Contest: Riflessione

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  1. Xisil
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    Tema interessante, inerente alla psicologia personaggio e alla sua storia. Provando a immaginare un eventuale tema, devo ammettere che io stessa avevo pensato a qualcosa di completamente diverso, considerando un punto del background che, ho notato, ho poco approfondito... Ma non ho nulla di cui lamentarmi. Mi impegnerò per fare del mio meglio!
     
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  2. The Good Twin
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    Provo già un forte mal di testa per ciò che mi aspetterà. Grazie tante! XD
    Posso dire però che è molto apropriato come tema.Io avevo ipotizzato qualcosa sulla mania dell'ordine do John, ma questo è meglio XD
     
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  3. misterious detective
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    Che dire... mi piace molto per il personaggio e potrei trarci fuori qualcosa di buono. Il problema è trovare l'ida giusta ò_ò è piuttosto "generica" come traccia, quello che mi spaventa è ripetere qualcosa che ho già scritto <_<
     
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  4. The Good Twin
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    Domanda sorta in questo momento: completato il contest e scelto chi dei due far sopravvivere, dovrò continuare la storia solo con quella personalità oppure non cambia niente?
     
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    永久の美

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    CITAZIONE (~Drewan… @ 10/10/2012, 20:13)
    CITAZIONE
    "Il mondo non è che un porto di assoluti.
    L'unica necessità che percepisco è il far valere i miei sopra quelli di tutti gli altri."

    Mmmm... Non sono sicuro sia corretto parlare in questi termini del mio personaggio.
    Parliamo di un individuo le quali certezze di un mondo sensato e ordinato sono state completamente annullate; dire che il mondo è un porto di verità o assoluti mi sembra decisamente fuori luogo xD
    Il sua esperienza lo ha portato a piombare in un stato di nichilismo, ogni sua ideologia è praticamente morta e non alcuna verità o assoluto da imporre e non ritiene ne esistano per nulla, il suo unico desiderio è quello di appagare la sua volontà.

    No, non hai capito x'D
    Non è che la frase che ti ho proposto esce dalla bocca del tuo PG, è semplicemente un tema su cui riflettere e con cui "giocare", rivoltandolo affinché esponga un determinato concetto.
    Per spiegarti meglio: la prima frase è una semplice asserzione che chiunque potrebbe pronunciare, mentre la seconda frase ... beh, io ti ho aiutato, sta a te scoprirlo e vedere se riesci a cavare qualcosa dal tema.
    Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile.
    Se tuttavia ritieni che la mia ideologia sia troppo astrusa, mandami pure un MP, affinché possa specificarti per bene cosa intendo con la seconda parte della traccia ^__^
    CITAZIONE (The Good Twin @ 10/10/2012, 20:53) 
    Domanda sorta in questo momento: completato il contest e scelto chi dei due far sopravvivere, dovrò continuare la storia solo con quella personalità oppure non cambia niente?

    Non hai l'obbligo di far morire una personalità x'D
    Devi semplicemente sviluppare sopra al tema un discorso attinente al medesimo. Insomma, niente cose estreme, a meno che non lo vogliate ^__^
     
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    CITAZIONE (.:Strange:. @ 10/10/2012, 21:22) 
    CITAZIONE (~Drewan… @ 10/10/2012, 20:13)
    CITAZIONE
    "Il mondo non è che un porto di assoluti.
    L'unica necessità che percepisco è il far valere i miei sopra quelli di tutti gli altri."

    Mmmm... Non sono sicuro sia corretto parlare in questi termini del mio personaggio.
    Parliamo di un individuo le quali certezze di un mondo sensato e ordinato sono state completamente annullate; dire che il mondo è un porto di verità o assoluti mi sembra decisamente fuori luogo xD
    Il sua esperienza lo ha portato a piombare in un stato di nichilismo, ogni sua ideologia è praticamente morta e non alcuna verità o assoluto da imporre e non ritiene ne esistano per nulla, il suo unico desiderio è quello di appagare la sua volontà.

    No, non hai capito x'D
    Non è che la frase che ti ho proposto esce dalla bocca del tuo PG, è semplicemente un tema su cui riflettere e con cui "giocare", rivoltandolo affinché esponga un determinato concetto.
    Per spiegarti meglio: la prima frase è una semplice asserzione che chiunque potrebbe pronunciare, mentre la seconda frase ... beh, io ti ho aiutato, sta a te scoprirlo e vedere se riesci a cavare qualcosa dal tema.
    Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile.
    Se tuttavia ritieni che la mia ideologia sia troppo astrusa, mandami pure un MP, affinché possa specificarti per bene cosa intendo con la seconda parte della traccia ^__^

    Vedrò cosa posso fare :asd:
     
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  7. Knigs
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    CITAZIONE
    "... E fu allora che me ne convinsi:
    in me, la speranza ancora divampava!"

    che dire... wow!
    non mi aspettavo nulla del genere (in realtà non mi aspettavo assolutamente nulla di nulla), ma tutto sommato è quasi divertente...
    mi piace. in questo modo potrò raffigurare finalmente il carattere di Aaron, visto che in scheda non ho fatto un gran lavoro... e così potrò farmene un'idea migliore!
    ottimo. prendo al volo il tema e cerco di trarne il meglio che posso. :guruu:
     
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    The Doctor Bat ... Doctor Who?

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    Beh il tema mi sembra molto itinerante al mio personaggio. Sono stato molto vago nella ua descrizioni e penso e spero di poter cacciare qualcosa i buono e riscattarmi. Non posso dirti che grazie e... Al 31!
     
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  9. FantomNishoba
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    CITAZIONE (Doctor Who? @ 11/10/2012, 14:06) 
    Beh il tema mi sembra molto itinerante al mio personaggio. Sono stato molto vago nella ua descrizioni e penso e spero di poter cacciare qualcosa i buono e riscattarmi. Non posso dirti che grazie e... Al 31!

    Inerente, non itinerante xD
     
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    The Doctor Bat ... Doctor Who?

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    OT lo so lo so ma uso il cellulare per scrivere e l'iPhone crede sempre di sapere che parola voglio usare D: OT
     
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  11. Rant
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    « Cosa ne dici scudiero? Ti piace? Non trovi tutto questo meraviglioso? »

      Morrigan e la morte erano fianco a fianco, davanti ad una distesa di terra. La Spada non aveva la minima idea di come fosse finito lì, ma in qualche modo, quel vento che gli scombinava i capelli e quell'odore di carne bruciata gli faceva ricordare casa. Forse era lì da ore, ma il ragazzo sembrava non accorgersene, o più semplicemente non gli dava importanza. Il suo volto era inespressivo e silenzioso, cosi come quello della morte alla sua destra, che nel suo consueto mantello nero sembrava ridacchiare. Quel luogo tra tanti era rimasto incivilizzato e sembrava essere stato scelto apposta, per l'incontro tra il suo servo e padrone. Tra la triste signora e il suo cavaliere.
      Tra il fodero e la sua spada.

    « Dipende da che parte la vedi.
    Pensi davvero che sia bellissimo?
    »
    neitheri2

    « Non ho detto bellissimo, Morrigan, ho detto meraviglioso. Penso che sia meraviglioso.
    Perchè vedi, giocare una partita a scacchi con un umano ancora in vita è molto più divertente di quando è già morto.
    »


    La triste signora osserva l'orizzonte ed esplode in una risata grassa e satirica, che ha un amaro retrogusto terrorizzante e pauroso. Il dio delle tenebre è avvolto in delle bende da mummificazione che posano sul vuoto e fluttuano nell'aria; la sua voce è emessa dal nulla e il suo odore è perso nel vuoto. Non si può dire che quella al fianco del mercenario sia veramente un dio o solo la sua raffigurazione come non si può dire che tutto quello sia reale. Ma a cosa serve la realtà quando hai l'immortalità?

    « La guerra è appena iniziata » continuava, ora più seriosa la morte: « E in guerra non c'è pietà, non c'è giudizio, non c'è pace. Chi non è vivo, è morto.
    E chi è vivo, deve morire. »



    Ricordo che Neria era in ginocchio davanti a me quando mi chiese di ucciderla. Anzi, le parole esatte erano di uccidere lei e di risparmiare la sua famiglia. Mi disse di lasciarli in pace, che un villaggio come il loro non aveva niente da offrire a della feccia come noi. Dietro il corpo piangente e sporco di terra di Neria c'era radunato tutto il suo villaggio, accerchiato dai miei soldati. La ragazza aveva le mani chiuse attorno al mio piede sinistro e implorava pietà, dicendomi che avrebbe fatto tutto quello che avremo desiderato fare di lei, senza dire parola. Mi disse che era vergine, che era una delle più belle ragazze del villaggio, che si sarebbe offerta lei se non avessimo ucciso nessuno e se ne saremo andati all'instante. La vergine si aggrappa alla mia maglietta sporcandola di fango, ha gli occhi gonfi e singhiozza come una disperata.

