, le due lame si ripiegano verso l’elsa, ruotando su un perno posto in cima ad essa, rivelando una serie di sottili corde incrociate, prima celati in una sottilissima fenditura nel filo della spada, e agganciati alla lama in più di un punto, che costituisce la corda resistente di un arco molto preciso. L’elsa, estratta, diviene il punto d’aggancio della freccia nel momento in cui viene incoccata. L’arma non riporta colori sgargianti, presentando invece le sfumature tipiche del metallo e del diamante. La lunghezza complessiva della lama è 90 cm, 120 contando anche l’elsa. Una volta esteso, l’arco è lungo 150 cm. Il tempo d’attivazione del meccanismo è tanto veloce da risultare ininfluente in battaglia. (arma meccanizzata)

    Agganciate ad una fascia molto aderente e celata dalla gonna della guerriera, spuntando da sotto il tessuto quanto basta per essere afferrate con facilità, le frecce hanno le dimensioni poco superiori a quelle di un dardo; costituite da una serie di cilindri resistenti inseriti l’uno nell’altro, una volta estratti i piccoli dardi si estendono raggiungendo le dimensioni di una freccia ordinaria. Il loro danno fa riferimento al parametro Destrezza (18 - 2= 16)

    Abilità Passive:

    Blurred images: Grazie all’elevata destrezza, i movimenti compiuti da Xisil con la spada appaiono sfocati e difficili da seguire, producendo l’illusione nell’avversario di immagini permanenti in modo indefinito nel vuoto, rendendo difficile individuare e parare i reali colpi della guerriera. (Passiva basata sulla destrezza, normale)

    Abilità Attive:

    Sniper: Xisil è in grado di permeare di potere magico una delle sue frecce. Attraverso questa abilità una freccia da lei scoccata verso qualunque punto attorno a lei svanirà in un sottile varco dall’aspetto simile ad uno squarcio. A questo punto la guerriera sarà in grado di fare apparire ben quattro frecce magiche dalle medesime caratteristiche dell’originale, ciascuna attraverso un piccolo varco ad un minimo di 5 metri di distanza dal nemico designato, già scoccate e pronte a colpire. Tali frecce posso manifestarsi a discrezione della fanciulla, più di una in uno stesso turno o una per ognuno, per un totale di due turni di durata. Tuttavia, al momento dell’uscita di queste dal varco, saranno accompagnate da un “fischio” rilevante nel momento in cui fenderanno l’aria. (Tecnica magica, costo: Alto. Forza di ogni singola freccia: Basso)

    Costo. Alto.





    Edited by Xisil - 1/9/2016, 21:10
     
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  14. misterious detective
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    Non le importava nulla. Richiudendo il varco oscuro alle sue spalle, si ripeté una sola volta quelle parole: non aveva bisogno di ricordarselo più di così, non era più un'umana che aveva bisogno di convincersi da sola della correttezza dei suoi metodi. Aveva fatto del suo meglio per concedere a quei quattro mercenari l'unica salvezza che poteva concedere loro, così come lo aveva fatto con tutti gli altri che li avevano preceduti. Sapeva che non sarebbe stato facile in eterno, che prima o poi sarebbe giunto il momento che lei stessa mettesse di nuovo mano alla sua arma per difendere quel Regno. Di fronte a quell'eventualità non provava nulla, niente suscitava in lei una reazione.
    “Ora si tratta soltanto di aspettare.” si disse, osservando l'area intorno a lei: un atrio ampio, con una singola uscita verso il corridoio dietro di lei e un enorme portone istoriato di fronte. Un campo perfetto per esercitare i suoi poteri, se fossero riusciti a raggiungerla. In “cuor” suo, tuttavia, sperava sarebbero caduti prima.
    Scivolò attraverso l'entrata monumentale, appena celata dall'ombra dei battenti. Il ragazzo era poco più avanti, davanti a lei, seduto a terra sul tappeto rosso in cima alla scalinata, la sua arma abbandonata a terra con il pugno socchiuso che la reggeva appena.
    -Rem.- lo chiamò con voce stanca: vide il ragazzo sussultare e drizzare la schiena, collo allungato per vederla meglio.
    -S... sì, Xophiab?- le rispose lui con chiara timidezza e agitazione.
    -Preparati, i nemici stanno venendo a ucciderti. Potrebbero raggiungerci in qualsiasi momento.-
    La donna si strinse nel suo abito, tirando i lembi del colletto, strinse e rilassò più volte la mano destra guantata ed inspirò a pieni polmoni l'aria secca della stanza. Con una sola occhiata, colse i tremori che percorrevano il corpo del giovane, mentre stringeva la sua spada al petto, gli occhi bassi su di essa, quasi non credesse a ciò che stava facendo.
    La Nessuno si voltò, volgendosi di nuovo al lungo corridoio dalle pareti scure che si perdeva nella penombra. -Se arriveranno, voglio che tu sia pronto ad accoglierli come ti ho insegnato.- pausa, respirò, preparandosi a modulare al meglio la sua voce. -Sai cosa succederebbe se fallissi, non è vero?-
    Non ebbe bisogno di voltarsi: udì uno squittio agitato, percepì coi sensi la paura che si impossessava del suo alleato. Era molto importante che lui, capace di percepire quel sentimento disperato e agghiacciante che era il terrore, si tenesse quelle sensazioni ben strette, la vittoria doveva essere per lui importante quanto, anzi, molto più di come lo era per lei: perché per Xophiab, quel gioco di guardie e ladri era una scommessa che sapeva già avrebbe comunque vinto, ma per lui... per Rem la posta in palio era la misera vita che gli rimaneva.
    Le porte si chiusero dietro di lei appena fu uscita. Con la sinistra si accarezzò il polso e da lì fece scivolare le dita lungo il suo guanto scuro, fino ai polpastrelli. Sospirò ad occhi chiusi e alzò gli occhi di fronte a sé. In piedi di guardia, si preparò all'attesa, nessuna incertezza dentro di lei e pronta a qualsiasi risoluzione il destino le serbasse per quel conflitto.

