Ascend to Oblivion

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    Your smile, fragments and gentle voice have disappeared to the moon

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    Delicatamente, i petali delle rose comparse grazie alla magia della bambina assorbirono il debole impatto del suo pugno, deviandolo verso destra. Era stanco, debilitato dalla ferita che continuava a bruciare sulla sua schiena. Sentiva il corpo pesare, lasciarsi cadere verso terra. Doveva riprendersi, lo sapeva. Doveva rialzarsi in volo, doveva farlo per il bene di tutti, per il bene suo, per quello di Vanessa e Shinan. Doveva allontanarsi dalla bambina e tentare nuovamente di riportarla indietro.
    Con uno sforzo dei muscoli dell'addome tentò di riprendere quota, ignorando il dolore freddo della schiena e quello caldo e ben più straziante delle gambe e delle spalle. Stringendo i denti e con un grugnito di dolore, inarcò la spina dorsale, cercando di sfruttare la propria magia per allontanarsi e richiamare a sé Finduilas.
    Un colpo umido, gelido contro le ustioni, lo fece gemere di dolore, scagliandolo contro il marmo scheggiato. In un istante tentacoli freddi si avvolsero attorno al suo corpo, avvinghiandolo ed impedendo i suoi movimenti. Con il tintinnio di Finduilas che veniva sbalzata appena fuori dalla portata della sua magia che rimbombava nella sua testa e con un ringhio più simile a quello di un animale che a quello di un essere umano, Ingwe si dimenò contro la magia che lo aveva immobilizzato, incurante del dolore delle ustioni e delle schegge di marmo che sentiva premere contro le parti libere del suo corpo.
    Odiava quella sensazione, odiava il non potersi muovere, il non poter agire o fare qualunque cosa. Odiava quell'impotenza con tutto il suo cuore. Con un grugnito piegò le gambe, cercando di fare perno sulle ginocchia e sulla sua magia per risollevarsi dal terreno annerito e scheggiato dagli attacchi di Shinan. Perché non poteva essere più forte? Perché non riusciva a proteggere nessuno? Perché tutto quello doveva ripetersi una seconda volta?
    La disperazione e l'angoscia invasero nuovamente il suo corpo mentre osservava con espressione vuota i piedi della bambina comparire all'interno del suo campo visivo.
    Aveva fallito. Tutto quello che aveva fatto nei giorni precedenti non aveva fatto altro che portare a quella fine di distruzione e morte. Aveva fallito. La consapevolezza di quei fatti pesava sulla carne più della morsa che lo premeva contro il pavimento, faceva più male delle ustioni che ricoprivano il suo corpo. Con un'ira ed una rassegnazione che si contraddicevano a vicenda combattendosi nel suo cuore, si morse il labbro, allaergando il taglio e macchiando il marmo con nuovo sangue.
    «Io non ti capisco.»
    Non alzò lo sguardo. Non ce ne era bisogno. Non voleva vedere di nuovo quel volto vuoto, non voleva sentire quell'angoscia riverberare dentro di sé, quella solitudine che lo colpiva come un maglio quando capiva che la Shinan che aveva conosciuto era scomparsa.
    «Non capisco nessuno di voi umani. Vi osservassi anche per anni interi non cambierebbe nulla comunque.»
    Prima di morire doveva subire anche quello, quindi? Ogni singola parola che era uscita dalla bocca della bambina era un nuova pugnalata al cuore, un nuovo squarcio che si apriva e sarebbe morto con lui. Che facesse quello che doveva fare, che lo uccidesse e basta. A questo punto, considerando la situazione in cui si trovavano, lo avrebbe preferito. Non sentiva più Vanessa e la battaglia tra l'armatura e la padrona del Castello continuava inutilmente.
    Sapeva che presto sarebbe finita, che presto l'Albina avrebbe vinto. Il solo pensiero lo disgustava e lo riempiva di rabbia, ma sapeva che sarebbe tutto finito lì. Per un istante nella sua mente comparve la ragazza dai capelli ceruli… Non le aveva mai rivolto la parola, né degnata di qualcosa di più di una semplice occhiata. Non aveva idea di dove fosse. Forse era già morta.
    Cosa doveva fare? Cosa doveva fare lui? Non aveva più la forza di combattere, non aveva più nemmeno la voglia di ribellarsi ai capricci ed alle torture di quel demone. Voleva vivere, voleva andarsene da lì. Ma non ne poteva più di lottare inutilmente, di crollare a terra sconfitto.
    Salvare tutti era un qualcosa di impossibile: come avrebbe potuto farcela quando non riusciva nemmeno a badare a se stesso?
    «Se mi avessi attaccato con il filo della spada, forse non saresti costretto a morire, forse il combattimento sarebbe ancora in corso.»
    Forse avrebbe dovuto farlo davvero. Forse avrebbe dovuto davvero ucciderla. Almeno per salvare Vanessa, almeno per evitare che l'altra sua compagna morisse. Non gli importava nemmeno di cosa sarebbe accaduto a se stesso, dopo quell'azione. In un caso o nell'altro, stava comunque per morire. Pensare ai “se” non aveva più senso.
    «E in nome di cosa, poi?»
    In nome della speranza e della sua debolezza. Fosse stato più forte, fosse stato più freddo e razionale, in quel momento Shinan sarebbe stata a terra, il cranio diviso in due metà uguali, morta. Non ne era stato in grado. Si era illuso da solo che potesse finire tutto bene, ma quella non era altro che una scusa che si era ripetuto nella sua mente.
    Con voce vuota rispose al quella domanda palesemente retorica.
    «In nome di quello che sei realmente.»
    Scuse. Scuse e basta. Scuse in cui, però, credeva. Scuse in cui aveva sperato. Era patetico.
    «Di quello che ho conosciuto e che Will ha distrutto. Ecco per cosa.»
    Non era altro che un essere patetico che continuava ad arrampicarsi su un muro di specchi, tentando di fuggire da una realtà troppo pesante da sopportare senza l'ausilio di illusioni e sogni infantili.
    Un filo di rabbia per ciò che provava nei confronti di se stesso trapelò dalle sue parole, smorzate e spezzate da un sospiro finale di rassegnazione.
    «È proprio per questo che siete stupidi.»
    Non gli serviva che glielo ripetesse: lo sapeva. Sapeva di essere uno stupido, come tutti gli esseri umani. Sapeva di non essere altro che un bambino che si nutriva di illusioni e sogni stucchevoli. Anche se non accettava quella verità, lui la conosceva.
    «Anche se quello che dici fosse vero, buttare via la vita in quel modo è insensato: una volta morto, non avrai più modo di realizzare né quello né nessun altro sogno. Ma ormai, per te, è troppo tardi per capirlo.»
    Eppure era proprio in nome di un sogno che aveva fatto ciò che aveva fatto. Stupidamente, si era abbandonato ad esso, lasciandosi cullare e tranquillizzare da ciò che sperava potesse accadere.
    Lentamente alzò il volto verso quello della sua interlocutrice, osservandone l'espressione vuota.
    Nonostante tutto, teneva ancora a lei, voleva che si salvasse, che vivesse.
    Forse sperava che una volta uscita da quel Castello, una volta allontanatasi dai poteri e dall'influenza di Will, si sarebbe ricordata di loro, che una volta compiuto quel sacrifico sarebbe tornata la Shinan di prima e avrebbe continuato a seguire i propri sogni e ad aiutare gli altri. Senza di loro, certo, col rimorso per le azioni che era stata costretta a compiere, ma almeno sarebbe stata la stessa di prima. Era un desiderio egoista, un qualcosa che serviva a rassicurarlo e nient'altro.
    Stupido. Era solo uno stupido.
    Però voleva farlo. Voleva davvero che tornasse come prima, una volta che fosse uscita da lì. Ma non sarebbe mai uscita, se non avesse realizzato che per Will lei non era altro che un'altra marionetta posta sulla scena.
    «Tu sai che ti sta solo usando, vero? Sai che sei in questo luogo solo perché ti ci ha portato lei?»
    Lo sapeva, vero?
    «Basta!»
    Un nuovo urlo, secco come il primo che aveva ricevuto in risposta alle sue suppliche, accolse le sue parole.
    «Le tue sono solo fantasie pedanti. Io sono un Nesciens, sono nata dalle tenebre e apparsa qui.»
    Un Nesciens. Non aveva idea di cosa significasse, non ne aveva idea, ma non era vero. Lei era umana. Lei non era nata in quel luogo, non era nata in quel Castello maledetto, non era nata dalle tenebre!
    «E che Will mi stia usando è evidente, nulla in contrario; in cambio, però, anche io avrò ciò che desidero.»
    Come no. Voleva ridere di fronte a quelle parole, ridere per l'ingenuità che mostrava la bambina. Se fosse andato tutto bene, Will si sarebbe dimenticata di lei e basta, l'avrebbe gettata via come un vecchio utensile. Meglio che morire a causa dei suoi giochi e delle sue trappole. Meglio che morire a causa delle sue torture e del suo malato divertimento.
    Meglio che morire con la disperazione di sapere che tutto ciò che la propria vita ha portato non è stato altro che dolore e disperazione. Meglio che morire con il dolore di sapere che coloro a cui si tiene non si considerano nemmeno umani.
    Non voleva andarsene così. Non con quel dolore nel petto. Voleva ancora ingenuamente salvarla. Voleva ancora che lei vivesse e portasse a termine i propri sogni. Voleva essere egoista e tentare di far avverare il proprio desiderio fino alla fine.
    «Tu non sei nata qui. Tu sei nata fuori da questo castello, sei nata in un altro mondo!»
    Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca il volume delle sua voce si alzava. Quelle bugie di cui Will l'avevano riempita lo disgustavano. Non poteva sopportare quello, non poteva sopportare una vittoria dell'Albina. Non poteva. Poteva sembrare stupido, ma in quel momento si trattava quasi di una questione di principio.
    «E se ancora credi alle sue promesse...»
    Con tono disgustato fissò il proprio sguardo negli occhi rossi dell'altra. Una maschera di decisione e sicurezza copriva il dolore che continuava a tormentarlo, a nascondere la disperazione che stava rigurgitando quel malessere quasi fisico che sembrava lo stesse asfissiando.
    «...Allora sei davvero una stupida.»
    Non sapeva cosa fare. Doveva sorridere, come per sfidarla a confutare quelle sue parole, oppure doveva semplicemente abbassare il capo, pregando quei dei in cui non credeva affinché le sue parole potessero cambiare qualcosa?
    Forse nessuna delle due, forse entrambe.
    In attesa continuò ad osservare il proprio volto riflesso nelle iridi dell'altra, quel volto dall'espressione condiscendente e triste, pieno di rimorsi.
    «Io non credo alle sue promesse.»
    Con un sospiro leggero, lasciò che i muscoli tesi si rilassassero contro il terreno. Andava bene. Andava bene così. C'era solo un'ultima cosa…
    «Ma ora come ora non vedo altri sistemi se non affidarsi a lei per lasciare questa fortezza. Tutto quello che mi ha chiesto in cambio, alla fine, è solo un po' del mio tempo, e anche se non dovesse rispettare gli accordi sarà solo tempo ciò che avrò perso.»
    Lo sperava davvero; sperava con tutto il cuore che quello che Shinan stava dicendo si sarebbe rivelato esser vero. Lo sperava più di ogni altra cosa, in quel momento. Lo sperava perché era a quel sottile barlume di luce che si aggrappava la sua ultima preghiera.
    «Se davvero sei così certa che uccidermi ti condurrò fuori da qui, va avanti, fai quel che vuoi. Non reagirò, non farò niente che possa ostacolarti... Per quanto possa essere stupido ed insensato, ora come ora voglio solo chiederti un favore.»
    La sua voce non tremava. Nella sua resa era sicuro, deciso, in un certo senso determinato. Se fosse andato tutto bene, forse la sua morte avrebbe potuto salvare un'altra delle innocenti che si trovavano in quel luogo. Se fosse andato tutto bene, la sua morte avrebbe garantito la vita di altre due persone. Fosse andato tutto bene, non sarebbe stato tutto vano ed inutile.
    «Sai che non ho nessun obbligo verso di te, vero?»
    Il volto vuoto, privo di emozione, nuovamente puntato verso il terreno, Ingwe annuì.
    «Lo so.»
    Fingere sarebbe stato solo inutile. Fingere non avrebbe portato a nulla. Non aveva tempo né la forza per fingere di non conoscere quelle verità.
    Eppure non poteva fare a meno di soffrire di fronte a quel pensiero. Non poteva fare a meno di sentire dolore pensando al fatto che loro sarebbero andate avanti senza di lui, che forse, passati gli anni, non sarebbe stato altro che un vago ricordo perso nella memoria.
    Deciso ricacciò le lacrime che minacciavano di fare nuovamente la loro comparsa. Per un secondo si concesse di immaginare come sarebbe stata la loro vita, se non avessero dovuto combattere, se le circostanze fossero state differenti. Per un secondo si concesse di pensare all'illusione che il Castello gli aveva mostrato. Per un secondo si concesse un sogno.
    «Però, ti prego, non lasciare che Will uccida anche l'altra ragazza! Lo so che non faresti niente che possa mettere in pericolo la tua incolumità, lo capisco, ma finché puoi, finché non rischi di rendere inutile quello che stai per fare, aiutala ad uscire da qui.»
    Con un sorriso sporco di sangue, lasciò che l'eco delle parole rimbombasse contro il marmo, disturbato appena dal suono di quelle degli altri combattenti e dei loro attacchi.
    «Will mi ha solo chiesto di uccidere te.»
    Una nuova stilettata al petto gli fece chiudere gli occhi, mentre la nausea cresceva, invadendolo come l'alta marea. Tutto quello doveva essere così divertente ai suoi occhi, così meraviglioso. Quel teatrino in costante alternanza tra speranza e disperazione, quel costante mutare. La messa in scena di quel dramma tinto di tradimento e morte doveva essere davvero sublime.
    Sapeva il perché di tutto quello. Sapeva che era colpa sua. Stava per espiare le proprie colpe. Stava per porre fine a tutto. O almeno così sperava.
    «Ma fare quello che mi chiedi significa darle una ragione in più per rivalutare la sua promessa: Will vuole morti te e tutti i tuoi compagni, io non intendo fare nulla per impedirlo.»
    Non poteva dire di non aspettarselo. Sapeva che con tutta probabilità sarebbe stato quello il risultato, che non sarebbe cambiato niente. Sapeva che la sua era solo un'illusione infantile. Lo accettava, in fondo. Lo aveva già accettato. Lo odiava. Odiava quella su rassegnazione, ma non poteva farci niente. Nonostante ribollisse d'odio nei confronti della causa di quella distruzione, sapeva che non poteva fare più niente, che aveva tentato tutto.
    Non era sereno, tuttavia. Non era tranquillo. Non era privo di rimpianti.
    Eppure era impotente di fronte a tutto quello che accadeva davanti a lui, era impossibilitato a fare qualunque cosa.
    «Mi dispiace.»
    Non era vero. Non le dispiaceva. Non c'era traccia di rimorso in quella voce. Non c'era traccia di pietà, di empatia o compassione. Solo il vuoto.
    «Ma io non sono in grado di provare pietà né verso di te né verso di lei. Non sono solita prendere le difese di nessuno.»
    Sapeva di doversi mordere la lingua, di dover solo starsene zitto se anche solo voleva sperare che quella Shinan tentasse di aiutare Vanessa. Sapeva di dover ingoiare le parole che volevano uscire e aspettare che il pugnale gli togliesse la vita. Sapeva tutto quello.
    Ma non poteva. Non ci riusciva. Per lui era perfettamente impossibile.
    La voce tinta d'odio e rabbia rialzò lo sguardo verso Shinan, l'espressione distorta e piena di furia.
    «Invece sì!»
    La magia premeva per uscire, per colpire la ragazzina come un pugno, per farla tornare in sé e rinvenire. Non poteva sopportare quelle parole, non poteva sopportare quelle bugie. Shinan. Non importava se era realmente morta, se era scomparsa, consumata dalla ragazzina che stava indietreggiando di fronte a quello scatto di rabbia.
    Con un gemito di dolore spinse verso l'alto, in un altro tentativo di liberarsi di quella gabbia d'acqua.
    «Invece sì! Quello che è successo a Radiant Garden, le azioni che TU, TU hai compiuto erano vere! Tu hai combattuto assieme a noi contro gli Heartless, ci hai aiutato a salvare quelle persone per il tunnel.»
    Sembrava fosse successo una vita prima, nonostante, in realtà, non fossero passati più di tre giorni. Con un singhiozzo di dolore e angoscia lasciò che i ricordi lo trasportassero via, lo allontanassero dal marmo sudicio e da quell'inferno candido in cui era caduto.
    «Non ricordi? Non ricordi della bambina che hai protetto con tutta te stessa? Di come hai aiutato, poi, durante i giorni di ricostruzione?»
    Un singulto misto ad una risata uscì dalla sua bocca. Quanto doveva essere patetico? Quanto doveva essere divertente?
    «Facevi quasi paura per tutta la forza e la dedizione che mettevi in ciò che facevi. “Appena mi indicavano dove dovevi essere a lavorare, scoprivo che avevi già finito e che avevi ripreso ad aiutare da un'altra parte...”»
    Con un tono differente da quello che aveva usato la prima volta che le aveva rivolto quelle frasi, privo del divertimento e della finta esasperazione che aveva provato allora, ripeté quelle parole con cui l'aveva convinta a venire con lui a Crepuscopoli.
    Era ironico come proprio lì, alla fine di quella serie di eventi che li aveva annientati con una velocità devastante, si ricordasse di quell'azione che avevano dato il via a tutto.
    «No, non ricordo.»
    La testa stretta tra le spalle, incassò il colpo.
    Oramai ci era abituato, avrebbe dovuto smettere di fare così male la verità, no?
    «Non ricordo, perché quelle memorie non mi appartengono. Il Nesciens della solitudine è nato in questo castello, nulla di più né nulla di meno.»
    Non era vero. Quello non era vero!
    «E se anche fosse esistita una... Shinan, o come la chiami, veramente collegata a me, sarebbe comunque troppo tardi: ciò che è accaduto prima non mi appartiene, né nei ricordi né nei sentimenti. Non avrei ragione di affannarmi a recuperarlo.»
    Un altro grugnito, un altro raschiare delle unghie contro il pavimento per darsi una presa o un aggancio migliori.
    «Non è vero. Non è vero!»
    Perché continuava ad insistere? Perché continuava a gridare, a tentare di spazzare via quelle bugie con la propria voce? Non si era forse arreso?
    Allora perché, nonostante il dolore alla schiena, nonostante il dolore che sentiva dentro di sé, continuava a lottare? Perché voleva alzarsi in piedi, mollare un pugno alla piccola e poi stringerla a sé, farla tornare come prima, chiederle scusa e piangere per quello che le aveva causato?
    «Shinan è collegata a te, è la tua origine! È la vita su cui Will ti ha plasmato.»
    Quella era la verità. Quello ero ciò che era successo. Non sapeva come ci fosse riuscita, non sapeva con quale bugia fosse riuscita a trarla in inganno e con quale magia l'avesse manipolata, non ne aveva idea, ma sapeva che era quella la verità.
    Stupidamente provava anche rancore nei confronti della bambina, rancore per il fatto che avesse seguito in quel modo i piani di Will, anche se lui aveva fatto lo stesso fino a quel momento.
    Idiota. Era solo un debole idiota, incapace di fare alcunché o di proteggere le cosa a lui care.
    Ma lei no.
    Shinan non lo era. Non voleva, non poteva crederci!
    Lei era forte, era più forte di lui, più forte di quanto avrebbe mai potuto sperare di essere. Non avrebbe mai accettato che Will avesse vinto su di lei, che l'avesse distrutta in quel modo. Mai. Avrebbe sempre rifiutato quella nuova bugia, sempre, fino a quando gli fosse rimasto un solo fiato in corpo, avrebbe negato con tutte le sue forze quella possibile verità.
    Era solo uno stupido.
    «Lei era forte, molto più forte di me, sotto qualunque aspetto. E so che non è scomparsa.»
    Come se la stesse sfidando a contraddirla, sorrise. Non avrebbe abbassato il capo, non sarebbe rimasto a guardarla sofferente. Almeno in quel momento, almeno alla fine avrebbe lottato, avrebbe reagito.
    «Lo so e basta, perché Will non sarebbe mai stata capace di sopraffarla del tutto, non sarebbe mai stata capace di vincere su di te. E di questo, di questo sono sicuro!»
    Forse quello non era altro che fiato sprecato, non era altro che un folle desiderio, ma non importava. Sarebbe morto. Lo sapeva, lo accettava, ma non accettava che anche altri sarebbero morti per lui. Non accettava che la Shinan che aveva conosciuto non sarebbe mai tornata in superficie, non accettava una completa ed assoluta vittoria di Will.
    Non accettava tutto quello.
    Per la prima volta da quando si erano incontrati, la bambina abbassò lo sguardo verso terra, come se le sue parole avessero finalmente avuto effetto.
    «Da come la descrivi, questa Shinan sembra stupida quanto te.[/color]»
    Vividi e chiari, i ricordi di tre notti prima invasero la sua mente, oscurando i sensi e riempiendo la vista. Un sorriso triste, misto ad uno sbuffo di esasperazione, comparve sul suo volto.
    «No, è più stupida di me, molto più stupida... ed è per questo che l'ammiro.»
    Era la verità, quella. Nuda e cruda.
    Stancamente, un sorriso debole ancora dipinto sul suo volto, si accasciò nuovamente contro terra, lo sguardo fisso sui petali di rosa e sui frammenti di cristallo sparsi sul pavimento, residui delle magie lanciate prima da entrambi.
    «Anche lei, quindi...»
    Per la prima volta sentiva qualcosa in quella voce, sentiva del dubbio. Leggermente sorpreso spostò di poco il capo verso l'alto, per osservare quel volto così estraneo, ma allo stesso tempo così familiare.
    «Anche lei provava dei sentimenti?»
    La vide deglutire, incespicare nelle sue stesse parole, nervosa. La vide più simile a se stessa di quanto fosse mai stata. Vide Shinan, nascosta in quelle dita che si torcevano l'un l'altre, nella stretta del pugnale farsi più debole.
    Una scintilla di speranza si riaccese nel cuore.
    Forse non doveva. Non doveva assecondare in quel modo le proprie illusioni, non quando si stava per arrendere. Le aveva detto quello che pensava, quello che provava. Aveva assecondato il suo sogno ed il suo egoismo, ma adesso che si presentava davvero una speranza tangibile, aveva paura. Paura di assecondare i propri desideri, paura di vederli morire di nuovo.
    Voleva starsene zitto, lasciare che il sangue continuasse a colare dal labbro spaccato e che nessun altro suono provenisse da lui. Voleva morire senza provare altro dolore.
    Allora perché non ci riusciva?
    Perché non riusciva a controllare quella sensazione che si dibatteva furiosa nel suo petto?
    Con un sospiro abbassò nuovamente lo sguardo, puntandolo sui resti dei loro incantesimi macchiati di sangue.
    «Sì. Sì, li provava...»
    Stancamente chiuse gli occhi.
    Cosa avrebbe dovuto fare, adesso? Cosa avrebbe dovuto sperare? In una morte rapida, indolore che garantisse la salvezza di Shinan e forse di Vanessa? In un improbabile rinsavimento della bambina? Stupido. Stupido. Stupido.
    «Chissà, allora. Chissà se, dopotutto, dovrei invidiarla, una così. Chissà se dovrei invidiare la vostra stupidità.»
    Perché chiedeva a lui? Perché chiedeva a qualcuno che non sapeva dare risposte nemmeno a se stesso?
    «Continuare a discuterne così non ha senso.»
    Stanco, perplesso, Ingwe riaprì nuovamente gli occhi, alzando un'altra volta il capo.
    Un sorriso di sfida faceva capolino sul volto della bambina, adesso, un qualcosa che riempiva il vuoto che era stato lì presente fino a pochi istanti prima. Si trattava di qualcosa che non apparteneva a Shinan e che, nonostante ciò, infondeva nuova speranza nel suo cuore.
    Il volto sereno, la Nesciens strinse la stoffa sul petto, artigliandola con forza.
    «Lo chiederò all'unica persona che può sapere per certo la verità e vedremo chi di noi due ha ragione. Ma non farti troppe speranze.»
    Sfortunatamente, era troppo tardi per quell'avvertimento.
    Era stupido pretendere che lui non provasse speranza, che dopo un minuto buono di conversazione in cui la bambina aveva rimandato la sua esecuzione, non sperasse ancora di vederla tornare. Sopratutto dopo quelle ultime frasi. Sopratutto dopo che per la prima volta da quando l'aveva incontrata la possibilità che potesse tornare quella di prima si era fatta un minimo tangibile e vicina.
    Ansioso, in preda al timore che i suoi sogni potessero essere distrutti come sabbia al vento, osservò.
    I secondi scorrevano lenti, mentre l'eco delle parole di Will riverberava per la stanza, senza però raggiungerlo realmente. Non un suono che facesse capire che Vanessa era ancora cosciente o viva. Non un suono che facesse capire se il suo avversario, se il vecchio era stato sconfitto. Solo Will, il pupazzo e l'altro uomo. Sentiva lo sbattere di ali, il rumore dei passi e della voce piena di quell'odiosa condiscendenza e senso di superiorità. Sentiva, ma non erano quelli i rumori che gli interessavano.
    Con una smorfia di stizza lasciò nuovamente perdere il tentativo di riappropiarsi di Finduilas, fuori dalla portata della propria magia.
    Poteva solo attendere.
    Con lentezza angosciante, i secondi continuavano a scorrere, accumulandosi tra di loro. Respirava lentamente, in attesa, nella speranza di avere un qualche segno, un qualcosa che gli mostrasse l'esito delle sue azioni.
    Poteva solo pregare.
    Un urlo strozzato, un gemito di un animale sofferente.
    Rantolando in preda al dolore, Shinan si portò le mani alla testa, gli occhi spalancati, persi nel vuoto.
    Con un tintinnio leggero il pugnale cadde sul marmo.
    «Shinan!»
    Il grido uscì dalla sua bocca prima che potesse impedirlo.
    Con uno scatto inarcò la schiena contro la barriera d'acqua, cercando di raggiungere la bambina. Doveva liberarsi, doveva fare qualcosa, aiutarla.
    La vedeva gemere, il capo stretto tra le braccia, la bocca spalancata, saliva che colava da un angolo delle labbra. Quella vista non riusciva a sopportarla, non riusciva a star fermo.
    Un altra spinta contro il mantello freddo che lo teneva inchiodato a terra, un'altra fitta di dolore causata dalle scottature.
    Con un suono viscido, la magia perse consistenza a forma, incrinandosi, sibilando fuori controllo. Non riusciva a… mantenerla? Shinan non riusciva a mantenere la sua magia intatta?! Non aveva idea di quello che stava accadendo, eppure lo sapeva, sapeva che si trattava di quello.
    «Shinan!»
    Il panico ad incrinargli la voce, incespicando e ringhiando a causa del dolore alle gambe si avvicinò alla bambina, incapace di fare qualsiasi cosa. Con forza, tremante, afferrò le spalle della bionda, scuotendola leggermente.
    Doveva riprendersi. Non avrebbe sopportato di perderla una quarta volta, non avrebbe retto. Non voleva restare solo, non voleva che loro morissero prima di lui. Non glielo avrebbe permesso.
    Con un ultimo rantolo, il respiro di Shinan rallentò, tornando quasi normale. Un fremito leggero e la piccola alzò la testa, fissandolo con espressione vacua.
    «Tu... Chi sei?»
    Di nuovo quella sensazione. Di nuovo quel vuoto, quella caduta che lo avvolgeva tra le sue spire nauseanti. Proprio come quando era arrivato, proprio come quando l'aveva raggiunta per la prima volta sulla soglia d'ingresso di quell'abisso candido.
    Qualcosa dentro di lui si spezzò nuovamente. Qualcosa che in quelle ore era stato ricucito e strappato innumerevoli volte. La sinistra ancora stretta sulla spalla della bambina, Ingwe si portò la destra alla fronte, stringendo istericamente le ciocche di capelli.
    Ecco dove andava a finire la sua speranza, ecco a cosa lo portava illudersi.
    Voleva ridere. Ridere della sua stupidità e ingenuità, ridere di quell'idiozia in cui aveva creduto.
    Tutto normale, oramai. Era diventata quasi una routine, dopotutto era colpa sua se ancora non ci aveva fatto l'abitudine, se ancora non si era accostumato a quel costante invertirsi di speranza e disperazione. Che meraviglioso, fantastico scambio costante di parti!
    Piangere e ridere contemporaneamente, ecco cosa voleva. Dare sfogo alla sua rabbia ed al suo dolore, mollare un ceffone a quella bambina, farla tornare in sé, darne un altro a Vanessa per essere andata a combattere in prima linea e poi accanirsi su Will.
    Ecco cosa voleva.
    Una nuova fitta percorse il corpo di Shinan, facendole portare le mani alla testa, preda del dolore.
    Voleva una vita normale, monotona, banale. Una vita dove la sua sopravvivenza era garantita, dove non si sarebbe dovuto chiedere se sarebbe arrivato al giorno dopo.
    «Mi... Fa male la testa. Se provo a pensare, sento come se esplodesse.»
    Non doveva. Già sentire quel sentimento, già sentire che qualcosa era tornato dentro di lei, già quello bastava. Nonostante volesse davvero che Shinan lo ricordasse, nonostante desiderasse con tutto il suo essere che tutto tornasse come prima, poteva ritenersi soddisfatto di quel risultato, di averla liberata dalla morsa di Will. Col tempo sarebbe giunto il resto.
    «Tu... Sei Ingwe...? Sei Ingwe! Io ti conosco, io... Io mi ricordo...»
    Una lacrima scese lungo la sua guancia, scivolando nel solco scavato tra sangue e sudiciume.
    Lei si ricordava. Si ricordava di lui.
    Un sorriso umido, misto ad una risata incredula apparve sul suo volto.
    Ricordava… Con forza strinse la bambina contro il suo corpo, una mano posata sulla nuca della bionda, appoggiando la fronte contro la parte superiore della testa, le lacrime che continuavano a cadere.
    «Brutta stupida...»
    Non sapeva cos'altro dire. Ridacchiando con fare sollevato, incurante del dolore alle gambe, riuscì a pronunciare solo quelle due parole. Sapeva che non era quello il momento, che in ogni secondo sarebbero potuti essere uccisi, ma non riusciva a pensare ai pericoli, a quello che senza alcun dubbio li aspettava a pochi metri di distanza. Non poteva pensare a quel demone in bianco che li aveva torturati fino a quel momento.
    Per un secondo esistevano solo loro due, solo la sua felicità e serenità. Solo per un secondo.
    Una pressione assurda, la sensazione di una morsa che lo stringeva tra le sue spire. Con un eco distorto l'ultimo rimasuglio della voce di Will si perse nel bianco che li circondava. Con uno sforzo che aveva del disumano, Ingwe mosse il capo lentamente, riuscendo a far entrare nel proprio campo visivo la burattinaia e l'armatura.
    Strinse i denti. Strinse i denti con così tanta forza che credeva li avrebbe spaccati. Ancora una volta era bloccato, ancora una volta era alla sua mercé. La odiava.
    La Volontà sorrideva, soddisfatta, sicura di sé e della sua vittoria. Allargando il ghigno sul volto, l'albina si chinò verso terra, umettandosi le labbra, come se stesse pregustando un piatto particolarmente sfizioso.
    Noel, lontana rispetto a loro osservava in silenzio, una marionetta priva di volontà.
    Solo Vanessa ed il vecchio mancavano all'appello dei coscienti, distesi sul terreno, lontani rispetto a loro, mentre della ragazza dai capelli ceruli non v'era nessuna traccia. Con un nodo alla gola si soffermò un secondo sui volti di quelli che sperava con tutto il cuore non fossero cadaveri. Non era morta. Non erano morti. Poteva pensare solo quello, poteva sperare solo quello.
    «È finita.»
    Una crepa nera si aprì sul pavimento, correndo verso Maxwell. Con un rigurgito denso, appiccicoso, un mare di oscurità ribollente fuoriuscì dal terreno, spaccandolo, macchiandolo e coprendo sangue, schegge, petali e resti di incantesimi. La figura del gigante si perse, inghiottita da quel mare oscuro. Non poteva fare niente. Poteva solo restare immobile, ad aspettare e ad assistere, Shinan stretta tra le sue braccia. Forse era un bene che fossero stati bloccati un quella posizione: una volta che Will avesse attaccato loro, forse il suo corpo l'avrebbe protetta, almeno un minimo, forse l'avrebbe aiutata a salvarsi e a garantirle una minima possibilità di salvezza.
    La corazza rotta in più punti, pezzi di metallo che ondeggiavano, attaccati al corpo principale per puro miracolo, Maxwell emerse dall'ondata oscura.
    Era vivo. Per poco, ma era vivo. Lo vedeva tremare, come se i muscoli di cui non era evidentemente provvisto facessero fatica a mantenerlo in piedi.
    Toccava a loro, adesso.
    Nessuno glielo aveva detto, ma lui lo sapeva. Lo sapeva e basta.
    Stringendo Shinan a sé con tutta la forza che gli consentivano gli arti irrigiditi, posò nuovamente lo sguardo su Will, attenendo la sua mossa, preparandosi a sollevare una barriera magica per proteggerli.
    Degli spari, piccole deflagrazioni che interruppero il silenzio calato su tutti loro.
    Non era Will, era la copia.
    Troppo tardi realizzò che l'attacco non sarebbe arrivato dall'albina, ma dalla bionda, troppo tardi per alzare uno scudo e proteggere se stesso e la bambina che teneva stretta tra le sue braccia. Troppo, troppo tardi.
    Tentando di trattenere in gola il grido di angoscia che sentiva stava per uscire, si costrinse a tenere aperti gli occhi, preparandosi al dolore che sarebbe arrivato. Non voleva morire urlando, non voleva morire piangendo, almeno allora avrebbe mantenuto un briciolo di dignità, almeno alla fine.
    Forse, sarebbe stato meglio se avesse lasciato Shinan così come era, se non avesse insistito. Forse, non sarebbe morta col dolore di vedere loro andarsene, forse sarebbe morta senza rimpianti.
    La luce lo attraversò senza ustionarlo, accarezzando delicatamente la pelle come un vento tiepido. Le ferite formicolarono, mentre la carne si riparava, crescendo nuovamente, ricoprendo le ustioni e guarendole. Una sensazione fresca partì dai punti dove la magia aveva avuto effetto, invadendo il suo corpo. Cosa significava? Cosa stava succedendo?
    Lo sguardo ancora fermo dove si trovava prima, osservò la carne pallida di Will incresparsi, bruciandosi e rovinandosi, ustionata dalla luce che li aveva guariti, come se le sue ferite fossero state passate alla donna.
    Con un grido tremante di rabbia, la Volontà si piegò in due, le dita contratte, preda del dolore. Per una volta era lei ad inginocchiarsi, per una volta era lei a soffrire. Nonostante fosse terrorizzato, nonostante temesse la reazione di Will, Ingwe si sentiva felice, in un certo senso soddisfatto. Per una volta era lei a provare dolore.
    Una seconda onda di luce si infranse sui loro corpi, guarendo altre ferite, procurandogli sollievo. Il labbro spaccato si rimarginò, mentre le ustioni sulle spalle e sulle gambe scomparivano del tutto, completamente guarite e ricoperte dalla pelle nuova.
    Noel avanzava, passo dopo passo, seguendo la scia lasciata dalla sua magia, stanca, debole, instabile.
    Con un sussurro, il nome della bionda uscì dalle labbra del ragazzo.
    Will si alzò in piedi, provata, stanca, furibonda. Il disprezzo e l'odio per quella copia della giovane erano più che visibili sul suo volto, più che evidenti. Tutto il suo essere sembrava urlare per l'oltraggio appena ricevuto.