    «La prego...vi abbiamo dato tutto. Uccidetemi e lasciate il mio villaggio in pace! »

    Morrigan fa un no con la testa, borbottando dei no secchi con la bocca ancora sporca di sangue.

    « Non hai capito niente. Tu non meriti tanto. Non meriti la nostra pietà o il nostro perdono.
    A voi non frega un cazzo della guerra...o di chi vive o di chi muore. Se cercate qualcuno con cui prendervela, prendetela con voi stessi.
    Non siete nemmeno stati capaci a difendere ciò che amavate. Ora è troppo tardi per fare sacrifici.
    Avete perso la battaglia...e la guerra.
    »

    Morrigan accarezzò i capelli della dolce Neria, che sofferente dal dolore si stese a terra immobile piangendo lacrime di rassegnazione.
    La Spada fece un cenno, e uno dei suoi appiccò il fuoco.

    Ieri, la terra rossa.

    Morrigan osserva per bene la donna che gli avevano portato: capelli bianchi come il latte, carnagione olivastra decorata dal sole e due occhi grandi dal colore del fuoco di popoli stranieri. Non c'era nemmeno bisogno di dirle perché una ragazza bella come lei era nella locazione del capitano, e il destino a cui era destinato uno straniero in un territorio ostile. La donna è legata piedi e mani al pilastro centrale della tenda, con un bavaglio di cotone stretto tra i denti.

    Da quanto tempo era lì?
    La donna alzò lo sguardo magnetico, studiando gli occhi di Rant.
    C'è qualcosa che non va. Perchè non piange? Perchè non cerca di liberarsi?


    La Spada si avvicina lentamente alla preda e come non mai curioso gli slega lo straccio dalle labbra carnose tipiche del nord.


    « Sssh, sei al sicuro qui. »

    Lei lo guardò fisso negli occhi.

    « זה אף פעם לא בטוח לארץ כלבים »
    « Non è mai sicura la terra dei cani »
    « MAI » aggiunse.

    Morrigan la sorrise, anche non capendo il significato delle sue parole. La Spada sorrise perché la bellezza nascosta negli occhi di quella ragazza era una piccola parte di arte che anche uno come lui poteva capire - e che era raro trovare tra le sue genti -. Morrigan continuò a sorriderla, sdraiandosi per terra accanto a lei - ancora legata - mentre cercava di liberarsi dalle corde. Qualcosa di quella donna lo aveva colpito nel profondo, e mentre la guardava capì cos'era. Quella ragazza era una figlia di due mondi. Succede molto spesso che i briganti abbiano figli con le vergine dei villaggi del nord, e il tatuaggio a forma di mezza luna sulla spalla della ragazza gli faceva da conferma.Era una spia di un gruppo di mercenari, in parole povere. Morrigan allora capì che lei non si era fatta catturare per caso ma anzi, per comunicarci un messaggio ben preciso dal suo gruppo di mercenari. Ma tutto questo non aveva poi cosi tanta importanza per la Spada; di popoli e di battaglie ne aveva affrontate parecchie.

    « Ormai lo hai capito ממזר. Ma è troppo tardi, sono già tutti morti. »

    Quando la spia finì di parlare, Morrigan se ne era già andato, dicendole che non si avrebbe messo molto a liberarsi. E infatti la spia non ci mise molto, ma ormai il suo bersaglio era già lontano per essere raggiunto. E non era scappato, oh no che non lo era, era andato a cercare il suo esercito. E se nel caso non l'avesse trovato, avrebbe messo in atto la sua lunga vendetta contro i popoli del nord.


    « Scappa mercenario. SCAPPA!
    Chi nasce cane non muore paladino.
    »

    E anche se la banda di Morrigan era riuscito a resistere all'imboscata fino ad ora, il gruppo aveva subito grosse perdite e i pochi rimasti non riconoscevano più fiducia verso il loro capitano. La spada rimase da solo, nel campo di battaglia delle terre aride tra i cadaveri sovrapposti dei suoi amici.
    Per questo la spia del nord dal tatuaggio a mezza luna era lì, a cercare tra i corpi quello di Morrigan. Perché se era lì, era morto. E se non era lì era vivo, ed aveva fallito la sua missione.

    « אני נשבע בדם שלי: כלב שמגיע מהצפון, Morrigan, אני אהרוג אותו »
    « Giuro sul mio sangue: il cane che viene dal nord, Morrigan, io lo ucciderò »




    Morrigan intanto non era nè tra i cadaveri e nè tra i vivi. Ma con la morte, sulla cima delle montagne più alte del sud.

    « PREPARATEVI.
    Una catastrofe sta per arrivare. E sarà inevitabile.
    »



    CITAZIONE
    La prima parte è riferita al Morrigan di oggi (dopo patto con la morte), la seconda parte è un flashback quando era nel gruppo mercenario e la terza parte è la vera ragione per cui Morrigan è morto (nell'imboscata n.d.r: la cazzata del thè è palasemente una voce di corridoio nel suo villaggio). Per il resto, a chi valuterà, anche se la frase di Strange era molto generica ho cercato di mettere in risalto la figura di Morrigan e la sua personalità e seguendo la frase di Strange <a una scelta sbagliata, corrisponde consequenza sbagliata> tutto il racconto (sia con il patto e sia dal suo stile di vita) è un gioco di parole/metafore su questa citazione. Ma lascio a voi coglierle. Spero vi piaccia!
    ממזר = bastardo <3