    Le bestie ruggirono all'unisono, versi crudeli che appartenevano ad un altro mondo: il leone si piegò ostile sugli arti, il tirannosauro agitò la pesante coda, che guizzò con un rumore sordo nell'aria. Questa volta, tuttavia, i quattro mercenari conoscevano ciò che si trovavano di fronte, erano pronti a combatterli e a guadagnarsi la prima mossa, per nulla intenzionati a ripetere l'errore commesso lungo il sentiero.
    I guerrieri non si scambiarono che poche parole: alcuni imprecarono contro i loro nemici e contro la loro burattinaia, altri tentarono di organizzare velocemente una strategia. Eppure, anche senza il tempo di riflettere, d'istinto tutti e quattro dimostrarono di sapere come gestire la situazione: le donne si mossero assieme, designando il re degli animali come loro bersaglio, mentre il Nesciens ed il Soldato affrontarono il fossile di petto.
    Tra Xisil ed Egeria fu la seconda a condurre l'assalto: la guerriera da un occhio solo piegò le gambe ed incoccò rapida la fregga, mentre la scienziata le forniva un diversivo. Il Kervion guizzò come un proiettile, si allungò come un elastico e saldo come una catena legò tra loro le zampe della creatura. Quello incespicò nel tentativo di muoversi, minacciò di perdere l'equilibrio nei suoi sforzi di liberarsi. Fu allora che, con un ringhio furente, alzò gli occhi dai suoi artigli incatenati ai nemici di fronte a lui. L'arciere scoccò la sua freccia, ma mirò lontano da lui, verso il soffitto affrescato dell'atrio. Lo spaziò parve vibrare e perdere forma, come se la realtà stessa fosse un miraggio, ed in un gorgo dai colori indefinibili il proiettile scagliato svanì come se non fosse mai esistito. L'Aura Lion non era in grado di capire, non si era preoccupato di cosa quella tecnica potesse comportare, eppure imitò le sue nemiche, attingendo ai poteri che la sua natura gli conferiva.
    La sagoma del Dream Eater si fece incerta ed indefinita per un istante, la sua figura parve dissolvesi nella luce. Un'immagine, un fantasma rifratto dal sole e nulla più rimase del pericoloso predatore ed accanto ad esso un suo simile, una copia identica, ringhiava con medesima agitazione. Le frecce, già apparse alle spalle del mostro, dirette verso il punto dove egli stava in origine, trapassarono una delle creature: il loro tragitto proseguì fino a perforare il lucido pavimento del Castello, il miraggio invece si tese fino a spezzarsi come una bolla di sapone, mentre l'altro spettro prendeva forma e si rivelava per il nemico autentico. L'aura Lion approfittò di quell'istante: anche con le zampe intrappolate sul posto poteva comunque attaccare: si acquattò, come progettando di saltare loro addosso, inspirò con un suono rauco e ruggì con impareggiabile potenza: il suo corpo prese a brillare d'azzurro e di smeraldo, l'energia si caricò dentro di lui, come se le sue fauci fossero un vortice che risucchiava ogni cosa, un baluginio pulsò attorno ad esso e, appena il leone si fu alzato sulle gambe, tutta l'energia che aveva accumulato fu rilasciata in un'unica, possente ondata. L'aura che emanò assunse le sue stesse forme, una copia magica dai contorni fiammeggianti che, libero da ogni impedimento, si tuffò a braccia e fauci spalancate verso l'arciere, pronta ad esplodere appena le sue zanne si fossero calate sul suo corpo. Proprio mentre il mostro già pregustava la vittoria sul primo dei suoi nemici, la vera strategia della scienziata si realizzò: troppo tardi il Dream Eater si accorse dello stridio proveniente da sottoterra, solo quando ormai non era più in grado di schivare, l'essere si rivolse confuso ai suoi piedi per vedere le mattonelle incrinarsi e venir sradicate dal terreno in un solo, letale istante. Una stalagmite scura, affilata come una lancia d'acciaio, proruppe dal terreno, un affondo mortale diretto al felino. Quello tentò di rotolare di lato, spingendosi lontano con le zampe e lasciandosi cadere, ma il freddo metallo grattò la sua pelle e dilaniò i muscoli al di sotto: un largo squarcio pulsante apparve sul suo fianco e il mostro crollò a terra con un guaito sofferente.