    «Non te lo permetto!»
    Seguendo l'ordine dettato dal corpo della Volontà, una mano d'ombra si stagliò contro la magia azzurrina di Noel, proteggendo la padrona che l'aveva evocata.
    Non aveva permesso un secondo attacco, ma oramai il danno era stato fatto: Shinan era tornata in sé, l'anziano era riverso a terra, sconfitto, Noel si era ribellata a quel parassita. Tutto, tutto stava andando diversamente dai piani.
    «Quando avrete sconfitto Will… nel remoto caso in cui l’originale sopravviva, vi dimenticherà comunque.»
    Andava bene. Gli andava bene. Lui non aveva fatto altro che portare dolore e caos con quei pochi minuti di conversazione che aveva avuto con Noel… Il fatto che lo avrebbe dimenticato era più un favore che altro. Nonostante tutto, il legame che lui aveva era con la copia, non con l'originale. Era stupido, strano da dire, ma era quella la verità. Era un ipocrita, con tutta probabilità. Sapeva che la bambina non era altro che una minima parte dell'altra, che non era altro che un frammento, eppure non poteva fare a meno di pensare che la ragazza fosse più simile alla piccola di quanto pensasse. Forse, in fondo, gli dispiaceva che nemmeno i ricordi della copia sarebbero rimasti in lei.
    «Per quello che vale, sono contenta di avervi conosciuto.»
    Perché, allora, quelle parole facevano male? Perché si sentiva addolorato da quell'addio? Perché gli sembrava che fosse la piccola a parlare da dentro quel corpo? Non voleva che morisse. Lei era vera. Lei era vera esattamente come loro. Lei era vera, diversa dal nucleo. Non voleva che morisse. Non voleva vederla scomparire una seconda volta.
    Non voleva dire addio a nessuno in quel luogo. Non voleva recidere nessuno dei legami che aveva creato. Non voleva-
    Con un suono viscido, un tentacolo d'ombra si insinuò nella carne della bionda, trapassandola. Sangue cominciò a gocciolare lentamente dal taglio, un suono ritmico, costante, reso lento a causa della lama ancora incastrata al suo interno. Velocemente, Will portò a sé Noel, ridendole istericamente in faccia, resa ancora più folle dall'umiliazione.
    Con uno scatto nervoso dei muscoli, Ingwe tentò di dimenarsi contro l'incantesimo dell'albina, urlando il nome della bionda, cercando di fare qualcosa per impedire quella fine che vedeva arrivare inesorabile.
    La figura dell'Albina si contorse, ondeggiando come se si fosse trattato di un qualcosa di intangibile ed etereo.
    «Credi di essere divertente? Credi che io non possa distruggerti come ho fatto con tutte le altre ridicolissime copie?»
    La voce roca, rotta, resa ancora più folle dall'odio, Will parlò.
    Le braccia tremanti, Noel strinse le dita attorno all'arto sinistro dell'albina, uno sguardo deciso e soddisfatto sul volto.
    «No, credo solo di dover pareggiare i conti.»
    Una crepa si aprì sul volto della bambola, mentre dalle sue mani si sprigionava l'inferno. L'odore di carne bruciata invase l'ambiente, più forte di quello che aveva sentito quando lui era stato ustionato, più pungente, più ispido. Con un urlo grottesco, la figura di Will si spezzò in due. Le braccia si allungarono, mentre il corpo veniva sollevato in alto da delle propaggini che avevano iniziato a fuoriuscire dalla carne squarciata della vita. Le iridi scomparvero, inghiottite dalla sclera macchiata di nero, mentre l'espressione si riempiva di follia e malvagità.
    La presa attorno ai loro corpi scomparve, mentre l'urlo di Maxwell si mescolava a quello di Will.
    Con uno scatto famelico, volgare nella sua furia, le propaggini scure si chiusero attorno alla copia, fagocitandola, stringendola in una presa senza via di fuga. Sangue colava dalle fessure tra i tentacoli, gli ultimi resti organici di quella creatura nata solo per aiutarli. Frammenti di polvere e di cristallo caddero leggeri sul pavimento spaccato, per disperdersi nell'aria l'istante successivo.
    Era terrorizzato, terrorizzato da quella bestia che torreggiava su di loro, stanca di giocare con il cibo e pronta a sterminarli come insetti, però non poteva arrendersi. Non in quel momento, non proprio quando sembrava avessero una possibilità di vittoria.
    Con un movimento del capo si voltò verso la figura svenuta di Vanessa. Doveva proteggerla. Doveva evitare che venisse uccisa da quel mostro. Però non era abbastanza forte, la sua magia non era abbastanza potente. Deciso, portò lo sguardo su Shinan.
    «Proteggi Vanessa, qui ci penso io.»
    Con uno scatto attirò a sé le uniche armi che percepiva nelle vicinanze, alzandosi in volo ed allontanandosi Jrl1YBIdalla massa di tentacoli che aveva di fronte. Finduilas ed il pugnale di Shinan ondeggiarono placidamente ai lati del suo corpo, accompagnandolo verso il soffitto.
    Superò l'altezza di Will, superò l'altezza di quel mostro, fermandosi sopra di lei, osservandola dall'alto.
    Provava odio, rancore, disgusto. Provava una serie di sentimenti che non credeva sarebbe mai stato capace di provare e solo il vedere quel volto, quel corpo, solo il sentire quella voce lo faceva tremare di rabbia e sete di vendetta. Voleva vederla strisciare sul terreno, implorare pietà, guardarli in preda alla paura. Voleva che soffrisse, che provasse un dolore tale da non potersi descrivere a parole, voleva che rimpiangesse ognuna delle sue azioni prima di morire.
    Con un gesto fluido, l'arto destro si alzò sopra il suo capo, arrivando quasi a sfiorare il soffitto marmoreo, le dita non completamente aperte, puntate verso l'alto.
    Eppure provava pena.
    Un sibilo accompagnò il formarsi di quattro cerchi magici di fronte a lui.
    Provava pena per quell'essere che era nato in quel modo, per quell'essere che poteva essere felice solo tramite le sofferenze altrui. Provava una pena indescrivibile per lei e per Noel, per tutto quello che la ragazza doveva aver passato per dare vita ad un mostro simile.
    Il marmo si tinse leggermente di verde, mentre la magia si rifletteva sulle superfici candide.
    Sul suo volto non c'era alcuna espressione, apparentemente era calmo, sereno, ma nella sua mente le immagini di quello che era successo nelle ore precedenti si inseguivano l'un l'altre in un carosello di luci, colori ed emozioni.
    Quello che stava per fare era giusto, non aveva dubbi in merito, non avrebbe mai potuto.
    Con quello che sembrava un urlo d'agonia e rabbia, quattro raggi di energia partirono dai cerchi che ondeggiavano di fronte al suo corpo; una luce dai toni verde chiaro, in forma liquida, di quasi tre metri di diametro, caldissima si diresse contro la vita di Will, piccole schegge di cristallo si muovevano rapidamente al suo interno, frammenti più solidi di magia.
    Non avrebbe mancato.
    Ne era sicuro, non avrebbe mancato il bersaglio.
    E per una volta, per una volta l'avrebbe guardata dall'alto, per una volta non sarebbe stata lei la vincitrice.
    Eppure non avrebbe lasciato che fosse solo quella la sua punizione. Avrebbe aspettato, avrebbe aspettato che la sua figura si facesse di nuovo visibile in mezzo alla luce e poi avrebbe attaccato una seconda volta. Niente magia, questa volta, niente incantesimi. Solo un pugnale. Quel pugnale con cui Shinan stava per porre fine alla sua vita. Solo una lama puntata verso il petto, lanciata a concludere quell'incubo.

    Non una parola sarebbe uscita dalla sua bocca, niente.
    L'avrebbe guardata e basta.
    Nei suoi occhi solo odio, rancore e commiserazione.








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    Stato Fisico: Ottimale, non fosse che sarebbe impossibile, con le cure ricevute credo sarebbe anche potuto ringiovanire di un paio d'annetti .asd
    

Stato Psicologico: Determinato a finirla lì e a farla pagare a Will, facendo sì che il sacrificio della copia non sia stato vano.

    Energia: 100 – [12 – 4] – [24 – 4] – [48 – 4]= 28%


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    ABILITA’

    Die Magie: Passiva 1 (levitazione armi) attiva. Passiva 2 (sconto sulle abilità magiche basate sull'elemento luce) attiva. Passiva 3 (volo) attiva.

    Wecken: La notte dell’assalto a Radiant Garden, quella notte di guerra, di dolore, di paura ha lasciato un profondo solco sanguinolento nel cuore che il ragazzo credeva di aver perso, nell’anima che credeva essere stata rubata. Le forti componenti emotive da lui provate durante quella battaglia hanno risvegliato il suo cuore, hanno riallacciato, seppur in minima parte, le catene che uniscono l’anima al corpo, la quale, grazie al fatto che il ragazzo sia riuscito, seppur inconsciamente, a “trattenere”, se così si può dire, il proprio cuore già corrotto all’interno del proprio corpo, hanno reso possibile ciò. Il cuore non potrà mai tornare ad essere quello di un tempo, ma le emozioni, i sentimenti che il ragazzo prova sono reali. Attutiti, meno potenti di quanto dovrebbero essere nella realtà, ma presenti. Eppure, per un essere che non ha provato alcun sentimento per quasi un anno tutte queste sensazioni risultano essere potenti, micidiali a livello psichico, e, nel caso si tratti di un’emozione molto potente, fortemente debilitanti. Eppure lui non si rende conto di quello che sta accadendo all’interno del suo corpo. Lui, che non ha memoria della notte in cui ha quasi perso la sua umanità, vive nell’ignoranza di questo fatto e crede che tutto ciò che prova non sia altro che un brutto gioco dei suoi ricordi. Un macabro, debilitante gioco di cui lui è la vittima. [Passiva inferiore.Fateful - Autoconclusiva]
    Das Licht: La magia permette di plasmare la materia di cui è composta la realtà a proprio piacimento e la branca in cui il ragazzo eccelle è quella che tratta della manipolazione della luce. L’affinità guadagnata durante i mesi di studio con Failariel, nonostante la limitazione che tutti gli incantesimi debbano avere il ragazzo come punto di partenza e che non abbiano una durata prolungata (massimo un turno) ha permesso ad Ingwe di plasmare questo elemento alla pari del mago più esperto,sia che lo utilizzi per bruciare, per tagliare, come semplice, cruda materializzazione della propria energia magica o come base per creare raffiche di proiettili. Insomma in base a ciò che la sua fantasia e l'occasione in cui si trova al momento gli suggeriranno, tramite un adeguato consumo di energia magica, Ingwe sarà capace di plasmare la luce nelle forme più disparate ed adatte all'occorrenza. [Attiva offensiva a costo variabile Critico, danni da ustione.]

    dividercharlie


    EQUIPAGGIAMENTO

    Der Draht:
    Finduilas: L’arma del Nessuno è forse una tra le lame più uniche e particolari dell’intero universo, Keyblades a parte, naturalmente. Della lunghezza di un metro e venti centimetri, impugnatura compresa, questa spada ad una mano e mezza è adatta sia a duelli singoli che a battaglie in mischia. L’aspetto generale è quello di una serie di fasci di luce che si intrecciano tra di loro creando una spada. La guardia è semplice, a croce, praticamente indistinguibile dal resto dell’arma e larga poco più di quindici centimetri; l’impugnatura è lunga venti centimetri, mentre la lama è lunga un metro esatto e larga, al massimo, una decina di centimetri, mentre al minimo all’incirca cinque.
    [Equipaggiata]

    Amber
    [Arma a distanza. Equipaggiata.]

    Faust
    [Arma ravvicinata basata sulla Destrezza; Arma incantata. Equipaggiata.]


    dividercharlie


    BaseVerde P.Q.A&OAbilitàTotale
    Corpo25+15±0±5±045
    Essenza80+50±0±10-4595
    Mente35±0+5±20±060
    Concentrazione35±0+20+20±075
    Velocità55+25±0±20-595
    Destrezza70+10±0±20±0100



    I depotenziamenti illusori sono Op -w-
    Detto ciò, credo sia tutti chiaro .asd
    Appena Will si trasforma Ingwe si allontana dalla ragazza di due metri buoni e nel frattempo si alza in volo arrivando a 5mt da terra, più o meno e a 6/7 metri di distanza in linea retta (quindi contando anche la leggerissima differenza d'altezza) da Will.
    Lancia un bel criticozzo di tre metri di diametro, quindi non robetta da nulla, che dovrebbe fare danni da ustione e fare un po' di casino sul terreno nel caso mancasse.
    In seguito lancia tramite la passiva delle armi il pugnale di Shinan, tuttavia, questa mossa ha fine PURAMENTE NARRATIVO. Certo, mira a dove crede si trovi il petto, ma so abbastanza bene che se Will è ancora trasformata un coltellino lanciato con attacco 95 contro un bestio da 250 equivale ad una puntina di matita .asd
    Si tratta di un atto di sfregio nei confronti di Willuccia: a causa sua Shinan stava per uccidere Ingwe con quel pugnale, bene, Ingwe vuole finire colpendola con quel pugnale :v:
    Vabbeh, poi ci sta anche la parte più "strategica" in quanto è più semplice lanciare un coltello in linea retta che una spada di un metro e venti (visto che Will sta fuori dal raggio dei 4 metri della passiva), ma principalmente sono le motivazioni sopra .asd

    EDIT: A causa di quella merda di photobucket, era saltata l'immagine, dunque ho sostituito.