     
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    In alcuni giorni la sua sanità mentale rischiava di crollare. Certo, dopo lo scontro con Evelyne aveva una nuova speranza di vita, una ragione per andare avanti... ma era ancora da solo.
    Quel giorno era seduto ai limiti di una piazza di Radiant Garden, e guardando i bambini giocare con spensieratezza gli tornava in mente la sua infanzia, e quei giorni felici passati a giocare a nascondino nella locanda di famiglia con suo padre: quest'ultimo, nonostante una problema alla gamba destra, accontentava il piccolo Maxwell e lo cercava zoppicando nelle stanze vuote dell'edificio come se niente fosse. Quei giorni sembravano così lontani per lui, ma sperava che durassero a lungo per quei piccoli che inseguivano una palla di fronte al suo freddo sguardo azzurro.
    D'un tratto, uno dei ragazzini su cui stava vegliando non riuscì ad intercettare la palla che gli venne passata, e quest'ultima finì per rotolare contro il "piede" destro del cyborg, facendo rimanere di sasso tutti i cuccioli d'uomo: fino ad allora avevano cercato di ignorarlo, pensando che se non lo avessero disturbato non gli sarebbe successo niente, ma quello sfortunato evento li avrebbe costretti ad interagire con quella spaventosa, massiccia figura in armatura nera. Maxwell fissò per qualche attimo l'oggetto sferico sbattendo un paio di volte le sue palpebre, quando ad un tratto si alzò e raccolse l'oggetto che gli era capitato accanto, iniziando a dirigersi verso i ragazzini che lo guardavano atterriti: le voci di questi ultimi iniziarono ad uscire dalle loro bocche come dei gridolini, e finirono per contorcersi in grida di terrore quando il cyborg finì per avvicinarsi troppo. L'automa rimase fermo per diversi attimi con la mano sinistra tesa in avanti e gli occhi spalancati, potendo solo guardare impotente come quel suo corpo di metallo potesse ispirare unicamente terrore nel cuore altrui, anche solo venendo visto da lontano. Le sue fredde membra tremarono, e la stretta sulla palla che era ancora tra le grinfie della sua mano destra divenne sempre più forte, rischiando di far scoppiare quel balocco che faceva divertire così tanto quei bambini... ma ad un tratto quella presa venne bruscamente annullata dal lancio di quell'oggetto da parte dello stesso ex-uomo verso la sua destra, ed in pochi attimi Maxwell si ritrovò a correre in direzione di una piccola via isolata di quella città normalmente così piena di vita.
    E corse.
    E corse.
    I suoi artigli sferzarono con forza contro la roccia di cui era fatta la strada, ma ad un tratto l'uomo scivolò e si ritrovò faccia a terra contro la fredda pietra su cui aveva sfogato parte delle sue frustrazioni, lasciando una piccola scia di scintille. Rimase immobile per qualche secondo, ma lentamente si portò le mani alle tempie e si mise in posizione fetale, cadendo in un pianto silenzioso, artificiale. Tante volte aveva visto altre persone spaventarsi davanti a quel guscio in cui era costretto a vivere, e per quanto avesse deciso di accettare la sua esistenza nonostante quella mostruosa deformità, poteva resistere solo ad una determinata quantità di sguardi carichi di terrore diretti alla sua persona... e quando la sua sopportazione raggiungeva quel limite, l'automa era costretto ad isolarsi dal mondo che lo guardava con paura.
    Non era stato sempre così. Un tempo anche lui aveva un corpo in carne, un corpo vivo con cui aveva visto e subito ciò che di bello e brutto il suo paese aveva da offrire ad un giovane uomo. Ora le sue membra fatte di muscoli e tendini erano state squartate, studiate e copiate in una forma meccanica ed orribile, ma sotto quegli strati di metallo esistevano ancora la coscienza ed i ricordi di quel ragazzo che desiderava essere un cavaliere in armatura scintillante, un difensore dei più deboli e dei suoi cari... ma i primi sguardi che riceveva erano sempre pieni di sospetto, di paura primordiale per una creatura che apparentemente era nata per distruggere e ferire tutto e tutti. Non era affatto diverso da un Heartless per chi lo vedeva per la prima volta, e di rado incontrava chi era abbastanza affascinato dal suo aspetto per rivolgergli la parola o chi era abbastanza sensibile da cercare l'uomo che si trovava dietro a quel "guscio da guerra", ma il suo spirito non era cambiato quanto il suo corpo. Aveva perso i suoi sogni, era stato usato come cavia umana da altri umani assetati di progresso, ma per quante ragioni potesse avere per odiare tutto e tutti, lui non ci riusciva. Era sempre stato un uomo istintivo ma dal grande cuore, e quindi sopportava, sopportava ogni singola occhiata di terrore che gli veniva rivolta, ogni singolo commento nato dal panico detto con voce fiebile per non essere udito: ogni giorno il suo cuore veniva trafitto come da innumerevoli lance avvelenate ed invisibili, che si piantavano nel suo petto e lo facevano soffrire sempre di più. Quando il dolore raggiungeva l'apice, la sua testa faceva male, come se fosse trapassata da decine di lame e fosse al contempo schiacciata da un pesante macigno; avrebbe desiderato piangere come un bambino in quei momenti, ma i suoi occhi non erano fatti per versare lacrime, e tutto ciò che l'automa poteva fare per sfogare tutta quella tensione era fermarsi, raggomitolarsi per quel che poteva e tentare di singhiozzare, gridare come se stesse realmente piangendo. I richiami all'ordine della sua personalità elettronica erano inutili in certi momenti, la sua sanità veniva completamente risucchiata da quella opprimente, fredda sensazione di solitudine che lo faceva sentire così indifeso, così isolato da quelli che un tempo erano i suoi simili: tutto ciò che desiderava era solo un pò di calore, un sorriso rivolto verso la sua persona, anche una semplice, improbabile carezza su quella sua "pelle" artificiale che gli dicesse di essere "umano" anche per una sola persona sulla faccia della Terra.
    Il suo corpo era un'arma, ma la sua anima desiderava amare, ridere e parlare con gli altri. Il suo corpo era fatto per uccidere, ma la sua anima desiderava stringere chi amava come se fosse stato uno scudo. Purtroppo non era la sua anima a essere giudicata, ma quel suo orribile corpo che non poteva produrre lacrime, e quelle orribili membra, quel guscio che non faceva altro che farlo sopravvivere al costo della sua umanità.

    Cosa succede, Sigfrido?
    Perchè piangi?
    I mortali ti hanno scacciato di nuovo?
    Loro vedono solo ciò che si trova all'esterno.
    Loro vedono solo il tuo corpo nato dal sangue.
    A loro fai paura.
    Per loro sei un pericolo.
    Peccato che non possano vedere...
    ... che quelle grandi, spaventose membra che torreggiano sui loro corpi...
    ... appartengono ad un uomo che vorrebbe solo donargli un caldo sorriso.



    CITAZIONE
    Ok, penso di aver evitato il sopracitato disastro: per sviluppare il tema ho pensato di tuffarmi nella descrizione di un momento piuttosto "intimo" e diverso di Maxwell, ossia quando sfoga tutta la tensione causata dal diverso trattamento che gli altri umani generalmente gli riservano, e scoppia in una simulazione di pianto per cercare di scaricarsi. Mi è stato un pò difficile usare un tema che sembrava fatto per un'autoconclusiva posta nel suo paese natale, ma come potrete notare ho evitato questa limitazione ed ho fatto una quest esclusiva per la personalità umana del personaggio, visto che il vecchio Sieg ha problemi di ben altro genere. Il piccolo aneddoto in coda alla quest è ispirato da un piccolo discorso della serie di Hellsing, e spero che abbia aiutato a descrivere meglio la situazione anche assieme alla musica scelta per l'atmosfera, "Traumerei" di Shin Megami Tensei - Persona 4.

     
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  13. Knigs
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    Hope Still Flares Up


    Erano passati cinque giorni da quando Aaron era scappato dall'accademia, voltando le spalle a tutti i suoi compagni, a tutti i cavalieri, spinto solo dall'ordine del suo maestro.
    Era stata una dura prova per il suo orgoglio... ma cos'altro avrebbe potuto fare? Morire, quando ormai tutto era finito? Se neanche il maestro Alius era riuscito a battere quegli Heartless... come poteva farlo lui?
    Erano trascorsi cinque giorni, giorni interminabili passati ripensando a tutto quello che ormai era successo, a cosa sarebbe dovuto succedere e a cosa avrebbe dovuto fare.
    Sospirando guardava attraverso il vetro della navicella lo spazio infinito, le stelle luminose, i pianeti sconosciuti, l'oscuro vuoto...

    “Tutto taceva.
    Aprii gli occhi e venni abbagliato da una forte luce. Ci volle qualche attimo prima che potessi vedere davanti a me.
    Una terra senza orizzonte era ciò che mi trovavo davanti; sconfinata, arida e desolata. Non una forma di vita, ne un alito di vento si muovevano; vi erano solo terra, rocce e silenzio.
    In qualche modo ero arrivato fin lì, non sapendo come, né perché... sapevo solo che c'ero e non potevo farci niente. Iniziai dunque a camminare per quella sconfinata terra, senza una destinazione, senza un motivo, ma speranzoso che qualcosa avrebbe cambiato le cose. Era come se in quel posto, in quella piccola parte di infinito universo ci fossi solo io, nessun altro che potessi vedere o sentire, nessun altro con cui parlare... nessuna via di fuga.
    Improvvisamente si mosse qualcosa dietro di me. Mi girai, ma non vidi niente.
    Rigirando la testa scrutai davanti a me un oggetto scuro, metallico e incredibilmente familiare. Mi avvicinai... era un chakram, l'Oikeus?!
    Come d'incanto esso si alzò a mezz'aria, levitando, comandato da qualcosa, da qualcun altro!
    Il suo movimento si stava facendo strano e minaccioso; iniziò a roteare, sempre più forte... e mi attaccò.
    In qualche modo riuscii a schivare l'arrivo di quell'arma, ma esso mi colpì comunque su una spalla, facendomi un lieve taglio... qualche goccia di sangue uscì, ma nulla di grave.
    Mi girai in direzione del chakram e vidi che esso si era allontanato fino a qualche decina di metri e si era alzato di almeno quindici metri. La mia attenzione si posò però su una piccola macchia rossa che si trovava a pochi metri da me. Avvicinandomi mi accorsi che quel color rosso apparteneva ad un piccolo essere umano, un bambino, dai capelli rossi e dei grandi occhi verdi, che si girò verso di me e mi guardò negli occhi per qualche lungo istante. Non ci fu bisogno di alcuna parola, perché prima che io potessi aprire bocca il piccolo alzò il braccio, indicando qualcosa sopra le nostre teste: era l'Oikeus. Esso, roteando su se stesso, era stato avvolto da una strana aura oscura che si trasformò in una grande nuvola nera. Da quella nuvola nera che arrivava da poco sopra il chakram fino a terra scaturì un forte ruggito, un ruggito vivo e feroce; la nuvola si diradò e apparì di fronte a noi una creatura mostruosa, mostruosamente familiare... era un Heartless... era il Darkside!
    Lo stesso mostro che ha distrutto l'accademia, lo stesso mostro che ha distrutto la mia vita.
    Il mio passato era tornato, davanti ai miei occhi e mi proponeva una nuova sfida. In quel momento sarei voluto scappare via, eppure qualcosa dentro di me costringeva il mio corpo a rimanere lì, fermo davanti al mostro per affrontarlo, per sconfiggere la paura del passato. Il mio pensiero passò poi al bambino dei capelli rossi; avrei dovuto lasciarlo lì, in pericolo? E cosa ne sarebbe stato del mio orgoglio? Non potevo permettere che la mia paura causasse altro male!
    Il piccolo, come se avesse sentito i miei pensieri, appoggiò una mano sulla mia schiena. Forse per l'avere ricevuto fiducia o forse per una ragione insaputa, quel gesto mi donò una grande energia, e dalla mia mano si formò un'enorme sfera di fuoco -molto più grande di qualunque altra sfera mai creata- che lanciai contro l'Heartless. Esso, dopo aver ricevuto un si tanto potente colpo, cadde a terra e scomparve nella sua nuvola oscura.
    Ora come allora non riesco a capire come fosse stato possibile.
    Il mio cuore batteva all'impazzata alla vista di quella così improbabile scena. Con le mie sole forze ero riuscito a sconfiggere la creatura più spaventosa e forte che mi fossi mai trovato davanti, ero riuscito a sconfiggere parte del mio passato... ero riuscito a sconfiggere la mia più grande paura! Io, da solo.
    Una strana forza era entrata dentro di me, una forza nuova, ma non estranea... la mia testa si stava riempiendo di qualunque tipo di pensiero o ricordo, e il mio cuore era avvolto da un insieme di sentimenti ormai incontrollabili: gioia, rabbia, stupore, soddisfazione, incertezza, speranza...
    Qualcosa era scattato dentro di me... qualcosa che ormai non poteva più essere fermato.
    Improvvisamente, a rompere il silenzio di quel momento una voce nota mi parlò alle spalle:

    Bravo Aaron!
    Alius?


    Di fronte a me vidi ciò che per molto tempo avevo sperato di rivedere: i capelli rossi, l'aspetto maturo e saggio di colui che mi aveva cresciuto...
    Il bambino indifeso di poco prima era cresciuto improvvisamente, era diventato il maestro Alius!

    Ma tu non eri...?
    ...
    Sai che l'accademia è stata divorata dall'oscurità.
    Il destino, però, mi ha voluto risparmiare e mi ha mandato in questo tuo sogno per parlarti.
    Prima del nostro scontro, durante la tua missione sul pianeta ***, tu hai incontrato un uomo, un vecchio.

    Si, è così! Ma come lo hai saputo?
    Non è importante come io ne sia venuto a conoscenza, quanto è invece importante chi fosse quel vecchio...
    Il suo nome è Oros ed è un viaggiatore del tempo. Lui è l'unico uomo che è capace di muoversi nel tempo, di viaggiare sia nel futuro che nel passato.
    Il fatto che ora si trovi in questa dimensione temporale è un buon segno, ma devi trovarlo al più presto! Questo è l'unico modo per rimediare al passato.
    Conto su di te.


    Con queste parole la figura del maestro iniziò a dissolversi. Ma prima che scomparisse del tutto arrivò un ultima frase:

    Ci rincontreremo prima di quanto immagini, ma sta attento... il nostro prossimo incontro potrebbe non essere ciò che ti aspetti.


    Dunque Alius scomparve definitivamente.
    Non capii bene cosa volesse intendere, ma solo il fatto di sapere che l'avrei rincontrato mi riempiva il cuore di gioia.
    Ero riuscito a sconfiggere la mia paura, con le mie forze e Alius aveva creato davanti a me una nuova strada, seppure ardua, con un suo obbiettivo...
    Finalmente i miei incubi avrebbero potuto trovare fine, e io avrei potuto ritrovare la pace. Potevo rimediare ai miei errori, fare ciò che avrei dovuto fare prima e compiere finalmente il mio destino, come un vero Cavaliere.
    E fu allora che me ne convinsi: in me, la speranza ancora divampava! La mia strada era lunga e piena di ostacoli, ma sapevo che questo sentimento così forte mi avrebbe portato ovunque... OVUNQUE!
    Avrei trovato il vecchio...
    Avrei salvato i miei compagni...
    E avrei conosciuto finalmente il mio passato!”


    Dopo poco tempo il sogno finì, ed Aaron poté riaprire gli occhi. Si guardò attorno e rivide finalmente le pareti della navicella, i comandi, i sedili, gli oblò e ancora una volta lo spazio oltre ad essi. In quel momento capì quanto poteva essere difficile la sua missione, eppure il suo entusiasmo non calò affatto. Aveva un nuovo obbiettivo da raggiungere, e questa volta non avrebbe fallito!


    CITAZIONE
    Finalmente c'e l'ho fatta!
    Devo dire che su questa prova ci ho riflettuto abbastanza... all'inizio poteva sembrare facile, ma pensandoci meglio mi sono reso conto che far ragionare il mio pg per fargli ritrovare la speranza, nella sua attuale situazione, non era affatto facile! Il fatto che il passato di Aaron fosse tanto disastroso mi ha un po' ostacolato, ma l'ho risolta così...
    Quello in cui il pg si ritrova è un sogno rivelatore, in cui ciò che accade segue un filo logico e che va a trasmettere all'animo del cavaliere delle emozioni. In esso infatti si trova ad affrontare il suo stesso chakram (cioè se stesso), un Darkside (il mostro che ha distrutto l'accademia, e cioè il suo passato) e il maestro Alius che introduce il nuovo obbiettivo della storia di Aaron (Alius rappresenta quindi il suo futuro).
    Tale sogno ha un'ambientazione temporale un po' ambigua, visto che la QI non è ancora finita; credo si possa inserire prima di questa, ma nella quest i ricordi sono limitati allo scontro con il chakram e l'arrivo del Darkside (nel Deep Dive Aaron non ricorda altro).
    Spero solo che l'impostazione non sia sbagliata e che quindi non sia andato fuori tema (ah, e di non aver superato le parole stabilite: purtroppo dal mio computer non riesco a contarle^^")
    Posso concludere dicendo che qualunque sia il giudizio questa sarà una parte fondamentale della storia del pg.

     
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    Eppur ricordo ancora, eppur non mi abbandonano...
    Ciò che il dolor mi procura, scacciarlo è impensabile rifugio di disperazione.
    Gli occhi ora volge al vuoto, la bocca schiusa senza respiro o favella, l'oscillare della corda al vento ad animare lo statuario rigore.
    Son ormai gelato dal freddo amplesso della Morte che il calore dell'anima fece fuggir nell’ultimo pneuma, e anche l'anima mia è fredda quanto l'immobilità della non vita.
    Eppur ricordo ancora, eppur non mi abbandonano...
    Reminiscenze, cimeli di un vissuto che nemmeno il trapasso o la rinascita possono sconfiggere, poiché parte dell'anima stessa, eterni anch'essi nella sua immortalità, inutili resti del tempo che precedettero l'ascesa alla superiore esistenza, monumenti se paragonati all'informe scurrilità del dormiente, null'altro che granelli di sabbia nell'abisso dell'astro.
    Mai mi avrebbero abbandonato, sempre mi avrebbero ridestato dal sogno e gettato nello scosso fiume del chi sei, un fiume torbido e senza verso che infanga la mia più profonda purezza, della stessa forma e consistenza dei concetti e sensazioni del vissuto, veleni che nulla valgono nel disassestamento continuo della realtà.
    La vita mi aveva insegnato molto, ma allo stesso tempo nulla, minuto mare di inutilità.
    I ricordi divengono l’anima stessa...
    E ora che son solo spirito, privo degli accidenti del senso carnale, ricordo ancor meglio. Sono puro essere, idea incorrotta, vincoli e distrazioni corporee sono a me concetti estranei, e il pensiero si riafferma in una potenziata sintesi.
    Sono pensiero e ricordi, non copia, e quelle che prima erano macchie di uno sfondo nero sono or vivide come la nuova aurora e scorrono chiare e furenti come il torrente, finché non incontro la cascata.
    Oh, lume d’eternità, ora risplendi terso a me, senza più tempo, troppo tempo… O troppo poco.