    Nell'altro angolo del ring, invece, il Soldato dell'Oscurità ed il Nesciens erano riusciti ad intrattenere il tirannosauro, costringendolo ad un duro scontro: imitando le compagne, assunsero una posizione in prima e seconda linea, Khan strinse gli occhi e concentrò il suo potere magico, un'aura oscura e gelida lo avvolse, intrecciandosi con la rabbia che faceva ribollire il suo sangue. Azrael gli si pose davanti come scudo e con movimenti rapidi ed abili piegò ai suoi desideri la terra stessa con i suoi eccezionali poteri:
    Il Bone To Be Wild stava già caricando con grandi passi delle sue zampe posteriori. Ogni passo era un terremoto, ma appena il piede destro si appoggiò davanti all'altro per la seconda volta, anziché trovare stabilità scivolò in avanti e a minacciare di crollare fu la stessa creatura.
    Era troppo grosso e troppo lento per reagire, la sua impacciataggine non li avrebbe permesso di vincere uno scontro in quelle condizioni. Pur senza l'intelligenza per realizzare quelle semplici conclusioni, qualcosa dentro di lui aveva compreso, un istinto che urlava, muovendo il suo corpo secondo le sue sensazioni sconnesse. Mentre cadeva a terra, portò indietro la testa e quindi, in uno scatto improvviso, la spinse in avanti: le giunture tra collo e cranio vennero a mancare, si separarono come pezzi di un puzzle: il teschio, battendo le fauci tra di loro, fu lanciata come un proiettile in avanti, verso lo stesso Nesciens che lo aveva obbligato ad un simile azzardo.
    I nemici erano due, tuttavia, e l'unico pensiero al centro della mente del Dream Eater era l'ordine che gli era stato impartito, il comando al quale non poteva sottrarsi: doveva eliminare i nemici, doveva divorarli e debellare il pericolo. Incurante della sua stessa sorte, preparò subito l'assalto a Khan: fece schioccare la sua enorme coda, la palla chiodata batté a terra un colpo di tamburo e poi mulinò nell'aria: come la testa prima di essa, l'appendice lasciò il corpo, il maglio disegnò una parabola nell'aria e si fermò per un solo istante sopra le teste dei due guerrieri. Sarebbe stato concesso loro solo un istante per maledire la loro sorte e allora l'enorme proiettile si sarebbe schiantato a terra, proprio dove si trovava Khan al lancio dello stesso, scavando un cratere nell'atrio del Castello e spazzando via le sue vittime con la possente e dannosa onda d'urto. Il tirranosauro sapeva solo come disintegrare i nemici, non aveva altre armi a sua disposizione: per quanto che fosse il suo potere distruttivo, il mostro rimase inerte senza difese di fronte all'assalto combinato dei suoi nemici: la sfera fiammeggiante che lo spadaccino evocò di fronte a sé esplose contro le sue ossa, un calore infernale sciolse il suo corpo in una poltiglia dai colori folli, come mille tempere mischiate tra di loro che colavano dalla tavolozza. La raffica di pugni rocciosi invece avrebbe definitivamente spezzato il fragile corpo che gli restava come pezzi d'argilla a malapena tenuti assieme, finché del corpo del mostro non fosse rimasta traccia.

    Bone To Be Wild
    300px-Skelterwild_%28Nightmare%29_KH3D
    Corpo: 150
    Essenza: 40
    Mente: 30
    Concentrazione: 50
    Destrezza: 60
    Velocità: 80


    Energia: Gialla
    Crowns: Symbol_-_Crownargento

    Status Fisico: FUCKING DEAD

    MP: 86%

    Abilità usate:

    Spooky Scary Skeleton [Abilità Passiva Fisica Normale] – Non è facile riuscire a sfruttare il vantaggio numerico contro un Bone To Be Wild. Può sembrare uno scherzo, può sembrare una capacità che si potrebbe trovare solo in un film horror di serie B, eppure esso è davvero in grado di dividere il suo corpo, di controllare le sue ossa anche quando non sono unite in un'unica massa, sfruttando così parti diverse del suo corpo per attaccare da più fronti. Nello specifico, il Dream Eater ricoprirà il suo corpo, per qualche istante, di fiamme scure, bluastre. Subito dopo, il suo capo si separerà dal collo, rendendo così il capo una parte totalmente indipendente da tutto il resto. Può rimanere a lungo in questa forma quanto a lungo desideri e con la stessa semplicità può ricongiungere le sue parti. I danni che subisce in questa forma non hanno nessuna mutazione, tuttavia, e colpire la testa (o il corpo) è esattamente tanto efficace quanto poteva esserlo prima.