    Edited by pagos - 18/11/2015, 20:50
     
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  2. misterious detective
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    Un suono simile al battito di un cuore le ricordò che era ancora viva. Fu un pulsare che rimbombava attorno a lei, dentro di lei, un colpo di tamburo che fece vibrare tutto il suo mondo bianco. Non vedeva nulla e la sua mente era il fotogramma immobile di una bufera di neve: il candore la ottenebrava, divorava la sua lucidità, instillava sonno e torpore in quelle membra di cui non percepiva più il possesso.
    -...an!- un altro battito, un altro suono che suscitò un tremore nella barriera di cristallo che imprigionava il suo corpo e la sua anima. Provò a muovere le braccia per scoprire dove fossero finite. Le rispose solo una sensazione di ardore, un fuoco che consumava le sue viscere, ma che con il suo dolore le rivelava che lei esisteva ancora.
    -Shi...n!- il mondo dei sogni vacillò di nuovo, un formicolio familiare, come trasportato dal sangue, risvegliò le sue membra. Provò a dischiudere le ciglia: una lama di luce ferì i suoi occhi e la abbagliò con un bianco ancora più abbacinante, ancora più distruttivo. Si concesse un secondo e poi un altro e un altro ancora, sorretta da qualcosa che non riconosceva, che non riusciva a distinguere, con il capo abbandonato all'indietro. Il doloroso candore del mondo reale, i suoni distanti di grida, di metallo contro metallo, di un mondo che non ricordava, che non conosceva. Era necessario che tornasse a quella realtà? Era necessario che abbandonasse il sonno vuoto e accogliente nel quale aveva perso una se stessa di cui non sapeva nulla? Una smorfia balenò per un istante sul suo viso, mentre ella trovava risposta a quelle domande che, come pensieri confusi e senza parole ben definite, avevano solcato la sua mente: no, non c'era ragione per sforzarsi di tornare ad esistere.
    -Shinan!-
    Eppure un suono, come una scarica elettrica, scosse tutto il suo corpo, infervorò il suo cuore, che prese a battere forte e carico di vita. Le parole di una voce estranea la raggiunsero, accarezzando la sua pelle come i raggi del mattino. Una nota preoccupata, tuttavia, un dolore palese incrinava quel suono, graffiando contro la sua anima senza che ella capisse il perché. Tanto le bastò, tuttavia, ad aprire gli occhi, a fronteggiare il così poco accogliente mondo che la attendeva alla ricerca di chi le parlava, alla ricerca della ragione per cui a quei suoni così estranei ed insensati le corde del suo animo vibravano, suscitando in lei un'energia che non sapeva di possedere.
    -Shinan!-
    Aprì gli occhi. Macchie chiare e scure si confondevano e mischiavano, bruciandole la retina. La bambina sbatté le ciglia due volte, sforzandosi di vincere la loro pesantezza. Separò le labbra, spirò un sibilo affaticato nel tentativo di parlare, di chiedere spiegazioni, senza sapere nemmeno lei per cosa. Pian piano, i colori tornarono tutti al loro posto, il mondo si distorse e riarrangiò, guadagnando la profondità che la piccola non riusciva a percepire, e in quella che le era tanto sembrata un'ombra grigiastra apparvero invece il volto di un ragazzo e due occhi di smeraldo, giganti ed adombrati di preoccupazione. La piccola si perse in quello sguardo, vagò da un dettaglio all'altro di quel viso, di quei lineamenti giovani e semplici, traballante e priva di fuoco come se fosse ebbra per qualche ragione. I suoi occhi si incrociavano, il cervello pulsava come una grancassa contro il suo cranio.
    -Tu... Chi sei?- biascicò quelle parole quasi inconsciamente, rispondendo ad altre che non era stata capace di comprendere. Sbatté le ciglia un'altra volta ed esse spazzarono via un poco della confusione e della nebbia di cui era prigioniera.
    Il ragazzo non le rispose, il suo volto si contorse in una maschera di incredulità e tutto il colore scomparve dalle sue gote, trasformandolo in un pallido fantasma di se stesso. Per un istante, la bambina ne fu spaventata ma, subito dopo, trovò un nuovi timori ad attenderla in se stessa. Si chiese se non avesse usato le parole sbagliate, se quella disperazione fosse frutto della sua domanda; che domanda avesse chiesto, tuttavia, lo aveva già dimenticato, se mai lo aveva saputo.
    Il suo respiro accelerò un poco, il torpore nei suoi muscoli fu lavato via da un nuovo flusso di adrenalina: il volto del ragazzo si rigò di lacrime, un singhiozzo sconsolato risalì la sua gola, facendolo tentennare; la bambina avvertì chiaramente l'istinto di aiutarlo, la volontà di porre fine a quel pianto.
    -Agh...- provò a pensare, provò a cercare qualche parola di conforto, una soluzione al problema di cui non sapeva nulla, ma appena tentò di scandagliare le conoscenze che possedeva, lontane da qualche parte dentro di lei, una fitta scavò come un chiodo nel suo cranio. Portò la mano destra alla fronte, strinse gli occhi in sofferenza e si raggomitolò su se stessa, dimenandosi tra le braccia dello sconosciuto. Spalancò la bocca, cercò di riempirsi quanto più poteva d'aria, il suo petto si gonfiò con violenti spasmi. Sopportò per un lungo secondo mentre si abituava al dolore, mentre cercava di trovare la fermezza e la lucidità per vincerlo, per spingersi al di là di esso senza esserne spazzata via. Inspirò profondamente e, abbassando lo sguardo verso il proprio corpo, verso il corpo di una bambina in ampi abiti scuri, cominciò a porsi una dopo l'altra tutte le domande che le sorgevano in mente: chi era, dove si trovava, cosa stava succedendo attorno a lei. Socchiudendo gli occhi, comprese di possedere in lei tutti i tasselli, di poter fare ordine nella matassa ingarbugliata di memorie che sembrava farsi solo più intricata e sfuggente ogni volta che tentava di afferrarne un capo. Portò la mano destra al petto e ascoltò il cuore che batteva dentro di lei, aspettandosi che le regalasse una risposta. Si soffermò a prestargli orecchio, allontanando da sé tutta la confusione che imperversava attorno, e trovò quanto cercava: Shinan, quello era il suo nome, quello era il significato di quella parola misteriosa che aveva sentito ripetersi così tante volte, nel suo sonno, quella era la parola che l'aveva riportata in superficie. Un “click” scattò nella sua mente, come se una chiave avesse girato nella sua giusta toppa, e ad un ricordo ne seguì un altro, le memorie ripresero a scorrere dentro di lei come un ruscello fresco, come una catena dove ad ogni immagine era subito legata una seconda, e poi un'altra ancora, a formare quello che era il suo passato e ciò che era diventata. Ricordò la solitudine, il dolore, la malinconia dei giorni di un tempo, ma giunse anche qualcosa di più dolce, qualcosa che suscitò lacrime nei suoi occhi, che fece arrossire di felicità il volto pallido della Nesciens. I suoi amici, i successi, il cammino che aveva scoperto grazie a loro... c'erano molti buchi, c'erano molta confusione ed imprecisioni dentro di lei, ma ciò che aveva ritrovato era già più che sufficiente, sentiva di possedere già tutto quanto potesse pretendere senza sentirsi egoista. In tutto ciò, anche il volto che torreggiava spaventato sopra di lei aveva trovato significato.
    -Tu...- mormorò con fatica. Alzò una mano verso di lui, sfiorò le guance ed i capelli, come se accarezzandolo potesse scostare la polvere che ancora appannava le sue conoscenze. -Sei Ingwe...? Sì, sei Ingwe! Io ti conosco, io...- abbassò lo sguardo verso le sue mani, ammirò i palmi aperti, li strinse e rilassò più volte, accertandosi del possesso che aveva sul suo corpo; un sorriso titubante apparve sul suo volto. Alzò il capo, guardò di nuovo il ragazzo, chiedendogli conferma, cercando la risposta a cui era giunta anche lei, ma a cui non riusciva a credere: tra le lacrime, quello stesso raggio di gioia splendeva anche nei suoi occhi. -Io mi ricordo...-
    Ingwe si gettò su di lei, la strinse forte contro il suo petto, quasi temesse che come acqua lei potesse scivolargli via dalle mani. Shinan sobbalzò per un momento, colpita da quel contatto. Sorrise delicata e abbellita dal rossore timido delle sue guance, nato al pensiero che lei non meritava nulla del genere, che pur sentendosi in colpa per quello era felice che il giovane potesse addirittura versare delle lacrime per una come lei. La fronte del ragazzo premette contro la sua, mentre con una mano sorreggeva la sua nuca. La bambina lo abbracciò, accarezzò la sua schiena delicatamente e, in silenzio, versò le stesse lacrime liberatorie che il ragazzo si era permesso, senza mai chiudere gli occhi, ma con lo sguardo fisso davanti a lei con un velo di serietà: aveva ricordato i momenti gioiosi, aveva ricordato le amicizie che avevano salvato la sua vita, ma aveva ricordato anche dove si trovava e cosa doveva fare.
    “Eppure...” corrugò la fronte, dischiuse le labbra per pronunciare qualche parola confusa, ma non riuscì a formulare un solo suono. Fremette appena, sentendo solo in quel momento il tocco sinistro del freddo che regnava in quella stanza, e si distanziò dall'amico, spingendolo con delicatezza indietro. Lo guardò negli occhi, con espressione confusa e titubante in volto. Non c'era dubbio che avesse davanti Ingwe, il vero Ingwe, e questo lo aveva appena appurato. -Ma... perché? Cosa ci fai qui? Io ero da sola con...-
    Shinan sobbalzò. La sua mente si svuotò di colpo, il suo capo scattò ed i suoi occhi attraversarono in un istante tutta la sala, alla ricerca dell'unica persona rimasta ad attenderla nel centro dei suoi pensieri. In quell'istante, il boato di un'incredibile esplosione la assordò e gli occhi di tutti i presenti si mossero rapidi verso un unico, tremendo obiettivo.
    La terra stessa parve ruggire, il pavimento bianco del castello si frantumò come vetro, divelto da un geyser di energia oscura che irradiò una vampa di calore fino al suo volto, una sferzata che la ferì e spaventò, lasciandola inerme sul posto a fissare lo spettacolo con occhi spalancati. Dense sfere d'oscurità danzavano attorno alla colonna di pece che con potenza devastante attraversava lo spazio fino al soffitto della sala. C'erano fiamme, c'era vento, c'era una melma densa e soffocante che inglobava qualsiasi cosa nel suo cammino, divorandola fino al suo nucleo. E nel mezzo di quel vortice di magia, Shinan scorse una sagoma piegata in avanti, una sagoma in lotta per non abbandonarsi al flusso che lo spingeva in aria, gridando tutto il suo dolore e la sua rabbia.
    La bambina osservò scuotendo la testa. Nulla appariva essere come lo ricordava, nulla rispecchiava i suoi ultimi attimi di vita cosciente: ricordava Noel bambina ed Evelyne, ricordava le parole scambiate con Will, la promessa che avevano suggellato; rabbrividì per un istante e tornò alla sua memoria anche il ricordo del dolore di percepire una parte di sé sradicata dalla propria anima, mani invisibili che stringevano e affondavano gli artigli dentro di lei, imprigionando il suo cuore e strappandole ogni ricordo, ogni esperienza, ogni gioia. Quella sarebbe dovuta essere la fine, quello avrebbe dovuto simboleggiare il successo del piano di Will. Nessuno avrebbe dovuto più dover combattere, l'incubo di cui erano caduti vittime avrebbe dovuto cessare.
    “Ma allora... quello cosa significa? Perché dobbiamo ancora combattere?”
    Una sola carcassa fumante comparve nel mezzo della pioggia nera che era rimasta di quell'incantesimo: il cyborg che aveva conosciuto all'entrata del castello era immobile sulle sue gambe, rivoli scuri che gocciolavano dal suo corpo che pareva brillare scarlatto, vapori dall'odore metallico che si sollevavano disperdendosi verso il cielo. La bambina portò le mani a coprirsi la bocca, a nascondere l'espressione incredula e atterrita che deformava i suoi lineamenti: subito, le sue iridi scarlatte colsero il dettaglio peggiore di tutti, il buio grigio degli occhi elettronici della creatura, resi vivi solo da alcuni rapidi e deboli luccichii, scintille di circuiti ormai destinati a cedere.
    -No...- riuscì solo a mormorare. Non capiva, si rifiutava di capire quello che stava accadendo; perché era disumano, troppo persino per un essere come la Volontà. Eppure la Nesciens era lì, il suo corpo era lì, mentre la padrona del castello... la cercò con gli occhi e la trovò dall'altro lato del salone, un sorriso compiaciuto e sadico sul volto, gli occhi illuminati da gelide fiamme fissi sul suo operato. Esattamente come li aveva già visti in passato, come se nulla fosse cambiato. In quell'istante, Shinan crollò in ginocchio, gli occhi vacui fissi di fronte a sé e le braccia abbandonate lungo i fianchi, troppo pesanti per combattere: la consapevolezza del tradimento la colpì al petto, aprendo una larga ferita nel suo cuore. Perché Shinan non credeva di poter salvare chiunque, non pensava di avere in sé tutte le risposte, ma al tempo stesso non voleva credere che esistesse un problema senza soluzione, che qualcuno fosse capace, come Will, semplicemente di scegliere l'Oscurità.
    -Perché...- mormorò in un singhiozzo, stringendo con forza gli occhi per cacciare indietro lacrime che la donna non meritava. -Perché ci fai questo?!- gridò la bambina, alzando di scatto il capo, una smorfia di dolore disciolta in un mare di gocce salate. -Perché mi costringi a ucciderti?!-
    Fece per portare una mano a terra, per spingersi in piedi, per scaricare tutte le sue paure e la sua rabbia in un devastante attacco. Una scossa, però, la attraversò da capo a piedi, i muscoli si intorpidirono tutti e, come intrappolata in una teca di cristallo, sentì una forza insormontabile premere contro il suo corpo, una parete che fermava i suoi movimenti, che la obbligava in ginocchio di fronte all'incarnazione di ogni male, al demonio dalla pelle di neve.
    Solo in quel momento si accorse che Ingwe ancora la stringeva, che il ragazzo era ancora lì alle sue spalle per sorreggerla, per farle da scudo. Lasciò cadere la testa tra le sue braccia, affondò il volto nelle maniche dei suoi vestiti, soffocò un guaito addolorato.
    -Non ha senso... tutto questo non ha alcun senso...- balbettò con la voce rotta dall'emozione, stringendo i pugni fino a ferirsi con le sue unghie: il sangue caldo fuggiva dal suo corpo pregno della follia che stava sconvolgendo ogni suo pensiero, eppure non riusciva sentirsi meglio, la ferita dentro di lei vomitava dolore e dubbi. -Io volevo salvare Noel, ma uccidere Will... non è per questo che ho guadagnato i miei poteri!- arrivò quasi a gridare; non le importava che Ingwe o chi per lui la ascoltasse, aveva solo bisogno di mettere a parole la sua sofferenza, di allontanare da lei tutti quei pensieri, di guadagnare la fermezza necessaria a compiere ciò che già sapeva necessario.
    Fece ancora più forza sui suoi piedi, deglutì e strinse i denti, li digrignò con un ringhio ferino per darsi più carica e provò ogni cosa per rialzarsi. -Ingwe aiutami, ti prego... devo alzarmi, devo combattere...- eppure il ragazzo continuò a stringerla, immobile come lei, incapace di accontentarla. Doveva lottare, anche se non riusciva a trattenere le lacrime, anche se disprezzava l'ingiustizia di quell'intera situazione, perché c'erano ancora troppe persone importanti che era in grado... che doveva proteggere: Noel, la vera Noel la attendeva da qualche parte, Vanessa era svenuta a terra, Maxwell era prossimo a cadere e lei, in qualche modo, si sentiva responsabile di ogni cosa, anche solo per non essere stata lì accanto a loro nel momento del bisogno. I rimpianti potevano anche assalirla tutti assieme una volta che quell'ultimo dovere che le era rimasto fosse stato assolto.
    “Ora però non posso aspettare qua, non posso restare a guardare!” si agitò scuotendo il suo corpo per scivolare via dalla presa delle catene invisibili della sua aguzzina, provò a buttarsi in avanti, fece di tutto per combattere l'immobilità innaturale del suo corpo. “Solo una spinta ancora, solo un ultimo aiuto...” pregò ai suoi compagni, agli amici che portava nel cuore, al cielo e chi vi regnava. “...ti prego...”
    Per un attimo, il botto assordò il suo orecchio sinistro. Shinan strinse gli occhi spaventata dal colpo di pistola e li riaprì subito dopo, quando l'improvviso dolore al timpano si fu acquietato. Guardò accanto a sé, schegge di marmo si erano catapultate in aria, a terra brillava un bossolo bianco pregno di luce. Confusa, la bambina ebbe solo un momento per osservarlo, poi la luce esplose con la forza di un tuono: un'onda celeste si estese attraverso la sala come il dolce respiro del vento, un'aura che li accarezzò con il suo fresco abbraccio e che con un solo respirò penetrò dentro di loro, attraversando la Nesciens in un solo istante. Come un'armatura aderì al suo corpo, allentò anche se di poco la presa delle catene di cui la piccola era schiava, la scosse da capo a piedi, spazzando via con una rapida folata l'insicurezza e le titubanze che ancora albergavano in lei. I suoi muscoli si rilassarono, il suo cuore fu riscaldato di un nuovo calore, ed un istante di pace albergò in lei, anche nella frenesia di quella vera e propria guerra, più pericolosa e importante di qualsiasi altra ella avesse mai affrontato.
    Un nuovo suono esplose accanto a lei, atterrendola fin nel profondo. Un ruggito ferino, un grido di dolore rauco e violento, graffiante quasi abbastanza da ferirla fisicamente; un brivido fece fremere di inquietudine la bambina che indietreggiò di un passo, scontrandosi col petto di Ingwe. Strinse i suoi abiti con la mano senza voltarsi, per essere certa che egli fosse lì con lei, per essere certa di non essere sola davanti a quell'orrore. Così vide la Volontà, per la prima volta piegata in ginocchio, gli occhi di sangue che sferzavano odio verso la copia nata per suo stesso diletto, verso l'entità dalla natura fallace della quale Shinan, ancora confusa dalla situazione in cui si era risvegliata, non aveva nemmeno potuto ben comprendere il ruolo.
    Un altro sparo esplose di fronte a lei, Noel puntò ancora una volta le sue pistole verso la terra ed una nuova esplosione di luce scaturì dal terreno come la più pura delle fonti d'acqua. Il tepore della magia sanò ancora di più il suo corpo e la sua anima, ma la bambina non si lasciò cullare una seconda volta da quella sensazione: mantenne lo sguardo preoccupato fisso davanti a lei, mormorò il nome della donna, il nome della sua amica, capace solo di domandarsi se fosse possibile aiutarla mentre il suo corpo ed il mondo stesso si erano dimostrati suoi nemici, carcerieri che l'avevano incatenata a terra imponendole solo di osservare. Con il cuore in gola, mentre le spalle si muovevano ancora tentando di scivolare al di là della ferrea presa di un potere a lei sconosciuto, la Nesciens vide l'albina ammantarsi del potere delle tenebre, assoggettarlo al suo volere e dargli forma. Non più braccio umano, un enorme artiglio di ossidiana si plasmò attorno al suo arto, grande abbastanza da schermarla contro le onde di energia celeste che la travolgeva come per spazzare via un ostacolo, come per cancellare un errore.
    Una donna stringeva convulsamente le pistole, l'avversaria puntava i piedi a terra resistendo alla forza distruttiva della luce. Una di fronte all'altra si guardavano negli occhi, entrambe desiderose di far sparire la rispettiva nemica e non avevano bisogno di altre parole per dirlo. Shinan fissò quello spettacolo, quel drammatico finale, incapace persino di respirare; il cuore le esplodeva nel petto, infiammando tutto il suo corpo, sciogliendo i suoi occhi in lacrime perlacee. I sentimenti che provava in quel momento, la paura dentro di lei e la determinazione nello sguardo della sua compagna, ogni sensazione ed ogni espressione erano già note alla giovane, si rispecchiavano in uno dei ricordi radicati più nel profondo del suo cuore. Tutto, in quello scontro faccia a faccia, la riportava a quel giorno, la riportava al momento in cui i suoi compagni avevano perso la vita contro Charlotte, quando ormai la speranza riempiva i loro animi ed il successo pareva a portata di mano: il modo con cui Noel li schermava con il proprio corpo, difendendoli come dei figli dalla furia assassina dell'altra se stessa, anzi, il modo con cui dava loro la schiena era troppo simile a quello che aveva già vissuto una volta.
    -Noel!- la chiamò. Non era pronta ad accettarlo, Shinan gridò con quanto fiato aveva in corpo, facendo raschiare la parola contro la sua gola secca. Noel non si voltò, non rispose al suo urlo. Chiuse gli occhi, rassegnata, il suo volto una maschera dalle emozioni indecifrabili.
    -Quando avrete sconfitto Will... nel remoto caso in cui l'originale sopravviva, vi dimenticherà comunque.-
    -No...- la bambina scosse la testa, spinse in avanti il braccio quanto più poteva, pressò i denti gli uni contro gli altri e spinse, spinse oltre i limiti che il suo fragile corpo le consentiva, consumò ogni energia solo per avvicinarsi, anche di un millimetro, alla schiena della ragazza. Voleva raggiungerla, voleva abbracciarla, voleva dirle così tante cose. Sapeva cosa ella stava per fare, sapeva che significato avevano quelle parole ma, contrariamente a quanto lei stessa si sarebbe aspettata, le stava bene: aveva già accettato di non poterla salvare, lo aveva capito quando la Noel bambina era tornata alle tenebre, lo aveva capito quando aveva visto Will bloccare ancora il loro cammino, lo aveva visto nella determinazione che brillava in quegli occhi smeraldini: il fantoccio non poteva essere salvato, non desiderava essere salvato, nulla di ciò sarebbe potuto cambiare. La guerra aveva insegnato all'Erica che il mondo non era tanto gentile da permettere a tutti di essere salvati. Però la falsa Noel era lì, a pochi passi da lei, e che se ne andasse in quel modo era troppo per Shinan.
    -No, non devi preoccuparti per questo, non importa se si dimenticherà di noi!- la bambina singhiozzò, deglutì e cacciò indietro tutta la sua debolezza, sforzandosi di gridare ancora più forte, sforzandosi di mostrarsi sicura fino in fondo di quella promessa: -Perché noi non ci dimenticheremo di lei, costruiremo altri ricordi, ancora di più! Quindi ti prego...- si fermò per un istante, respirò affannata più volte, il corpo che fremeva e minacciava di cedere al suo stesso peso. -Ti prego, non essere triste!-
    Forse non sentì, forse si limitò a serbare quelle parole dentro al suo cuore, o qualsiasi altro organo battesse nel petto della bambola, ma si sforzò comunque, tra le gocce di sudore ed il respiro affannato, a separarsi da loro con le sue ultime parole di commiato, mentre le armi si abbassavano lungo i suoi fianchi e la resistenza cedeva; con esse, anche se di poco, riuscì ad alleviare il dolore dell'Erica: -Per quello che vale, sono contenta di avervi conosciuto.-
    L'artiglio si mosse verso Noel in un istante, eppure alla bambina parve lentissimo: intercettò di testa l'ondata di luce, si lasciò trapassare da essa e come un banco di nebbia ondeggiò e vacillò, minacciando di sfaldarsi, ma riprese presto solidità e proseguì il suo percorso. Le unghie trapassarono il corpo inerme della bambola: come se non l'avessero mai incontrata, essi la attraversarono senza difficoltà e, tinti di sangue, si mostrarono a lei, muovendosi a scatti simili alle chele di un insetto, scavando nella carne per puro divertimento, per vedere il volto che la Volontà tanto doveva odiare contorto da quanto più dolore possibile.
    La chiamò ancora, tentò di raggiungerla prima che fosse troppo tardi per pura disperazione, di colpo troppo spaventata dall'idea di perderla per accettare ciò che già sapeva essere destino senza lottare. Tuttavia era impotente, il giogo fissato su di lei dalla loro nemica non era ancora caduto: Noel si allontanò sempre più, trascinata al cospetto della sua creatrice con violenza. Nonostante le ferite, nonostante il suo corpo fumasse e minacciasse di cadere a pezzi, Will continuava a ridere: era un suono folle, misto di rabbia, odio, paura e superbia, un suono che atterrì la bambina, un suono che ancora una volta ribadì la disumanità della donna, alleviando seppur di poco il peso che il dovere di porre fine alla sua vita rappresentava sulle sue spalle.
    Era difficile, Shinan percepì chiaramente le proprie viscere contorcersi e quasi strozzarla, il suo stesso corpo pareva opporsi al suo comando, imponendole di voltarsi, ma nemmeno per un secondo la Nesciens distolse lo sguardo dalla sua amica, da quelli che, già lo sapeva, sarebbero stati i suoi ultimi momenti. -Credi di essere divertente? Credi che io non possa distruggerti come ho fatto con tutte le altre ridicolissime copie?-
    Shinan deglutì. Lo sapeva, lo sapeva la copia, lo sapevano tutti in quella stanza che le parole di Will corrispondevano a verità, sapevano che era esattamente quanto sarebbe accaduto. Tuttavia...
    -No.- rispose la donna, con un sussurro deciso che l'Erica riuscì appena a carpire. Sollevata da terra, crocifissa da lance d'oscurità, i vestiti impregnati di sangue che continuava a sgorgare, lasciandola più debole ogni secondo, Noel sollevò una mano, la portò in avanti tremando, la impose sul braccio della Volontà. -Credo solo di dover pareggiare i conti.-
    La pelle nera baluginò un istante d'arancio, ci fu una rapida scintilla e il braccio si incendiò: mille dita di fiamme si arrampicarono lungo l'arto, graffiando e divorando la pelle, i muscoli, l'osso stesso, l'oscurità parve indebolirsi e perdere forma, fino a sciogliersi al contatto con il fuoco. Shinan udì l'urlo dissennato di dolore, percepì lo sfrigolare della carne e l'olezzo del grasso, incredula ammirò la battaglia di fronte a lei, domandandosi se non fosse tutto giunto al termine: Will si contorse in preda a spasmi e, forse, nel tentativo disperato di una bestia in trappola di scalciare e fuggire, Noel si aggrappò a lei con le unghie, pronta a tutto pur di prolungare quel dolore anche di un solo secondo. La bambina riuscì quasi a convincersi che, di lì a poco, avrebbe visto la Volontà cadere di nuovo a terra, disperdersi in una nube di tenebra e perdere tutto quello che aveva rubato vivendo come parassita qual'era sulle spalle di Noel. Vide gli occhi della burattinaia tingersi di nero e perdere la luce superba ed avida che li aveva resi vivi, vide l'oscurità che ella aveva chiamato a sé cadere in frantumi, dissolversi in polvere mentre cadeva a terra sul pavimento candido. Shinan trattenne il fiato, senza sapere cosa aspettarsi. A quel punto, i gomiti si dislocarono, bucarono la pelle e mostrarono per un istante le ossa bianche dentro di lei, mostrarono con orgoglio la forza di quel corpo, quel contenitore di cui si era impossessata. Le gambe si snodarono a loro volta, la pelle si raggrinzì, ogni parvenza umana dei suoi arti lasciò il posto a sagome indistinte, ad affilate e potenti radici di una pianta oscura, di un'entità terribile che si ancorò al pavimento, che reclamò le pareti, e arrivò ad estendersi per tutto il salone, circondandoli ed imprigionandoli. Will, o quel che ne restava, fu innalzata sopra di loro, il viso adombrato dai capelli caduti di fronte a lei. Eppure, nella cupa maschera che era diventato il suo volto, Shinan riuscì comunque a distinguere gli occhi scuri della donna, pregni solamente di follia.
    Di fronte alla paura, di fronte al terrore per quell'essere dalle fattezze incomprensibili, la giovane si sentì di colpo più leggera, libera. Abbassò lo sguardo su di sé, sulle sue mani che riuscì facilmente ad alzare e aprire, come se fosse la cosa più naturale del mondo: con rapidi movimenti della testa osservò i suoi arti, la sua schiena. Poteva di nuovo muoversi, era di nuovo in sé! Si concesse un solo istante per gioire di quella notizia, non si diede nemmeno il tempo di decidere cosa fare prima di andare a cercare con lo sguardo quella che era davvero la cosa più importante in quel momento: Noel era ancora là, di fronte alla burattinaia, legata a lei da una lunga radice nodosa plasmata a tentacolo, la punta acuminata conficcata nello stomaco. Aggrappandosi ancora a quei sentimenti, alle sciocche ragioni che la facevano ancora preoccupare per qualcosa di tanto stupido, Shinan allungò il braccio, avanzò sulle sue gambe malferme, si mise a correre quanto più veloce poteva. Gridò il nome della sua amica, anche se non la conosceva veramente, anche se quella che vedeva era solo una pallida copia di una persona che, per quanto fingesse altrimenti, aveva incontrato solo una volta, due giorni prima, sulla vetta della Collina del Crepuscolo. Le propaggini di Will si chiusero come fauci attorno a lei, Noel scomparve all'interno del nucleo nodoso di radici come se non fosse mai esistita. Shinan poté solo rallentare, rallentare e poi fermarsi, a guardare dal basso quel demonio che rideva folle di loro, ferito nel corpo e nell'orgoglio.
    Le braccia crollarono ai lati del suo corpo, il suo capo restò alto, i suoi occhi fissi su quanto restava della Volontà. Cos'avrebbe dovuto pensare, come avrebbe dovuto sentirsi, la Nesciens non aveva risposta a nessuna di quelle domande, si limitava a restare immobile, ad osservare impotente come la loro nemica inglobava le spoglie della finta Noel, con espressione neutra, forse appena rassegnata sul volto. Osservò, osservò finché non si stancò di farlo, finché non strinse i pugni e corrugò la fronte, finché lacrime silenziose non cominciarono a sgorgare preziose dai suoi occhi.
    -Proteggi Vanessa, qui ci penso io!- le gridò una voce che sul momento non riconobbe, facendola vacillare per un istante prima di accorgersi di come Ingwe si fosse lanciato in aria, sorpassandola sopra di lei, diretto verso il loro unico nemico rimasto. La Nesciens balbettò qualche parola confusa, lanciò un'occhiata verso l'amica priva di sensi riversa a terra, quindi all'abominio di fronte a lei. Infine scrutò dentro di sé, verso ciò che aveva imparato suo malgrado in quel castello, verso il dovere che si era imposta.
    Shinan chiuse gli occhi e distese le braccia ai suoi lati. Inspirò a fondo, chiamò a sé tutta la sua magia. Percepiva qualcosa di nuovo in essa, il flusso che scorreva accanto al suo sangue aveva un nuovo tepore, una nuova velocità. Le era estraneo, eppure in qualche modo sentiva di conoscerlo, sentiva di poterlo assoggettare come se le appartenesse anche perché, sebbene non ne capisse la natura, era certa fosse pur sempre suo. Lo incanalò dal profondo del suo cuore verso la pelle, si rivestì di quella magia bianca e incontaminata sia da luce che da oscurità e le diede forma, senza imporla ma scoprendo ciò che già esisteva sopita in essa: ali di energia apparvero alle sue spalle, sei cristalli che ondeggiavano tra il solido ed il miraggio, che emanavano una luce scarlatta tinta di rosa e porpora. Un sorriso mesto comparve sul suo volto, una risata sfuggì alla sua gola come un singhiozzo e, con gli occhi chiusi, anche se sapeva che Ingwe non l'avrebbe sentita la bambina sussurrò comunque: -Non sottovalutarmi.-
    Petali di rosa le comparvero attorno, si chiusero leggiadri come un'ampia veste su di lei e, brillando di luce propria, si riaprirono dopo un istante, mostrando non più la sola Shinan ma una sua copia di tenebra, in piedi accanto a lei. Senza dirle niente, senza nemmeno volgerle uno sguardo, Shinan si tuffò in avanti, certa che la sua creatura sapesse già cosa fare: la reale inseguì i suoi compagni, l'emanazione si portò a scudo dell'amica.
    Con lo stesso desiderio, con la stessa volontà di porre fine a quella follia, Shinan vide i suoi due compagni, Maxwell ed Ingwe, al suo fianco: negli occhi del cyborg viveva la furia e brillava la fiamma dell'odio, ma la bambina scorse una determinazione pura e buona, lo vide in qualche modo quasi calmo mentre si fermava poco distante dal bersaglio e, giungendo le mani al suo fianco per poi spalancarle di fronte a sé, gridava il suo attacco: -Byakkoko!-
    Allora fu Ingwe a farsi avanti, e da quattro sigilli di luce che aveva evocato attorno a sé partirono quattro potenti raggi di energia, tinti del verde e dell'oro che alla bambina tanto ricordarono i colori dell'erba su cui avevano riposato, su quella collina dove aveva avuto inizio ogni cosa. E allora anche lei incanalo il suo potere, la magia scintillò di giallo e di azzurro lungo il suo braccio, separandosi dal suo corpo come una parte di lei apparvero gli spiriti di Tinji e Yaluo, volti deformi, dipinti nei colori dell'energia che controllavano, che a Shinan sembrava di non vedere da un'eternità. Chiamò i loro nomi, alzò il braccio al cielo, ne unì i poteri. Una nube oscura, come un lungo drago che fendeva l'aria e si contorceva in una spirale sopra il capo di Will, si addensò in alto, luccicando di scintille. Un solo rombo e tutta l'energia accumulata sopra la crudele regista di quel teatrino esplose in una lancia baluginante di tuono, che rapida come una freccia si tuffò dal cielo al pavimento, tentando di trafiggere ed impalare la loro aguzzina.
    Osservando il frutto dei suoi poteri, Shinan pregò per un istante che Ingwe potesse capirla, che non si arrabbiasse troppo per aver ricevuto il suo aiuto: quella, per lei, era una questione personale, Will era un nemico che non sarebbe mai stata capace di perdonare e, soprattutto, il cui peso della morte non era disposta a lasciare agli altri. Anche lei era complice di tutte le disgrazie avvenute in quel castello e, pur al costo di sfidare la sua morale e tutto ciò in cui credeva sporcandosi le mani in quel modo, Shinan era pronta a prendere parte del peso che comportava lo stroncare una vita sulle sue spalle.



    spero non ci sia troppa confusione nell'ordine degli eventi, ma c'era TROOOOOPPA roba di cui dovevo tenere conto @_@


    Più tardi aggiungo anche le stat di combattimento, che mi stavo per dimenticare °3° dopotutto con questo dovremmo avere finito, quindi perdonatemi se mi è passato di mente per un istante xD
     
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    I corridoi sembravano infiniti, si collegavano l’uno con l’altro in un interminabile labirinto tra stanze e rettilinei. Il bianco si alternava al grigio, il grigio si faceva spento e, ogni tanto, era picchiettato da macchie di sangue e resti deformi di quelli che supposero essere creature create dal castello. O peggio, dall’inquilino del castello.
    Più di una volta erano stati costretti a ritornare sui loro passi e a valutare nuovamente la strada da prendere. Vicoli ciechi, corridoi secondari. Il tempo passava e loro non sembravano in grado di trovare la via giusta.
    La strada che gli era stata indicata da una bambina dal viso tumefatto, pareva, se non altro, aver portato loro a dover compiere una sola scelta obbligata. Un corridoio, una porta, un corridoio, una porta e così via. Sora si era avvicinato, aveva provato a parlarci, ma la loro inusuale fonte di informazioni si era limitata a scuotere la testa, indipendentemente dalla domanda.
    «Sora dobbiamo sbrigarci, la Maestra è in pericolo!»
    Già, lo sapeva benissimo. Ma più che seguire il percorso non sapeva che altro fare.
    Istantanee cominciarono a susseguirsi sbiadite, dipinte sui muri di ogni stanza. Si mossero piano, intrecciandosi in una breve sequenza di eventi scollegati, rincorrendosi sulle pareti e sui muri. Ogni tanto, tra i volti e le sagome distanti di persone che non aveva mai visto, il custode distingueva la maestra e la sua arma leggendaria.
    Incalzato dalle immagini e ora sicuro di essere sulla strada giusta, il sovrano superò il moro, veloce sulle gambe, il Keychain del Keyblade alla mano che tintinnava leggero ad ogni movimento. Per certi versi, Sora era contento.
    Non avevano incontrato nemici, solo tracce residue di scontri e battaglie.
    Stanza rettangolare. Chiusa. Nessuna porta. Si poteva solo tornare indietro. Di fronte a loro il contorno appena visibile di un uscio disegnato sul freddo intonaco. Voci, suoni dall’altro lato. Capolinea.
    Senza smettere di avanzare, Topolino puntò avanti la sua chiave, una smorfia ad inclinargli la bocca, lo sguardo concentrato: la magia proruppe in un’unica cupola luminosa. Toccò la parete e deflagrò all’istante: un mare di crepe, la pietra e il cemento opponevano resistenza. Una ventata venefica si fece strada lungo le sottilissime spaccature della vernice.


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    Nel buio del delirio, Will sentì ogni suono ovattato, ogni lampo di luce fu schermato dal buio, che le avvolgeva lo sguardo, che rendeva luminosi solo i corpi dei suoi avversari. Si era lanciata in avanti con le braccia, con le radici, pronta a stritolare anche loro come aveva stritolato la copia. Ormai non le importava più niente, era persino pronta a distruggere il castello. Cominciava a sentire il tanfo della sconfitta, l’olezzo del fallimento. Li ignorò, come stava ignorando tutti i suoni, come stava ignorando tutto ciò che l’Abisso stava cercando di suggerirle. Come un docile sottoposto, l’oscurità le aveva concesso di mutare, avendo però prima reso noto il prezzo di tutto ciò. Will aveva, come sempre, lasciato da parte le clausole, quando non era lei a fare le regole, e aveva accettato di tramutarsi in un essere senza più Volontà, mosso solo dall’odio, dal disprezzo, dal dolore di non dover, di non poter fallire e di stare, invece, ghermendo aria o poco più. L’aveva avvisata anche di questo, l’Abisso, la pianta madre, nel momento in cui Will aveva lanciato la sua sfida. Mai errore sarebbe potuto essere più grande, più grave.
    Come le sue propaggini scattarono in avanti per raggiungere Maxwell e Ingwe, la fibra densa del suo nuovo corpo impattò con una sfera di luce. Dalle sue labbra distorte e seghettate proruppe uno stridio inumano, lo sfrigolio acuto della pelle che si incendia e si carbonizza, che viene trapassata dal dolore prima e dal fuoco poi. Non si fermò, non si arrestò, spingendosi ben oltre ciò che aveva chiesto. Sostituì le propaggini perdute e incenerite all’istante, lasciando che se ne generassero di nuove, consumando il legame con la bambola nella stanza successiva per poter ottenere di più, sempre di più, ancora di più, dando fondo a tutto ciò che ancora poteva esserle utile. L’avrebbe ristabilito, se si fosse infranto, avrebbe rimesso a posto ogni cosa, trovato il modo di tornare sul suo piedistallo ora che l’avevano trascinata così in basso. Ma proprio per questo, proprio perché abbassatasi alla loro altezza, doveva sfruttare ogni possibilità per ripagare il prezzo. Non le importava più del vecchio, non le interessava niente di Aqua; paradossalmente, non era più nemmeno interessata ad ottenere un corpo. In quel momento, tutto ciò che desiderava era cancellare ogni traccia di ciò che era andato storto.
    Più sostituiva pezzi di sé, più supplicava gemendo l’Abisso che affievolisse il dolore e creasse la sua carne più forte, più resistente e migliore, più quell’attacco sembrava inarrestabile. Avvolse la magia nelle sue spire, provando a rallentarla, a soffocarla. Alzò il viso verso l’alto, alzò le braccia verso l’alto. Uno, almeno uno l’avrebbe buttato giù. Aveva spezzato le ali all’automa? Bene, ora avrebbe spezzato le gambe a Ingwe. Si protese in avanti, senza nemmeno rendersi conto delle appendici demoniache che si riducevano ad una sottile colonna con il solo scopo di reggerla. Cominciava a scendere, cominciava a spaccarsi. Una crepa. Dieci. Cento. Mille.
    Will tentò di darsi una spinta verso l’alto. Ghermire almeno l’insetto, la zanzara che non voleva decidersi a morire. Vide solo dopo i cerchi, impossibilitata ad ignorarli. La magia la investì, la luce la trapassò di netto, come attraverso un cristallo. Crepe, una ragnatela, un intrico di nodi, lo sbriciolarsi della copertura. Rimase immobile, non gridò nemmeno. La sua magia si sfaldava, il suo corpo si scollegava dalla mente che lo occupava. La pelle trafitta e incenerita urlò per lei. Will guardò attraverso quegli occhi ebbri di incredulità e odio il volto di Ingwe. Stava provando pietà per lei? Quell’insulso, ridicolo essere stava provando pietà per lei? Lei che l’aveva messo in ginocchio. Lei che l’aveva costretto a piangere. Lei che se non fosse stato perché l’aveva ritenuto più intelligente di quanto non fosse, facendogli il favore di risparmiare assieme a lui, la sua amichetta Shinan e gli altri presenti, arrivata a quel punto sarebbe stata in grado di staccargli la testa dal collo e bere il suo sangue per il semplice piacere di farlo. Da sputargli addosso.
    Il fulmine crollò centrandola in pieno, l’elettricità che trapassava ogni fibra del corpo. Chinò il capo come per incassare meglio l’urto, un debolissimo istinto animale a riempire il simulacro; le radici si rattrappirono in rami secchi, morti. Si sbriciolava, un pezzo alla volta. L’orgoglio era in pezzi, così come la trasformazione che retrocedeva.
    Impattò contro il muro dietro di sé, la sagoma demoniaca che si riduceva in pezzi e la carne che, lentamente, ritornava ad assumere una forma umana. Tirando le briglie del simulacro con uno sforzo che non si sarebbe dovuta permettere, se non altro per risparmiarsi l’umiliazione, la Volontà tentò di rimettere in piedi il contenitore. Al posto delle piante dei piedi, furono le ginocchia ad incontrare il pavimento; lo strattone le fece reclinare il capo all’indietro, come in penitenza, accettando il verdetto.
    Non doveva andare così!
    Il pugnale la raggiunse. Will non sentì dolore, ma l’impatto fu sufficiente a recidere –simbolicamente- l’ultimo legame con la carne. L’involucro sussultò e si accasciò in avanti, la faccia contro il pavimento.
    Il Keyblade scomparve nello spirare venefico di un cadavere.
    Il gemito della bambola dall’altra stanza le suonò improvvisamente come un campanello di allarme, per ricordarle che qualcosa poteva ancora essere fatto.


    Silenzio.
    Calma surreale.
    Un lunghissimo istante di pace, nulla era successo.


    La Volontà si preparò a raccattare i brandelli di se stessa e si preparò a correre. Si sollevò dal cadavere con un gesto fluido, vento plasmato nelle forme di una creatura. La sua immagine era spaccata a metà, tremava, fremeva. La metà sinistra del viso era ridotta ad un agglomerato nero pulsante, opaco, impalpabile. Dall’altro lato del viso, Will aveva ancora la forza di sorridere. Le gambe sbucavano nuovamente da sotto la gonna stracciata del fantasma, ma le braccia avevano mantenuto la foggia di un artiglio ferino.
    Si lasciò andare ad una risata bassa, consapevole, di scherno. Non schiuse neanche la metà che le era rimasta delle labbra. Al posto dell’iride rosso, lampeggiava e dardeggiava un punto luminoso del colore delle fiamme dell’inferno. Li spiava tutti.
    «Non me l’aspettavo,» gracchiò gutturale, la voce neanche più femminile, totalmente lontana da quella che era stata la parlata a tratti dolce, a tratti seducente, a tratti sadica della donna. Era un miscuglio di più toni, di più modulazioni, come se cento persone stessero dicendo la stessa frase nello stesso momento, formando una cacofonia che si avvicinava ad un suono umano quel tanto che bastava per non risultare artificiale. «Avete vinto, complimenti.» Allargò le braccia in un gesto plateale: «”Cosa” esattamente abbiate vinto ancora non mi è chiaro.»
    Osservò contrariata l’involucro molle e ora vuoto sotto di sé. Fece una smorfia e si lasciò andare ad uno sbuffo rassegnato: era stato bello occupare un contenitore. Era durato poco, ma comunque piacevole; breve, ma intenso.
    Sollevò nuovamente lo sguardo e un mezzo ghigno si scarabocchiò sulla metà umana.
    «Avrò anche perso un corpo, ma ho guadagnato i vostri quattro.»
    Anzi, non era ancora detto che il primo l’avesse perso del tutto. Alzò una mano in avanti. La carcassa si mosse appena, spostò le braccia puntellandosi sulle mani, puntò i piedi, emise un rantolo gutturale; si accartocciò per rialzarsi.
    «Vi faccio solo notare una cosa.»
    Un ottimo diversivo. La carcassa spalancò gli occhi allucinati da sotto la frangetta fitta e spettinata. Ruotarono a vuoto, lentamente, cercando e frugando la stanza. Si fermarono solo quando incontrarono le figure dei tre sopravvissuti, quegli scarti esistenziali che avevano provato ad eliminarla.
    La fanciulla in bianco emise un verso deliziato. I due brandelli, carne e spirito, parlarono all’unisono.

    «La Volontà non può essere eliminata.»

    Lanciò una magia attraverso il corpo, il legame talmente labile e nullo da risultare solo in un’enorme esplosione di materiale oscuro. Un lapillo incandescente si levò in una portentosa colonna tra di loro. Ruggì, pulsò per allargarsi e gettarsi verso di loro, per divorarli ancora. La Volontà abbandonò Will, gettò via i fili della bambola e si lanciò in corsa oltre la porta distrutta. La colonna collassò su se stessa, investendoli tutti con un’innocua pioggia appiccicosa. Diradata quella, Will era accasciata su un fianco, disarticolata, e della Volontà non c’era più traccia.
    Poteva risolverla. Poteva ancora recuperare il controllo. Poteva ancora salvare qualcosa.