    Fuuushhhhh
    Fuuuushhhhhh
    Fuuuuushhhhhhh

    La coda della sirena allungava fiera la pinna fin alla chiglia, eternamente abbracciava la nave e indicava lei l’orizzonte, per lei apriva la via solcando impetuosa l’onda, permettendole di scivolare nell’immensa distesa limpida.

    Ssssssss Spuma Ssssssss
    SSSSSSSSSSS



    Cullato nel corpo dal dolce massaggio del mare e placato nel turbamento dello spirito dal suo dolce suono alla carezza della polena, al firmamento rivolgo il mio Eros.
    Le stelle brillano, alcune si spengono, altre viaggiano, ma, la maggior parte, preferisce ammirarsi nel mare.
    La Luna dal volto agonizzante volge all’abisso il suo sguardo e triste si specchia nella sua immutabilità, poiché invidia lo splendore del Sole che il calore della vita rinnova ogni giorno.
    Seppur fioca, tale luce priva di calore colpiva le pagine dell’opera in mano mia, distinguendone i caratteri e favorendo la mia vorace lettura d’apprendista.
    “Il sofista”
    La sacra omertà del testo vana era nel dissimulare il dispregio di tale appellativo, suggeriva con un flebile sussurro la vergogna a coloro che in questo modo erano soliti definirsi, eppur sofista rimanda alla sapienza.
    E dunque annuncia:”Esiste la Verità! La Verità di tutti! La Verità di nessuno!”
    “La verità si impone con la forza allo stolto come l’ordine si impone con il sangue alla città ribelle”
    Rido, ora rido, steso a scandagliar cotale lettura finemente rilegata, dove l’Essere è di misura d’uomo, non più unico, né eterno, ma più numeroso delle gocce dell’oceano, mutevole come la volubilità dell’uomo.
    Rido, l’uomo stesso è l’Essere, Ridevo.
    Triste fato della creatura pensante è quello di non poter giungere alla verità ultima, ed è quindi tempo di abbatterla, sogno candido e futile come l’Isola dei Beati, poiché l’Essere non è, mai esistito se non nell’animo di ogni vivente.
    Scrutar la verità è ora come levar lo sguardo alla nuvola, un dipinto di relativa interpretazione.
    Nulla esterno a me aveva parvenza di accettabilità, ma va piegato alla mia volontà.
    Sognai dunque che l’intensa Luna fosse gravida, tanto era larga all’orizzonte, e volesse con forza generare un Sole freddo e splendente, il quale sorgeva di ponente e tramontava di levante.
    La sua gravidanza era per me menzogna indicibile e preferì credere a quanto v’è d’uomo nella Luna che a quanto v’è donna.
    E dico io, io! Alla chiarezza della dell’occhio dello spirito, che poco d’uomo ha questa timida sognatrice notturna che con cattiva coscienza si specchia sul mare.
    L’assurdo è il solo riso ora , ghigno beffeggiatore sul volto di colui che coglie tale realtà.
    E dico io, io! Alla chiarezza della volontà dell’essenza, che posso amar tale Luna e generare con lei un Sole.
    Quiete e piatto è il fondo del mio mare: chi immaginava nascondesse dal principio mostri faceti!
    Imperturbabile era la mia profondità: vi nuotano luccicanti risate.
    Crebbi come figlio dei miei padri, calunniatori e profeti, coloro che credono di veleggiar spediti con il favore del vento sull’onda sempre piatta dell’oceano, quando invece con fatica affondavano i remi in un torbido stagno.
    Son calunniatore anche io nell’inganno del corpo, e nuotavo sul fondo dello stagno a cercar conchiglie.
    E vedevo oltre, io, vedo come la vita vien prosciugata dopo l’illusione del nascita, vidi come l’ultima sensatezza lasciò la mia mano e andò a posarsi su un nuovo fragile individuo, la Verità, bella quanto spietata, irraggiungibile quanto sterile, ora era di essenza e fattezze identica a me, or era gravida, orribile e posseduta.
    Ma dico io, io! Ora! Tempo indietro! Anche a questi maestri dell’ennesima dottrina stringerei il cappio soffocante, la loro lingua sotterrerei quanto più in basso la terra permetta e le loro mani brucerei sulla pira del trapasso.
    Alcuno assoluto esiste, alcuna verità è nell’animo dell’uomo, ciò che vi risiede è solo una burrasca, indefinibile agitazione che nulla contiene, nulla che, come il restante di ciò che è, si può chiamare, determinare o esplicitare.
    Ma una burrasca che mai cessa di sconquassare l’abisso dello spirito e colpire violenta gli scogli della Ragione che invano tentan di frenarla, se non con la fine dell’esistenza.
    E tanto più l’omuncolo usa la Ragione tanto più tale burrasca si quieta e si appiattisce, ma mai arresta il suo movimento e sbattimento.
    Per cosa poi? Dicevo io, io! Per l’illusione di non esser vano di fronte alla finitezza.
    Come l’eco, si estingue lentamente, dopo aver viaggiato inutilmente tra i valichi in cerca della nuova via, e ciò divora il fegato a colui che si affatica nella vita e si sforza di regger sulle spalle quella che molti chiamano gravità, ma che il realtà è il dolore del corpo che sa di esser già polvere.
    Ma senza l’affanno delle spoglie mortali, ora sapevo che questo vorticare è insormontabile, so che non son più che un insignificante granello di sabbia in un deserto privo di iscopo, il mio passaggio sarà vano come quello del bambino morto, eppure voglio.

    Sì, voglio!
    Voglio!
    VOGLIO!
    VOGLIO!

    E compirò questo desiderio perché altro non sono.
    E assicuro al mondo che lascerò il mio segno, seppur vano, perché lo voglio.


    Dormì… Dormì a lungo, finché il suono dell’operosità non mi destò dal sognare.
    La nave è in porto, i marinai scaricano e caricano come formiche guidate dal meccanicismo, mercanti urlano i loro prezzi ai passanti, le puttane fissano maliziose dagli angoli della strada.
    E vidi accanto la nave del Sud con le ossa dei crani come ornamento alle vele, e la nave del Nord i suoi guerrieri vestiti con le pellicce dei lupi, e poi le navi d’oltre oceano, con i loro uomini dalla pelle scura che pregavano il loro dio a sei facce di dogmi e misteri.
    Storie… Infinite storie, mi piacerebbe ascoltarle di nuovo.



    CITAZIONE

    A voi il mio elaborato.
    È importante sottolinearlo fin dall'inizio: non è un testo semplice da leggere.
    Ho dato qui ben sfogo ad alcuni miei sperimentalismi, in particolare si può notare fin da subito la completa discordanza dei tempi verbali tra loro. Ovviamente tutto ciò è voluto ed è funzionale per meglio far immedesimare il lettore nella condizione del personaggio che non ha più motivo di distinguere ricordi del passato e del presente, in quanto non più corporeo.
    Molto del testo va interpretato dopo essere stato letto con attenzione, ma posso comunque dire che, specialmente nella parte introduttiva, le citazioni abbondano copiose. Il paragone della Luna è ripreso da "Così parlò Zarathustra" di Nietzsche, sviluppato poi in maniera completamente personale.
    Si possono notare diversi arcaismi e neologismi, nulla di cui preoccuparsi, è tutto molto Drewan :guru:
    Non sono avvezzo a tali tipi di sperimentalismo, ma prenderò comunque il massimo in scrittura ovviamente, nonostante la difficoltà nel trattare tale argomento.