    Bone Smash [Abilità Attiva Fisica – Livello Medio] – Anche a costo di mettere a rischio se stesso, anche se il suo corpo potrebbe non essere in grado di reggere un simile sforzo (cosa di cui lo stesso Nightmare non si rende in realtà conto) egli sa solo che questa tecnica è capace di polverizzare qualsiasi nemico con il suo eccezionale potere. Esso, infatti, trasferirà buona parte dell'energia oscura che tiene assieme le sue ossa, che gli permette di esistere, all'interno della sua coda o, per l'esattezza, della palla chiodata. Con un movimento brusco dell'appendice, allora, muoverà la sfera che si staccherà dal resto del suo corpo, lanciata in aria come un siluro o come una bomba. Il potere oscuro la renderà molto più massiccia, più pesante, più letale. Guadagnato all'improvviso il peso di oltre un quintale, non solo risulterà letale per chiunque sia colpito direttamente, ma proprio come una granata, allo scontrarsi con il terreno, scaricherà tutto il suo potere, esplodendo con una devastante onda d'urto che spazzerà via con enorme violenza chiunque si trovasse a distanza ravvicinata da essa, rischiando così non solo che l'ondata in sé sia dannosa contro la vittima, ma che il suo “volo” termini contro una parete o qualcosa di ugualmente doloroso. E come se questo non fosse prova sufficiente di potenza, mentre una nuova palla chiodata si formerà sulla coda del Bone To Be Wild, laddove si trovava quella esplosa, come unico segnale di ciò che era stato si potrà trovare un grosso e profondo cratere, causato in parte dalla caduta di un oggetto tanto pesante, in parte dal suo scoppio (la potenza della tecnica è divisa tra la caduta del maglio e l'onda d'urto che ne consegue)


    Mondo/i di provenienza: Regno dei Sogni

    Bottini: Stele dell'Ira, Pietra Ardente


    Aura Lion
    300px-Aura_Lion_%28Nightmare%29_KH3D
    Corpo: 80
    Essenza: 80
    Mente: 80
    Concentrazione: 70
    Destrezza: 40
    Velocità: 40


    Energia: Verde
    Crowns: Symbol_-_Crownargento

    Status Fisico: Profonda ferita al fianco (almost fuckin dead too)

    MP: 64%

    Abilità Usate:
    Aura Mirage [Abilità Attiva Illusoria – Livello Medio - Mantenimento] – Sarà sufficiente il tempo di un solo istante, la figura del leone tremerà baluginando, come se la sua stessa esistenza non fosse altro che un illusione, e dove c'era una sola creatura ne appariranno due. Entrambe saranno ugualmente false, entrambe saranno ugualmente reali: finché l'illusione non sarà distrutta, il vero Aura Lion esisterà in entrambi e in nessuno di essi allo stesso tempo e, proprio per questo, riuscirà sempre, in qualche modo, a scambiarsi con il suo falso nell'esatto istante in cui un attacco (e uno solo) dovesse venire nella sua direzione, eppure anche se l'avversario avesse prestato attenzione ai loro movimenti, anche se credesse di sapere quale sia il vero leone e quale sia la copia, questi scoprirà sempre a sue spese che, nel momento in cui uno di essi dovesse tentare di azzannarlo, graffiarlo o lanciarsi in un qualsiasi attacco, allora in quello stesso istante esso diventerebbe il vero leone, aprendo così sempre una possibilità all'Aura Lion di prendere di sorpresa i suoi avversari e di sferrare un colpo decisivo a qualsiasi guerriero non sia abbastanza abile da tenere al guinzaglio due animali allo stesso tempo.