    DIVISORE_zpsanuuuazb


    «Non… ce la faccio più.»
    Fu tutto ciò che sfiorò le sue labbra una volta tornata a vedere, una volta tornata a sentire. Sentiva un impellente bisogno di spogliarsi, dei vestiti, della pelle, della sensazione di esistere e di buttarsi nel vuoto per poter, per una volta, davvero fuggire da tutto ciò che potesse farle male. Contare i peccati, dunque. Cosa aveva fatto? Cosa aveva ottenuto? Come si era mossa? Arrivata a quel punto, non era più sicura nemmeno di dove fosse stata prima di perdere i sensi e crollare nel castello. Il petto si allargava, i polmoni fagocitavano aria, ma non era mai abbastanza. L’equilibrio del corpo e della mente sembravano irraggiungibili. Distrutto uno, distrutto l’altro. Cosa le restava? Persone? Amicizie? Nemmeno quelle. Nella sua mente non c’era più nessun volto, più nessun sorriso, ammesso che prima che ne fossero stati; solo il placido oblio e la nebbia dei vecchi ricordi tornati a premere abitavano la sua coscienza. Tutto il resto era stato sigillato. Per cosa combattere, dunque? Perché andare avanti? Per l’ultima cosa che le era rimasta. Quell’occhio rosso, quella benda, quei capelli bianchi e quella voce avvolgente. Nulla più. La sua unica certezza, l’unico essere che poteva dirsi vicino a lei.
    Il corpo si contrasse tutto in un colpo, prima di irrigidirsi. Noel ricacciò indietro un conato di vomito, prima di tossire aria stagna e sputare sangue e un grumo scuro. Tutta la carne formicolava. Il dolore era soffuso, stranamente mitigato. Sollevò le palpebre e il suo braccio sanguinolento entrò nel suo campo visivo come un memento dal portentoso impatto. Quindi tutto quello che era successo dentro, era successo anche fuori. Se non altro, aveva vinto. Chiamarla vittoria era un po’ come chiamare la sua esistenza “vita”, ma in ogni caso era ancora in piedi -in ginocchio, su un pavimento sporco del suo stesso sangue, di tutte le lacrime che erano scese in larghi rivoli dai suoi occhi-, imbattuta, non sottomessa. Non ancora, almeno. Dunque a che cos'era servito quello scontro? Cosa aveva ottenuto, al di là di quel fastidio diffuso e quell’intontimento che non le permettevano di mettere a fuoco nulla? L'aria passava, grattava la gola, irrigidiva e distruggeva le labbra, riducendole in cenere, in crepe, rovinando quel poco che ancora c'era di intatto. Provò a issarsi, a fare forza sul braccio ferito, a spingersi verso l'alto con l'altro, ma la leva cedette, il polso abbandonò un gemito e Noel finì ancora una volta china in avanti, questa volta con il gomito a fare da appoggio. Deglutì sangue e saliva e tossì ancora. Dove doveva andare, cosa doveva fare?
    Il dolore tornò tutto insieme, in un'onda dirompente, dalle estremità fino ai centri nervosi e una scarica elettrica di tensione e sconforto riattivò ogni sensazione. Tornava la forza, quella nata e raccolta dal dolore, l'energia disperata di chi non ha più nulla e consuma se stesso. Noel strinse i denti, i pugni, gli occhi, il cuore. Cercò sostegno da tutto ciò che potesse significare qualcosa, ma quella fastidiosa certezza restava: lei era sola. Combatté un capogiro, un calo di pressione che la fecero sudare freddo e tremare, ogni lembo di carne congelato in un momento di eternità. Cosa stava succedendo? Perché il suo corpo reagiva in quel modo? Cosa, ancora, non andava? Come in risposta a tutte quelle domande, una fitta le attraversò l’addome e il suo viso si avvicinò ancora di più al pavimento. Scendeva, scendeva e la bionda moriva dalla voglia di appoggiarsi alle piastrelle, di lasciarsi vincere dalla gravità e restare accasciata lì, in attesa che il dolore passasse. Ma sarebbe mai passato? Schiuse le labbra alla ricerca d’aria, ricacciò indietro le lacrime, un nuovo conato di vomito e tentò di arginare i colpi secchi che tentavano di distruggere la sua carne da dentro. Spingevano, martellavano. Le tempie pulsavano e la ragazza, febbricitante, provava a respingere i brividi. Graffiavano, grattavano e la bionda, lacerata anche nella sopportazione, provava a rimettere tutto al giusto posto. Premevano per uscire, per urlare e Noel, sussurrando, provava a domarli e a contenerli.
    Si abbracciò il busto, il torso e lasciò che la fronte toccasse il pavimento, il sangue e che si sporcasse, si marchiasse del suo stesso male. I vestiti erano pregni di ciò che le sue ferite spargevano. Non capiva, non riusciva. “Basta, basta.” Ma quei colpi in sordina continuavano, ghermivano il suo cuore e lo costringevano a coordinarsi con loro, a battere come impazzito. “Passerà, Noel. Passerà.” Come tutto il resto che non era ancora passato e che non sarebbe mai passato. Continuava a ripeterselo, cercando di soffocare la consapevolezza che quel dolore sarebbe, invece, rimasto per sempre. Non sarebbe cambiato nulla. Un passo dopo l’altro, in una stoica resistenza verso un domani che non aveva colore, né luce, né voce, era pronta a continuare la sua avanzata. Doveva solo ricacciare indietro tutto, ogni cosa, tutto ciò che potesse causarle dolore. Doveva solo confinare indietro sé stessa, nascondersi, diventare intoccabile, protetta e non vista. Non voleva sentire più nulla, nessuna emozione, perché tutto ciò che provava si trasformava nell’affondo letale di una malattia incontrollabile. Non voleva più quel corpo, non voleva più quel cuore.
    L’aveva sconfitta, l’aveva cacciata, ma stava male: soffocava, annegava e tenersi a galla era sempre più un miraggio. Serrò le palpebre e strinse i denti in una smorfia di dolore, proteggendosi con le braccia, prostrandosi come un animale allo stremo verso la porta che lei stessa aveva distrutto. Poteva tornare indietro, da lì? Poteva ripercorrere la strada al contrario? Aveva paura, si sentiva sola, sconfitta, non più in grado di rialzarsi. Tremava spaventata, sudando freddo in silenzio, le orecchie ricolme del battito ritmato del terrore. Cosa doveva fare? Dove doveva andare?
    Passi. Passi veloci e traballanti. Passi trascinati. Pensò immediatamente di rialzarsi, di ricominciare a muoversi, ma non appena tentò di contrarre i muscoli e comandare i nervi, la forte perdita di sangue ordinò l’assoluta immobilità. Aveva bisogno di tempo. L’uscita dal suo mondo interiore le avrebbe permesso di lenire le ferite e guarire, ma aveva bisogno di tempo. Era in trappola, nuovamente all’angolo. Provò ancora: fece perno sui piedi, puntò le mani sul terreno, ma il busto si fece dapprima rigido e poi molle e un forte sapore ferroso tornò ad inondare la sua bocca. Deglutì sangue e agonizzò alla ricerca d’aria, abbandonando un mugolio sconfitto e sofferente. Al suono dei passi si aggiunse uno stridio pesante. Poi una voce, un’altra, un’altra ancora. E volti, persone, parole. “Andate via”. Si avventarono su di lei, la ghermirono, morsero, leccarono, assaporarono la sua pelle e Noel subì, ancora una volta senza possibilità di fuga. La trascinarono indietro, la trascinarono verso il basso per divorarla ancora.
    «Nonostante tutto-»
    La bionda rialzò il capo. Rimbombava nella sua mente e fuori contemporaneamente. Era lei, era tornata. Ma più di così cosa poteva fare? Gli occhi sbarrati, parzialmente annebbiati dal sangue che colava su buona parte del viso, videro la figura bianca della Volontà emergere con un unico gesto fluido dall’oscurità del corridoio, accompagnata dalle spire del buio. Trattenne il respiro, mentre lo sguardo seguiva la testa del Keyblade che si sarebbe schiantato su di lei. Un arco perfetto. Entrambe le mani, rozzamente trasformate, chiuse sull’elsa, una torsione del busto calibrata per imprimere maggiore potenza all’impatto. E il sorriso distorto, il volto scavato di una se stessa fallace.
    «-ho vinto io.»
    Noel non si mosse, pietrificata in quella posizione. Accettava la sconfitta, accettava di soccombere. Poi il fruscio, il tonfo leggero di un piede nudo sul pavimento. La mantella bianca le solleticò il viso. I due Keyblade cozzarono a mezz’aria, in un pareggio di potenza. Lo stallo bianco della metà che si era staccata e di quella che voleva raggiungere. L’ultima arrivata puntò il peso del corpo sugli avampiedi, spingendosi in avanti, imprimendo più forza sulla lama e la Will dimezzata fu sbalzata indietro, lontana dalla porta e verso la parete; scivolò sulle piante bendate, puntò il Trillo per riacquistare l’equilibrio e arrestare lo spostamento involontario. Ringhiò qualcosa, incidendo il pavimento con le corna del suo Keyblade. L’enorme spada si scompose in otto lame minori: lo spirito bianco allargò le braccia e nell’esatto istante in cui la Volontà riprese la carica, leggera sui piedi e pronta a tenersi bassa per schivare eventuali fendenti, il suo corpo fu trapassato in sequenza da sette di quelle affilatissime daghe. L’intera figura si schiantò contro il muro, impalata direttamente contro l’intonaco bianco. Noel avvertì tutte quante le perforazioni, una in fila all’altra, e si chinò nuovamente sulle ginocchia cingendosi il busto, stringendo le palpebre e tentando di soffocare e confinare via il dolore. Soppresse un gemito che si tramutò in un mugolio strozzato. Con uno sforzo oltre l’umano, trattenne un altro conato di vomito, ansimando pesantemente in risposta ai colpi subiti dall’altra. L’arma leggendaria del parassita crollò dalle sue mani, sbriciolandosi e dissolvendosi in polvere. Un artiglio dell’albina non ancora ritornato umano, si arricciò su una delle spade, tirando per estrarla esattamente come aveva fatto con la Finduilas di Ingwe. Lo spirito puro scagliò anche l’ultima delle sue armi, centrando perfettamente la fronte di Will. Noel scivolò in avanti, il viso affogato nel suo stesso sangue, stremata, il petto che si dilatava e si contraeva alla ricerca d’aria, le labbra schiuse e l’unico braccio sano che ancora cercava di fare forza per farla rialzare. Patetica. Ridicola. Doveva gettare via ciò che la rendeva debole. Gettare lontano quei brandelli di emozione che le erano rimasti, diversi dal dolore, diversi dalla disperazione che le dava forza.
    Nu si avvicinò a lei, passo rapido e leggero. Noel ricacciò indietro la tristezza, provò a spingere lontana la stanchezza. Gli occhi bruciavano, il sangue ticchettava sul pavimento, colando dalle sue ferite. Doveva andare via, trovare la forza di alzarsi e andarsene. Si sentiva trascinare a terra, ancorata dalla sua stessa carne. La fanciulla bianca si chinò, si infilò sotto il braccio sano e aiutò la bionda ad alzarsi.
    «Non... scappare di nuovo...»
    Sollevò il viso di scatto, senza capire, il battito del suo cuore impazzito che soffocava i suoi pensieri. Vedeva sfuocato, appannato. Si appoggiò meglio a Nu, deglutì a fatica e guardò dritto di fronte a sé. Era… un’armatura? Lo guardò senza capire, sicura di non averlo mai visto. Era inginocchiato, era distante, sembrava sapere qualcosa. Noel decise che non le interessava e che l’unica cosa su cui doveva concentrarsi era restare vigile e non lasciarsi andare al torpore che si allungava e ghermiva i suoi sensi.
    «Qui non sarà mai al sicuro.»
    Stavano parlando di lei? Chinò stancamente il capo, spostando il peso da una gamba all’altra. Chiuse gli occhi, non riuscendo più a sopportare la luce malata di quella stanca, l’emicrania che le martellava il cervello e accentuava nausea e capogiri.
    «...Dove lo sarebbe?»
    Voleva andare via. “Portami via, portami a casa.” Sentì la voce cristallina di Nu abbozzare una risata triste.
    «Da nessuna parte. Prova tu a spiegare a dei custodi che una loro compagna è stata quasi uccisa dalla stessa ragazza che è andata nel regno dell'oscurità per salvarla.»
    Parlavano di lei? Aprì gli occhi, fino a sgranarli spaventata. Quasi uccisa. La ragazza nel regno dell’oscurità. Era lei? Aveva fatto del male a qualcuno? Rialzò il capo, confusa, impaurita. Le parole si inchiodarono nella sua gola, impossibilitate ad uscire. Sforzò quanto più poté, cercando di ignorare il sapore del sangue. Passi, movimenti e parole rintoccavano dalla stanza precedente. Altre persone. Una compagna. Quasi uccisa.
    «Io…?»
    Cercò un indizio, un ricordo, una parola. Qualcosa, qualunque suggerimento. Ma dentro di lei c’era il vuoto; nei suoi ricordi c’era solo il laboratorio. Perché c’era solo quello? Non era una bambina. Cos’era successo nel frattempo? Perché quell’uomo in armatura sembrava conoscerla? Provò a muovere un passo in avanti, tremò sulle ginocchia: la fanciulla in bianca la trattenne, pilastro di appoggio e terra di confine.
    «Non è colpa sua.»
    Mia?
    «Ed è qualcosa che accade molto più spesso di quanto credi... chiunque tu sia.»
    Nu abbozzò un sorriso e scosse appena il capo. Noel si sentì guidare delicatamente, una torsione alla volta, fu costretta a voltare le spalle all’uomo. Non reagì, il corpo pesante, i muscoli indolenziti, la forte perdita di sangue che la faceva barcollare. Scivolò in avanti, non cadde solo perché sorretta dalla compagna. Un portale oscuro, placido nel suo brulicare, si aprì di fronte a lei e Noel, stancamente, fece un passo avanti, sorretta dalla fanciulla.
    «È stato piacevole fare conversazione con te, Maxwell.»
    Poi più nulla. L’Oscurità l’avvolse e Nu la abbracciò nel buio sorreggendo il suo peso morto contro di sé.


    DIVISORE_zpsanuuuazb


    Sora afferrò la sua arma a due mani, fendette l’aria e la fiammata imitò la magia Sancta del sovrano: il fuoco si inserì violento nelle spaccature, indebolendo la resistenza del materiale. Il re diede un solo colpo alla struttura e l’uscio sagomato crollò su se stesso in risposta all’onda d’urto dell’affondo.
    Si lanciarono dentro, le lame leggendarie alla mano.
    Frugarono la stanza con lo sguardo. La chioma cerulea della custode sbucò da dietro una colonna, i palmi ampi sul marmo e le braccia larghe a cingere l’appoggio che le permetteva di reggersi in piedi. Viva, se non altro. Sora fece scorrere gli occhi lungo l’intero perimetro. Una ragazza e un vecchio a terra, una bambina, un giovane in volo, un corpo svuotato. Sangue, fuoco, cenere, l’aria pregna di magia, il pavimento picchiettato da gocce di pioggia nera. Silenzio putrido dopo l’esplosione udita pochi istanti prima, quando ancora il castello stentava a farli passare.

    Il sollievo fu spazzato via dallo sgomento. Per un attimo, per un solo istante, l’immagine dell’amico che stava cercando di salvare, il motivo per cui aveva deciso di affrontare il castello, si era sovrapposta a quella del ragazzo appena entrato.
    Lo vide girarsi nella sua direzione.
    «Ven…?»
    La scossa elettrica e il brivido dell’emergenza. Il ghigno, gli occhi d’ambra, il Keyblade che calava su di lei, l’oscurità che sferzava il suo corpo.
    «Vanitas?!»
    Con uno sforzo di volontà Aqua lasciò andare il suo sostegno, l’arma del maestro Eraqus ora più che sufficiente a darle l’appoggio e la forza di cui necessitava.
    Il sovrano si frappose tra lei e Sora, allarmato dalla reazione della Maestra. Scosse il capo con forza, intimandole con la mano di abbassare la sua chiave.
    «È con noi. Avremo tempo per parlare più tardi.»



    CITAZIONE
    Ok. Intanto scusate, ma io e Frenzi abbiamo avuto problemi tecnici e pratici e ci abbiamo messo tanto a scrivere un... 10% del post in toto. Tutto il resto era già a posto. Prima cosa.
    Seconda cosa: non vedrete più nessun post mio, quindi per ritardi d'ora in poi prendetevela solo con lui (prendetevela con lui anche stavolta ).
    Terza cosa: scusate l'impaginazione che manca di immagine. Ce l'ho l'immagine ma il mio mouse è occupato. Appena avrò un momento la metterò.
    Quarta cosa: la parte di Maxwell che ho buttato lì mi è stata chiesta/è stata decisa con Alex che diceva che alla morte di Will l'avrebbe inseguita nonostante fosse "non visibile", non da terra almeno, grazie all'aura radar.
    Quinta e spero ultima: Will sarebbe stata stecchita già al primo attacco, tipo. Ma siccome farvi andare due attacchi a vuoto così tanto per, l'ho fatta "resistere", se così si può chiamare, per incassarsi per bene l'overkill.
    Errata corrige: per Vanessa vediamo a fine quest come fare.
    Non mi sembra manchi nulla. Per domande e altro fischiate.



    Edited by -M a r s h- - 2/12/2015, 21:05
     
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    Non avrebbe mai pensato di compiere un simile sforzo, non in quella vita, non con quelle spoglie. La sua Aura non aveva mai cambiato colore in quel modo, non aveva mai avuto la forza necessaria per raggiungere un risultato simile... e, purtroppo, il suo corpo sentiva appieno le conseguenze di questo fatto. L'uomo non poté neanche concedersi un sospiro di sollievo, perché ogni nervo e muscolo in cui era passata l'energia necessaria al suo ultimo attacco tremò, causando un profondo brivido lungo tutta la sua figura, l'ovvio contraccolpo causato da un potere di cui non aveva ancora un pieno controllo. Peccato che non potesse dire lo stesso della sua aguzzina.
    Anche dopo aver subito l'assalto combinato di tre individui, dopo aver preso in pieno la forza del suo attacco e di quello dei suoi compagni temporanei, una parte di Will sembrava essere sopravvissuta. Proprio come una serpe che lasciava indietro la vecchia pelle dopo una muta, la Volontà lasciò indietro le sue spoglie martoriate dalla loro offensiva, riducendosi a una specie di spirito deforme, umano solo in parte. Come era giusto, poteva pensare, ma quella sinapsi non passò neanche per un attimo nella sua mente. Qualcosa non andava. L'Aura Radar non riusciva a identificare un vero e proprio "segnale" da quell'incarnazione della burattinaia, tutto ciò che la sua stessa energia riusciva a ricevere da quella figura era una marea di emozioni che, in un corpo di carne, gli avrebbero certamente causato una forte nausea.


    -Non me l’aspettavo. Avete vinto, complimenti. ”Cosa” esattamente abbiate vinto ancora non mi è chiaro.

    Di nuovo i gesti plateali, di nuovo quel tono di superiorità. Forse non si notava con la stessa facilità di prima, soprattutto a causa della voce distorta della loro interlocutrice, ma il ritorno di quei comportamenti era il vero segnale di allarme, perché quello non poteva essere un bluff. Non avrebbe perso il controllo in quel modo se le conseguenze di quel tradimento non l'avessero onestamente sorpresa, non avrebbe speso tutto quel tempo a mostrare quanto fosse intoccabile solo per mostrare quanto fossero inutili i loro attacchi, si sarebbe limitata a torturarli lentamente godendosi ogni attimo della loro sconfitta. Almeno di questo poteva essere sicuro: non era mai stato troppo abile a leggere nel profondo dell'animo altrui, ma portare avanti una farsa del genere solo per farsi ridurre in quello stato a causa di una copia di Noel era un piano fin troppo elaborato. E per quanto la parte più paranoica del suo carattere cercasse di convincerlo del contrario, qualcosa di completamente diverso lo inquietava. Se ciò che poteva fare aggrappandosi alla bionda e al Castello dell'Oblio era ormai arrivato agli sgoccioli, cosa le rimaneva per causarle di vantarsi in quel modo?

    -Avrò anche perso un corpo, ma ho guadagnato i vostri quattro.

    Maxwell non fece quasi caso a quelle parole: il suo corpo era stato controllato, preso in prestito, squartato e quant'altro cosi spesso in quegli ultimi mesi, che ormai ci aveva quasi fatto il callo. Che fosse la volontà di Xehanorth, la sua stessa rabbia, l'Oscurità che si era portato dietro o il Siegfried originale, in qualche modo era riuscito a modificare o ad assimilare le forze che minacciavano di cancellare il suo libero abitrio. Eppure, proprio da quelle parole nasceva la domanda che ancora alimentava i suoi dubbi; se davvero l'unica carta a disposizione di Will era una cosa tanto a lungo termine, specialmente a giudicare dalla noncuranza con cui lo aveva detto, perché perdere tempo a blaterare? Poteva fingere la sua morte, con o senza quello schifoso orgoglio dietro le sue azioni, aveva mille altre alternative. Ma proprio questa pecca nel suo carattere la stava portando a fare qualcosa di più teatrale, qualcosa a cui l'uomo ottenne una risposta pochi attimi dopo.

    -Vi faccio solo notare una cosa. La Volontà non può essere eliminata.

    Nel giro di quelle ultime frasi, Will ebbe il tempo di manovrare il suo ultimo burattino, lo stesso guscio da cui era stata forzatamente espulsa, per un ultimo attacco suicida, se così si poteva chiamare. Eruppe in un lapillo di melma nera come la coscienza della loro interlocutrice, ma senza causare loro alcun danno... se non per un particolare. D'istinto, Maxwell alzò le braccia per difendersi da quell'attacco, ma il vero colpo arrivò alla sua mente proprio in quell'istante, quando ciò che rimaneva del potere della loro aguzzina scivolò sulla sua superficie: quella stronza stava solo cercando di ripetere nuovamente il processo da cui era nata. Un sospetto che bloccò il suo corpo come una statua per un attimo, ma che si fece orribilmente vero quando lo sguardo dell'automa scattò in avanti, per controllare dove fosse finita la burattinaia. A terra restavano i resti del corpo che avevano attaccato, ma mancava la parte più "pura", o almeno quella spirituale che fino a quel momento gli aveva parlato. E fu in quel momento che Maxwell avvertì una paura che non aveva percorso la sua schiena da molto, molto tempo.

    -Occupatevi dei feriti!

    Con quel grido di rabbia mista a terrore, l'uomo si lanciò in avanti con tutte le sue forze verso la porta sfondata, scostando con violenza il ragazzo dai capelli biondi, che si era messo davanti a lui per un motivo che sul momento gli sfuggiva, verso la propria sinistra. Non era a lui che serviva aiuto, non in quel momento. I suoi artigli sferzarono il terreno con violenza, e cominciò a salire di corsa le scale che portavano alla stanza successiva, mentre il suo cuore veniva ghermito nuovamente da un'orribile stretta. Per un attimo, l'uomo giurò di poter sentire ogni muscolo del suo corpo gridargli addosso ogni maledizione possibile, soprattutto dopo ciò che avevano subito nei secondi precedenti, ma qualcosa di ben peggio li zittì. Ansia, paura, un terrore che neanche lui riusciva davvero a descrivere.

    -M... Maxwell, non fare nulla di avventato, dannazione!-


    -Chiude il becco Sieg, per una volta sono sicuro di quello che faccio!

    La foga del momento fece scappare quelle parole dal suo simulatore vocale, senza che quasi se ne rendesse conto, ma molte altre si fecero strada nella testa. "Zitto". "Chiudi il becco". "Non dire un'altra parola". Avrebbe davvero voluto dare il bentornato a Siegfried con ben altri pensieri, ma la sua mente non riuscì a partorire altro che quegli insulti. Ogni pensiero veniva soppresso, schiacciato dal puro terrore che si stava facendo sempre più vivido in ciò che rimaneva del suo cervello: Noel si trovava nella stanza seguente, e aveva tutti i motivi per credere che la burattinaia si fosse diretta proprio in quella direzione. Non poteva sapere consciamente se fosse vero, se l'ultimo attacco che quella donna aveva lanciato fosse la sua maledizione finale per chi l'aveva uccisa, ma per una volta poteva sentire che il suo istinto non lo stava guidando alla cieca. Qualcosa stava dando un impeto disumano al suo corpo, stava soffocando ogni sua paura, anche quella dei fantasmi, e aveva visto dannatamente bene quanto la sua aguzzina potesse essere definita simile a quelle creature! Eppure, quella fobia era stata improvvisamente soppressa, anzi, ridotta a qualcosa di molto più primordiale, un sentimento che neanche lui riusciva a decifrare, ma che gli comunicava una sola cosa: corri, sbrigati, prima che sia troppo tardi.
    L'automa ignorò gli specchi rotti del corridoio che lo attese dopo la rampa di scale, mentre il suo generatore perdeva chiaramente un giro a ogni suo respiro simulato, pregando silenziosamente Asura di farlo arrivare in tempo. In lontananza, oltre l'ennesima porta, gli sembrò di vedere qualcosa, una figura forse, ma non riuscì a dirlo sul momento. La sua vista era offuscata dall'ansia, gli obiettivi delle telecamere erano rimasti spalancati, impedendogli di mettere bene a fuoco le immagini in quei terribili secondi di inseguimento; almeno, questo finché non varcò finalmente quell'ultima soglia. Maxwell bloccò improvvisamente la sua carica quando il segnale di Will gli passò rapidamente accanto, fin troppo rapidamente, e solo in quel momento si prese un attimo per dare nuovamente attenzione ai suoi dintorni. La forma eterea della burattinaia era stata impalata sul muro da una serie di spade, e nell'istante in cui l'uomo si voltò per vedere quello spettacolo tutt'altro che pietoso, un ultima lama le diede il colpo di grazia in piena fronte. Solo in quel momento, finalmente, la sua mente venne liberata dall'opprimente presenza di quella bestia, anche se l'avrebbe sicuramente ricordata per tutta la vita. E purtroppo, neanche questo minimo sollievo fu abbastanza per fargli perdere quella massa di ansia che gli riempiva il petto, e lo sguardo che lanciò di fronte a sé non lo aiutò: Noel era a terra, ricoperta di sangue dalla testa ai piedi, e accanto a lei si trovava una figura dai capelli azzurri. D'istinto, l'automa cercò di avvicinarsi a lei, ma non riuscì a percorrere che un paio di metri dall'entrata, che qualcosa cedette. Il suo ginocchio sinistro si bloccò con un inquietante rumore elettrico, insieme alla sua caviglia destra, e lo costrinse a inginocchiarsi, poggiando di peso il suo braccio destro sulla coscia corrispondente. Non faceva neanche male, ma quei due componenti avevano smesso di rispondergli, senza che lui potesse farci nulla. Solo un rapporto dei suoi sistemi riuscì a dare una spiegazione a quell'evento: alcune giunture non erano state completamente curate, la magia con cui la copia lo aveva rattoppato si era concentrata sui muscoli più danneggiati, e non sulla sua "ossatura". Detto in altre parole, era come se quelle parti del suo scheletro metallico si fossero slogate, e la carica con cui si era lanciato all'inseguimento della loro aguzzina non lo aveva certamente aiutato.
    Anche solo rimanere in ginocchio era relativamente uno sforzo in quel momento, ma l'uomo racimolò la sua forza di volontà per non perdere quel poco equilibrio che gli era rimasto, e alzò il suo sguardo verso le altre due figure rimaste in quel salone. La donna misteriosa si era avvicinata a Noel, aiutandola a rialzarsi con fare quasi materno, ma neanche quella vista riusciva a calmarlo. Aveva ancora troppa ansia nel petto, e in quel frangente non riuscì a dire altro che tre parole con la voce rotta dall'ansia e la stanchezza.


    -Non... scappare di nuovo...

    Forse quella donna stava facendo davvero qualcosa di buono, forse la stava davvero aiutando, eppure queste possibilità non erano niente di fronte al ricordo di quella notte, quando l'aveva lasciata andare, quando si era lasciato controllare dalla paura e dal suo senso di inferiorità. Aveva di nuovo abbandonato due persone a lui care per il suo egoismo, e non voleva ripetere lo stesso errore una terza volta, non più.

    -Qui non sarà mai al sicuro.

    Maxwell dovette aspettare qualche attimo per dare una risposta decente a quell'affermazione, perché era certo che la sua testa o il suo petto avrebbero rischiato di esplodere da un momento all'altro, e non lo intendeva solo metaforicamente. Si prese qualche momento per ridurre i suoi respiri simulati, per far tornare un po' di ordine nei giri del suo generatore, e per analizzare la situazione con l'Aura Radar. Entrambe le ragazze erano nel raggio d'azione di quella sua abilità, quindi poteva tirare almeno un sospiro di sollievo: quella era decisamente Noel. Il segnale che veniva delicatamente abbracciato dalla sua stessa energia era quello che aveva memorizzato, e anche se era ferita, il fatto che avesse anche solo un briciolo di vita in corpo era una buona notizia. Peccato che non potesse dire lo stesso della presenza di quella terza persona. Da quanto poteva capire, era stata proprio lei a salvare la bionda dalla burattinaia, e per quanto questo le desse tutti i diritti a ottenere almeno un minimo di gratitudine da parte dell'automa, c'era qualcosa che non andava. L'Aura Radar non riusciva a identificarla, avvertiva un segnale neutro, ma al contempo non riusciva a ottenere una traccia precisa... era come se non esistesse, e non lo intendeva con i termini di un Nessuno. Non riusciva proprio a fasciarsi la testa a riguardo, ma almeno questi pensieri riuscirono a fargli passare una parte dell'ansia che aveva accumulato durante l'inseguimento.
    Dopo un paio di secondi buoni di silenzio, alla fine, l'uomo riuscì a voltare la testa verso la propria destra, fissando le spade con cui quella donna, presumibilmente, aveva ucciso ciò che era rimasto della Volontà. Almeno su quello, la figura dai capelli azzurri aveva ragione: ferita, dopo tutto ciò che Will le aveva fatto, e in un castello posto nel mezzo del nulla, quelle ferite non l'avrebbero certamente aiutata. Ma quella era davvero l'ultima sventura che la aspettava?


    -... Dove lo sarebbe?

    Per quanto sembrasse improbabile, Maxwell sentiva che Will non era che il minimo delle sue preoccupazioni. Da quando l'aveva incontrata, Noel aveva "qualcosa" che non andava, qualcosa che continuava a invischiarla in situazioni spiacevoli e a ferirla, la stessa cosa che aveva attirato la burattinaia, e lui non riusciva ancora a capire di cosa si trattasse. Ma se anche solo una parte delle sue vaghe supposizioni si fosse rivelata corretta, rimaneva comunque il fatto che la bionda era ferita, sola, e con quegli strani sintomi che la divoravano dall'interno. C'era davvero un posto in cui si potesse considerare "al sicuro", quindi? Quanto a fondo andavano le ferite che non perdevano tutto quel sangue, ma facevano altrettanti danni?
    Indipendentemente dalla risposta a quelle domande, tuttavia, la sua affermazione sembrò aver fatto più effetto del previsto, poiché alla sua interlocutrice scappò una risata, triste, leggera, che completava fin troppo bene il tono vuoto con cui aveva posto quel quesito. E, sfortunatamente, la risposta che seguì fu altrettanto eloquente.


    -Da nessuna parte. Prova tu a spiegare a dei custodi che una loro compagna è stata quasi uccisa dalla stessa ragazza che è andata nel regno dell'oscurità per salvarla.

    -Non è colpa sua.

    Questa volta, l'uomo non aveva bisogno di grandi esitazioni. Aveva avuto tutto quell'orribile viaggio nelle viscere di quella fortezza per trovare una mezza risposta, e sapeva che quella sua affermazione non era nata solo dal fatto che la conosceva.

    -Ed è qualcosa che accade molto più spesso di quanto credi... chiunque tu sia.

    Aveva visto in prima persona cosa significava causare sventure agli altri, aveva rimpianto fino alla nausea le sue ultime azioni all'accademia, si era silenziosamente maledetto per essersi accecato con la morte di Steven quando aveva involontariamente aiutato Promestein. Se avesse contato tutte le volte che la sua impulsività aveva causato sventure per gli altri, indirettamente o meno, sarebbe stato sicuramente ipocrita anche se avesse solo pensato di dare la colpa a Noel per ciò che era successo. Almeno lei non aveva perso il controllo di una forza che le apparteneva, di un difetto che non si era mai decisa a controllare, di una rabbia che non aveva mai espresso. Non poteva né biasimarla, né condannarla per cose del genere, ma ormai aveva capito che quella storia non era nata per colpa sua. Non riusciva a togliersi dalle spalle l'orribile presentimento che, in mezzo a quella sadica commedia, il vero colpevole di quel caos era lontano dalle mura del castello, lontano da ogni responsabilità, e soprattutto, lontano da ogni conseguenza. Proprio come Will nei momenti in cui si era divertita a torturarli.
    Tuttavia, per quante teorie cercasse di tirare fuori dalla sua mente bacata, l'uomo non riuscì a cavare un ragno dal buco. Per quanto si sforzasse di trovare la radice del problema, per quanto analizzasse gli eventi, non cambiava niente. Non riusciva a togliersi di dosso la schifosa certezza che quella spiacevole avventura, alla fine, non fosse servita ad altro che causare dolore a lui, a Noel, ad Aqua, e a tutti gli individui che si erano ritrovati in mezzo alla follia di un singolo essere. Forse ci aveva guadagnato qualcosa, certo, ma ne era davvero valsa la pena? Non sapeva neanche questo. Tutto ciò che gli rimaneva dopo quello scontro era la certezza di essere rimasto coinvolto nell'ennesimo abuso di un potere troppo grande per un ego troppo smisurato. Neanche la sua interlocutrice riuscì a rispondere alla sua ultima, vuota frecciata, e si limitò a porgergli un triste sorriso.


    -È stato piacevole fare conversazione con te, Maxwell.