     
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    L A P O L V E R E E L A M E M O R I A

    Tutt’intorno era il silenzio. E il vuoto. Fatta eccezione per la lastra di terra su cui poggiavano le nere scarpe di cuoio, il Castello dell’Oblio sembrava attorniato da nient’altro che lo spazio più profondo. Ma non c’erano stelle, a incorniciare quel quadro. Solo buio e polveri cangianti, illuminate da luci sinistre dalla provenienza sconosciuta.
         Olson chiuse il varco oscuro con un gesto secco. Non era stato facile raggiungere quel posto, persino con l’ausilio dei corridoi delle tenebre. La sua postazione era sfuggevole, in eterno movimento; come se potesse esistere in un determinato luogo per non più di qualche minuto. Ma ora eccola qui. La leggendaria fortezza di cui tanto Daraeg gli aveva parlato era di fronte ai suoi occhi. Ed era magnifica. Le sue dimensioni erano imponenti: i torrioni, le cinte murarie marrone scuro e i tetti a punta color celeste si estendevano nell’aere per più di cento metri, sfidando e squarciando il buio denso di Nulla. Ma nonostante la mole del castello fosse effettivamente impressionante, non sarebbe mai stata quella la caratteristica a colpire un eventuale osservatore. In primis, perché le torri non si estendevano solo in verticale. Alcune crescevano diagonalmente, altre orizzontalmente, formando una croce con la struttura principale. Non c’era nulla di “sano” o “razionale” in quella visione: le superfici pietrose erano irregolari, a tratti spigolose e a tratti curve, a tratti rientranti e a tratti sporgenti, formavano rigonfiamenti, bozze, figure scomposte. Attorno alla struttura principale, piccole isole fluttuanti davano asilo ad altre torri troppo storte, altri tetti troppo appuntiti. Osservando attentamente, si potevano anche intravedere stralci di edificio che emergevano dalla parte inferiore dell’isola principale, in uno stato che sfidava qualsiasi legge della fisica. Un’immagine di pacata ma viscerale follia.


    senzatitolo12k


    Concetto che piacque all’Uomo col cappello. Era venuto lì per cambiare quel luogo, così come era venuto lì per cambiare l’uomo. Anche l’uomo aveva in sé la follia. Lui l’avrebbe estirpata da entrambi.
         “Posso rivelarti la zona in cui potrai trovarlo, stramaledetto pelato.” Le parole di Daraeg riemersero sferzanti, acide “Ma non credere di poter ottenere qualcosa. Non sei e mai sarai pronto per affrontare quel castello. Nessuno ne è mai uscito come è entrato.”
         Idea di cui Olson non era altrettanto convinto. Se il “potere” del castello era davvero quello descritto da Daraeg, non avrebbe dovuto avere troppi problemi. “In quel posto, trovare è perdere, e perdere è ottenere” ricordò infine. Parole affascinanti, ma fin troppo criptiche. Un ammonimento. Ci aveva rimuginato non poco, dopo l’incontro con l’Avvoltoio alla Città di Mezzo. “E dopo l’assurda esperienza con la Principessa.” Ricordo che Olson avrebbe volentieri estirpato, ma non era una prerogativa. Ciò che importava in quel momento era quella maledetta frase. Un enigma che non era ancora riuscito a risolvere. “Probabilmente, lo capirò solo una volta entrato.”
         Così avanzò. Lo spazio di roccia e terra battuta che lo separava dall’immenso portone in legno era consistente, ma Olson se la prese con calma. Il tempo aveva finito di essere una preoccupazione molti anni prima. Altrettanto non poteva dirsi per la sua gamba: a neanche metà percorso gli stava già dando dolori atroci, costringendolo a rallentare ulteriormente. Il rintoccare del bastone diventava sempre più lento e stremato. Si accorse anche di avere freddo. Non spirava vento, in quel luogo dimenticato da Dio, ma si percepiva una rigidità decisa, spietata. Si concesse un attimo per stringersi meglio nella giacca color catrame, poi continuò ad arrancare.

    Giunse a destinazione più stanco e più dolorante di quanto mai avrebbe pensato. Man mano che si avvicinava al portone, la distanza gli era sembrata aumentare anziché diminuire. “Non esattamente un buon inizio, Wren.”
         Passò le dita della mano libera sulla superficie rugosa del portone e sospirò. Sembrava piuttosto pesante, ma afferrò comunque il grosso chiavistello circolare e tirò. Le ante si spalancarono senza far rumore, come fossero fatte di sughero. Olson sorrise, pregustandosi la chiacchierata che avrebbe avuto da lì a pochi minuti.

    Doveva incontrare un Keyblader. Ne aveva sentito parlare nel corso delle sue peregrinazioni, così aveva chiesto a Daraeg di scoprirne l’attuale posizione. Incredibilmente, l’Avvoltoio aveva acconsentito a muovere i suoi informatori senza fare troppe storie. L’unica spiegazione logica per quel comportamento, si era detto Olson, era che le vicende di quel custode rinnegato interessassero anche lui in prima persona. Del resto era sempre stato così tra di loro: un rapporto che nulla aveva a che fare con l’amicizia e che quasi tutto condivideva col mero scambio d’interessi. E nonostante il suo berciare apocalittico, Daraeg sapeva che Olson era l’uomo giusto per andare a cercare il Keyblader al Castello dell’Oblio, se era davvero lì che si era rintanato. “Rintanato… o intrappolato?”
         Daraeg sapeva quasi per certo che si trovasse lì, e altrettanto per certo sapeva che non ne era uscito. “Chiedi di Kevan Raynolds, quando incontrerai la prima anima viva.” Gli aveva detto “Quasi per certo sarà lui. Non sono altrettanto sicuro che il suo nome se lo ricordi.”
         Perché era quello, il potere del Castello: manipolare i ricordi, disperderli fino a gettare chiunque nell’oblio più totale. Un incantesimo potente, terribile… ma non incontrastabile. Nel corso degli anni, Olson si era più volte accertato che nulla, dalla magia più infima a quella più potente, potesse anche solo sperare di scalfire i suoi ricordi. Nemmeno la magia del leggendario Castello dell’Oblio.

    Davanti a lui si stagliava un corridoio bianco. Bianco il pavimento, bianche le pareti, bianco il soffitto. Nessun mobilio di sorta, solo un doppio colonnato che seguiva i lati lunghi e una porta in legno preceduta da una pedana con scalini. Sul soffitto e tra le colonne, si potevano scorgere altorilievi di decorazione e armoniche forme geometriche. Incredibilmente, stavolta, l’Uomo col Cappello si riscoprì soddisfatto da ciò che stava vedendo. Il bianco l’aveva sempre rilassato, e la fondamentale vuotezza e sobrietà della stanza lo rilassava ancora di più. Forse i “lavori di ristrutturazione” non sarebbero stati così estenuanti. Senza neanche accorgersene, aveva già fatto un passo avanti. Fece seguire il bastone e l’altro piede, si voltò e richiuse lentamente l’immenso portone. Il momento della Verità.
         Là dentro il silenzio era ancora più opprimente. Perfino il cigolare del portone o lo stesso rumore del respiro di Olson sembravano assordanti in un simile contesto.
         “Trovare è perdere, e perdere è ottenere. Questa è la via del Castello dell’Oblio.” Ripeté di nuovo mentalmente. Ora restava da verificare se questa via si applicasse anche a lui. Se davvero fosse stato così stupido da provarci, gli aveva detto Daraeg, avrebbe dovuto per prima cosa verificare se fosse ancora stato in grado di utilizzare i suoi poteri. Le abilità e le magie erano la prima cosa ad essere colpite nel castello: dopo un solo passo al suo interno, anche il più temuto tra i membri dell’Ordine sarebbe divenuto un semplice “essere umano”. Tuttavia Olson non esitò a richiamare l’oscurità. E l’oscurità rispose. Il bastone venne avvolto nell’ormai familiare patina viola scuro, mandando inquietanti riflessi sul marmo lucidato del pavimento. E a quel punto, l’Uomo senza Ricordi seppe che il Castello dell’Oblio già gli apparteneva.