    Aura Discharge [Abilità Attiva Magica – Livello Alto] – Il leone punta i piedi per terra, abbassa schiena e capo, carica tutta l'energia del suo corpo, quindi si innalza sulle sue zampe prima piegate e lancia un possente ruggito. L'aura accumulata nel suo corpo prende forma e si separa da esso, diviene una nuova creatura identica ad esso, se non per il colore azzurro e traslucido di tutto il suo corpo e per la mancanza delle gambe posteriori al posto delle quali, come fumo che si disperde nell'atmosfera, i flutti di energia che lo compongono si fanno molto più deboli. Questa creatura scatterà fluttuando in aria, si muoverà come una freccia scoccata, ma con la capacità di deviare leggermente la sua traiettoria verso destra o sinistra per inseguire la preda che fosse abbastanza agile e pronta di riflessi da tentare una fuga, ed avanzerà distruttiva fino a otto metri di distanza dall'Aura Lion che l'ha creata. Se dovesse raggiungere l'obiettivo e azzannarlo con i suoi morsi devastanti, se dovesse scontrarsi con qualcosa (come altre tecniche) di simile potenza o semplicemente per rispondere al volere del suo creatore, allora il leone esploderebbe immediatamente, causando devastazione con il potere della sua aura rilasciato in un solo istante e causando così gravi danni da esplosione a chiunque si trovasse entro un raggio di cinque metri, mentre se ci fossero altri ostacoli a separarla dal suo bersaglio essa, come un fantasma o un essere onirico, si limiterebbe ad attraversarlo, non affetta minimamente.



    Mondo/i di provenienza: Regno dei Sogni

    Bottini: Pietra Energia, Scheggia Energia



    Dai che in settimana abbiamo chiuso con gli esami e niente più ritardi (si spera) da ambo le parti =w=
     