    E con queste parole, la donna misteriosa sparì in un turbinio di oscurità, insieme a Noel. Maxwell non riuscì a fare niente, rimase immobile, in ginocchio poco oltre la soglia di quella stanza vuota, con la sola compagnia dei suoni sommessi del suo corpo di metallo. I suoi muscoli e le giunture stridevano sommessamente, entrambi stanchi quanto il loro padrone, i suoi sistemi lanciavano dei leggeri allarmi per ricordargli quali punti del suo corpo fossero ancora feriti, e il resto era silenzio. Non c'era tristezza, non c'era disperazione, non c'era neanche una mezza soddisfazione per aver superato quella difficoltà nonostante tutto, anche se qualcuno si era dovuto sacrificare per renderlo possibile, anche se la loro avversaria si era fatta più grande di quanto non fosse in realtà, ed era giustamente morta come una bestia. Tutto ciò che gli rimaneva erano le ferite, i ricordi di quella recita di cattivo gusto, e la coscienza di dover trovare qualcosa per cui andare avanti nonostante tutto. Forse il castello non si era preso le sue memorie, ma aveva sicuramente trovato qualcosa di peggio con cui colmare questa lacuna: se doveva paragonare il suo stato d'animo a qualcosa, allora poteva certamente dire che nel suo petto si era fatto strada uno strano tipo di "Oblio". Le piccole consolazioni erano assenti, i sogni lontani erano ben oltre l'orizzonte... ogni mezzo che aveva usato in precedenza per attutire le esperienze negative che aveva affrontato era sparito. Probabimente, qualsiasi altra persona avrebbe pensato che non era rimasto nient'altro da fare se non piangere. Lui avrebbbe semplicemente risposto che era una battuta di cattivo gusto.

    -... Maxwell... io... mi dispiace. Tutto questo... mi dispiace...-

    La voce di Siegfried era abbattuta, confusa, e quelle parole uscirono quasi come uno strano balbettio. La sua sola consolazione era che, questa volta, l'uomo non aveva la forza o la voglia di lanciargli veleno addosso; tanto non sarebbe servito a niente. E tra l'altro, anche a lui dispiacevano molte cose, ma non i soliti rimpianti sul suo passato o sulle morti che aveva visto. Lo avrebbe ripetuto più volte, ma Il Settimo aveva ragione: aveva mentito a se stesso, agli altri, aveva indossato corazze e maschere per evitare di accettare quanto fosse cambiato, quanto il tempo lo avesse costretto in un mondo per cui non si era mai preparato. Il suo solo rimpianto era aver trascinato Sieg in quell'inferno soltanto perché condividevano lo stesso corpo. E, con un sospiro, l'uomo non poté fare altro che pronunciare due frasi con un filo di voce.


    -... Benvenuto nella "vita adulta", Siegfried. L'abbiamo evitata troppo a lungo.

    Edited by AlexMockushin - 6/12/2015, 18:25
     
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    La mano tesa verso di lui le dita rigide, pronte ad afferrarlo, a ghermirlo tra i loro artigli.
    Nonostante tutto, aveva ancora paura di lei, aveva ancora paura della Volontà, di ciò che avrebbe potuto fare. La luce trapassò il corpo della donna, crepandone la carne, spezzandolo con la propria forza, scavando e bruciando, tramite l'energia di cui era composto, il pavimento sotto e dietro di lei.
    Il calore e la luce erano insopportabili alla vista, così come lo era l'immagine del demone avvolto tra le fiamme. Le urla graffiavano contro le pareti, quasi come se volessero aprirsi in varco nel marmo, come se la stanza in cui si trovavano non bastasse, fosse troppo piccola per loro, come se fossero loro a voler fuggire e non la padrona.
    Solo in quel momento, solo per un'istante gli effetti della sua magia comparvero sul corpo della giovane, deturpandolo.
    Per la seconda volta, Ingwe vide la carne di Will sciogliersi, le ossa annerirsi, i capelli avvampare. Per la seconda volta, la vide morire.
    Un cupo rombo di tuono annunciò l'arrivo delle nuvole temporalesche che, pesanti, cariche di elettricità, si raggrumarono sul soffitto, scure, con la figura dell'Albina esattamente sotto al centro dell'ammasso creatosi.
    Preoccupato, teso, Ingwe concentrò il proprio sguardo verso il basso, verso la figura della bambina bionda, prima di voltarsi verso l'anziano e Vanessa. L'ansia abbandonò il suo corpo quasi immediatamente, non appena vide la copia scura di Shinan ergersi, pugnale in mano, di fianco alla ragazza. Nonostante stesse combattendo contro Will, la giovane maga riusciva comunque a proteggere la loro compagna. In tutta onestà, non sapeva se essere felice o irritato dal comportamento della Nesciens. Forse entrambe le cose.
    Un fragore assordante, identico a quello che aveva sentito lui prima, quando era stato il bersaglio di quella stessa magia, coprì le urla della Volontà, mentre una lancia di pura energia si abbatteva sul corpo deforme del loro bersaglio, costringendola a chinare il capo, come una penitente.
    Dentro di sé, Ingwe percepì la soddisfazione per ciò che vedeva farsi strada sottile nel suo cuore, appagando il suo odio e la sua rabbia.
    La sua espressione non era mutata di un millimetro, i suoi muscoli erano rimasti fermi, immobili. La osservava. La osservava contorcersi tra le fiamme di quell'inferno che si era meritata, la osservava gridare, le radici che le aveva squarciato la carne avvizzirsi, seccate e bruciate dalle sue fiamme, la osservava cadere a terra, più morta che viva, la schiena appoggiata al muro, il respiro pesante e irregolare.
    Si trattava di un atto inutile: il destino di Will era già segnato, ma non lo faceva per infliggere altro danno fisico. Lo faceva per umiliarla, lo faceva per porre la parola “fine” a tutto quello, lo faceva per far sì che l'ultimo gesto che la burattinaia avesse visto da viva fosse di spregio e umiliazione nei suoi confronti.
    Lo faceva per vendetta, per avere un'altra rivincita, per distruggerla con la stessa arma che lo aveva quasi portato alla morte.
    Era un addio.
    Sibilando all'interno degli ultimi echi lasciati dal caos scatenato dalle loro magie, il pugnale di Shinan volò verso il petto della giovane, affondando con un movimento fluido, morbido, dipinto del rosso del sangue di quel demone, in esso fino all'elsa.
    Gli occhi vermigli si rovesciarono all'indietro, mentre il collo si piegava verso il basso, privo della forza necessaria per sostenere il capo. Un tintinnio freddo annunciò il dissolversi in schegge d'Oscurità della spada che il mostro aveva brandito, abbandonata dalle dita spezzate, morte.
    Improvvisamente, Ingwe sentì i muscoli del proprio corpo rilassarsi, abbandonare la tensione in cui erano rimasti contratti fino a pochi istanti prima, mentre un sospiro di sollievo usciva senza rumore dalle sue labbra.

    i0v0UkH

    Era finita.
    Noel li avrebbe dimenticati, ma almeno sarebbe sopravvissuta. Forse, alla fine, era fortunata ad avere il privilegio di poter far finta che tutto quello non fosse mai successo. Lui, almeno, avrebbe voluto. Dimenticare quel Castello, dimenticare il dolore provato, anche quello fisico. Eliminare le cicatrici che segnavano la sua pelle come tatuaggi deformi, partoriti da una mente malata. Anche se la stanchezza permeava ogni singolo millimetro del suo corpo, aveva paura al pensiero di addormentarsi, quella notte. Non voleva chiudere gli occhi solo per ritrovarsi in quel luogo, non voleva chiudere gli occhi solo per vedere di nuovo le illusioni che aveva vissuto all'interno di quelle pareti di marmo. Voleva dimenticare. Anche se si trattava della bambina, anche se si trattava di sua sorella e della loro promessa. Voleva solo poter dimenticare tutto quello.
    La figura dell'Albina tremolò un istante, sdoppiandosi. Come in un incubo che insisteva nel non voler terminare, spezzata a metà, il nero che le ricopriva la parte sinistra del corpo, Will si alzò nuovamente in piedi, lasciando dietro di sé il vecchio involucro che aveva abitato fino a pochi istanti prima.
    Sorrideva. Di fronte ai suoi occhi spalancati, alle pupille dilatate per l'orrore, sorrideva, la luce rossa che aveva sostituito l'iride e la sclera nella metà di viso annegata nell'Oscurità che brillava sinistramente.
    «Non me l’aspettavo.»
    La cacofonia di suoni graffiò contro le loro orecchie, un misto di più toni, un misto di più persone, di voci donne, uomini, bambini. Quella era la vera natura dell'Abisso, quello era ciò che avevano tentato di distruggere. Il ghigno sul volto spezzato si allargò ulteriormente, aprendosi in maniera grottesca sulla parte non umana della faccia.
    Sempre teatralmente, recuperando quella superiorità che aveva perso pochi istanti prima, Will allargò le braccia, inchinandosi leggermente, deridendoli con del finto rispetto.
    «Avete vinto, complimenti. “Cosa” esattamente abbiate vinto ancora non mi è chiaro.»
    Tremando leggermente, Ingwe frappose Finduilas tra sé e la donna, pronto a difendersi o ad attaccare ancora una volta, pronto a sacrificarsi per far sì che almeno Shinan potesse fuggire.
    Che scherzo stupido. Proprio nel momento in cui credevano di aver vinto, proprio quando sperava che tutto fosse finito, lei si rialzava, sebbene non intatta, nuovamente viva.
    L'angoscia crebbe, crebbe velocemente, invadendolo con una rapidità innaturale, annegandolo prima ancora che avesse veramente realizzato le implicazioni di ciò che stava accadendo di fronte ai propri occhi.
    Voleva vomitare. Voleva urlare, scappare, annegare in un incoscienza priva di sogni. Voleva morire. Piuttosto che rivivere quell'incubo, piuttosto che continuare a soffrire in quel modo, avrebbe volentieri preferito morire. Quella non era vita. Quella era merda. Sterco di un animale in putrefazione, resti disgustosi e nauseanti. Avrebbe volentieri preferito sentire il proprio sangue scivolare lungo i polsi, il calore del liquido che lentamente colava a terra in un rivolo costante.
    Mai più. Mai più quel dolore, mai più quella sofferenza, quell'angoscia, quella paura. Mai, mai, mai, mai. Non voleva mai più dover perdere qualcuno a lui caro, non voleva mai più vedere quello stesso spettacolo ripetersi davanti ai suoi occhi.
    Il respiro accelerò, mentre perdeva il controllo del suo corpo invaso dal panico.
    Dentro di sé una preghiera silente, inutile, continuava a ripetersi, il desidero impossibile da realizzare, oramai: che non accadesse nulla, che quello spettro venisse disintegrato dal vento inesistente.
    Non riusciva a trovare la magia, non riusciva a controllare la propria energia per attaccarla. A che scopo, poi? Non avrebbe avuto alcun senso. Lei sarebbe sempre tornata, si sarebbe sempre rimessa in piedi. Sempre. Non importava con cosa la colpiva. Quell'angoscia sarebbe sempre tornata.
    Non voleva.
    Non riusciva a pensare ad altro.
    Non voleva, non voleva, non voleva.
    «Avrò anche perso un corpo, ma ho guadagnato i vostri quattro.»
    Urlare.
    Doveva urlare.
    Doveva farlo, anche se non sapeva il perché. Doveva urlare, lasciare liberi quella paura e quel dolore, lasciarli uscire dal suo corpo, strapparli, reciderli e non farli mai più entrare. Voleva rannicchiarsi, affondare le unghie nella carne, graffiarla, inciderla, far uscire il sangue. Voleva cedere al panico, voleva non dover più pensare, voleva non dover più esistere.
    «Vi faccio solo notare una cosa.»
    L'idea, l'immagine di Shinan nuovamente ridotta nello stato di prima spezzò qualcosa dentro di lui.
    Non voleva.
    «La Volontà non può essere eliminata.»
    Lui non voleva.
    Con un urlo strozzato, Ingwe si lanciò verso Shinan, abbassando quota, tentando di proteggerla dalla melma oscura che la Volontà aveva evocato.
    Non avrebbe permesso che lo facesse soffrire ancora una volta in quel modo. Non avrebbe permesso che Shinan venisse presa da Will. I muscoli tesi, rigidi, osservò il fluido alzarsi in alto, ingigantirsi in un'onda fatta di pece.
    La Volontà avrebbe rubato il suo corpo.
    Era quello che voleva. Smettere di soffrire a causa di quell'essere, smettere di vederla usare i propri amici per distruggerlo. Se fosse diventato lui l'ospite di quell'entità, allora, forse, se fosse stato fortunato, la sua coscienza si sarebbe estinta, annegata negli Abissi da cui lei era nata. Avrebbe trovato la pace, in un certo senso, avrebbe smesso di soffrire, forse.
    Era un egoista. Lo sapeva, lo accettava, non gli importava, non per davvero.
    Avrebbe preferito morire cento, mille volte piuttosto che soffrire ancora una volta soltanto come aveva sofferto all'interno di quel luogo.
    Era debole, era un codardo. La paura scacciò via con forza quei pensieri. Non erano importanti. Non lo sarebbero mai stati. Non di fronte a quello che altrimenti sarebbe accaduto.
    Non di fronte alle sofferenze che avrebbe patito.
    Se esisteva un Inferno, allora lo aveva trovato e avrebbe accettato qualsiasi compromesso pur di uscirne.
    Le braccia spalancate, le gambe larghe, atterrò di fronte a Shinan.
    Non gli importava nemmeno del fatto che non avrebbe detto addio.
    Voleva solo che tutto finisse.
    Cercando di bloccare il tremore degli arti, chiuse gli occhi, concentrandosi solo sui rumori emessi dal liquido nero.
    Chissà come sarebbe stata quella morte?
    Avrebbe fatto male?
    Si sarebbe sentito lacerare dall'interno, dilaniato dalla coscienza altrui che si faceva strada nel suo corpo? L'unica cosa che sperava era di non venire mai a conoscenza delle azioni che lei avrebbe commesso. Se poteva esprimere un ultimo egoistico desiderio, allora voleva morire con la consapevolezza, o la speranza, di aver fornito alla Volontà un involucro stanco, esausto privo di abbastanza energia per poter fare del male ad altri.
    Solo questo.
    Voleva piangere, ma allo stesso tempo era felice.
    Con un suono viscido, l'Oscurità cadde a terra, perdendo forma e consistenza, macchiando il marmo bruciato e scheggiato.
    Non era successo nulla.
    Lentamente, alzò le palpebre, voltandosi terrorizzato verso Shinan.
    Non poteva. Non poteva essere successo.
    Un altro scatto veloce del capo ed i suoi occhi si posarono sul corpo riverso a terra di Vanessa.
    No.
    Cosa aveva fatto? Chi aveva attaccato?
    In preda al panico le pupille si dilatarono, annegando il verde dei suoi occhi nel loro nero.
    No! Non poteva…?!
    Di nuovo il suo sguardo si posò sul pupazzo lasciato a terra, sul vecchio corpo della Volontà.
    Lui… Non capiva.
    Un colpo violento, arrabbiato si schiantò contro il suo volto. Le braccia alzate di fronte alla faccia, gli avambracci uniti in verticale, nel tentativo di proteggersi, cadde a terra. La testa pulsava, così come lo zigomo dove la mano metallica si era schiantata. La vista leggermente sfocata, osservò l'armatura dirigersi verso la porta sfondata, seguendo l'ultimo lembo di stoffa bianca dell'abito di Will, correndo verso il luogo dove in teoria si trovava Noel.
    Con un gemito di protesta e di rabbia, Ingwe appoggiò il braccio al terreno, tentando di rialzarsi.
    «Occupatevi dei feriti!»
    Perché? Perché stava scappando verso la stanza dove si trovava la bionda? Perché Will voleva raggiungere nuovamente Noel, cosa voleva farle?
    La semplicità della risposta lo colpì con più forza della mano dell'altro, mentre capiva ciò che Maxwell doveva aver compreso pochi secondi prima.
    Una risata lenta, neutra, uscì dalla sua bocca, mentre la paura saliva velocemente, trascinando con sé un senso di urgenza e d'ansia.
    Noel. Will voleva approfittarsi nuovamente di Noel; quello di prima era solo uno stupido bluff, un ultimo gesto disperato atto solo a farle guadagnare tempo.
    «Alla fine non sono riuscita... No, non ho voluto ucciderla...»
    Con un ringhio, portò la mano libera alla fronte, approfittando della magia per risollevarsi. Non avevano tempo per quello, non aveano tempo per pensare a cosa avevano o non avevano fatto, a cosa volevano o non volevano fare.
    Doveva correre. Doveva concludere, definitivamente questa volta, quella stupida tragedia alla quale era stato costretto a partecipare. Doveva evitare che Will potesse nuovamente ottenere un corpo.
    Un colpo, forte, pesante scosse le pareti della stanza, rimbombando greve per il marmo sporco.
    Il cuore che batteva con forza, Ingwe si voltò, cercando con lo sguardo la fonte di quel suono. Non aveva tempo, doveva correre, ma allo stesso tempo non poteva andarsene, lasciando due -no, tre contando la ragazza dai capelli cerulei- persone inermi là, con solo Shinan a proteggerli e un qualcosa di ignoto che si avvicinava.
    In preda al dubbio si morse il labbro inferiore. Cosa doveva fare?
    Un secondo rombo, simile ad un tuono ed un suono di fiamma fece tremare nuovamente la stanza, mentre una lunga crepa si apriva sul muro davanti a sé, prima di esplodere, spaccando la parete e spargendo polvere e detriti per diversi metri tutt'attorno al punto dove si era aperta la voragine.
    Rimanere.
    Con un movimento fluido, come se stesse scivolando nell'aria, si portò di fronte a Vanessa, volando all'altezza di un metro, all'incirca, Finduilas che continuava a volteggiare placidamente attorno al suo corpo, attendendo un ordine.
    Sapeva di non poter combattere.
    L'energia che gli rimaneva in corpo gli permetteva di muoversi, vero, e di volare, ma non sarebbe mai riuscito a sostenere un nuovo combattimento, per quanto breve o poco intenso che fosse.
    Se doveva lottare, se doveva permettere a chi era ancora in piedi di scappare, doveva agire subito, prima che i suoi nemici fossero in grado di respingere una sua offensiva.
    Correndo, un giovane dai capelli castani e quello che sembrava un abitante della Città Disney emersero dalla polvere del varco, le spade strette in mano, pronti a combattere. Cercando di nascondere la propria sorpresa, preparando la magia, Ingwe riconobbe le armi: ne aveva già vista una, una volta, a Radiant Garden, brandita dalla giovane che lui aveva trovato, quando stava cercando qualcuno in grado di aiutare Shinan. “Guerriero delle chiavi”, ecco come l'aveva chiamata Vanessa, all'epoca. I muscoli tesi, pronto a scattare, nonostante adesso dubitasse che si trattasse di una nuova minaccia creata dell'Albina per trattenerli, restò fermo ad osservare i nuovi arrivati, Finduilas puntata verso di loro, all'erta. Sapeva di aver perso l'opportunità per finire velocemente il tutto, ma tentava di rassicurarsi dicendosi che, forse, non sarebbe stato necessario nemmeno iniziare.
    «Ven…?»
    La nuova voce lo fece sobbalzare. Cercando di non distogliere lo sguardo dal topo e dal ragazzo, Ingwe voltò leggermente il capo verso la giovane dai capelli cerulei. Stanca, decisamente messa male, incapace di reggersi in piedi senza l'ausilio della colonna a cui si era aggrappata, continuava ad osservare i due “Guerrieri” con gli occhi sbarrati, come se non credesse a ciò che vedeva.
    «Vanitas?!»
    Il tono più aspro, più sorpreso, la giovane parlò una seconda volta, lasciando scivolare le braccia dal marmo, impugnando l'arma che solo in quel momento Ingwe si era reso conto si portava dietro. Una chiave, una terza, simile a quelle che gli altri due brandivano, ma allo stesso tempo diversa, come se non le appartenesse davvero, come se non sembrasse un'autentica estensione del suo corpo come nel caso degli altri.
    «È con noi. Avremo tempo per parlare più tardi.»
    Per la prima volta il topo parò, la voce acuta, simile, per l'appunto, ad uno squittio, ma allo stesso tempo profonda, piena di un qualcosa che non sapeva distinguere bene, ma che era rassicurante e in contemporanea intimidatorio, un qualcosa che solo anni e anni di battaglie e lotte potevano aver forgiato.
    Leggermente confuso dal breve scambio di battute, Ingwe scosse la testa, riportando la sua intera attenzione sui due che credeva chiamarsi Ven e Vanitas.
    La ragazza li conosceva, almeno questo era ovvio, ma lui non riusciva comunque a rilassarsi, forse per effetto di tutto quello che aveva vissuto, forse perché non si aspettava di trovare alleati all'interno di quel luogo, ma non riusciva a sciogliere i muscoli tesi delle spalle o ad allentare la stretta delle mani serrate a pugno.
    «T-»
    Mordendosi la lingua, Ingwe interruppe la domanda che stava per fare. Era stupido, lo sapeva, sopratutto in quel momento, ma dare del tu ad una perfetta sconosciuta con cui non aveva avuto ancora alcun modo di parlare gli sembrava irrispettoso. Senza considerare, poi, il fatto che non conosceva nemmeno il suo nome.
    «Lei li conosce?»
    Parlò con tono calmo, pacato, privo di qualsiasi traccia di ostilità.
    Era una domanda ovvia, scontata, forse, ma chiedere, avere qualche informazione in più, qualche sicurezza in più non era di sicuro un qualcosa di negativo in quel luogo.
    Un tocco timido, uno strattone leggero richiamò la sua attenzione sulla bambina che gli stava tirando gentilmente la manica.
    «Aspetta, ma... anche la ragazza... chi è? Non è entrata con noi nel Castello, giusto? Io non... non sono sicura di ricordare tutto quello che è successo alla perfezione...»
    Di fronte alle parole della bimba, Ingwe poté solo voltare il capo da un'altra parte, cercando di non ricordare quello che era accaduto pochi minuti prima. Prima avrebbe dimenticato, meglio sarebbe stato. Come Noel, anche Shinan era fortunata a non mantenere quelle memorie.
    Per quanto riguardava la ragazza… Anche lui si chiedeva chi fosse, come mai si trovasse in quel luogo assieme a loro, quale poteva essere il suo ruolo in quelli che erano stati i piani di Will. Forse più tardi, forse una volta che fossero riusciti a fuggire, forse allora l'avrebbe chiesto.
    Ma per il momento voleva solo uscire da quel luogo. Voleva solo poter fuggire e dire addio a ciò che era successo lì dentro, come se non si fosse trattato di niente di più che un brutto sogno.
    «Conosco uno di loro. Dell'altro non sono sicura.»
    Leggermente rassicurato, Ingwe annuì in risposta al cenno affermativo della ragazza.
    Non capiva benissimo ciò che stava accadendo in quel momento, ma in fondo non conosceva nessuno dei tre “guerrieri”, come avrebbe potuto essere tutto chiaro in una situazione anomala come quella? Quello che gli era stato dato era già tanto, in effetti. Avrebbe dovuto accontentarsi.
    Con una contrazione della mano ed un gesto gentile del braccio, fece sì che Finduilas scivolasse lungo il suo fianco, la punta non più rivolta ai due nuovi arrivati, ma verso il marmo sporco.
    Stancamente si portò una mano al capo, affondando le dita nei capelli incrostati di sangue. Sperava che con la fine di Will anche i resti delle copie di Vanessa e Shinan sarebbero scomparsi, ma invece erano ancora lì: un macabro memento sparso sulla sua pelle e suoi suoi vestiti.
    Con un passo che aveva un qualcosa di urgente in sé, l'abitante della Città Disney si avvicinò alla ragazza inginocchiata a terra, mentre il giovane castano si osservava attorno, come se stesse cercando di ricostruire il combattimento che era avvenuto in quella stanza tramite le cicatrici con cui avevano marchiato le pareti ed i pavimenti.
    «Te l'ho detto, Aqua: fidati di me, per il momento.»
    Con calma, ma deciso, il guerriero iniziò a parlare, il tono simile a quello di un genitore che tenta di spiegare qualcosa ad un bambino cocciuto.
    «Se non portiamo subito a termine quello per cui sei venuta il Castello non ci lascerà scampo. Quell'uomo a terra» Con sorpresa di Ingwe, il dito dell'altro puntò verso l'anziano svenuto a lato di Vanessa. Lui credeva che si trattasse di un'altra vittima di Will, di un'altra pedina.
    «Era la ragione per la quale le vostre memorie non sono state attaccate. In qualche modo, annullava l'influenza dell'oblio sulle menti degli ospiti, lui compreso. Non so quale fosse il suo scopo, né se tanto meno lavorasse da solo. Di una cosa sono sicuro, e immagino l'avrai percepita anche tu: tra non molto il castello tornerà alla normalità.»
    Forse non era riuscito a comprendere tutto, ma da quanto aveva capito, l'anziano aveva in qualche modo protetto le loro menti ed impedito che i poteri del Castello influenzassero le loro memorie. E, probabilmente, aveva fatto lo stesso per Will, probabilmente era stato reso una pedina per quella qualunque particolare magia che gli permetteva di contrastare gli effetti di quel luogo. Non era abbastanza lucido per elaborare teorie sensate, in quel momento, ma se era così, perché l'Albina lo aveva fatto combattere contro di loro? Non era rischiosa una mossa simile? Non era rischioso mettere in prima linea colui che stava preservando le memorie di tutti, in un certo senso? Forse per Will non era stato altro che un altro scudo di carne con cui proteggersi in caso di una battaglia.
    «Lo so.»
    «Non puoi fare niente per impedirlo?»
    Lentamente, Ingwe scosse la testa. Quelle erano solo congetture, prive di senso, tra l'altro, in un momento come quello. Comunque fosse, non gli importava, sempre che non fosse stato un suo alleato di proposito, sempre che non avesse avuto un ruolo attivo nel programmare tutto quello. Perché in quel caso…
    Cosa avrebbe fatto in quel caso? Avrebbe preteso una vendetta di sangue? Avrebbe tentato di fargli del male, di attaccarlo e vendicarsi come aveva fatto con Will? No. Probabilmente avrebbe lasciato che altri, più competenti, possibilmente, si occupassero di tutto. Finché non fosse stato più in grado di uscire da una prigione, magari, non lo avrebbe cercato. L'avrebbe solo dimenticato, sarebbe stato solo un'inutile nota in una sgradevole pagina della sua vita.
    Con un fruscio, il braccio di Shinan si tese verso il castano, le dita leggermente chiuse, come per afferrare qualcosa, lo sguardo opaco.
    Il volto increspato da un'espressione curiosa, come di domanda, Ingwe si voltò verso Shinan, solo per vederla riprendersi in quello stesso istante, nuovamente cosciente di sé.
    «Il motivo per il quale è andato tutto storto... non è stato il vecchio. C'era una donna, con lui; era lei la vera padrona del Castello. Il vecchio, probabilmente, ha agito soltanto da chiave d'ingresso. Non ho idea di cosa l'abbia portata qui, né di cosa abbia portato qui questi ragazzi. So soltanto che senza di loro, probabilmente, non sarei qui a parlare con voi. In qualche modo "Will" -così la chiamavano- è riuscita a contrastare la mia influenza, impedendomi di annullare la magia che io stessa avevo avviato dieci anni fa. Credevo di potercela fare da sola, e invece... Ho di nuovo messo in pericolo tutti.»
    Interessato al discorso che si stava consumando a pochi metri da loro, Ingwe scrollò le spalle, classificando il comportamento anomalo della bambina come un effetto secondario del ritorno alla normalità e della scomparsa dell'influenza di Will. Era normale che fosse un po' confusa e non totalmente lucida, si diceva, tentando di ignorare il ricordo del dolore.
    Con uno sguardo triste la giovane si era voltata verso di loro, come se volesse scusarsi per quanto accaduto, per un qualcosa che, almeno da quanto lui sapeva, non aveva colpe. Se c'era qualcuno da trovare che aveva coinvolto persone innocenti, allora quello era lui. Avrebbe volentieri dato qualunque cosa per poter scaricare su qualcun altro quella pesantezza che si sentiva addosso, la consapevolezza che erano state le sue interazioni con Will sulla “Collina del Tramonto” ad aver portato a quello, ma non poteva. Non sarebbe stato giusto, come non era giusto che la ragazza si accusasse per non essere stata in grado di gestire una magia effettuata dieci anni prima. Nessuno poteva biasimarla, sopratutto considerando il fatto che c'erano state delle interferenze esterne di mezzo. Sapeva quanto gli incantesimi potessero essere volubili e scostanti, quindi non poteva accusarla. Avrebbe voluto. Avrebbe davvero voluto, sopratutto perché era arrivato ad odiare quel castello dal più profondo del cuore, ma non poteva. Non sarebbe stata la cosa giusta.
    «Non è colpa tua. Quello che è successo qui dentro, quello che hai dovuto patire... Siamo noi a doverci scusare per averti coinvolto. Se solo fossimo stati amici migliori per Noel, se solo fossimo intervenuti prima... Forse non saremmo mai giunti a questo punto, e per questo non riuscirò mai a perdonarmi.»
    Amici migliori?
    Il ragionamento di Shinan non era migliore di quello dell'altra ragazza, non era più saggio, più ragionevole. Era un altro tentativo di scaricarsi addosso colpe che non aveva, di sorreggere il peso di dolori ed errori altrui. Non era un ruolo che Shinan avrebbe dovuto intraprendere. Non era un ruolo che lui voleva che Shinan dovesse intraprendere.
    «Non potevi- Non potevamo farci molto.»
    Il tono della sua voce era stanco, rassegnato, pieno di una tristezza malcelata e di un rimorso che contrastava con quello che stava per dire.
    «Non la conoscevamo abbastanza per poter fare qualcosa, qualunque cosa. L'abbiamo incontrata solo per pochi secondi, per pochi minuti, prima che Will, credo, almeno, prendesse il sopravvento, a Crepuscopoli... Come possiamo considerarci suoi amici quando con lei abbiamo trascorso pochi istanti e basta? Le uniche cose che io conosco di lei le conosco solo grazie ad una copia che aveva creato... Per quanto mi piacerebbe, per quanto provi pena nei suoi confronti, non posso ancora considerarmi un suo amico, sarebbe ipocrita.»
    Voleva aggiungere che se ci fosse stato qualcuno in cui risiedeva la maggior parte delle colpe di ciò che era accaduto in quel luogo era lui, voleva davvero, ma sarebbe sembrato solo dell'inutile, patetico vittimismo. Forse si trattava di quello, forse no; forse era davvero colpa sua ciò che era accaduto, il coinvolgimento di Shinan e Vanessa in quella faccenda. Forse, non avesse reagito alle provocazioni di Will, Noel sarebbe sopravvissuta un po' più a lungo, magari abbastanza per ricevere un vero aiuto, da qualcuno capace.
    Forse quello era davvero tutto ciò che aveva da dire riguardo Noel. Un unico grande rimpianto.
    Con una morsa al cuore, il volto della bambina si sovrappose a quello di Shinan, mentre il dolore per non aver potuto fare in modo che uscisse da lì, che potesse vivere veramente prima della morte, tornava a strozzargli la gola, a far salire le lacrime calde agli occhi.
    Quella pugnalata alle spalle, il liquido rosso che, lento e denso colava sul pavimento ticchettando ritmicamente. Il ricordo era vivido, estremamente vivido, come se la scena si stesse ripetendo in quello stesso istante davanti ai suoi occhi.
    Non voleva riviverlo di nuovo. Non voleva più pensare a quella Shinan, a ciò che le aveva visto fare. Strozzando un gemito, sospirò, tentando di non cadere nuovamente nel dolore, tentando di evitare di crogiolarsi ancora una volta in esso.
    «Hai ragione. Forse mi aggrappo con troppa facilità agli altri, forse uso quella parola con troppa facilità. Però, lei aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di noi. Questo mi basta a sentirmi in colpa per non essere stata capace di fare di più.»
    Di più?
    Di fronte alle parole della bambina, la tentazione di sbuffare sarcasticamente e risponderle per le rime si fece forte. Se lei avrebbe dovuto fare di più, allora lui cosa avrebbe dovuto fare? La stessa Shinan era stata manipolata dalla Volontà solo per farlo soffrire, così come per lo stesso motivo Vanessa era stata trascinata in quell'incubo. Era stato disposto a sacrificare la sua vita, a sacrificare tutte le tracce della sua esistenza nel mondo, pur di farle uscire da quel luogo, eppure non era bastato. Aveva lottato, allora. Aveva combattuto contro Will, contro Shinan. Aveva combattuto contro gli incubi che erano nati in quel luogo, aveva protetto Noel, aveva rinunciato ai propri sogni e ad una felicità assicurata e priva di complicazioni. Aveva distrutto più volte se stesso nell'arco di poche ore. Era arrivato a voler morire, a voler essere strappato dal proprio corpo pur di non dover soffrire nuovamente.
    Era a questo che Shinan voleva arrivare? Come si poteva comprendere il valore della vita altrui quando si era disposti a gettare via la propria?
    Non era lei quella che si aggrappava con veramente troppa facilità agli altri.
    Non era lei.
    Un sorriso triste e acido sul volto, Ingwe spostò lo sguardo di lato, concentrandosi su una crepa quasi invisibile incastrata nel marmo, cercando di evitare lo sguardo della bambina.
    Non era lei quella che era stata quasi uccisa da una sua amica, non era lei quella che aveva dovuto scegliere tra sé e qualcun altro.
    Non era lei quella che aveva scelto quel qualcos'altro.
    «Noel… Quindi era davvero lei. Anch’io l’ho conosciuta, pochi giorni fa. Mi ha salvata, insieme ad altri, da un luogo che non pensavo avrei mai lasciato. Il Regno dell’Oscurità… Se davvero questa “Will” è nata da Noel, la permanenza in quel mondo potrebbe essere stata devastante per il suo controllo sulla sua oscurità interiore. Io stessa non sono sicura di come abbia mantenuta intatti la mia mente e il mio cuore.»
    Quindi era questo, ciò che era accaduto. Letteralmente dall'Inferno, dunque. Non poteva dire che non si addicesse a Will, tutto quello. Il regno degli Heartless, il luogo dove quei mostri risiedevano. Non si poteva biasimare Noel per essere stata la vittima di un mostro simile, ora meno che mai.
    «Riku mi aveva accennato dei suoi dubbi su Noel. Ma nessuno poteva immaginare… Questo. Con o senza l’aiuto dell’uomo col cappello, Will è riuscita a controllare i poteri del Castello.»
    Un ampio gesto della mano racchiuse loro e la stanza all'interno del discorso. Capiva le parole e la preoccupazione dell'altro. L'idea che da un solo individuo potesse nascere qualcosa di simile era assurda, eppure era andata così. I poteri che Will aveva acquisito in quel luogo erano spaventosi, assolutamente privi di logica o limite. Non fosse stato per l'intervento inaspettato dell'originale, a quel punto tutti loro sarebbero stati morti, gli uni per mano degli altri. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che qualcosa di simile potesse esistere.
    Non lui, almeno, nemmeno nei suoi incubi più vividi.
    «Già. Con il castello dalla sua parte avanzare da sola è stato sfiancante. Ogni stanza conteneva un orrore diverso, fisico o psicologico. Quando quella ragazza mi ha trovata avevo già terminato le mie energie. Non credo di essere in grado di annullare la magia del Castello, ora.»
    Quindi era grazie a Vanessa che lei si trovava lì. Il sorriso acido che ancora portava sul suo volto si addolcì, mentre il suo sguardo si posava sul corpo riverso a terra. Improvvisamente il senso di colpa lo colpì con forza, facendogli stringere le labbra, in preda al disagio.
    Fino a quel momento, da quando aveva capito che i nuovi ospiti non erano una minaccia, non aveva più fatto niente per interessarsi a Vanessa. Non sapeva nemmeno se era viva o morta: fino a quel momento si era basato solo sulle sue speranze, senza avere alcun dato oggettivo a disposizione.
    Si rifiutava anche solo di credere che potesse essere morta… Non voleva pensare nemmeno all'ipotesi. Eppure il suo corpo non riusciva a muoversi, incatenato com'era dalla preoccupazione. Quindi tutto quello non era ancora finito? Il Castello poteva ancora riservare loro brutte sorprese? In preda alla frustrazione strinse i pugni. Dovevano fuggire, quindi, come avrebbero dovuto fare prima che Will li trovasse, come avrebbero dovuto fare, lasciando dietro di loro Maxwell. Sapeva che la Volontà non c'era più, che quell'essere era morto. Non fosse così stato, a quell'ora sarebbero già stati attaccati. Non era quello che lo preoccupava. Ciò che lo preoccupava era il fatto che sarebbero potuti cadere tutti da un momento all'altro sotto l'influsso di una nuova magia del Castello, di un nuovo incubo.
    Il movimento calmo del topo attirò la sua attenzione, mentre questi si avvicinava alla ragazza in ginocchio e delicatamente le poggiava una mano sulla guancia. L'arto risplendette per un istante di una luce bianca, mentre la magia compiva il suo dovere. All'improvviso, l'abitante della Città Disney iniziò a respirare più pesantemente, mentre il corpo iniziava a mostrare evidenti segni di stanchezza. Quasi in contemporanea, con pochi secondi di ritardo, la giovane smise di tremare, i muscoli nuovamente capaci di sorreggere il suo peso senza l'ausilio della colonna.
    Il custode doveva aver donato parte della propria energia alla ragazza, in modo da permetterle di eseguire gli incantesimi che doveva per annullare gli effetti del Castello, o almeno così sembrava, anche se era piuttosto sicuro, anche se non aveva compreso i dettagli precisi dell'incantesimo, avendone solo visti gli effetti, della teoria che aveva appena espresso.
    Leggermente più tranquillo, si voltò dietro di sé, girandosi verso il castano ed i due svenuti. Per un istante i suoi occhi si posarono sul volto dell'altro, mentre lo strano comportamento assunto da Shinan poco prima tornava alla mente. Forse avrebbe dovuto chiedere.
    Più tardi.
    Scuotendo appena la testa si concentrò nuovamente su Vanessa.
    Non aveva tempo, adesso: doveva evitare di rimandare tutto quello, di temere il fatto che potesse essere morta.
    Le mani che tramavano leggermente, Ingwe si chinò sulla compagna, appoggiando il capo sul petto della giovane, tentando di sentire il battito del suo cuore.
    Per un istante non ci fu altro che silenzio, sordo, carico di dolore e terrore, per un istante il timore che le sue paure si fossero avverate gli strozzò il fiato in gola, minacciando di soffocarlo, per essere spazzato via il secondo successivo da un suono sordo, delicato, messaggero della vita della giovane.
    Un mezzo sorriso sul volto, Ingwe scosse leggermente la spalla di Vanessa, cercando di svegliarla.
    «Vanessa?»
    Un sussurro, appena udibile persino da lui. Una seconda volta, con più forza, ripeté il gesto di prima, cercando di far tornare cosciente la giovane, chiamando di nuovo il suo nome, questa volta con un tono più aggressivo, leggermente velato di preoccupazione.
    «Vanessa!»
    Forse doveva solo riposare, forse il suo corpo non le permetteva ancora di svegliarsi. Non capiva. Forse, avesse usato la magia per aiutarne il recupero, sarebbe riuscita a riaprire gli occhi. Eppure non sembrava essere ferita, sul suo corpo non c'era alcuna traccia di sangue o di tagli.
    Gentilmente, tentando di non essere invadente, il castano si chinò davanti a lui, osservando la ragazza, lo sguardo serio, concentrato sulla figura addormentata.
    «Maestà. Questa ragazza è in pericolo.»
    Cosa…?
    La mente del giovane non registrò nemmeno l'appellativo con cui l'altro si era rivolto ad uno dei suoi due compagni.
    Cosa intendeva con “pericolo”? Cosa intendeva quel ragazzo con quell'ultima farse? Cosa intendeva!?
    Il suo cuore correva, i battiti che seguivano un ritmo sconnesso, pesante, mentre l'eco del pulsare del sangue gli riempiva il cranio di un suono sordo, pesante, che oscurava tutti gli altri, ponendo una membrana sottile, ma rigida tra Ingwe e tutto ciò che lo circondava.
    «La sua mente ha ricevuto un attacco devastante.»
    Con un sussulto, l'ostacolo venne squarciato, tagliato a brandelli dall'ansia e dalla voce chiara e limpida, nonostante il battito pesante che rimbombava nella sua testa, della guerriera.
    Silenzio.
    Non c'era altro che silenzio adesso. Non un suono, non un battito. Senza davvero comprendere, senza poter più comprendere, senza voler comprendere, osservò la fronte di Vanessa venire sfiorata dalla mano dell'altra, illuminandosi, mentre la magia compiva il suo lavoro.
    Voleva solo vederla aprire gli occhi e rialzarsi in piedi.
    «Sta ancora combattendo con l’oscurità.»
    «Non può fare niente, maestra?»
    Non voleva dover subire ancora una volta quel dolore.
    Il respiro accelerato chiuse gli occhi, tentando di calmare le urla che sentiva esplodere all'interno del suo corpo. Un silenzio misto a grida di paura, ansia e dolore. Un silenzio assurdo, privo di senso, che faceva male e colpiva, pugnalando il suo cuore, tentando di strapparlo fuori dal petto, di tagliarlo in pezzi sempre più minuti, fino a quando non fosse rimasto nient'altro che polvere.
    Come un'eco distante di un ricordo semi-svanito, la voce della giovane donna si fece strada attraverso la selva di lame che stava straziando la sua psiche.
    «Sono riuscita a stabilizzarla. L’oscurità se n’è andata, ma…»
    La pugnalata arrivò al “ma”, prima ancora che la Maestra terminasse la propria frase.
    «...non posso garantire che si risveglierà.»
    Con un suono simile ad un risucchio, il vuoto si fece spazio nel suo petto, ingoiando senza sforzi dolore e ansia, lasciando dietro di sé solo un grigio uniforme, privo di sfumature o di segni di vita. Solo il nulla. Non poteva nemmeno più definirlo silenzio. Non era un luogo dove potesse esistere qualcosa, dove potesse esistere l'assenza di qualcosa. Era il Vuoto. Niente di più, lo zero assoluto, il fondo dell'Abisso, quel luogo sotto il quale non si poteva più andare, quel fondo che non si poteva scavare.
    Era esattamente come allora. Lo sguardo perso all'interno del grigio, incapace di vedere la realtà, di osservarla veramente. Le braccia tremanti, la presa delle dita debole, strinse con forza i lembi del cappotto, cercando di avvolgere meglio la stoffa insanguinata attorno al suo corpo, di nascondercisi dentro, di non dover affrontare tutto quello.
    «Va bene...»
    La sua voce uscì assieme ad un soffio, più simile ad un tremolante respiro che a delle vere e proprie parole.
    No.
    Non andava bene.
    «Va bene. Capito.»
    Fredda, questa volta, assente, più aria che suono.
    Niente andava bene. Niente.
    Lentamente abbandonò la presa con cui stava torcendo la stoffa del cappotto, spostando il palmo sul dorso della mano di Vanessa, appoggiandovi sopra solo le dita, senza stringere.
    Non era morta. Non era ancora morta.
    Stava solo dormendo, la sua mente doveva riprendersi dagli eventi di quel luogo.
    Sarebbe andato tutto bene.
    Sarebbe andato tutto bene, si ripeteva. Anche se, in realtà, fino ad allora niente era andato bene, niente si era salvato dalla distruzione. Non lui, non coloro che aveva vicino, non gli estranei che aveva incontrato per pochi minuti. Non la sua famiglia.
    Ma forse, se si fosse ripetuto abbastanza volte che sarebbe andato tutto bene, quella frase sarebbe diventata realtà, forse, se avesse sperato abbastanza, le sue preghiere avrebbero avuto una risposta.
    Una risata silenziosa, priva di gioia, riverberò per pochi istanti nella sua anima.
    Era davvero divertente, tentare ancora di illudersi con quelle fantasie puerili.