    Lo trovò dopo troppe stanze bianche e troppi piani tutti uguali. Avendo ormai verificato di essere immune al suo potere, il Castello dell’Oblio aveva perso per Olson qualsiasi fascino tremendo o aura reverenziale, fatto che non contribuì a rendere più eccitanti le svariate rampe di scale e i lunghi corridoi, perlomeno non per la sua gamba malata.



    kingdomheartschainofmem


    La stanza in cui Kevan si era “rintanato” era più piccola della maggior parte delle stanze incontrate finora: dalla pianta quadrata, era probabilmente l’unica di tutto il castello con una parvenza di mobilia. Un piccolo divano, un tavolo con tre sedie e una libreria -tutti bianchi- la riempivano a malapena, rendendola più surreale e spoglia di quanto probabilmente non lo sarebbe stata senza.
         Il Keyblader era seduto sul divano, e fissava il vuoto. Non doveva avere più di trent’anni, valutò Olson. “Del resto, ne aveva diciotto ai tempi in cui esisteva ancora la land of Departure”.
         Non sembrava aver notato l’ingresso del fu psicologo. I suoi occhi color nocciola da poco affacciatisi alla piena maturità erano spenti, inespressivi, così come tutto il resto di lui: il suo fisico, probabilmente imponente al momento dell’ingresso nel castello, sembrava aver subito una sorta di invecchiamento prematuro; le spalle erano gobbe, i muscoli delle braccia lasciate scoperte dall’uniforme lievemente flaccidi. Anche i capelli non sembravano quelli di un trentenne: crespi, lunghi fino alle spalle, erano raccolti in una coda che lasciava intravedere qualche riflesso di grigio. Su un uniforme vecchia e scolorita, con due strisce di stoffa nera poste a “x” su una maglietta blu notte, ricadeva una barba incolta tendente al nero slavato. Probabilmente, in altri tempi e in altri luoghi, era stato un bell’uomo.
         “Non tutti hanno la mia fortuna”, pensò cupamente Olson. “Senza una guida, questo posto può rivelarsi una trappola mortale.” Si avvicinò a passi cauti, sistemandosi con la mano libera la tesa del cappello. Giunto in prossimità del divano, si sedette.
         «Aqua…»
    Olson dovette far uso di tutto il suo autocontrollo per non trasalire. Era stato Kevan a parlare. Non sembrava affatto essere uscito dal suo stato pseudo-catatonico, ma aveva comunque parlato: una voce roca, flebile, eppure rimbombante in quella piccola stanza permea di silenzio.
    L’uomo col cappello prese il bastone tra le mani e attese, paziente, conscio che ormai quell’uomo non aveva alcun modo di fargli del male. Non passò troppo tempo prima che il Keyblader parlasse di nuovo.
         «Tu… tu sai dov’è Aqua?»
    In altre circostanze, sarebbe stato impossibile capire che il Keyblader si stesse riferendo a lui. Per qualche secondo, Olson pensò addirittura che stesse parlando ad un miraggio frutto dei poteri del Castello, ma non ebbe dubbi che quelle parole fossero in realtà destinate a lui, quando l’altro voltò il capo.
    “Se non altro, sembra ancora possedere un barlume di ragione” constatò Olson, notando che un pizzico di consapevolezza andava a riempire i suoi occhi vuoti “Forse potrebbe davvero rivelarsi utile.”
         «Mi dispiace,» ammise, cercando di dare al suo tono atono uno sprizzo d’umanità «Non so di chi tu stia parlando.»
         Kevan sembrò dispiaciuto dalla risposta. «Oh… peccato. Sai, ero convinto che fosse in questa stanza. Ma magari sarà nella prossima. Sì, sono sicuro che la troverò nella prossima. Quando… quando avrò voglia di alzarmi. La troverò, sì.» tornò a fissare il vuoto davanti a sé.
         Olson si concesse qualche secondo per riflettere. Non aveva mai sentito quel nome in vita sua, ma se dopo tutti i tormenti del Castello Kevan era ancora in grado di ricordarlo, doveva indubbiamente essere qualcuno di importante; la persona che l’aveva spinto ad intraprendere quella ricerca disperata, forse. Eppure… “Vuoi trovare la famosa stanza che cercava l’Organizzazione, non cercare di nascondermelo” furono le parole di Daraeg quando gli espose l’idea di andare al castello “Ma è tutta fatica sprecata. Forse sarai anche immune ai poteri che influiscono sui ricordi. Ma il castello dell’Oblio possiede altre difese per nascondere ciò che deve. È una magia che va al di là della mia comprensione, della tua, e anche quella dell’Organizzazione, che l’Oscurità se li divori. Quella stanza è fatta per essere trovata solo da chi deve trovarla davvero.” Parole che, come probabilmente Daraeg sapeva, anziché desistere Olson l’avevano motivato ancora di più. Trovare la leggendaria stanza nel Castello dell’Oblio che nemmeno la prima Organizzazione era riuscita a trovare era stato un suo piccolo sogno nel cassetto fin dalla prima volta in cui l’Avvoltoio gliene aveva parlato.
         «Sai una volta… io la amavo.» Kevan era tornato a voltarsi verso di lui; ad ogni parola il suo discorso sembrava assumere maggiore consapevolezza «Era così brava, così piena di talento. Candidata a Maestro del Keyblade a soli sedici anni, quando io a diciotto non avevo ancora combinato niente. E poi era così bella… così bella…»
         Olson elaborò e pensò in fretta. Le cose iniziavano a farsi più chiare: la misteriosa Aqua era dunque una ex apprendista alla Land of Departure, probabilmente divenuta maestra del Keyblade. Ma perché mai Kevan poteva pensare che si trovasse nel Castello dell’Oblio? Decise di lasciarlo parlare ancora.
         «Non le ho mai detto ciò che provavo. In realtà, eravamo poco più che conoscenti. Ma la cercai, quando se ne andò. Fui codardo a fuggire dopo la morte di Eraqus, ma… no, no, era solo per cercare lei. E Terra, lui… lui non doveva, l’ho inseguito. Per inseguire lui, per trovare lei. No, non sono un codardo.»
         Fu con riluttanza che Olson comprese che molte di quelle parole non avevano un effettivo senso logico, almeno non per lui. Kevan continuava ad ammassare nomi ed eventi, sensi di colpa e rimpianti, ma nemmeno un ex psicologo come lui poteva cavare un ragno dal buco di quel caos. «Sono sicuro che tu non lo sia.» intervenne Olson, pacato, fissando quegli occhi nocciola sempre più simili a quelli di un essere umano «Ma dimmi, perché la stai cercando qui? Il Castello dell’Oblio non è certo un luogo saggio in cui nascondersi, neanche per una maestra del Keyblade.»
         «Invece è qui. Deve essere qui.» Stavolta la risposta fu immediata «La sua magia permea tutto il Castello. DEVE essere qui!»
         Stavolta, Olson intravide anche un barlume di rabbia nell’improbabile Keyblader. “Lo sto aiutando a ricordare…” Realizzò ad un tratto l’Uomo col Cappello “E più elementi ricorda, più torna in se stesso.” Decise di insistere. «Vuoi forse dire… che l’incantesimo che permea il Castello è opera sua?» Non riusciva neanche a credere a ciò che aveva appena domandato. Aveva sempre dato per scontato che il Castello fosse una struttura antica, creata da chissà quanti potenti maghi per proteggere il loro segreto. Ma una sola persona? Era possibile? Intanto, Kevan aveva annuito cupamente.
         «Li… li avevo spiati, lei e Eraqus. Non avrei dovuto farlo, si trattava di segreti riservati ai soli maestri. Ma li ho spiati lo stesso. Lui le ha detto qualcosa riguardo alla Land of Departure: “se il mondo sprofonda nell’oscurità, utilizza questo incantesimo. È in grado di trasformare la nostra terra in qualcosa che sappia difendere da sola i propri segreti.”» il castano rise in un modo che rasentava l’isterico «E quale altro posto, se non questo?»
         Olson era sconcertato, ma riuscì comunque a mantenere la sua proverbiale freddezza. Allora era davvero come aveva sospettato: l’intero Castello era opera di una singola persona! E cosa ancora più sconvolgente, quello non era un posto qualsiasi; ma la leggendaria, perduta Land of Departure, trasformata per proteggere il suo segreto! Ma QUAL ERA questo segreto? Inspirò a fondo, tenendo stretto il bastone tra le mani e cercando di elaborare in fretta una risposta. «Dimmi, Kevan… Nella tua ricerca, sei riuscito a trovare il segreto del Castello? Per quello che so, si tratta di una stanza molto particolare.»
         «Nessuno può trovarla.» La risposta del Keyblader fu così rapida e glaciale che Olson ne rimase spiazzato «Aqua l’ha nascosta. Nessuno può competere con la sua magia. Se sei qui solo per trovare la Stanza del Riposo, vattene.»