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    IL QUARTO REGNO

    spiritsighs_dividers3_89

    Quando il Kervion cinse le zampe posteriori del felino Egeria sperò che fosse finita. Vide il mostro barcollare, esitare un istante e ruggire furioso; la freccia di Xisil e il Kervion sotterraneo macinavano centimetri nella sua percezione rallentata dall'adrenalina, sempre più vicini, sempre più vicini. “Non può evitarli” cercò di rassicurarsi. “Non c’è modo”.
    Poi tutto degenerò in un solo, caleidoscopico istante. Il mostro a quattro zampe brillò di una luce improvvisa, mentre una strana magia separava dal suo corpo una proiezione, un clone di se stesso. Una manovra evasiva?
    Non fece in tempo a determinare se gli attacchi suoi e della sua compagna fossero andati a segno: il leone stava per attaccare, ed Egeria non poteva permettersi né di abbassare la guardia, né di concentrare la sua attenzione altrove. Il suo nemico si era abbassato sulle zampe anteriori e aveva lanciato un ultimo, possente ruggito. Subito dopo, la magia: un'altra proiezione, un'altra copia luminos, stavolta diretta verso Xisil, verso loro due; una carica di luce, un assalto pronto a travolgerle.
    Agì senza pensare: con entrambe le mani mosse tutto il Kervion rimasto a sua disposizione, che vibrò e ondeggiò per qualche istante prima di espandersi con una stridente esplosione grigia. Uno scudo, una barriera ad arco larga abbastanza da coprirle entrambe. Attese l'impatto a mani alzate e occhi chiusi. L'impatto arrivò.
    Il boato e la deflagrazione che seguirono furono più forti di quanto avesse previsto. Nonostante il suo scudo avesse retto e assorbito la magia, parte dell'onda d'urto era passata attraverso - sopra e ai lati, minacciando di farle perdere l'equilibrio e destabilizzare lo scudo. Resistette. Cercò di non dare importanza ai timpani che fischiavano impazziti e alle mani che tremavano vistosamente. Resistette, resistette quanto bastava.
    Non sentiva suoni di passi o ruggiti, ma presupporre che fossero al sicuro, che il suo assalto originale fosse andato a segno sarebbe stata un'ingenuità. Chiese al Kervion di prestargli la sua percezione; il Kervion gliela concesse. Come in un sogno, lo spazio fisico si fece spazio mentale. I colori divennero suoni e onde in un mare nero. Niente. Non percepiva niente, non nelle immediate vicinanze.
    Abbassò le mani ancora tremanti e il Kervion tornò sfera con un risucchio metallico. I fumi dell'esplosione si stavano diradando, i suoi occhi si riadattavano lentamente a una condizione di luce normale.
    Il felino era a terra, morente. Il suo petto era stato trapassato dal Kervion che ora, serpeggiante, tornava verso la sua padrona. Di fianco al leone, numerose mattonelle sradicate testimoniavano la potenza di quella magia: una potenza distruttiva, in grado solo di fare del male.
    Un brivido insolito le percorse la schiena, mentre la calma derivata dalla consapevolezza della vittoria riapriva la strada a congetture, paranoie e ricordi. In un flash, al leone si sostituì un vecchio tronco marcio usato per l’allenamento; all’aria tiepida del castello, la fredda brezza mattutina di Oriam. Per un solo istante ricordò: ricordò la paura e l’orrore di quando aveva realizzato la sua stessa forza. Di quando si era resa conto quanto quel metallo fosse pericoloso.
    Chiuse gli occhi e distolse il capo. Xisil si era avviata per finire la bestia, spada sguainata, ma Egeria non aveva intenzione di guardare. Il modo in cui quel felino aveva guaito poco prima aveva ben poco di mostruoso; ben poco di abominevole.
    Decise di rivolgere la sua attenzione agli altri due membri del gruppo. Anche la battaglia di Azrael e Khan sembrava essersi conclusa rapidamente: le ossa che componevano il “dinosauro” erano sparse per l’atrio e nessuna di esse si muoveva più; fumi neri e viola, figli di magie ed esplosioni, spiraleggiavano tra pavimento e soffitto disegnando sinistri arabeschi.
    Nonostante la brevità dello scambio di colpi, era evidente che anche loro non avessero avuto vita facile. Entrambi sembravano provati da un evidentemente ingente dispendio di energia, e la ferita alla gamba di Khan, nonostante le fasciature, doveva causare al mercenario un impedimento non indifferente.
    Gli occhi di Egeria si soffermarono, freddi, sulla figura inginocchiata del moro: l’aura nera e viola che poco prima aveva visto avviluppare il suo corpo stava lentamente scemando, come una fiamma morente accarezzata dal vento. Assottigliando le labbra, Egeria ricordò la soggezione e la paura che quella manifestazione le aveva istintivamente causato. Era davvero oscurità – fu costretta a concludere in un sospiro; era davvero il potere degli heartless, il potere che aveva rovinato la sua vita. Eppure, si impose chiudendo gli occhi, in quel momento non importava. Oltre le fiamme morenti, oltre i resti contingenti di un’entità che ancora non comprendeva, non stava un heartless; non stava un mostro. Stava un uomo, ansimante e sofferente. Un uomo che poteva, doveva aiutare.
    Egeria si umettò nervosamente le labbra. La donna a cui davano la caccia era potente: l’aveva dimostrato fin troppo efficacemente poco prima. Se volevano avere una possibilità concreta contro di lei, dovevano essere tutti nella condizione di combattere. E con quella gamba, in un ipotetico inseguimento, Khan non avrebbe potuto essere di grande aiuto: sarebbe stato costretto a rimanere indietro, e il solo pensiero le creava un inspiegabile nodo alla gola.
    Si scoprì camminare spedita verso di lui. La giacca e i capelli voluminosi svolazzavano al ritmo del suo andare urgente.
    Quando gli fu vicino, si inginocchiò senza incrociare il suo sgaurdo.
    «Resta fermo, per favore» disse, la voce ridotta a un bisbiglio affaticato. «Forse posso fare qualcosa per la tua gamba».
    Una tenue aura verde aveva già cominciato a ricoprirle le mani, quando una voce roca e stanca le rispose.
    «Hai abbastanza energia per farlo?»
    Egeria ricambiò per un solo istante lo sguardo ambrato. Vi lesse cruccio ma non disapprovazione. Si limitò ad annuire; non ne aveva in sovrabbondanza, ma non importava; non se un suo ulteriore affaticamento poteva fare la differenza tra la vita e la morte di un -esitò- di un compagno di missione. Tornò a concentrarsi sul suo compito: un flusso costante di energia verde cominciò a riversarsi dalle sue mani alla gamba fasciata; era caldo e rassicurante, e il solo osservarlo aiutò i suoi muscoli e il suo viso a rilassarsi. Non aveva mai curato nessuno che non fosse se stessa, prima d’allora: era una sensazione nuova ed estranea, ma piacevole.
    Ci vollero pochi secondi. Quando ritrasse le mani e si rialzò, non aggiunse altro sull’episodio. Sapeva che la magia aveva fatto effetto: non c’era bisogno di chiedere a Khan se stesse meglio, o se fosse in grado di continuare. No, non ce n’era bisogno.
    Deglutì e fece forza sulle gambe per rialzarsi.
    «Dobbiamo andare» disse, bassa ma decisa, rivolta a Khan e a forse a se stessa. «O la perderemo».
    Khan si rialzò poco dopo. Di sottecchi, Egeria lo vide battere a terra la gamba una e due volte, come a verificarne il corretto funzionamento. La magia aveva davvero funzionato, dunque. Sospirò tra sé, senza emettere alcun suono, dando sfogo a un sollievo che aveva creduto superfluo.
    «Ammirevole» constatò Khan poco dopo. Egeria, già voltatasi dall’altra parte, tornò a rivolgergli un’occhiata fugace. «Sia il gesto che l'incantesimo». E dopo aver inspirato a fondo, chinò il capo come in un inchino. «Grazie».
    Egeria non rispose subito. Il suo volto asettico era percorso da impercettibili tensioni: leggero incrinarsi di labbra, lieve alzarsi di palpebre, distendersi di sopracciglia. Non ce n’era bisogno, pensò. “Di nulla”, cercò di dire: non ce la fece; riuscì solo ad abbozzare quello che, ne era convinta, non doveva affatto sembrare un sorriso.