    lQcgrQ4

    Davvero, davvero divertente.


    Allora, Ingwe ha ancora il 28% di MP, ma non metto altro della tabella del combattimento, anche se, tecnicamente, c'è stato in questo post.
    Che dire, credo, e spero, che il testo parli da solo e non servano chiarimenti e… basta.
    Posso solo dire che è stata una bella quest, anche se durata davvero molto, e che, nel suo piccolo, è stata anche discretamente divertente :3
    Detto ciò, posto e chiudo, ci si sente al prossimo (eventuale) giro, byez :v:


     
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  6. misterious detective
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    L'esplosione di luce minacciò di accecarla e una possente onda d'urto spinse addosso a lei le fiamme e l'energia che tutti assieme avevano lanciato con la forza della disperazione. Shinan tuttavia non indietreggiò, né distolse lo sguardo per un solo secondo: con il cuore stretto in una morsa soffocante, osservò la Volontà cadere, ammirò il guscio gigantesco in cui si era racchiusa sciogliersi e dissiparsi come un semplice miraggio, vide gli artigli e le zanne disfarsi in sabbia, la pelle rubino rovente pulsare purulenta, consumata fino a divenire semplice fumo nero; Shinan osservò con attenzione il frutto di quella battaglia, il risultato che aveva ottenuto compromettendo nei suoi ideali, accettando la sua infinita debolezza. Con l'impegno e le lacrime aveva protetto i suoi amici ed era sopravvissuta alla guerra, eppure non riusciva comunque ad essere felice: il dolore di cui era preda Will, tanto orgogliosa da trattenere le grida e cancellare ogni espressione dal suo volto, era segno del suo grande fallimento.
    Quasi come se fosse naturale, l'enorme mostro crollò sotto il suo stesso peso, le sue spoglie si aprirono e consumarono cadendo a terra, nulla più di una muta di cui la bestia all'interno si era disfatta, e dal centro di quelle vesti consumate apparve di nuovo la ragazza eterea dai capelli di neve. Un brivido percorse la bambina, tuttavia, che deglutendo si obbligò a ricacciare silenziosamente indietro lo stupore e la tristezza: gli occhi erano gli stessi tizzoni infuocati animati dall'odio e dalla superbia, ma le bellissime sembianze con cui si era presentata a loro erano andate perdute, di Will non restava che un'ombra tremolante. Il viso della donna era spaccato in due, l'oscurità aveva divorato tutta la parte sinistra del suo corpo, come un germe che cresceva su di lei, pulsava e mordeva le sue carni, cercando il sopravvento su quanto restava ancora di vivo. La sua espressione, eppure, era impassibile, un sorriso ironico troneggiava sul suo volto, come se tutte quelle vicende non fossero state che un mediocre teatrino il cui finale nemmeno le importava più. La sua bocca distorta si aprì solo per metà, una risata sottile e sibilante spirò dalle sue labbra.
    -Non me l'aspettavo.- esordì la Volontà. Il suono di mille voci diverse rimbombò tra le mura del castello, che alla Nesciens parevano più soffocanti di quanto non fossero mai state prima: non erano più le parole di una donna, di un essere umano, ma un agglomerato di toni ed emozioni, il sussurro nato dal fondo dell'abisso. Shinan puntò i piedi a terra, costringendosi a non indietreggiare. Respirò a fondo, ignorando il petto tremante, e strinse i pugni con decisione, il suo sguardo restò fisso sulla Volontà.
    -Avete vinto, complimenti.- annunciò teatrale, allargando le braccia e piegando appena le gambe tumefatte e percorse da tagli ed ustioni. L'abito stracciato si mosse debolmente. - “Cosa” esattamente abbiate vinto ancora non mi è chiaro.-
    La bambina si morse il labbro e, per la prima volta, abbassò lo sguardo, volgendolo verso il dolore pungente che la tormentava ancora e ancora, ad ogni battito del suo cuore. La domanda della Volontà già albergava dentro di lei, era la ragione stessa per cui la giovane non riusciva a disfarsi della tristezza che le impediva di ribattere, che la teneva ancorata sul posto, incapace di allungare di nuovo le braccia verso di lei e offrirle il suo aiuto. Con un sorriso mesto, si trovò a realizzare che il Castello dell'Oblio meritava davvero il suo nome, perché, appena cercò di trovare dentro al suo cuore la sua più grande forza, percepì la gola chiudersi ed il suo spirito venir strozzato dal vuoto che si era formato dentro di lei. Anche se avesse voluto dimostrare a se stessa che si sbagliava, che era ancora possibile salvare Will, che esisteva ancora un finale in cui tutti avrebbero sorriso, non sarebbe stata comunque capace di ordinarsi di nuovo di allungare la mano e offrirle ancora il suo aiuto. Sopravvissuta o meno, non sentiva davvero di aver vinto qualcosa.
    -Avrò anche perso un corpo.- Aggiunse allora la Volontà, rivolgendosi con disgusto e irritazione verso i resti anneriti che si era lasciata addietro. -Ma ho guadagnato i vostri quattro.-
    Shinan scorse un lampo negli occhi del mostro, con un gesto agitato fece per correre alla fodera del suo pugnale, le mancò il fiato come si accorse che le sue mani si strinsero attorno al nulla. Scoccò un'occhiata di fuoco ad Ingwe e sbuffò sonoramente, per poi scuotere la testa e stringere i pugni alti di fronte a lei. Chiuse occhi e gomiti, evocando i petali scarlatti nati dalla sua schiena. I suoi arti tremarono per un istante e la sua vista si appannò; un invadente senso di nausea la scosse e se ne andò, come se l'avesse sfiorata solo per sbaglio, ma anche se tornò presto capace di distinguere la sagoma della sua nemica che le stava di fronte, capì che combattere ancora sarebbe stato forse troppo per lei.
    “Non posso tirarmi indietro, però.” si disse, mordendosi il labbro nel tentativo di scacciare i dubbi: mosse in avanti il piede destro, ma ottenne solo di far vacillare il suo corpo. “Io devo... devo...” si perse per un istante nei suoi pensieri, confusa ella stessa. “Fermarla. In qualche modo.”
    Allora vide le membra stracciate rialzarsi, un nuovo pupazzo che rispondeva ai desideri della padrona, tornando a muoversi anche dopo la fine del suo ruolo. Shinan non titubò a quella vista, non dopo tutto ciò che aveva dovuto affrontare di simile e peggiore, eppure quel guscio privo di vita le sembrava spaventoso come nient'altro, perché dimostrava quanto potere ancora risiedesse nelle mani della Volontà.
    -Vi faccio solo notare una cosa.- concluse la donna, con un suono acuto che la giovane non riuscì a decifrare. Le orbite vuote del cadavere si illuminarono d'oro. -La Volontà non può essere eliminata.-
    Una nuova esplosione colse la Nesciens impreparata e martellò contro le sue orecchie stanche con la stessa forza di un maglio. La bambina gridò, dalla sua gola uscì un suono strozzato che nemmeno riconobbe come la sua voce. Chiuse gli occhi e portò le mani di fronte al volto, incapace di difendersi in altro modo. Arretrò appena, ma senza chiedersi il perché, affidandosi solo all'istinto che, nonostante il dolore bruciante di ogni singolo muscolo, riusciva ancora a muoverla. Avvertì le tenebre schiantarsi in ogni direzione come una secchiata d'acqua bollente, sarebbe stata capace di contare una ad una le gocce che tintinnarono attorno a lei, scavando come un parassita nel marmo bianco del pavimento, ma non avvertì nulla, nemmeno il più piccolo tocco, contro la sua pelle.
    Riaprì gli occhi per vedere un'ombra a farle da scudo, braccia aperte, testa piegata in avanti dalla stanchezza. Un debole sorriso piegò verso l'alto le sue labbra, abbassando lentamente il capo, gli fece un muto e nascosto cenno di riconoscenza. Allora si sporse verso destra, guardò oltre le spalle del suo compagno, verso la burattinaia che si era esibita in quell'ultimo numero: sul fondo della sala, in piedi sul palcoscenico scelto con tanta cura, non c'era però più nessuno: lo spettacolo era giunto al termine e Will, a quanto pareva, non aveva sentito il bisogno di ricevere i loro applausi.
    Shinan rimase immobile, lasciò che i secondi passassero in silenzio, in attesa di qualcosa: una voce, un nuovo attacco, una qualsiasi mossa da parte della loro nemica, ma l'unica a cosa che riusciva ad udire era il battito frenetico del suo cuore ed il respiro affaticato che faceva tremare tutto il suo corpo ad ogni fiato.
    Si aggrappò a Ingwe, cadendo quasi in avanti nel cercare di afferrare il suo braccio. Con la coda dell'occhio, si accorse della sua preoccupazione, realizzò che ancora faticava a capire cosa fosse davvero accaduto, ma non aveva il tempo per spiegarglielo, doveva agire in fretta. Non era ancora finita e anche se il suo stesso corpo le si opponeva, mosse un altro passo avanti, pronta a farlo di nuovo ancora e ancora. Strinse i denti, socchiuse gli occhi, guardando solo verso l'altro capo della stanza, verso il portone oltre il quale Will era scomparsa. Un lampo rosso le passò davanti, tuttavia, ed il corpo massiccio del cyborg si stagliò di fronte all'uscita prima ancora che ella riuscisse a comprendere le sue intenzioni.
    -Occupatevi dei feriti!- gridò l'essere, senza voltarsi a guardarli o a cercare un loro consenso. Shinan lo osservò allontanarsi, svanire nell'oscurità del castello, senza sapere come comportarsi. Le porte si richiusero dietro la schiena del suo compagno, il loro tonfo echeggiò per qualche secondo, ma troppo fugace per riuscire a rompere del tutto la prigione di silenzio in cui era rinchiuso il gruppo.
    La bambina allungò appena un braccio, troppo in ritardo, e spalancò le dita verso i cancelli che non era in grado di raggiungere. Ancora, ancora voleva costringersi a muoversi per adempiere a qualche dovere che non conosceva del tutto nemmeno lei, per restare fedele a dei sogni e a una morale troppo labili e dai contorni indefiniti, con la convinzione di dover fare ancora qualcosa, di poter ancora combattere, ma incapace di dire fino a che punto. In quel momento, sentì la risata greve di Ingwe.
    La bambina abbassò lo sguardo, piccole gocce salate si formarono agli angoli dei suoi occhi, un singhiozzo morì a metà della sua gola, ma le cupe risa dell'amico la circondarono e risuonarono attorno a lei come se fosse ella stessa ad averle liberate: risa di scherno verso se stessa e di disperazione, risa di un anima costretta a cedere. Aprì appena le labbra e pur senza fiato riuscì a imitarlo, con voce debole e strozzata. Shinan cadde a terra all'indietro, trovò appena la forza di rallentarsi con la sinistra. Rivolse il capo verso l'alto, verso il soffitto, ma nascose i suoi occhi sotto ai suoi capelli biondo pallido. Si accarezzò il viso con la mano, rise più forte per mascherare il pianto. Strinse il pugno, premendo contro la fronte fino a sentire male pur di allontanare anche solo di poco il dolore per i propri fallimenti: non era riuscita ad aiutarla, non aveva avuto il coraggio di fermarla, non era stata in grado di combinare nulla. Pianse per un tempo che le parve quasi infinito finché non riuscì a calmarsi da sola, rallentando pian piano il respiro e soffocando in fondo alla gola i suoi singhiozzi, deglutendo ogni volta minacciassero di ripresentarsi; allora, con sopra di lei solo il soffitto bianco e sterile del castello, Shinan sospirò: l'idea di accorrere in aiuto di Noel le sembrava in quel momento più distante ed estranea che mai. Il solo pensiero bastava a generare una fitta al suo cuore tale da piegarla in due, ma con forza e disperazione in uno la piccola accettò ciò che la mente suggeriva, ma lo spirito continuava a rifiutare: il suo ruolo era terminato lì, con quel fallimento, non c'era posto per lei nell'ultimo atto. Poteva solo chiudere gli occhi e pregare che Maxwell riuscisse a salvare almeno la loro amica.
    “Ti prego... fa che almeno questo desiderio non sia impossibile.” Chiuse gli occhi e pregò con purezza, credendo senza un vero motivo che quanto lei non era stata in grado di compiere potesse essere portato a termine da qualcun altro.
    Come ebbe formulato quel pensiero, un rombo potente quanto mille tamburi risuonò oltre le mura della stanza e la porta alle loro spalle saltò in aria. Mille frammenti fumanti si sparsero tutt'attorno, una nube di polvere grigia si alzò in mezzo a loro, costringendo la bambina a stringere gli occhi per sopportare. Seguendo un istinto dentro di lei che non aveva spiegazione, tuttavia, rimase immobile a terra e mosse solo il capo, per scorgere quale spettacolo la attendesse alle sue spalle: forse era solo stolto ottimismo, rifletté dentro di lei, ma era certa che quella fosse la risposta alla supplica che aveva rivolto verso l'alto, a dei che non conosceva. La polvere si diradò presto e dall'altro lato della parete ormai travolta apparvero due sagome sconosciute, intente a correre verso di loro con una foga di cui non conosceva le ragioni, ma che la rendeva comunque contenta. Studiò il ragazzo che le veniva incontro, rendendosi conto di quanto tempo più del normale le servisse anche solo per riconoscere gli occhi azzurri e i complessi capelli castani che come le fronde di una palma puntavano in ogni direzione. Strinse gli occhi per fissare nella memoria la sua immagine e con un mugolio portò una mano a massaggiarsi le tempie, nel tentativo di spezzare la confusione con cui la stanchezza cercava di ghermirla. Allora alzò di nuovo lo sguardo verso la seconda figura ma, nel farlo, titubò un istante, arrivando a mettere in dubbio le sue facoltà cognitive: a seguire il ragazzo sconosciuto c'era una creatura che, cercando dentro di sé i termini più neutrali possibili, la bambina riuscì a riconoscere come, semplicemente, una delle più peculiari che avesse mai incontrato. Strinse di più gli occhi, inclinò appena la testa per studiarlo, ma da qualsiasi lato lo guardasse rimaneva uno strano animale alto persino meno di lei, con abiti umani sgargianti che non bastavano a distogliere l'attenzione dalle strane fattezze che lo contraddistinguevano: due grosse orecchie nere ai lati della testa, così rotonde e piatte da sembrare più un cappello strano che altro, una grossa pallina scura sulla sommità del lungo naso ed una piccola coda che frustava l'aria con agitazione, come a riflettere l'umore che l'espressione arcigna nei suoi giganteschi occhi già suggeriva. Portò una mano alla bocca, per nascondere un lieve accenno di sorriso che le era balenato addosso per un istante, ma il movimento si fermò a metà e le sue labbra si dischiusero incerte, rovinando l'espressione del suo viso. Lenta, quasi con paura, passò il suo sguardo dal ragazzo allo strano animale, perdendosi a fissare le loro braccia e ciò che stringevano nella mano: le loro armi erano simili, lunghe spade dai colori brillanti, d'argento e d'oro; il corpo rotondeggiante terminava con un'incurvatura che, era certa non fosse un caso, ricordava moltissimo una chiave. Quelle armi erano estremamente semplici, eppure eleganti al tempo stesso. Ai suoi occhi apparivano bellissime, quasi ipnotiche. Sovrappensiero, batté le palpebre una e un'altra volta, inspirò e realizzò di essersi persa nei propri pensieri.
    -Vanitas?!-
    Il grido acuto di una donna la atterrì, facendola sobbalzare sul posto e accapponandole la pelle. Agitata, sollevò le braccia e divaricò le gambe per inseguire con tutto il corpo il suono che l'aveva colta alla sprovvista: vide il volto della sconosciuta dai capelli turchesi contorcersi in una smorfia di terrore e disgusto. La vide stringere i denti e vacillare nel tentativo di mettersi in piedi ignorando le ferite, il suo pugno si chiuse attorno all'elsa dell'arma che brandiva e che Shinan non aveva ancora avuto modo di notare, simile a quelle dei due nuovi arrivati. Non lo scorse che con la coda dell'occhio, poiché il pensiero vorticò attorno alla sua mente per un istante, ma si dissolse subito di fronte alla consapevolezza che la Nesciens non poteva permetterle di compiere pazzie e sforzare ancora di più il suo fisico esausto e ferito. Barcollò per avanzare di mezzo passo, si aggrappò alla stessa colonna a cui era appoggiata poco prima la spadaccina per trovare stabilità e così lo strano animale dalle grosse orecchie fu più veloce ad intromettersi: -È con noi. Avremo tempo per parlare più tardi.-
    La bambina sospirò soddisfatta: non sapeva chi fossero loro o cosa significassero quelle parole con precisione, ma riusciva a capire che, in qualche modo, servivano ed erano capaci di tranquillizzare la loro alleata e quando, voltandosi, la vide fare un cenno appena riluttante di assenso, la piccola sorrise debolmente, felice di sapere che era tutto a posto. Rivolse i suoi occhi pieni di gratitudine alla coppia un'ultima volta, mentre concordava silenziosamente con quanto lo sconosciuto aveva sostenuto: i perché e i percome non le interessavano, non in quel momento. Una volta usciti tutti assieme di lì, Noel compresa, le spiegazioni sarebbero arrivate con calma una alla volta, ma in quel momento desiderava solamente qualche istante di pace, un'occasione per potersi riprendere dalle sfide che aveva affrontato, pur senza il successo in cui aveva sperato. Purtroppo, quell'attimo di ristoro durò meno di quanto sperasse.
    -T... Lei li conosce?- Ingwe parlò, inquisitorio ma calmo. Shinan lo osservò curiosa, vide fermezza nei suoi occhi, appena coperti da ciuffi di capelli sporchi di polvere e sudore, e con essa anche una nota di sospetto ben tenuta sotto controllo. La piccola sospirò appena, strinse e rilassò un paio di volte le dita per capire quanto controllo avesse sul proprio corpo. Con un lamento pronunciato a denti stretti, si mise di nuovo retta sulle sue gambe e si portò accanto Ingwe. Sfiorò titubante il suo polso, quindi tirò con delicatezza per attirare la sua attenzione. Come lo vide voltarsi verso di lei, aggrottò appena la fronte e fece un cenno con il capo verso la ragazza dai capelli turchesi, donando anche a lei una rapida, curiosa occhiata. -Scusami, Ingwe, ma... anche la ragazza, chi è? Non è entrata con noi nel Castello, giusto? Io non... non sono sicura di ricordare tutto quello che è successo alla perfezione...- chiuse un momento gli occhi e riavvolse le immagini annebbiate che aveva accumulate in fondo alla mente. Subito scoppiò in un lamento di fastidio e, mordendosi le labbra mentre serrava ancora di più le palpebre, portò la mano destra ad accarezzarsi il capo. Si concesse un secondo, respirò, e rivolse un nuovo sguardo timido all'amico, arrossendo appena per il dispiacere di non riuscire a fare di più. Le macchie opache nella sua memoria la spaventavano un po', la possibilità di aver perso qualcosa di importante la tormentava discretamente ed ella non riusciva a tenere ferme le dita, che continuava nell'ansia ad intrecciare tra loro. Il giovane, tuttavia, alzò appena le spalle e le rispose con il silenzio: Shinan sorrise debolmente e sospirò sollevata, contenta di non trovarsi in difficoltà a causa di qualche nozione dimenticata. Giunse allora le mani sulla vita e, impegnandosi a mantenere una posizione ben eretta, spostò di nuovo lo sguardo sui nuovi arrivati e quindi sulla ragazza, rivolgendosi a loro con un debole ma cordiale sorriso, decisa a risolvere ogni dubbio il prima possibile, dato che questioni ben più gravi pesavano sul suo cuore.
    -Conosco uno di loro.- ammise la ragazza, il corpo ancora teso e pronto a scattare in qualsiasi momento, come se le parole del suo amico non fossero sufficienti a placare i suoi sospetti. -Dell'altro non sono sicura.-
    La voce squillante dello spadaccino più basso risuonò di nuovo dolce attraverso la sala, accompagnate da un'eco che pareva volerli spingere ancora di più a credere in lei: -Te l'ho detto, Aqua: fidati di me, per il momento.-
    La nesciens portò la mano destra al mento, accarezzò con l'indice il labbro ed annuì appena verso la donna: Aqua doveva essere il suo nome e, in qualche modo, sembrava perfetto per lei. Il primo pensiero della bambina fu di intromettersi su quelle parole e rispondere presentandosi a lei e ringraziarla dell'aiuto che, per lo meno, aveva tentato di fornire nella battaglia appena conclusa, ma la strana creatura ricominciò a parlare con voce tesa e perentoria, abbastanza da far capire all'Erica che quei suoi sentimenti onesti ed innocenti non trovavano spazio in una situazione tanto tesa.
    -Se non portiamo subito a termine quello per cui sei venuta, il Castello non ci lascerà scampo.- Spiegò l'animaletto, stringendo il pugno guantato e muovendolo con forza come a sottolineare la gravità del problema. Allora, la bambina lo vide fermarsi un istante per prendere fiato e deglutire, in preparazione di tutto ciò che sembrava aver bisogno di spiegargli. -Quell'uomo a terra...- esordì, indicando l'anziano ammantato di nero privo di sensi a terra. Seguendo il dito, Shinan realizzò per la prima, vera volta la presenza di quel nemico che non era Will, di quel nemico di cui non sapeva nulla, di cui non aveva avuto modo di preoccuparsi fino a quel momento. Si pettinò distrattamente i capelli. “Chissà... Cosa dovrei pensare di lui?” si disse. L'unica certezza era che era stato fermato senza che gli fosse tolta la vita: quel piccolo successo bastava a rasserenarla un poco.
    -Era la ragione per la quale le vostre memorie non sono state attaccate.- continuò l'altro. -In qualche modo annullava l'influenza dell'oblio sulle menti degli ospiti, lui compreso. Non so quale fosse il suo scopo, né se tanto meno lavorasse da solo.-
    Shinan scosse istintivamente la testa: non disse nulla, ma scacciò quelle ultime parole con forza, aggrottando la fronte e picchiettando a terra un paio di volte con il piede. No, non agiva da solo, la piccola ne era del tutto certa: non ricordava quando egli si fosse palesato a loro né nient'altro che non fosse il suo corpo riverso a terra privo di sensi, ma era impensabile che la sua presenza in quella sala fosse frutto del caso; e dopo quanto aveva vissuto, poi, non riusciva a credere che qualcuno potesse collaborare coscientemente con la Volontà per qualcosa che non fosse il raggiungimento di obiettivi in comune.
    -Di una cosa sono sicuro, e immagino l'avrai percepita anche tu.- continuò l'animaletto, dimenticandosi quasi di loro e parlando direttamente ad Aqua. -Tra non molto il Castello tornerà alla normalità.-
    Un brivido attraversò tutto il corpo della bambina, che strinse il proprio corpo con le braccia. Un freddo terribile la travolse all'improvviso, ma così com'era venuto scomparì; in qualche modo, quel cambiamento repentino le provocò un disagio ancora maggiore. Deglutì e strinse la presa delle mani sugli avambracci per scacciare i tremori ormai stimolati solo da gelido timore. Aveva già sperimentato l'oblio e non una volta sola, ma soprattutto sapeva di avere troppi ricordi importanti a cui non poteva rinunciare, troppi legami al suo passato che servivano a guidarla lungo un percorso che, altrimenti, sarebbe risultato completamente oscuro.
    -Lo so.- ammise Aqua con greve semplicità, al punto da suscitare una punta di irritazione nella bambina.
    -Non puoi fare niente per impedirlo?- la incalzò allora la piccola creaturina, vociando ciò che avrebbe desiderato chiedere Shinan stessa. La bambina si appoggiò al suo amico, aggrappandosi di nuovo al suo braccio, e sollevò lo sguardo verso di lui: Ingwe se ne accorse, ricambiò il gesto. Si chiese se avesse compreso i suoi timori, se stesse pensando che le sarebbe stato vicino finché non si fossero lasciati quella trappola alle spalle, così da non rischiare di dimenticarsi l'uno dell'altra.
    -Il motivo per il quale è andato tutto storto... non è stato il vecchio.- raccontò Aqua, sospirando. La giovane comprese bene la fatica che parlare rappresentava per la guerriera: dopo quanto aveva vissuto lì dentro, poteva ancora percepire lo sguardo attento e sadico della Volontà posarsi su di lei se solo si attentava a mormorare il suo nome. -C'era una donna, con lui; era lei la vera padrona del Castello. Il vecchio, probabilmente, ha agito soltanto da chiave d'ingresso. Non ho idea di cosa l'abbia portata qui, né di cosa abbia portato qui questi ragazzi. So soltanto che senza di loro, probabilmente, non sarei qui a parlare con voi.-
    Shinan arrossì appena e sorrise mesta. Abbassò il capo, nascondendo l'espressione malinconica del suo volto con la propria chioma: c'era ben poco da ringraziare, dopotutto: i loro sforzi erano stati quasi del tutto vani, e la vita era un misero premio per le tribolazioni di quel giorno. -In qualche modo “Will”, così la chiamavano, è riuscita a contrastare la mia influenza, impedendomi di annullare la magia che io stessa avevo avviato dieci anni fa.- la bambina aggrottò la fronte e si allungò verso la spadaccina, fissò il proprio sguardo sulle sue labbra sottili, convinta di poter afferrare e assorbire più facilmente ogni sua parola in quel modo. Ascoltò e comprese quelle confessioni con il fiato sospeso, arrivando quasi a dimenticare le faccende che erano rimaste ancora irrisolte e i pericoli che, pur invisibili, li stavano comunque circondando.
    “Non avevo nemmeno avuto il tempo di pensarci, prima.” ammise tra sé e sé la piccola, stringendo per un istante gli occhi e resistendo appena l'impulso di colpirsi da sola la testa per punire la sua ingenuità. “Non mi ero nemmeno chiesta che legame ci fosse tra Will ed il Castello fino ad ora, né quali fossero i ruoli di tutti quelli che non fossero... noi quattro, in questa storia.” lanciò un'occhiata furtiva verso il ragazzo dai capelli a punta e l'animaletto di fianco a lui, cercò il vecchio privo di sensi poco lontano e tornò a fissare Aqua: affondando le mani dentro al proprio cuore, Shinan non riusciva a vedere come i segreti ed i misteri dietro alle vicende che aveva vissuto potessero farle dubitare della buona fede della loro alleata o dei suoi due amici e, dopotutto, il suo primo desiderio restava comunque di fermare Will e aiutare Noel. La bambina, la bambola che si era presentata a lei apparteneva ad un passato troppo distante, era una Noel irraggiungibile per Shinan, ma in quel momento e in quel luogo la Nesciens era sicura di poter fare qualcosa per lei, di poter portare anche solo il più piccolo dei sorrisi su quella bocca che aveva dimenticato il loro significato.