         In un certo senso se l’era aspettato. Kevan aveva smesso di essere un burattino senz’anima: aiutandolo a parlare, aveva fatto affiorare i suoi ricordi, e con i suoi ricordi la sua coscienza. Non si sarebbe stupito se…
         Un rumore metallico seguito dal freddo contatto dell’acciaio sulla gola interruppe i suoi pensieri. “Bravo, Wren, complimenti. Rimetti in sesto il povero Keyblader senza ricordi, una volta riacquisiti non sospetterà minimamente di un uomo in nero che cerca informazioni su uno dei più grossi segreti dell’universo.”
         Kevan era balzato in piedi in un battito di ciglia, aveva evocato il Keyblade e gliel’aveva puntato contro. In quel momento, Olson aveva troppa premura di pensare a quali parole gli avrebbero evitato un simpatico sorriso rosso sulla gola per ammirarne le fattezze.
         «Chi sei tu?» Il tono di Kevan non era decisamente amichevole. “È rinsavito totalmente, ed è arrabbiato. Questo potrebbe essere un problema.”
         «Solo un povero vecchio storpio.»
         «Ho conosciuto poveri vecchi con la gobba che avevano il potere di uccidere un uomo in un istante.»
         «Sono sicuro che avranno avuto ciò che meritavano.»
         «Non prendermi in giro, non sei nella posizione.» il ferro dell’arma leggendaria si fece più pressante sulla sua gola «Ora tu mi dirai come hai fatto ad arrivare fin qui.»
         Olson sospirò «Non credo di poterlo fare. E non credo tu lo voglia sapere.» Per un attimo, credette di aver osato troppo. Credette che Kevan avrebbe deciso di essere stanco di quell’insolente vecchietto col bastone e di lordare il bianco perfetto di quella stanza col suo sangue. Ma non lo fece. Anzi, ebbe una reazione che mai Olson avrebbe potuto lontanamente sperare.
         «Forse hai ragione…» la pressione del Keyblade venne allentata «Forse non lo voglio sapere. Non ho ragione di volerlo.»
         Cosa… Cosa diamine era appena successo? “Ha ubbidito” realizzò “Forse non si è ancora ripreso abbastanza da essere davvero padrone di se stesso. Ma anche così…” Anche così non aveva senso. Decise di fare un altro tentativo.
         «Mi hai detto di amare quella ragazza, Aqua… Ne sei proprio sicuro? Sono invece abbastanza certo che tu la odiassi dal più profondo del cuore. Non te lo ricordi? La odiasti fin dal primo momento.»
         Gli occhi del castano si dilatarono. «Sì… sì ora ricordo! Io la odiavo!» strinse con forza l’elsa dell’arma tra le mani, allontanandola definitivamente da Olson «L’ho sempre odiata, fin dal primo giorno. Quella stupida saputella e quel suo talento immeritato. È sempre stata migliore di me! Perché avrei dovuto amarla?» con la mano libera afferrò una delle sedie e la scaraventò a terra con violenza.
         Il sorriso che comparve sulle labbra di Olson fu il sorriso più soddisfatto dai tempi del primo e unico scacco matto contro Daraeg. Non era una manipolazione della volontà. Era una manipolazione dei ricordi. La magia di quel posto era così simile alla sua che, evidentemente, si stavano fondendo. E non sarebbe stato il primo caso: anche Naminè, una strega Nessuno, era in grado di manipolare i ricordi di chi entrava nel castello, “asservendo” quella magia al suo volere. Era grazie a lei che l’Organizzazione era in grado di aggirarsi senza problemi per quei corridoi. Ed era grazie a lei che Sora aveva recuperato le sue memorie. Tutto ciò era… semplicemente magnifico! Al diavolo la Stanza del Riposo! Al diavolo i segreti al suo interno! Aveva appena trovato un luogo che gli permetteva di espandere i suoi potere di manipolazione, cancellazione e creazione dei ricordi anche agli altri individui! Se prima non fosse stato convinto fino in fondo a prendere il castello come sua sede, ora lo sarebbe stato di certo. «E dimmi, Kevan. Tu credi più alla tua parte emotiva o alla tua parte razionale?»
         Il Keyblader sembrò spiazzato. «Perché questa domanda?» Chiese infatti, mansueto, come se avesse paura dell’eventualità di dare una risposta sbagliata. Fatto che fece allargare ancor più il sorriso di Olson.
         «Perché vedi… Da quello che ho sentito su di te hai sempre disprezzato le tue pulsioni. Come quando pur odiando Aqua eri comunque attratto dal suo fisico, dal suo viso, dai suoi occhi. Odiasti profondamente te stesso in quei momenti. Eppure, consapevole che avresti vissuto meglio senza, ti sei sempre detto che, in fondo, l’uomo era fatto così. Ti disprezzavi, ma non avevi gli strumenti per cambiare le cose.»
         Kevan annuì, gli occhi dilatati pieni di accondiscendenza. «Sì, sì è così. Ho sempre pensato che le pulsioni e i sentimenti fossero una parte deplorevole di ognuno di noi. Ma come liberarsene? Sono radicate più a fondo di quanto un uomo possa sognare di scavare.» la sua voce era roca e debole, le sue sopracciglia aggrottate.
         “Funziona!” «No, vecchio amico mio, ti sbagli. Non ricordi le nostre chiacchierate alla Città di Mezzo? Ti dissi che stavo lavorando ad un metodo per estirpare definitivamente questo deficit dall’uomo. Ebbene…»
         «L’hai trovato?» Kevan si era avvicinato a lui come una zanzara a una lanterna, gli occhi dilatati e pieni di aspettative.
         Olson si sistemò gli occhiali col palmo della mano. «Sì.» Rispose, mellifluo «Sì, certo che l’ho trovato. Non ricordi? Ti sei sempre potuto fidare di me. Mai Wren Olson ti ha dato motivo di delusione.»
         L’uomo invecchiato troppo presto annuì, volgendo lo sguardo verso il basso mentre il ricordo fittizio andava creandosi nella sua mente. «Hai ragione Wren, hai ragione. Scusa se ho dubitato di te. Ci sei sempre stato quando ne avevo bisogno, non mi hai mai deluso.»
         «Proprio così.»
         «Quindi puoi… davvero rendermi come te?»
         Olson fece forza sul bastone con entrambe le mani e si alzò in piedi. «Certo che posso, mio vecchio amico. E lo farò, non dubitarne.» E detto questo, avanzò faticosamente verso la prossima stanza. Come previsto, Kevan lo seguì, obediente come un cagnolino ammaestrato.
         Per un attimo, uno solo, l’Uomo senza Ricordi pensò di aver fatto una cosa orribile. Aveva creato nell’altro dei ricordi mai esistiti in modo che potesse vedere il vecchio con gli occhiali come un amico, in modo che potesse fidarsi di lui. Ma del resto, la situazione di pericolo lo richiedeva. Col tempo, con l’approvazione forzata dell’altro, avrebbe proceduto ad eliminare i ricordi non necessari e a ristabilire quelli necessari. Così, finché fosse rimasto all’interno del Castello, Kevan sarebbe stato esattamente come lui. Un altro uomo perfetto sarebbe nato quel giorno. E avrebbe fatto tutto ciò che Olson gli avrebbe chiesto.
         Quando strinse tra le dita il pomello della porta, scoprì di sentirsi immensamente bene. Non doveva biasimarsi per ciò che aveva appena fatto. Fin dal principio sapeva che l’uomo come specie non avrebbe potuto abbandonare la sua parte irrazionale, se non “forzato”. Kevan era stato solo il primo passo. Un passo necessario. Un passo fondamentale. E nell’aprirsi cigolante della porta, nel percorrere l’ennesimo corridoio bianco, Olson non poté fare a meno di abbandonare ogni risentimento e accettare ciò che veramente provava: imporre la Verità, la “vera” Verità, era stato dannatamente magnifico.
         «Quindi, ora che si fa?» chiese d’un tratto il Keyblader, accostandosi a lui. «Cerchiamo Aqua o la stanza segreta?»
         Olson mantenne lo sguardo fisso avanti a sé. «Nessuna delle due. Ora penseremo a come allargare la nostra famiglia.»
         Il nuovo padrone del Castello dell’Oblio non poté non concedersi una risata.

    Mamma che fatica. Chiedo venia se il layout è poco curato, se le battute non sono colorate e boiate simili, ma proprio non mi andava di curare anche questo aspetto. Magari lo modificherò più avanti.
    Anyways, spero piaccia. Il testo non è solo molto importante per Olson, ma anche per la trama del GDR in generale: l'uomo col cappello prende infatti possesso del castello dell'oblio, sfruttando la sua passiva che gli permette l'immunità a qualsiasi magia influisca sui suoi ricordi. Purtroppo la parte più strettamente legata al contest non occupa un'immensa parte dello scritto, quindi spero di non essermi dilungato troppo. Per il resto posso dirmi soddisfatto: avevo una storia da raccontare, l'ho raccontata. Non mi interessa poi troppo la vittoria xD
    In bocca al lupo a tutti^^




    Edited by Frenz; - 18/11/2012, 18:50
     
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