    Riassunto di battaglia:

    art-swd3e2-devushki-paren_1
    Cr: 130 | Es: 155 | Mt: 65 | Conc: 75 | Vel: 90 | Dex: 75



    Status fisico: Numerose piccole bruciature di entità complessiva non-tecnica. L’affaticamento da dispendio di energie comincia a farsi sentire.
    Status mentale: irrequieta e confusa, eppure determinata ad andare avanti.
    Energia: 74 – 6 – 20 = 48%


    KERVION
    Oggetto magico, 180 AP

    kervion_6


    Il campione di Kervion attualmente in mano ad Egeria è una sfera perfetta di soli venti centimetri di diametro. Al tatto, la superficie risulta leggermente ruvida, ma non scanalata. Ha un colore grigio-scuro uniforme, e pesa dieci chilogrammi esatti.

    L’unica caratteristica certa del Kervion, prima degli studi pioneristici di Helena, era che qualunque agglomerato del metallo tornasse alla forma sferica dopo aver subito qualsiasi tipo di trasformazione o danno. Non si tratta di vera e propria indistruttibilità, in quanto il Kervion, quando non si trova nella sua forma base, ha una resistenza anche inferiore a quella dell’acciaio; tuttavia, qualora un pezzo si staccasse dal “corpo” principale, andrebbe a riattaccarsi ad esso quasi subito dopo. [In termini di gioco, questa è una Passiva Superiore (25 AP) di indistruttibilità parziale, che giustifica narrativamente anche il “ritornare” dei pezzi del Kervion alla sfera principale quando Egeria lo manipola tramite le sue abilità variabili –descritte di seguito- o di altro tipo. È importante dunque sottolineare che il Kervion è indistruttibile soltanto nella sua forma sferica e non nelle sue manifestazioni, le quali entità saranno legate al consumo speso per crearle.]

    Le ricerche di Helena andarono molto oltre la semplice osservazione dei comportamenti del Kervion: riuscirono a comprenderne le intricate cause, scientifiche e magiche, aprendo così la strada all’utilizzo del metallo stesso per i più svariati scopi. Un dominatore del Kervion, dunque, non è solo un abile mago; in primis, dev’essere uno studioso brillante e instancabile, in quanto è impossibile raggiungere il controllo completo del metallo tramite la sola magia. Helena e, dopo anni e anni di studi, Egeria, furono le uniche a riuscire nell’impresa; nonché le uniche ad essere state in grado di stabilire con il metallo quella che le ricerche di Helena battezzarono “connessione di campo”: una sorta di connessione infrangibile tra Kervion e dominatore, una forza di carattere quasi magnetico che, una volta stabilita, impedisce ai due elementi della “coppia” di non essere allontanati. [In termini di gioco, ciò si traduce in una Passiva inferiore (15 AP) che impedisce a chiunque che non sia Egeria di influenzare in alcun modo il Kervion, o di alterare, a meno che non sia Egeria a permetterlo, la sua struttura sferica “base”. Sarà inoltre praticamente impossibile “rubare” il Kervion tramite mezzi convenzionali, in quanto la passiva gli impedisce di allontanarsi di più di 50 metri da Egeria.]

    Le proprietà del Kervion non dipendono soltanto dal materiale in sé; ne esiste infatti una in particolare che dipende, in gran parte, dal manipolatore. È stata una delle più importanti e sensazionali scoperte di Helena durante i primi studi con e su Egeria: il Kervion, anche se in minima parte, ha delle proprietà simbiotiche in continua evoluzione; più un singolo manipolatore vive a stretto contatto con il materiale, più facile sarà per lui controllarlo. Non si tratta di semplice adattamento, quanto di vera e propria sinergia, che si traduce anche in un tuttora inspiegabile potenziamento delle facoltà fisiche, magiche e persino mentali dell'utilizzatore del metallo. [Questo si traduce in una Passiva Superiore (25 AP) che concede ad Egeria il 4% di sconto su qualsiasi manifestazione magica che coinvolga il Kervion. Come da regolamento, nessun consumo potrà scendere oltre l'1% dopo l'applicazione di quest'abilità; lo sconto, inoltre, non sarà comulabile con altri sconti di alcun tipo.
    Inoltre, finché anche solo una minima parte della forma base del Kervion si trova nei pressi di Egeria, quest'ultima vedrà le proprie statistiche aumentare di 115 punti complessivi, la cui distribuzione è indicata nella tabella statistiche alla fine di questo post. (115 AP)
    ]