    -Credevo di potercela fare da sola, e invece...- sospirò la spadaccina, stringendosi come una ragazzina impaurita tra le sue stesse spalle. -Ho di nuovo messo in pericolo tutti.-
    -Non è colpa tua.-
    Shinan parlò senza pensare. Dimenticò i dubbi, dimenticò le domande. Dimenticò i complotti e i misteri che si celavano dietro la catena di eventi che aveva trovato inizio su quel colle bagnato dalla luce del tramonto. Dimenticò ogni cosa e con aria seria avanzò di due passi verso Aqua, inspirò a fondo e gonfiò il petto, cercò gli occhi celesti della ragazza e fissò su di essi il suo sguardo, domando paura e rimorso. -Quello che è successo qui dentro, quello che hai dovuto patire...- provò a deglutire, ma la gola era impastata, annodata, e per un istante temette di soffocare. Schiuse le labbra, fece per parlare, ma stringendosi il petto con la mano destra soffocò un lamento che minacciò di scappare contro la sua volontà: forse si era riaperta una ferita, oppure un qualche osso che non si era accorta essersi rotto si era mosso malamente, ma Shinan lo interpretò solo come un segno che il suo stesso cuore soffriva ammettendo a se stesso quella verità: -Siamo noi a doverci scusare per averti coinvolto.- mormorò, masticandosi le lettere, cercando di mettere più forza nella sua voce roca ad ogni parola. -Se solo fossimo stati amici migliori per Noel, se solo fossimo intervenuti prima... Forse non saremmo mai giunti a questo punto.- la bambina cedette e abbassò lo sguardo; portò una mano al petto per tamponare il dolore, ma il suo cuore rispose battendo con più forza e provocandole una nuova fitta di dolore. Un velo di lacrime annebbiò appena la sua vista ed ella strinse le palpebre per scacciarlo via. Il Castello e i suoi poteri, come la Volontà ne fosse venuta in possesso, come avesse trovato alleati, il coinvolgimento di Aqua e dei suoi compagni, nulla di tutto ciò avrebbe mai avuto importanza, se solo Shinan fosse stata capace di allungare la mano verso Noel quel giorno, di fermarla prima che si tuffasse nel nulla e scomparisse nell'abbraccio di fuoco del tramonto. -E per questo non riuscirò mai a perdonarmi.-
    -Non potevi... non potevamo farci molto.-
    La voce di Ingwe la sorprese. Dubitò di aver sentito bene e si voltò lentamente, convinta che non avrebbe trovato nulla, eppure colse il ragazzo che si era avvicinato a lei e che aveva abbassato lo sguardo nella sua direzione: i suoi occhi la fissavano severi, come ad ammonirla, le sue labbra erano incrinate in un'espressione triste, di delusione forse, e la Nesciens non comprendeva nulla di tutto ciò.
    -No...- mormorò quasi senza respiro. Ingwe non aveva che cominciato a parlare, aveva solo cercato di tenderle una mano e consolarla, ma quella rassegnazione la confondeva, anzi, quasi la disgustava: non voleva che i suoi sforzi fossero negati in quel modo, non poteva accettare che la soluzione non esistesse, che fosse irraggiungibile per lei. Non voleva scendere ancora di più a compromessi con i suoi ideali di quanto non fosse già stata costretta a fare.
    -Non la conoscevamo abbastanza per poter fare qualcosa, qualunque cosa. L'abbiamo incontrata solo per pochi secondi, per pochi minuti, prima che Will, credo, almeno, prendesse il sopravvento a Crepuscopoli...-
    Shinan scosse la testa, strinse i pugni e li nascose tra le pieghe del suo vestito, per non ammettere a nessuno che quelle parole avevano un qualche senso.
    -Come possiamo considerarci suoi amici quando con lei abbiamo trascorso pochi istanti e basta? Le uniche cose che io conosco di lei le conosco solo grazie ad una copia che aveva creato... per quanto mi piacerebbe, per quanto provi pena nei suoi confronti, non posso ancora considerarmi suo amico, sarebbe ipocrita.-
    L'Erica ridacchiò. Quel suo atto era colorato di scherno, di rammarico, serviva a fare del male a se stessa, eppure in qualche modo si sentiva anche mendata dal suono della sua stessa voce, sentiva che attraverso quella tristezza che stava provando poteva accettare e far combaciare la realtà di Ingwe e la sua.
    -Hai ragione.- ammise, pettinandosi all'indietro i capelli, con voce più controllata e fare appena più tranquillo di prima. -Forse mi aggrappo con troppa facilità agli altri, forse uso quella parola troppo presto. Però... lei aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di noi. Questo mi basta a sentirmi in colpa per non essere stata capace di fare di più.-
    Scrutò negli occhi verdi del ragazzo, Shinan cercò di capire cosa l'amico pensasse di quelle parole: lo vide forzare un sorriso per nulla convinto e, come se lui stesso se ne vergognasse, Ingwe separò i loro sguardi, mostrandole il profilo e portando sul nulla la sua attenzione. La piccola sospirò ad occhi chiusi e scosse appena la testa, mantenendo però sempre il sorriso. Non si aspettava che l'amico accettasse quel suo modo di vivere, forse non l'aveva nemmeno compreso fino in fondo. Più di una volta, in passato, aveva accettato l'idea di sacrificarsi per il prossimo, si era convinta di non avere alcun valore e aveva contemplato la via più semplice per sentirsi appagata e non dover soffrire al tempo stesso, mettendo in gioco la sua vita come pegno per la salvezza di qualcun altro. Tuttavia, quello non era più accettabile, perché la sua morte avrebbe portato nel piccolo mondo che si era costruita attorno troppa tristezza, avrebbe permesso ad una grande sofferenza di germogliare nel cuore di tutte quelle persone che era fiera di poter chiamare suoi amici e in nessun modo, nemmeno con il più grande atto di bene, avrebbe potuto bilanciarlo. Per quel motivo, negando che esistesse l'impossibile, aveva deciso di combattere sempre e solo per l'utopia della felicità più grande; e nonostante tutto, non ne era pentita.
    In quel momento, i suoi pensieri furono interrotti e la voce di Aqua colse di nuovo la loro attenzione: dapprima, ella cominciò a balbettare confusa stracci di quanto aveva ascoltato, ma il suo tono si fece in fretta più forte e convinto: -Noel... Quindi era davvero lei. Anch'io l'ho conosciuta, pochi giorni fa.-
    Shinan si bloccò con le labbra aperte, un “cosa?” pronto per essere mormorato in fondo alla sua bocca. Lo nascose però con una mano, convincendosi di aspettare prima di fare domande. Corrugò la fronte e incrociò le braccia con fare attento.
    -Mi ha salvata, insieme ad altri, da un luogo che non pensavo avrei mai lasciato. Il Regno dell'Oscurità...-
    Una nuova stretta al cuore piegò Shinan in due. Sudore freddo cominciò a calarle dietro il collo, dandosi silenziosa un pugno contro il petto si costrinse di nuovo in piedi. Non doveva ricordare, non doveva pensare a quando lei stessa aveva visitato il Regno dell'Oscurità, non doveva aggiungere il peso di quel ricordo alle fatiche che stava sopportando in quel momento. Doveva ascoltare, doveva solo ascoltare. Senza pensare a nulla.
    -Se davvero questa “Will” è nata da Noel, la permanenza in quel mondo potrebbe essere stata devastante per il suo controllo sulla sua oscurità interiore. Io stessa non sono sicura di come abbia mantenuti intatti la mia mente e il mio cuore.-
    La bambina accelerò il suo respiro, si umettò più volte le labbra, si ritrasse di un passo per non attirare l'attenzione. Quando la voce squillante dell'animale rispose alle informazioni della donna, la piccola riuscì a liberarsi poco alla volta dell'ansia, ricordandosi che c'erano questioni molto più importanti che richiedevano la sua attenzione. -Riku mi aveva accennato dei suoi dubbi su Noel.- spiegò quello, con un gesto della sua mano guantata, mentre passava lo sguardo da Aqua al ragazzo dai capelli a punta. -Ma nessuno poteva immaginare... questo. Con o senza l'aiuto dell'uomo col cappello, Will è riuscita a controllare i poteri del castello.-
    Aqua annuì e con parole grevi raccontò la sua esperienza tra le mura del Castello. Shinan si morse un labbro, nell'ascoltarla, e non poté che rispecchiarsi in quel racconto: gli orrori e le sfide di cui narrava suonavano così simili a ciò che aveva affrontato lei, alle ombre del suo cuore e di quello di Noel che avevano preso forma di fronte ai suoi occhi. -Quando quella ragazza mi ha trovata avevo già terminato le mie energie. Non credo di essere in grado di annullare la magia del Castello, ora.-
    La piccola seguì il movimento della mano di Aqua, fino a trovare Vanessa a terra, poco lontano. Per qualche secondo, si perse in quella vista: era certa stesse bene, o Ingwe non sarebbe mai stato in grado di mantenere la compostezza, per quanto possibile, durante il combattimento e nel loro discutere degli eventi. Appena il pensiero del ragazzo tornò alla sua amica, però, questi si lanciò in corsa da lei, per accertarsi ancora delle sue condizioni. Shinan si limitò a guardarlo allontanarsi e sospirò. Si voltò verso Aqua e verso i due sconosciuti, quindi tornò a Vanessa. Alla fine non c'era molto differenza, non era più coinvolta di loro: la sua unica colpa era essere amica di lei e Ingwe, era stata ferita, schernita e provata quando non avrebbe nemmeno avuto una ragione per essere lì, quando non sapeva nemmeno dell'esistenza di Noel. Avrebbe dovuto scusarsi, una volta che la compagna si fosse risvegliata, e poi anche ringraziarla per tutto ciò che aveva fatto: la nebbia era ancora fitta nei suoi ricordi, le sembrava di aver dormito a lungo ed essersi risvegliata intontita, perdendo ogni cosa fosse successa nel mentre, ma era certa che la spadaccina si fosse impegnata dando tutta se stessa, esattamente come la ricordava in quel giorno a Radiant Garden.
    Lentamente e con passi incerti, si avvicinò ai suoi due amici: con un sorriso accolse il suono accogliente della voce di Ingwe, che chiamava di nuovo tra loro la sua innamorata. La sentì chiamarla più volte, con fervore, come se vederla svegliarsi fosse il suo desiderio più grande; e Shinan capiva quel suo desiderio, lo condivideva: voleva vederla rialzarsi, voleva vederla sorridere di nuovo con quei suoi bellissimi occhi lillà. Eppure i secondi passavano e la voce del ragazzo si faceva sempre più forte, sempre più agitata, la bambina aumentò il passo di conseguenza e vide il giovane armato di chiave seguirla con altrettanta urgenza.
    La Nesciens gli cedette spazio, si fermò appena alle sue spalle mentre questi si chinava verso di lei per osservarla. La bambina portò le mani al petto, intrecciò le dita come in segno di preghiera, premendole contro il cuore, si umettò le labbra secche, mentre gocce di sudore scivolavano lungo la sua schiena, un brivido terribile la pugnalò fino al cuore.
    -Maestà. Questa ragazza è in pericolo.-
    La piccola aggrottò la fronte e mosse un passo indietro. Ripeté quelle parole nella sua mente, cercò di convincersi di aver sentito male. Chiuse gli occhi, cercò di coltivare quella speranza nel suo cuore, ma sapeva che era sbagliata, sapeva quello che il ragazzo aveva detto. Strinse più forte i pugni, spalancò le palpebre e fissò con decisione la compagna. Spinse con forza il giovane con la chiave, si inginocchiò affianco all'amica: impose su di lei le mani, tastò con delicatezza alla ricerca di ferite. Deglutì, inspirò quanta più aria poteva: senza mai distogliere lo sguardo da Vanessa, si rivolse dentro di sé, verso quelle stille di energia magica che ancora giacevano dentro di lei. Doveva raggiungerle, ne aveva bisogno in quel momento come non mai. Lei conosceva magie curative, lei poteva salvarla e doveva farlo assolutamente. Poteva persino consumare il suo corpo, poteva sciogliersi o andare in pezzi per quanto le importava, ma avrebbe spremuto fino all'ultima stilla di potere che le rimaneva per salvare quella vita. Alle conseguenze avrebbe avuto tempo di pensarci dopo. Non esisteva più Ingwe, non esisteva più Will, non esisteva più nulla che non fossero la ragazza in pericolo, lei stessa e l'energia che le serviva. Una voce, tuttavia, riuscì a raggiungerla: -La sua mente ha ricevuto un attacco devastante.-
    “La sua mente?” si ripeté Shinan incredula. Le sue braccia furono scosse da un fremito, i suoi occhi si mossero su tutto il corpo di Vanessa, cercando conferma di quelle parole: lei era pronta, era in grado di risanare ogni sua ferita, poteva ristabilirla, forse era l'unica in grado; le ferite della mente, tuttavia, non le conosceva. Le avesse donato anche tutto il suo potere magico non sarebbe cambiato nulla, non sapeva come dirigerlo alla mente, non sapeva come trattarla. Si piegò di più su di lei, sfiorò con il dorso delle dita le sue guance, si ritrasse spaventata, temendo che bastasse quello a peggiorare tutto.
    -Sta ancora combattendo con l'Oscurità.-
    Non voleva lasciarla da sola in quella battaglia, non poteva. Shinan l'aveva già affrontata, in passato, e non era nemmeno certa di averla vinta; se era sopravvissuta, tuttavia, lo doveva a tutti i suoi amici, alla forza di cui le avevano fatto dono. Ora era il suo turno di ricambiare, era il suo dovere, la sua occasione.
    -Sono riuscita a stabilizzarla.- tentò di rassicurarli Aqua. La bambina tirò su con il naso e si passò la manica del vestito sugli occhi, anche se non c'erano lacrime. -L'Oscurità se n'è andata, ma non posso garantire che si risveglierà.-
    Passarono i secondi, ma l'Erica non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto arrabbiarsi, rigettare quella prognosi e urlarle che non avrebbe mai dovuto confessare qualcosa del genere in modo tanto rilassato. Eppure non era in grado di farlo, era così stanca e così triste da non riuscire a fare più nulla se non stare piegata lì, incapace, sul corpo dell'amica. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non poteva fermarsi lì.
    -Va bene...- mormorò Ingwe. -Va bene. Capito.-
    No, non aveva capito, non aveva capito assolutamente nulla e di questo Shinan ne era certa. Lui la amava, era quanto di più prezioso avesse al mondo, era ciò che la bambina aveva già perso una volta. Era ciò che l'aveva spinta sul bordo del baratro, era ciò che le aveva fatto, per un istante, rinunciare alla vita.
    -Dobbiamo rialzarci.-
    Le parole sfuggirono alla sua bocca prima ancora che potesse pensarle, come se giungessero direttamente dal suo cuore. -Non possiamo fermarci adesso, non dopo tutto quello che abbiamo passato. Usciremo di qui e salveremo Vanessa, ne sono sicura.-
    Si appoggiò alla spalla del ragazzo, per darsi quella spinta che le sue gambe deboli non riuscivano ad assicurarle, e quando fu in piedi chiuse il pugno sul vestito dell'altro e lo tirò verso l'alto, tentando di riportarlo in piedi, accanto a lei.
    -M... Maestà?- ripeté in un balbettio, cercando di ripetere ciò che aveva sentito distrattamente poco prima: era l'unico nome, o quanto ci si avvicinava di più, che aveva colto dei due sconosciuti. Non sapeva di cosa fosse il sovrano, non sapeva se fosse necessario o se meritasse del rispetto, ma nulla di tutto ciò aveva importanza per lei, era disposta anche ad inginocchiarsi pur di avere una risposta. -Voi... siete qui per aiutarci? Siete qui per fermare Will... per Noel?-
    Shinan chiuse gli occhi e chinò il capo amareggiata. Inspirò tremando, provò più volte ad aprire bocca, ma senza trovare il coraggio di parlare. -Noi... non vorrei dirlo, ma noi non siamo in grado di fare più nulla. Vorrei inseguirla anche io, vorrei combattere ancora, vedere la fine di questa battaglia, ma... non posso mettere in pericolo la vita dei miei amici, e non posso rinunciare alla mia.-
    Si fermò per un istante. Si voltò verso Ingwe, cercando una sua reazione, che fosse di approvazione o che fosse anche solo di rassegnazione. Poi parlò di nuovo.
    -Vi scongiuro, aiutate Noel e Maxwell! Non voglio... Non voglio rinunciare a nessuno! Non lo accetterò mai!--




    l'unica cosa che posso dire è che i scuso per l'immenso ritardo =ç= esami and stuff
     
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    «I want to be with you until the end
    This is the only thing I'm sure of
    This is the only place where we can breath
    We have to protect it, no matter the cost»

    __________________________________


    Le ultime parole del biondo furono il colpo di grazia. “Va bene”. “Va bene, ho capito”. Sguardo vuoto. Capo abbassato. Uno scorcio di apatia e completa rassegnazione.
    Un’altra vittima, l’ennesima della sua lista potenzialmente infinita. “Non è colpa tua”, aveva detto Shinan. Mentiva, se non altro a se stessa. Eccome se era colpa sua: lo stato del Castello e l’oscurità fuoriuscita da Noel erano soltanto gli anelli più recenti di una catena di peccati lunga quasi dodici anni. Se solo… -si scoprì stringersi la maglia all’altezza del cuore- se solo non avesse salvato Xehanorth. Se solo non avesse salvato Terra.
    La ragione fu più rapida dell’autocommiserazione: la presa si allentò, i suoi occhi si fecero tristi; nel giro di un istante, la rabbia aveva assunto il colore della vergogna. La vergogna di essere caduta di nuovo in un vortice di “se”, lasciando da parte futuro, legami, principi. Amici. Non era colpa di Terra. In fondo, non era neanche colpa sua. Voleva crederci. Doveva crederci.
    Furono le parole delicate di Shinan a scuoterla. «Dobbiamo rialzarci.», stava dicendo la bambina.
    Già. Rialzarsi. Solo quello contava, adesso.
    «Non possiamo fermarci adesso, non dopo tutto quello che abbiamo passato. Usciremo di qui e salveremo Vanessa, ne sono sicura.»
    Aqua chiuse gli occhi, soffocando una lacrima. Ma certo. Ma certo. Solo quello contava. Tutti dipendevano da lei, in quel momento. Ci sarebbe stato il momento per scontare ogni singolo peccato: avrebbe cominciato da lì. Il tempo delle scuse, a se stessa e agli altri, era finito. Finito il tempo dei rimpianti. Se davvero era stata la causa di tutto, doveva e voleva rimediare. Per i suoi vecchi amici; ma anche per quelli che avrebbe trovato in questo nuovo mondo.
    «M... Maestà?» stava intanto continuando la bambina «Voi... siete qui per aiutarci? Siete qui per fermare Will... per Noel?»
    Aqua volse lo sguardo su Topolino: l’espressione sul volto del vecchio amico non fece che confermare i suoi pensieri su quanto fosse cambiato. La custode vide determinazione, autorità; ma anche comprensione e speranza. Topolino era davvero diventato un Re.
    «Faremo tutto il possibile, te lo assicuro. Salveremo Noel e fermeremo Will. Ora non può più scappare.» a quel punto, scambiò uno sguardo d’intesa con l’altro ragazzo, Sora «Finiremo quello che avete cominciato.»
    «Noi...» Shinan esitò per un istante, alla ricerca di parole e forse di coraggio «non vorrei dirlo, ma noi non siamo in grado di fare più nulla. Vorrei inseguirla anche io, vorrei combattere ancora, vedere la fine di questa battaglia, ma... non posso mettere in pericolo la vita dei miei amici, e non posso rinunciare alla mia» un’altra pausa, un’altra ricerca di coraggio «Vi scongiuro, aiutate Noel e Maxwell! Non voglio... Non voglio rinunciare a nessuno! Non lo accetterò mai!»
    Topolino le regalò un sorriso malinconico, e poggiò una mano sulla sua spalla; il suo sguardo trasmetteva calma e fermezza «Li aiuteremo, te lo prometto. Continueremo noi questa battaglia. Ora riposate.» Quindi si fermò, rivolgendo ad Aqua uno sguardo perentorio: «Aqua. L’incantesimo. Non possiamo attendere ancora.»
    La custode annuì piano, prendendo un profondo respiro. Si alzò lentamente.
    «Sai già dov’è la stanza?» incalzò il sovrano.
    La custode annuì. Certo, certo che lo sapeva. Aveva percepito la debole luce del suo ospite sin da quando aveva messo piede nel Castello. Era…
    «Poco più avanti.»
    «Non perdiamo tempo, allora. Fai quello che devi fare.»
    Aqua annuì ancora, la presa sulla Chiave del suo maestro che si faceva più ferrea.
    L’arma danzò. Per qualche breve, leggiadro istante, la punta della lama leggendaria rilasciò una polvere argentata, il cui passaggio disegnò spirali e arabeschi attorno ad Aqua. Quando la polvere toccò terra, dalla punta della chiave fuoriuscì un raggio luminoso, intenso, ma che durò solo una manciata di istanti. Quando scomparve, si sentì un rumore metallico; come di una serratura che scatta. E a quel punto, tutto cominciò a cambiare: il chiaro tornò scuro, l’immacolato tornò rovina, la stasi stessa del tempo si tramutò in flusso regolare. Attorno a lei, Aqua cominciò a scorgere un ambiente -finalmente- familiare: la stanza dalle quattro colonne assunse i contorni di un’anticamera scura, un tempo illuminata dai sottili raggi di sole che penetravano dalle finestre strette, mosaicate. La polvere e il degrado che vennero a sostituire l’immobile e bianca perfezione della vecchia stanza del Castello ricoprivano ogni angolo, mobilia e ricordo. Sedie intagliate con maestria in legni pregiati giacevano a terra mutilate, arazzi dai motivi sbiaditi e affusolati avevano abbandonato le pareti e le colonne dalle quali erano sostenute.
    «Andiamo.» annunciò la custode, richiamando la sua arma «Lui è nella prossima stanza.»


    DIVISORE_zpsanuuuazb


    Will osservò quel patetico scambio di battute dilaniata dalla peggior consapevolezza a cui (non) potesse sottostare: l’impotenza. La facilità e la sufficienza con le quali quella donna l’aveva inchiodata al muro avevano generato in lei un misto di stizza, disprezzo e fastidio. “Paura” e “soggezione” erano fuori discussione.
    Le spade svanirono qualche istante dopo, emulando la loro padrona. Will si aspettò di cadere a terra: non lo fece. La sottile, distorta e fumosa figura aveva ormai perso ogni legame materiale con il corpo che aveva cercato di possedere: ora che la donna bianca era fuggita con Noel, della Volontà non rimaneva più nulla, se non la volontà stessa. Non aveva peso, consistenza, spazio. Tutto era tornato come prima; alla normalità. La normalità di un flusso incessante di oscurità e pensieri tenuti insieme da un odio primordiale, di un essere incapace di comprendere persino se stesso. E lo odiava. Non riusciva a sopportare l’idea che fosse stato tutto inutile. Che il corpo di Noel –il SUO corpo- le fosse stato portato via. Il suo guscio; il suo contenitore; la sua nuova identità. Il tentativo di spezzare la monotonia del flusso eterno era stato vano. E lo odiava.
    Che fare? Arrivata a quel punto, senza più il castello a darle sostegno, senza più nessuna anima a cui fare da parassita, Will si sentiva incredibilmente disorientata. Che nessuna di quelle pulci sopravvissute ai suoi giochi potesse rappresentare una minaccia per lei, soprattutto in quello stato, era un discorso a parte. Non poteva trarne più nessun divertimento, in nessun modo. Che fare?
    «Oh.»
    Ghignò sottilmente, la linea che si incurvava verso l’altro solo dal lato spaccato della sua figura. Si voltò a sinistra, inclinando leggermente il capo vero il gigante di ferro. La sua voce era un raschiare rauco e irriconoscibile, solo vagamente femminile.
    «Potrei prendere il tuo, di corpo.»
    Era un bluff. L’ultimo divertimento, lo scherzo finale. Ormai, in fondo, non aveva nulla da perdere. Con tutto quello che gli aveva fatto passare, magari Maxwell ci avrebbe creduto davvero. Ma per quanto detestasse ammetterlo, non aveva la forza –non al momento, almeno- di intaccare una volontà individuale integra. Senza contare che Maxwell non fosse neanche una vera e propria “persona”, e il suo coinquilino con lui. Identificarsi con dei pezzi di ferro a forma di soldatino gaio, poi, non era in cima alla sua lista di cose da fare prima della fine dei tempi.
    Nonostante tutto, avanzò. La sua figura dimezzata aveva compiuto appena qualche passo afono quando il chiaro tornò scuro, quando la magia, nel giro di qualche istante, si compì.
    La Volontà si fermò, smarrita. La familiarità e la confidenza che quel luogo le avevano donato fino a qualche istante prima erano sparite; cancellate dall’esistenza, come non fossero mai esistite. Come fossero state null’altro che un’illusione.
    La figura dimezzata si piegò, scossa da un dolore che non aveva corpo. Il Castello, il mondo nel quale si era sentita a casa… nient’altro che un’illusione. Ironico quanto sensato. Non le rimaneva più nulla, dunque. Le avevano portato via anche l’unico luogo nel quale potesse esistere senza dipendere da qualcuno.
    «Non può finire così.»

    DIVISORE_zpsanuuuazb


    Sora oltrepassò per primo i resti della porta distrutta. Dietro di lui, il resto del gruppo seguiva con calma; erano tutti stremati, fisicamente e mentalmente. Aggrottò appena le sopracciglia: avrebbe dovuto essere con loro. Se solo fosse tornato prima, se solo non fosse rimasto ferito durante la battaglia a Radiant Garden, Aqua non se ne sarebbe andata da sola, spinta dall’urgenza e l’impazienza; e tutti loro non avrebbero dovuto subire la tortura del Castello.
    Se non altro, ora era finita; finita per sempre. Nessuno avrebbe più dovuto subire l’Oblio di quei corridoi, di quelle scale, di quelle stanze tutte uguali fra loro. La storia era ripresa a scorrere.
    Appoggiò delicatamente una mano allo stipite appena superato: il passaggio delle sue dita lasciava piste definite sulla spessa patina di polvere. Gli risultava difficile, quasi impossibile pensare come quel posto, che così tanti problemi gli aveva dato in passato, ora non esistesse più. Che non fosse, in verità, mai esistito.
    Aqua gli passò accanto senza fermarsi o voltarsi. Lo sguardo della maestra era puntato in avanti, fisso. Sora lo percorse con il suo: una figura nell’ombra, una sagoma sbiadita, i contorni sfuocati, china in avanti. Un abominio. Allargò il braccio destro e divaricò le gambe, la Catena regale finalmente pronta a difenderli tutti.


    DIVISORE_zpsanuuuazb


    «Non può finire così.» si scoprì a sussurrare «Non voglio tornare lì. Non voglio tornare al buio. Non lo accetto.» Strinse i pugni, o ciò che ne rimaneva. Gocce nere, polvere, briciole, detriti della sua forma umana. Forma che senza il castello non poteva sperare di mantenere, né tanto meno di recuperare.
    «Io sono Io. Ho un nome, ora. L’ho detto al vecchio, l’ho detto a voi: io sono Will. Io esisto.» Li sentiva, lì percepiva, erano lì. Non si sentiva più temuta, non si sentiva più onnipotente. Era solo… un’ombra. Si squagliava, si sfaldava. Nessun applauso. Solo rancore. Per loro. Per lei.
    «Non avete il diritto, non avete il diritto di negarmi l’esistenza. Non voglio tornare al buio. Vi odio. Egoisti.» La sua voce si spezzò, le sue parole che gorgogliavano gutturali. «Vi odio, vi odio. VI ODIO!»
    Ma la sua figura non si muoveva. Era rimasta lì, piegata innaturalmente su se stessa, a qualche metro da Maxwell. Solo la sua smorfia senza lineamenti era contorta dal furore e dal rimpianto. «Vi… odio.»
    Will tornò al buio senza rumore, confondendosi con le ombre di un’antica sala che non era più casa sua.


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    Era quell’essere, ciò che aveva tenuto in scacco la maestra e altri quattro guerrieri? Sora si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quell’istante. Il suo sguardo si posò sull’uomo in armatura, inginocchiato a terra. Si voltò verso gli altri, si voltò indietro ad osservare i sopravvissuti e quella ragazza per cui dubitava ci sarebbero state speranze. Alzò il Keyblade con un gesto rigido e la magia li investì tutti, abbracciando anche l’altra custode, che non si voltò affatto. Osservò nuovamente Aqua, il suo volto stravolto, i lineamenti fermi. «Se n’è andata,» mormorò atona.
    «Ma nessun segno di Noel.» aggiunse Topolino, amaro.
    Aqua incrociò per un istante lo sguardo di Maxwell, inginocchiato a pochi metri dai resti informi della creatura chiamata Will. Sora vide che cercava risposte: Maxwell, di rimando, scosse la testa. L’uomo in armatura stava stringendo i pugni, in un misto di titubanza e rabbia: sapeva qualcosa, chiaramente, ma la sua espressione comunicava di non volerne parlare, non ora almeno. Vide Aqua sospirare, ma Topolino li incoraggiò: «Ci penso io, qui. Voi andate da lui.»
    Aqua annuì con sguardo dispiaciuto, e Sora fece lo stesso. Lo sguardo della custode era ora fisso al fondo della stanza, dominato da un palco e tre grandi troni in legno. Fu lì che Sora lo vide. Seduto, addormentato, immobile sul trono centrale.
    “Roxas? No. Ventus.” Sora cominciò a seguire i passi della custode. Topolino gli aveva già spiegato tutto, eppure era difficile razionalizzare quella somiglianza –quell’uguaglianza. Era difficile accettare che Roxas avesse l’aspetto di un’altra persona; il suo stesso Nessuno…
    Lui e Ventus erano legati indissolubilmente. Il suo cuore, il cuore di Ven, costretto a fuggire ormai dodici anni fa, aveva trovato rifugio in Sora. In tutti quegli anni, l’aveva guidato, l’aveva aiutato a diventare chi era oggi. Era il momento di ricambiare il favore.
    Aqua, intanto, aveva salito i pochi gradini che separavano il terreno dal palco.
    «Ven» sussurrò, allungando cautamente una mano verso la figura inerme «Sono tornata, alla fine. Sono… molto in ritardo, Ven. Perdonami.»
    Sora la seguì sul palco, incerto sul da farsi. Sentiva uno strano calore all’altezza del petto. Un calore familiare.
    Aqua si chinò lentamente, andando ad accarezzare la guancia del vecchio amico. «Presto sarai di nuovo a casa.»
    Il calore si fece più intenso. Aqua si voltò verso di lui con un sorriso speranzoso e si rialzò, facendogli spazio.
    Sora chiuse gli occhi, concentrandosi sul suo respiro. Il calore era piacevole. Per qualche motivo, gli dava un senso di pace, di gioia. Si inginocchiò. Il suo volto e quello chinato di Ventus erano alla stessa altezza. Sorrise. «È ora di salutarci, Ven. Finalmente ci vedremo a quattr’occhi.»
    Il calore lo inondò. Dal petto, la sensazione che aveva percepito cominciò gradualmente a fuoriuscire. Il calore divenne luce, e la luce gli riempì gli occhi; riempì il buio dell’intera stanza. Per un istante, Sora percepì di nuovo quelle sensazioni: pace, gioia; ma anche nostalgia e libertà.
    Poi tutto finì. La luce perse d’intensità, concentrandosi in una piccola forma, sospesa tra i petti dei due ragazzi.
    «Bentornato, Ventus.»
    La luce entrò lentamente nel petto del biondo, e Sora percepì un’istantanea, insopportabile stanchezza. Abbassò le palpebre lentamente, lasciandosi andare all’indietro. Quando toccò terra, stava già dormendo.


    DIVISORE_zpsanuuuazb


    Ventus sollevò le palpebre. Pesanti. Cemento sui suoi occhi. Era tutto sfuocato. Era tutto così strano. Si sentiva intorpidito, stordito, come se non si fosse mai mosso da quella posizione per molto, molto tempo, ma al contempo sapeva di aver viaggiato, di aver combattuto, di aver gridato, pianto, affrontato il buio giorno dopo giorno, instancabile. Non ricordava di essersi mai fermato a riposare, di aver arrestato la sua lotta. La sua mente faticava a collegare le memorie, i pensieri, come se due vite diverse cozzassero l’una con l’altra. Simili, ma allo stesso tempo opposte; si intrecciavano, ma non corrispondevano. Spostò il capo, e tutto il suo corpo seguì il movimento. Pietra fredda ad accoglierlo. Di fronte ai suoi occhi si stagliava un’ombra, avvolta da un profumo piacevole, da un calore che ricordava di aver già avvertito. Un punto tiepido sulla spalla, una carezza, una scossa amichevole. Una voce che lo chiamava. Distante, soffice, accogliente.
    Aprì gli occhi con uno scatto e un singulto, improvvisamente cosciente, tutti i pezzi del rompicapo tornati al loro posto in un solo istante, la combinazione perfetta.

    «Aqua!»

    La donna lo strinse a sé, un abbraccio materno, piacevole. Era tornato. Era tornato per restare.



    CITAZIONE
    Beh, è finita. At last. La quest è stata molto (troppo) lunga e ci sono stati momenti poco piacevoli per tutti. Spero comunque che, in un modo o nell'altro, sia riuscita a lasciarvi qualcosa, a suo modo. Le nostre intenzioni erano delle migliori, e sono sinceramente dispiaciuto che, alla fine, sia andato così. Immagino varrà per la prossima volta.
    Le valutazioni arriveranno a giorni, quindi no, non siete obbligati a rispondere. Se volete, potete benissimo fermarvi qui. Tuttavia, se per soddisfazione personale/completezza voleste inserire anche il vostro POV degli ultimi eventi narrati, siete liberissimi di farlo: come vi ho già spiegato in privato, avete delle finestre narrative che vi permetteranno anche qualche dialogo che non compare in quanto qui scritto, quindi contattatemi in caso vogliate muovervi anche in questo senso.
    Ci sia rivede tra qualche giorno.



    Edited by Frenz; - 17/1/2016, 10:34
     
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    ~Bridges Burned

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    WillRapid_zpsjnnautcy
    Eh. Dovevo.


    Prima di leggervi le pappardelle in brodo qui sotto, vi comunico (o ricordo) che io mi sono occupata di Scrittura e Caratterizzazione e Frenzolino Pisolino di Strategia e Lealtà. Prendetevela con lui se dovete prendervela con qualcuno ♥


    »Ascend to Oblivion

    Valutazione AlexMockushin
    CITAZIONE
    Scrittura e Caratterizzazione: Dunque. Parliamone. Non va male. Non è il top, ma non va male. Hai il tuo stile, il tuo modo di scrivere che mi sta benissimo (ELIMINA QUEI MALEDETTI MODI DI DIRE AL PIÙ PRESTO PERCHÉ I PIEDI FREDDI E DI PIOMBO E QUANT’ALTRO TE LI FACCIO VENIRE IO), la tua caratterizzazione che è generalmente curata –i pensieri di Maxwell che darebbe pugni a se stesso sono immancabili e per sempre nel mio cuore-, ma in questa quest ci sono stati alti e bassi. Che mi portano a dire che sì, purtroppo non è il tuo massimo. Sei stato molto altalenante. Post molto, ma molto buoni, in cui hai scritto molto e hai approfondito il più possibile tutto (con tutto intendo TUTTO) si sono alternati a post in cui tutti i termini da te scelti e usati non avevano spessore, si tiravano l’una con l’altra per arrivare alla fine. Sembravano tutti giri di parole e in questi post si sentiva una certa insoddisfazione –tua, I guess- riflessa in Maxwell. Altalenante, quindi, mi dispiace dirlo. Poca costanza, poca continuità. In certi momenti mi sono messa subito a scrivere la risposta perché, cavoli, guarda quanti spunti mi davi! In altri puntavo solo a portare avanti la scena, perché non riuscivo ad aggrapparmi a niente.
    Una cosa che ho notato, con un po’ di delusione, è stata la poca attenzione ai particolari. Nei miei post ho dato un comparto molto ricco di dettagli, di gesti, di piccoli movimenti dei personaggi, espressioni, accenni perché la quest mi piaceva. E ho notato che in molte occasioni, su più di uno spunto di riflessione offerto appositamente per essere notato o più o meno approfondito, hai glissato con nonchalance, portando avanti quello che era il tuo discorso, la tua descrizione o la tua riflessione. Dritto come un fuso. Non voglio biasimarti, anche perché l’inizio era curato, l’attenzione c’era; i punti ignorati e sorvolati erano ragionevolmente scavalcati perché, ovviamente, non si possono notare cose superficiali, cose minime, cose che per il carattere del tuo personaggio magari non attirano l’attenzione. Dopo lo scontro autoconclusivo, tuttavia, hai cominciato a traballare, a perdere un po’ di interesse (me ne sono accorta .roll) e a saltare direttamente alle tue conclusioni, scrivendo sì tanto, ma ripetendoti (non al pari del tuo compare, mister “l’aria mi soffoca” qui sotto o qui sopra, vedrò come piazzarvi). A volte l’hai fatto per amor di caratterizzazione, e l’ho apprezzato, in quei post sopra lo standard della quest non molto bilanciato con le tue normali prestazioni in gdr; ma l’altra faccia della medaglia, i momenti di stallo nella ruolata, di scarsa attenzione e, quasi, di una certa –tua, è stato abbastanza chiaro- insoddisfazione e aspettativa delusa nei confronti della quest stessa, che ho cercato di rendere adatta al tuo personaggio nel tuo percorso privato, hanno fatto sentire con quanta superficialità, immagino, i post di risposta siano stati letti e ponderati. Parlo grave, ma è una cosa che è facilmente risolvibile e che, ho notato, quando una cosa ti attira con forza, non fai: è sufficiente leggere il post una volta di più, o leggerlo pezzo per pezzo mentre si scrive. Non è necessario prendere tutto, ma ascoltare i campanelli che sicuramente suonano quando si legge qualcosa. Una parolina qui, un’altra là, un concetto avanzato; magari non necessariamente espresso a voce ma suggerito nel post che può essere ripreso per un parallelo, una divergenza, tutto. Quest’ultimo è solo un consiglio per ampliare il proprio range di appigli, ma la parte prima è invece necessaria. E guarda, ti capisco. Ce ne sono stati di post che ho scritto che non mi sono piaciuti, di momenti bui in questa e in altre quest che mi hanno tolto la voglia di scrivere. Si è forse notato? Rileggendo alcune mie parti, mi sono resa conto di aver camuffato questo mal contento. La quest era pesante, impegnativa, molto poco nelle tue corde, ma hey! Non deve mica piacerti tutto! Non devi mica fartelo piacere per forza! Camuffa, fai il teenage mutant ninja Alex e cerca di dare un giro in più a quello che fai. Ti sentirai più soddisfatto tu e lo sarò io nel leggerlo!


    »Voto: 7.7

    Strategia: Cauto, anche troppo. Esattamente come successe, al tempo, con Sipario d’ombra, si è ripetuta una situazione piuttosto paradossale: pur avendo di gran lunga il personaggio più potente, con un parco tecniche sconfinato, non hai saputo sbalordirmi come mi sarei auspicato. Ma torniamo indietro, a una considerazione ancora più di fondo: bianco e nero, di nuovo. Solo che stavolta il bianco (più un grigio chiaro, in realtà: anche questo non è esente da difetti) sta allo scontro di gruppo e il nero a quello autoconclusivo, al contrario di quanto successe con Sipario.
    Partiamo dal nero. Per quanto i veri e propri difetti dell’autoconclusiva saranno debitamente analizzati nel campo della Lealtà, anche la Strategia non ha certo brillato. Lo scontro è piuttosto corto e relativamente poco ispirato: non fai uso di molte tecniche (sia l’Hunter che Maxwell ne usano appena due a testa: per uno scontro di questo calibro è sinceramente piuttosto underwhelming, considerando quanto ti saresti potuto sbizzarrire) e l’unica offensiva che tiri fuori è quella che ti fa vincere. E poco altro può essere detto, in realtà: è semplicemente una prova blanda, laddove c’erano tutti i prerequisiti per uno scontro memorabile.
    La prova di gruppo è invece sensibilmente più godibile, pur non brillando per stratagemmi particolari. Gli aspetti positivi che ho riscontrato sono stati indubbiamente lo sfruttamento della mobilità di Maxwell (sei forse l’unico ad esserti effettivamente spostato efficacemente per l’arena, anche se all’inizio ti eri fatto catturare in una sorta di stallo) e la scelta del momento più adatto per mettere fuori gioco Olson: questo risultato nasce tra l’altro dall’abile sfruttamento di una mia piccola mancanza descrittiva, fattore che ti vale indubbiamente qualche punticino in più. Tuttavia, come già accennato, non mancano i difetti. In primis la povera gestione delle energie: lasciare quasi tutta la propria riserva per la fine NON è generalmente una buona strategia, e ne è riprova il fatto che lo scontro sia stato davvero lento e noiosetto fino al momento in cui non ti sei finalmente deciso a cacciar fuori qualche MP. Anzi, sarebbe più corretto sottolineare che quasi metà della tua energia totale tu non l’abbia nemmeno toccata; non importa come la si rigiri: avresti potuto fare molto di più. È anche vero che hai l’attenuante “avevo in braccio un’altra persona, all’inizio”, ma ciò non toglie che la generale sensazione di incompletezza rimanga nel corso di tutta la prima metà della battaglia. La seconda metà è certamente più originale, reattiva e aggressiva, ma non basta da sola a elevare l’intera prova più in alto del voto che vedrai.
    Nel complesso siamo nella media: non ci sono mancanze troppo plateali, ma neanche meriti troppo notevoli.

    »Voto: 7.5/10


    Lealtà: Ho già accennato alla gravità di questa componente del voto nello scontro autoconclusivo. Lo ribadisco: hai fatto un mezzo disastro, senza se e senza ma. Dopo esserti fatto mozzare un braccio (!) dall'Hunter, facendolo sembrare un nemico imbattibile, riesci a liquidarlo con appena un colpo (!) magico che gli trapana la testa. Sebbene la Gaebolg vada contro il corpo, concorderai con me che un simile effetto è non solo eccessivo, ma anche improbabile nella sua esecuzione. Colpire quell’esatto punto, con l’esatto tempismo, un mostro che ti sta caricando con 160 (!!) in velocità mentre sei in ginocchio con un braccio mozzato e le costole rotte è semplicemente fuori dal mondo.
    Ma archiviamo e passiamo a quanto di buono hai fatto in questo campo nel resto della quest: lo scontro successivo è fondamentalmente privo di errori di lealtà, e considerando la pressione sotto la quale sei stato posto (dover “badare” ad Aqua e metterla al sicuro) il tutto risulta ancora più degno di nota. Le schivate, le tempistiche, il rispetto generale delle regole: è tutto eseguito praticamente da manuale. E il che, per certi versi, è un peccato: non fosse stato per gli erroracci della prima parte, il voto sarebbe potuto essere molto, molto più alto di così. Invece, ti becchi di nuovo la media di una prova mediocre (stavolta, ahimé, anche al di sotto) e una nettamente migliore.

    »Voto: 6.9/10


    »Media: 7,36
    »Premi Ricevuti
    » AP: 25 (7 + 13 + 2 +3)
    » Munny: 1250
    » Oggetti: //
    » Energia: Alex rimane energia Rossa.
    » Fama: Fama positiva + 30.



    Valutazione pagos
    CITAZIONE
    Scrittura e Caratterizzazione: Allora. Io e te dobbiamo fare una chiacchierata. Anzi, io devo farti uno di quei monologhi in cui se provi a interrompermi ti becchi un’occhiata alla Yellow Diamond. Tu devi imparare a non scrivere cose che io non dico. Se nel post dico che A si scioglie, tu non puoi scrivere che A esplode solo per il gusto di immaginarti che esplode. Se io dico che Will non urla perché non vuole dargli la soddisfazione, tu non puoi scrivermi che Will urla in preda al dolore, perché ti strappo quelle ditina con cui ti prendi queste libertà e le uso per mescolarci il caffè. Intesi? Prima cosa.
    Seconda cosa. Sei estremamente prolisso. Non come il tuo compagno di 10000 parole qui sot- sopr- qui intorno, ma comunque estremamente prolisso. Allora, poniamo caso che in questo essere prolisso tutti i dettagli e le ripetizioni (che dovresti ridurre arrivato ad un certo punto, perché in MOLTE occasioni appesantivano il post, ed erano pure contrastanti) siano strettamente necessari. Com’è che nei post di battaglia non sei stato altrettanto prolisso? Com’è che nello scontro autoconclusivo non ti fermi a guardare più dello stretto indispensabile e poi tornare ad impegnarti sui malanni di Ingwe raccontandomi persino che l’aria si taglia come il tonno della Rio Mare e scrivendoci sei righe su?
    Ok, chiudo la parentesi scherzosa e torno a fare la persona seria. I problemi fondamentali qui sono due. Scrivi troppo e molte volte questo tuo scrivere troppo non gioca a tuo favore. Essere completi è una virtù, essere eccessivi purtroppo no. Il ritmo in molte occasioni si perde, un’azione veloce suona estremamente rallentata; un pensiero semplicissimo si dirama in una ragnatela che-! alla faccia del pensiero semplicissimo. Scrivere tanto non è sempre una buona cosa. Certo, molte volte scrivere e approfondire ti ha permesso di esprimere bene e meglio un tratto accennato di Ingwe, tipo il fatto che tenga a Shinan e Vanessa anche se alla fine le ha conosciute poco prima (al discorso “Vanessa ti amo” arrivo dopo), ma verso gli ultimi post questi ragionamenti calcatissimi sono diventati incredibilmente pesanti, ripetitivi, persino difficili da seguire. Confesso, un paio di volte ho letto solo i dialoghi e mi sono messa a leggere il post per intero solo uno o due giorni dopo perché era veramente troppo. My bad.
    L’altro problema è sempre legato a questo tuo voler aggiungere, riempire, colmare. Che potrebbe anche andar bene in una misura contenuta, ma quando addirittura arrivi a contraddire quello che io scrivo, questo non è che vada proprio bene. L’ho notato più di un paio di volte nel corso della quest, e l’esempio dell’ultimo post è uno dei tanti e quello che mi ricordo meglio perché ultimo. Non ti preoccupare, non sono cose gravi finché non lo fai in battaglia. Quello è powerplay e lì ti avrei mozzato le mani. Stai solo più attento, eh?
    Nel complesso è stata una prova decisamente buona; il più delle volte hai rispettato il ritmo imposto, sei stato coerente con Ingwe (che in punto di morte si rende conto di amare Vanessa e che gli piacciono i coniglietti rosa – ecco questa cosa così brusca magari si poteva risparmiare. Sì, ok, il gdr è lento e bisogna accelerare di molto i tempi che normalmente ci vorrebbero IRL per tutto; ma questo è un po’ troppo tirato. Tua la scelta, osservo solamente.), hai cercato di aggiungere più carne al fuoco possibile, qualche volta in un conflitto mentale del personaggio che posso più o meno capire. Il fatto che tu abbia tentato di fare riflessioni escatologiche su giusto e sbagliato, bianco e nero e quant’altro è plausibile fino ad un certo punto. In alcuni casi, scelte e collegamenti nei ragionamenti sono risultati un po’ forzati alla lettura. Forse la carne messa al fuoco era un po’ troppa, hm? Sintesi caro mio, sintesi. Certo, chiamare Noel “amica” è una grossa affermazione dopo che le hai augurato di morire nei primi quindici post. Ma ok. Per il resto, non ho nulla da dire. Buono, decisamente buono e nella maggior parte dei casi soddisfacente. MI RACCOMANDO! Non montarti la testa, ricordati quello che ti dico. E non buttarti giù, nel caso qualcosa suoni offensivo °^° Non vuole esserlo! Da gran nabbo quale eri appena arrivato hai raggiunto un buonissimo livello. Lavora sempre, sbatti la testa e incazzati con quello che scrivi, fai finta che ci sia io a morderti tutte le volte che eccedi nella misura. Questi punti qui sopra spariranno in un attimo!


    »Voto: 7.9

    Strategia: Prova buona nel complesso, pur mantenendosi piuttosto lontana dall’eccellenza. Al contrario di Alex, non siamo di fronte ad una differenza abissale tra i due scontri sui quali si basa la valutazione: gli alti e bassi, che sono comunque relativamente minimi, sono per lo più interni agli scontri stessi. Ma andiamo con ordine.
    Sull’autoconclusiva faccio un appunto personale che, in realtà, potrebbe non sembrare di mia competenza (o comunque, di questo campo): è scritta piuttosto male. È affrettata, descritta frettolosamente e senza la cura che ho riscontrato in altri tuoi post della quest. Ciò, ovviamente, ha delle conseguenze pratiche sull’immediatezza della comprensione della battaglia: senza neanche un riassunto esplicativo, comprendere ciò che accade risulta possibile, sì, ma soltanto dopo una seconda o terza lettura, superate le quali si rimane comunque di fronte a una scena i cui dettagli faticano ad emergere. Non si tratta di pure constatazioni stilistiche: come il condizionale usato sopra poteva lasciare intuire, una simile (scarsa) cura nell’allestimento dello scontro autoconclusivo si ripercuote anche nel suo valore in quanto scontro simulato di un GDR by forum: pochi dettagli e la descrizione sommaria di movimenti e azioni non fruttano bene in strategia, fuori e dentro dall’autoconclusività. Se non altro, tali azioni e movimenti, superata la loro innegabile aleatorietà, risultano nel complesso funzionali allo scopo dello scontro: i mostri non ti mettono troppo in difficoltà (giustamente), ma nonostante ciò dai pieno fondo alle loro abilità, passive e attive; e il che è indubbiamente positivo per la completezza e la plausibilità del tutto. Le tecniche e i movimenti con i quali controbatti sono semplici ma efficaci. Peccato per i difetti già elencati.
    Il secondo scontro si mantiene su buoni livelli, pur presentando delle piccole cadute di stile nella sua prima parte. I primi turni in particolare, quando ha a che fare soltanto con Olson, Ingwe sembra soffrire un po’ di passività. Sta per lo più fermo e lancia tecniche con scarsa inventiva, senza ricorrere ad espedienti che avrebbero potuto rendere l’offensiva più pericolosa. Se non altro, pur non essendo stati in grado (Ingwe e Vanessa) di “vincere” quel piccolo scontro, rendo onore al merito al fatto che siate se non altro stati in grado di tenere Olson in stallo e di distrarlo fino all’attacco di Maxwell.
    La parte successiva è di più difficile valutazione, vista la sua caoticità. Posso solo dire che ho apprezzato quanto visto: la pressione sotto la quale sei stato posto era piuttosto ingente e sei comunque riuscito a fare, nei limiti del possibile, delle mosse ben calcolate. Siamo tuttavia di fronte ad un problema che ho già esposto anche ad Alex: il lasciare così tante energie per il finale. Per quanto debba essere stato appagante concludere con un critico in faccia a Will, le energie di Ingwe potevano essere usate in più occasioni con un’accortezza tale da renderlo più “presente” e incisivo nel corso del resto della battaglia.
    Tuttavia lo ripeto: siamo di fronte ad una prova che in entrambe le fonti della sua valutazione lascia un’impressione positiva: l’originalità e l’inventiva, nonché la gestione delle energie, hanno tuttavia ancora dei margini di miglioramento.

    »Voto: 7.8/10


    Lealtà: la miglior prova in lealtà che tu abbia fatto con me alla valutazione. Non c’è molto da dire: sei stato, fondamentalmente, sempre corretto. Lo scontro autoconclusivo è più che plausibile nella sua relativa facilità di esecuzione (come ho già accennato, i mostri non erano così temibili da poter effettivamente impensierire Ingwe) e il lato “numerico” che sta dietro a ciò che hai descritto è stato ben trattato. Ma sebbene quest’ultimo non sia eccessivamente lodabile a causa della sua scarsa difficoltà di gestione, altrettanto non si può dire dello scontro successivo: quando ti sei trovato a dover affrontare Will e Shinan al tempo stesso sei riuscito a preservare nella correttezza e nella lealtà; indubbiamente, la maggiore difficoltà rende ulteriormente impressionante qualcosa che risulta ai più difficile anche in situazioni assai meno caotiche.

    »Voto: 8.5/10


    »Media: 8.06
    »Premi Ricevuti
    » AP: 26 (8 + 13 +2 +3)
    » Munny: 1300
    » Oggetti: //
    » Energia: Pagos passa a energia Rossa.
    » Fama: Fama positiva +30.




    Valutazione misterious detective
    CITAZIONE
    Scrittura e Caratterizzazione: Madonna. Ma non è possibile che io debba fare discorsi a così tante persone! Cosa sono? La mamma spaccaballe? Gioia mia, tu sai di scrivere molto bene. Tu sai che io normalmente ti dico che mi sembra di leggere un libro e che per questo ti invidio. Ma, perdona il paragone, più che un libro narrativo, questo è un libro di Magris! Non so se hai presente QUANTO E COSA SCRIVA QUELL’UOMO. Oltre ad una storia estremamente ampia, questa bestiaccia scrive dettagli. Ma mentre mi rompo le palle a leggere cose sue perché è una spina nel culo di mezzo metro, a leggere le tue mi sento coinvolta. Finché non mi raggiungi le 8000-9000-10000 parole (!!!!). Ora capisco da chi ha preso il signor “powerplayo le descrizioni”. Pheeru, veramente, scrivi un po’ meno. Quando uno comincia a leggere si sente coinvolto dopo le prime 800-1000 parole e il post va via tranquillamente e in modo liscio; ma il muro di testo spaventa, non sai quanto. Shinan che si accarezza i capelli, che si nasconde sotto la frangetta, che arretra, che punta i piedi, a cui tremano le gambe, che piroetta di 179,7° su se stessa descrivono il 100% delle sue azioni, ma tendono un po’ a rallentare, ad appesantire. Me la figuro benissimo Shinan a fare tutte quelle cose e guarda, vorrei avere io una briciola della concezione del movimento fisico che hai tu del tuo personaggio, ma per favore ogni tanto tronca, taglia. Uno impazzisce °A°. Ok, la faccio più grossa di quello che è. Hai uno stile ottimo, un lessico invidiabile, una completezza descrittiva che intontisce da quanto è dettagliata (in positivo, obv) e un cerchio completo di sensazioni che riesci a rendere alla perfezione. Anche troppo. Usi spunti nuovi, ti inserisci bene, sei coerente con te stesso, con un personaggio dolce, ritroso, che si sforza fuori dal suo guscio anche solo per parlare, che si convince a buttarsi oltre quella che è la linea delle sue certezze. E descrivi in pieno tutti i passaggi. Non posso veramente criticarti su nulla. Probabilmente posso farlo sui tempi di risposta, che sarebbero più corti SE TU SCRIVESSI MENO. Oppure potrei sul fatto che ti fai scappare dei typo, degli errori di battitura che in testi così lunghi sono duri da cacciare ed eliminare. Sei giustificato, forse. Però. Oh. SCRIVI MENO, PUZZONE.
    Ah, il discorso vale anche per te. “Noel” e “amica”? Davvero? Di già? °^° Wow, Shinan stringe amicizia MOLTO in fretta.


    »Voto: 8.6

    Strategia: Di sicuro la prova migliore delle tre, sia nei parziali che nel complessivo. Il che è dovuto a due fattori principali, che userò per riassumere delle caratteristiche comuni ad entrambe le prove e che come tale non ripeterò per non risultare ridondante.
    La prima è la gestione delle tue capacità. Shinan, esattamente come Maxwell, è un personaggio potente: è un’energia blu con molte tecniche e una statistica d’attacco spaventosa. Tuttavia, al contrario di Alex che a volte sembra faticare a rendersi conto delle stesse potenzialità del suo personaggio (e a metterle efficacemente in pratica) tu non commetti (almeno, non in questo caso) quest’errore: in entrambi gli scontri eri in una posizione di vantaggio, è vero; tuttavia, non hai lasciato alcun respiro agli avversari e l’hai fatto in maniera (come dirò poi) completamente leale e plausibile. Sei consapevole dei tuoi mezzi e li usi sempre con l’adeguato dosaggio.
    La seconda caratteristica è forse la più impressionante: la tua capacità di pensare fuori dagli schemi, che qui si è concretizzata nella pregevole mossa con la quale intrappoli Ingwe e nell’utilizzo intelligente di Magnetega nell’autoconclusiva. Non starò qui a sprecare fiato sul perché questa originalità sia una delle caratteristiche che un buono stratega dovrebbe ricercare, perché mi sembra piuttosto palese.
    Tuttavia, la già citata “semplicità” delle situazioni in cui Shinan si è trovata (un po’ anche per negligenza mia, forse, che ho allestito un’autoconclusiva magari mal calibrata) impediscono al voto di aumentare oltre il numero che vedi qui in basso.

    »Voto: 8.5/10


    Lealtà: Il discorso da fare in questo campo è fondamente analogo al precedente. Non ci sono brutte gaffe di sorta e, anzi, la prova si è generalmente attestata su ottimi livelli; tuttavia, rimane sempre da fare un adeguato ragionamento di contestualizzazione: rispetto a pagos, che specialmente nel secondo scontro si è ritrovato in una serie di situazioni estremamente complesse, la fondamentale posizione di vantaggio di Shinan (che è stata dalla parte dei "dominanti" in entrambe le fasi dello scontro, anche se "l'ago della bilancia" è stato proprio lei) mi induce ad abbassare leggermente il tiro. Non ci sono state abbastanza situazioni in cui Shinan sia stata effettivamente messa in pericolo o in cui tu sia stato spinto "alla tentazione" di dover commettere slealtà; e nel campo della lealtà -è mia convinzione- la semplicità della situazione influisce sul voto più di quanto non faccia la strategia. Da qui il punteggio leggermente inferiore, che testimonia, comunque, una prova decisamente degna di nota.

    »Voto: 8.4/10


    »Media: 8.5
    »Premi Ricevuti
    » AP: 27 (9 + 13 + 2 + 3)
    » Munny: 1350
    » Oggetti: //
    » Energia: misterious detective rimane energia blu.
    » Fama: Fama positiva +30.


    A noi spettano, dopo vari conti (ho controllato più volte), un ammontare di 18 Ap e 925 Munny a testa. Vi voglio bene bimbi °3° Frenzi aggiornerà i ministeri. Well, IL ministero. Arrivedorci ~


    Edited by -M a r s h- - 22/1/2016, 22:35
     
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37 replies since 23/12/2014, 20:49   1511 views
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