    Abilità passive


    L'affinità di Egeria con il Kervion le ha col tempo permesso di sviluppare dei "trucchi" non del tutto dipendenti dalle principali proprietà del metallo. Anni e anni di utilizzo e "convivenza" per i più vari scopi, hanno concesso ad Egeria la capacità di "percepire" attraverso il Kervion, di considerarlo come un'estensione del suo corpo. Ciò è reso possibile da una particolare onda emessa dalle vibrazioni e gli spostamenti del Kervion: con un po' di concentrazione, la giovane è in grado di percepire il percorso di quelle onde e di valutare, di conseguenza, le distanze percorse da esse prima di trovare ostacoli e tornare indietro. Una sorta di sonar rudimentale. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP), che permette ad Egeria di utilizzare il Kervion come un'estensione della sua percezione spaziale. Le onde emesse dal Kervion viaggiano costantemente, da qualsiasi emanazione del metallo, per circa 3 metri in ogni direzione: entro quella distanza, dunque, Egeria può avere un'idea generale della posizione di persone o oggetti che la sola vista non le concederebbe di vedere. Per usufruire di questo effetto, i pezzi di Kervion che emettono le onde non devono essere a più di un metro da Egeria.]

    Manipolare il Kervion può risultare logorante. Nel tempo, Egeria ha tentato di utilizzarlo in modi e quantità che hanno l'hanno spesso portata sull'orlo dello sfinimento. In realtà, inizialmente anche solo spostare il Kervion nella sua forma base, mantenerlo in aria, le risultava complesso e fisicamente drenante. Ora, quest'ultimo caso non rappresenta più una problematica: mantenere in levitazione il Kervion nella sua forma base o nelle sue trasformazioni non istantanee non le richiede più sforzo, né tantomeno un'eccessiva concentrazione. [In termini di gioco, questa capacità si traduce in una Passiva inferiore (0 AP) che concede ad Egeria di far levitare il Kervion senza alcun consumo, a patto che esso si trovi a non più di 2 metri di distanza da lei. Nel caso in cui Egeria decida di far levitare in questo modo un'arma creata dal Kervion (o qualsiasi altro oggetto "non istantaneo"), questa non potrà essere mossa in modo da arrecare alcun tipo di danno all'avversario.]


    Abilità attivate


    Il dominio di Egeria sul Kervion è pressoché totale. Con dei rapidi movimenti delle braccia, la giovane può far sì che il metallo si pieghi, estenda, separi, formi proiettili, lame volanti e cupole difensive. Al contrario di molti altri metalli, la struttura unica del Kervion consente a chiunque lo sappia dominare una varietà di scelte nella forma, la consistenza e la duttilità limitata unicamente dall’inventiva, l’energia magica spesa e, soprattutto, la quantità di Kervion a disposizione. Per quanto infatti il Kervion possa facilmente cambiare di densità sotto il controllo di Egeria, non può aumentare di massa. [In termini di gioco, il controllo totale di Egeria sul Kervion le concede due Attive variabili (70 AP), una offensiva e una difensiva (in grado di bloccare anche mezzi di trasmissione psionici). La potenza, la velocità e ogni altra caratteristica delle emanazioni create dal Kervion sono da intendersi basate sulla statistica Essenza di Egeria; in fase di difesa, tuttavia, eventuali danni si ripercuoteranno sul Corpo dell’avversario, in quanto il Kervion rimane comunque un metallo e come tale è in grado di infliggere unicamente danni da taglio, impatto e perforazione a seconda dei casi.]

    Nello specifico, ho utilizzato una difensiva a costo Medio (6% grazie alla passiva superiore).


    Energighun (Gratis Verde)
    Il personaggio emette una forte energia, in grado di curare le ferite più gravi e debilitanti.

    La tecnica ha natura Magica. Dopo alcuni istanti di concentrazione, il caster emetterà una terribile quantità di energia magica, che avvolgerà egli stesso (o un’altra creatura che egli ha intenzione di curare) avviluppandolo completamente in una massa luminosa che lo escluderà alla vista di tutti (non è tuttavia sufficiente a infastidire la vista di alcuna creatura). Tale bozzolo di luce, circondato nella sua interezza da eterei motivi floreali, non durerà più di alcuni secondi, dopo i quali svanirà, avendo curato una quantità di ferite su tutto il corpo di colui che ha subito la tecnica fintanto che fossero di potenziale Alto o inferiore.
    Costo. Alto.



    Riassunto e Note: Post che chiude un po’ bruscamente, e per questo chiedo scusa. Dato che, comunque, credo sia sottinteso che subito dopo ci lanciamo tutti all’inseguimento di Xophiab, ho preferito chiudere con una situazione più particolare e d’effetto. Naturalmente, se gli altri volessero aggiungere qualcosa dopo il dialogo con Khan alla fine sono più che aperto a fornire altre battute di Egeria o7 Peace!
     
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